Codice Civile art. 2141 - Nozione.

Roberto Amatore
aggiornato da Francesco Agnino

Nozione.

[I]. Nella mezzadria il concedente ed il mezzadro, in proprio e quale capo di una famiglia colonica [2142, 2150], si associano per la coltivazione di un podere e per l'esercizio delle attività connesse [2135 2] al fine di dividerne a metà i prodotti e gli utili. È valido tuttavia il patto con il quale taluni prodotti si dividono in proporzioni diverse (1).

(1) V. per il divieto di stipulazione di nuovi contratti di mezzadria, art. 3 l. 15 settembre 1964, n. 756; v. anche artt. 25 ss., 37 e 45, comma 2, l. 3 maggio 1982, n. 203.

Inquadramento

L'ultimo comma dell'art. 4 l. n. 756/1964 — applicabile anche ai rapporti di colonia parziaria, in virtù del rinvio contenuto nel successivo art. 12 — nel sancire il diritto del mezzadro o del colono di proporre l'azione di ripetizione di quanto il concedente abbia percepito in eccedenza, anche in costanza del rapporto agrario, pone un termine perentorio di decadenza di due anni, decorrente dal momento della cessazione del rapporto, collegando l'estinzione del diritto stesso al mero fatto oggettivo del decorso del termine, senza, tuttavia, escludere la prescrizione ordinaria decennale, ai sensi dell'art. 2946, che decorre dal momento stabilito dalla legge, dalla convenzione o dagli usi per la ripartizione dei prodotti o degli utili, in cui le parti acquistano la disponibilità delle rispettive quote (Cass. n. 11166/1991). L'art. 3, comma 2, l. n. 756/1964, nello stabilire la nullità dei contratti di mezzadria stipulati in violazione del relativo divieto previsto dal primo comma dello stesso articolo, prevede l'inapplicabilità di tale nullità per il periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione, con la conseguenza che, in relazione al detto periodo, trovano applicazione le norme sulla mezzadria (Cass. n. 6255/1984).

L'obbligo di contestazione dell'inadempienza al mezzadro — con lettera raccomandata e prima del ricorso all'autorità giudiziaria — previsto dall'art. 5 l. n. 203/1982, non trova applicazione nei giudizi in corso, essendo siffatta contestazione stragiudiziale irrilevante perché superata da quella avvenuta con l'atto introduttivo del giudizio (Cass. n. 6255/1984). La sanatoria dell'inadempienza entro il termine di tre mesi dal ricevimento della contestazione da parte del concedente — prevista, in tema di contratti agrari, dall'art. 5 l. n. 203/1982 — trova applicazione limitatamente a quegli inadempimenti che siano passibili di tale sanatoria (quali la morosità, gli obblighi di razionale coltivazione e manutenzione del fondo, il divieto di subaffitto) o che consentano il ripristino dello equilibrio economico e la base fiduciaria del rapporto, restandone invece esclusi quelli che abbiano origine in una condotta del coltivatore avente i caratteri della violenza e della frode e che integra ipotesi di reato (Cass. n. 6255/1984).

Nozione

Il mezzadro non è un semplice prestatore d'opera subordinato, ma un coimprenditore rispetto al concedente e, come tale, partecipa alla gestione dell'impresa agricola della quale, conseguentemente, sopporta anche i rischi (Cass. n. 1639/1968). Per distinguere l'affitto dai contratti associativi in materia agraria occorre far capo all'elemento tipico della nozione di imprenditore e cioè al rischio dell'impresa, riferito questo soprattutto all'incidenza delle spese e delle perdite; e pertanto, quando sia escluso che il proprietario partecipi al rischio della gestione, non può essere a lui attribuita la qualifica d'imprenditore e non e configurabile un contratto associativo di lui con il coltivatore del fondo (Cass. n. 758/1974).

Nei contratti di compartecipazione agraria (la mezzadria, la Colonia parziaria e la soccida) la cui caratteristica precipua è la combinazione di forze di capitale e di lavoro; ogni partecipante resta titolare dei rapporti e proprietario delle cose confluite nell'azienda e così tali contratti si distinguono dalle società perché non si costituisce un patrimonio giuridicamente rilevante rispetto ai terzi, ma solo un rapporto obbligatorio che vincola le parti del contratto associativo. Né sono assimilabili ai modelli legali della comunione tacita familiare e della comunione di beni fra coniugi, giacché in entrambi i casi l'autonomia patrimoniale, ancorché imperfetta, si concretizza nella destinazione del patrimonio al conseguimento degli scopi propri, rispettivamente, del nucleo familiare e della comunione coniugale, mentre sono ad essi estranei i concetti dell'appartenenza pro-quota e della attribuzione proporzionale degli utili e degli acquisti (Cass. n. 4722/1982). Elementi indicativi della costituzione di un rapporto di mezzadria, sotto il vigore della l. n. 756/1964, sono la partecipazione della famiglia del coltivatore al rapporto stesso, l'esistenza di fabbricati nel fondo, dotato di scorte vive e morte, la direzione dell'impresa attribuita al solo concedente, la ripartizione delle spese tra le parti e, in particolare, la partecipazione del concedente ai rischi della gestione, sulla base dei risultati da valutare in sede di periodici rendiconti, mentre la carenza di taluno dei requisiti richiesti, nella prevalente presenza degli altri, può comportare eventualmente la qualificazione del rapporto come di mezzadria impropria, sottoposto tuttavia alle comuni regole del rapporto tipico, senza, comunque, che rilevi la mancata partecipazione del concedente alla gestione, a causa di disinteresse o di impedimento frapposto dall'altra parte, trattandosi di circostanza ininfluente sulla individuazione del rapporto, che va compiuta in conformità alla struttura ad esso data all'atto della sua Costituzione, e non secondo le modalità della sua esecuzione, quando non vi sia prova di intervenuta novazione (Cass. n. 4181/1982). I requisiti essenziali che caratterizzano il rapporto di mezzadria — e cioè la partecipazione del mezzadro, in proprio e quale rappresentante della famiglia colonica, nonché l'oggetto, costituito da un fondo 'appoderato', ossia di un terreno fornito di casa colonica, dotato di quanto necessario per l'esercizio dell'impresa agricola, con estensione sufficiente ad assicurare il mantenimento della famiglia colonica e ad assorbirne le energie lavorative — non vengono meno qualora, per un diverso indirizzo colturale — secondo le previsioni di cui agli artt. 6 e 8 l. n 756/1964 — si addivenga ad una sostituzione del bestiame con attrezzi meccanici per una più adeguata ed incisiva realizzazione delle esigenze della moderna impresa di mezzadria. Tale trasformazione, infatti, lungi dall'alterare lo schema del rapporto, viene a potenziare ed a rendere la mezzadria più rispondente ai dettami della tecnica agraria ed ai canoni della moderna impresa (Cass. n. 1177/1981). L'inesistenza di una formale definizione legislativa del concetto di podere — la cui nozione viene solo implicitamente presupposta in alcune norme, codicistiche e speciali (art. 2141; artt. 30 e 31 l. n. 203/1982) — comporta che l'appartenenza di una o più particelle catastali ad un podere, se (come nella specie) oggetto di controversia tra le parti, deve essere accertata (se del caso, anche tramite consulenza tecnica) avuto riguardo ad elementