Codice Civile art. 2122 - Indennità in caso di morte.

Paolo Sordi

Indennità in caso di morte.

[I]. In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118 e 2120 devono corrispondersi al coniuge [548, 585], ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado.

[II]. La ripartizione delle indennità, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno.

[III]. In mancanza delle persone indicate nel primo comma, le indennità sono attribuite secondo le norme della successione legittima [565 ss.] (1).

[IV]. È nullo ogni patto anteriore alla morte del prestatore di lavoro circa l'attribuzione e la ripartizione delle indennità [458].

(1) La Corte cost., con sentenza 19 gennaio 1972, n. 8 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui esclude che il lavoratore subordinato, in mancanza delle persone indicate nel primo comma, possa disporre per testamento delle indennità di cui allo stesso articolo».

Inquadramento

Dal carattere intrinsecamente personale ed infungibile della prestazione di lavoro consegue che la morte del lavoratore, nell'impossibilità di operare una successione nel contratto di lavoro, comporta automaticamente la cessazione contestuale del rapporto. La norma in commento dispone che, appunto nel caso in cui il rapporto di lavoro si estingua per morte del lavoratore, è dovuta a determinati familiari (coniuge, figli e, se viventi a carico del lavoratore, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo) un'indennità composta dall'indennità di mancato preavviso e dal trattamento di fine rapporto (primo comma), precisando che, in mancanza dei predetti familiari, l'indennità sia attribuita secondo le norme della successione legittima (comma 2, dichiarato peraltro costituzionalmente illegittimo da Corte Cost. n. 8/1972, nella parte in cui escludeva che, in mancanza delle persone di cui al comma 1, il lavoratore potesse disporre dell'indennità per testamento).

Giurisprudenza (Cass. n. 3515/1981) e dottrina (F. Santoro-Passarelli, 1983, 262, e Zanelli, 106) concordano circa la natura essenzialmente previdenziale dell'indennità in questione, la quale mira ad attenuare lo stato di bisogno in cui si vengono a trovare i familiari del lavoratore a causa della morte di quest'ultimo e del conseguente venir meno del reddito derivante dalle sue prestazioni lavorative.

Natura dell'indennità

La giurisprudenza è consolidata nel senso che i superstiti indicati nel comma 1 dell'art. 2122 acquisiscano il diritto all'indennità iure proprio e non iure successionis (Cass. n. 3764/1982; Cass. n. 3515/1981; Cass. S.U., n. 5/1980).

La dottrina è invece divisa tra i sostenitori della stessa conclusione propugnata dalla citata giurisprudenza (F. Santoro-Passarelli, 1983, 262, il quale argomenta dalla funzione previdenziale dell'indennità, dall'attribuzione dell'indennità ai congiunti senza un ordine di prossimità, dall'inclusione tra gli assegnatari degli affini, dalla ripartizione dell'indennità nella misura concordata o altrimenti in quella dipendente dal bisogno di ciascuno) e coloro che invece, muovendo dalla constatazione che l'indennità in esame non costituisce un diritto distinto dalle indennità di cui agli artt. 2118 e 2120 (come sarebbe confermato anche dal fatto che il decimo comma dell'art. 2120 prevede la detraibilità dall'indennità per causa di morte delle anticipazioni del t.f.r. eventualmente erogate al lavoratore), sostengono che si tratterebbe di una ipotesi di successione anomala su un bene separato (appunto l'indennità per causa di morte) entrato comunque nel patrimonio del lavoratore (Mengoni, 79; Ghera, 212; Zanelli, 106).

Invece è pacifico che nella fattispecie disciplinata dal terzo comma l'acquisto avviene iure successionis (Cass. n. 1560/1974).

Componenti dell'indennità

L'indennità disciplinata dall'art. 2122 è composta esclusivamente dall'indennità di mancato preavviso e dal t.f.r., restandone esclusi, secondo la costante giurisprudenza, emolumenti dovuti al lavoratore defunto ad altri titoli, i quali costituiscono parte dell'asse ereditario e pertanto la ripartizione dei medesimi fra gli eredi non avviene con le modalità stabilite dal predetto articolo, bensì sulla scorta delle norme in materia di successione per causa di morte (Cass. n. 2981/1982; Cass. n. 1560/1974).

La determinazione delle due componenti dell'indennità di morte deve essere operata, poi, sulla base della posizione raggiunta dal lavoratore al momento del decesso (Cass. n. 3764/1982; Cass. n. 2515/1982).

I beneficiari

Per quel che concerne il coniuge, la giurisprudenza ha affermato che l'art. 12-bis l. n. 898/1970, a norma del quale l'ex coniuge titolare di assegno ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970 ha diritto, se non passato a nuove nozze, a una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, trova applicazione anche nella ipotesi di decesso dell'obbligato in costanza di rapporto, in quanto essa riguarda tutti i casi in cui il t.f.r. sia comunque spettante al lavoratore, anche se non ancora percepito, senza che rilevi in contrario la circostanza che l'art. 2122 non indichi, tra gli aventi diritto alla indennità da esso prevista, l'ex coniuge (Cass. n. 285/2005).

Sulla base di tale premessa, la Suprema Corte ha stabilito che, ove, oltre al coniuge divorziato ed al coniuge superstite, esistano anche figli del lavoratore defunto (e/o altri parenti od affini a suo carico) aventi diritto alla indennità di buonuscita ai sensi dell'art. 2122, dal coordinamento di tale disposizione con l'art. 9 l. n. 898/1970 si estrae complessivamente la regola che al coniuge divorziato, nella fattispecie considerata (di concorso di plurimi aventi diritto), va attribuita una parte della quota del coniuge superstite; per cui, tra i due (od eventualmente più) coniugi, dovrà in pratica, suddividersi la quota di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata in ragione del concorso di questi con gli altri superstiti aventi diritto ex art. 2122, comma 1 (Cass. n. 1222/2000). La stessa giurisprudenza ha ulteriormente precisato che, ai fini di tale preventiva determinazione, dei due criteri all'uopo indicati dalla norma in commento — accordo tra gli aventi diritto e, in mancanza, il bisogno di ciascuno — non risulta applicabile, giacché incompatibile, il primo, e rileva quindi unicamente il successivo, onde la determinazione deve essere fatta unicamente «secondo il bisogno» (Cass. n. 1222/2000).

Quanto ai figli, la dottrina ha affermato che rientrano tra i beneficiari dell'indennità anche i nascituri, purché concepiti (Mengoni, 81). Gli autori che ritengono che l'indennità si acquisisca iure successionis sostengono l'applicabilità delle disposizioni del diritto successorio sull'indegnità a succedere (Mengoni, 81).

Criteri di ripartizione dell'indennità

La giurisprudenza ritiene che l'art. 2122 non riconosca al coniuge ed ai figli del lavoratore, nella ripartizione delle indennità di fine rapporto, alcuna preferenza rispetto agli altri congiunti che concorrono al conseguimento delle stesse indennità, onde tale ripartizione deve avvenire mediante una valutazione comparativa del bisogno di ciascuno in rapporto di bisogni degli altri (Cass. n. 1671/1975; Cass. n. 2935/1953).

Tale bisogno deve essere, inoltre, accertato con esclusivo riferimento allo stato di fatto attuale degli aventi diritto, senza attribuire alcuna rilevanza all'interpretazione di una presunta volontà del lavoratore deducibile dal carico sopportato da questi, in vita, per sopperire in tutto o in parte ai bisogni dei vari congiunti (Cass. n. 1671/1975).

Il bisogno di ciascuno degli aventi diritto deve essere determinato con un criterio di relatività, cioè mediante una valutazione comparativa del bisogno di ciascuno in rapporto ai bisogni degli altri, e quindi non si può escludere dalla ripartizione uno degli aventi diritto, sol perché beneficiato col testamento del lavoratore, pur dovendosi tener conto, nel determinare il suo stato di bisogno, anche dei fatti coevi alla morte del lavoratore medesimo (Cass. n. 2935/1953).

La nullità dei patti contrari

L'ultimo comma dell'art. 2122 sancisce la nullità dei patti dispositivi delle somme erogate per causa di morte stipulati prima del materializzarsi dell'evento, sia che tali patti concernano l'individuazione dei beneficiari, sia che attengano alle modalità di ripartizione dell'indennità.

La dottrina ha sottolineato che la disposizione deve essere interpretata nel senso che trattasi di divieto assoluto tanto che si aderisca alla tesi dell'acquisto iure proprio (poiché la dominante funzione previdenziale confligge inevitabilmente con atti di disposizione discrezionali che potrebbero non tener conto delle effettive situazioni di bisogno), quanto nel caso in cui si condivida l'opposta prospettazione della titolarità iure successionis, perché entrerebbero in gioco le regole del diritto comune che vietano patti successori, dispositivi o rinunziativi che siano (Zanelli, 107).

Deve ritenersi che la nullità statuita dalla legge colpisce sia i patti individuali tra lavoratore e datore di lavoro, sia i patti collettivi, quale un contratto aziendale che contenga autonomi criteri di ripartizione.

Bibliografia

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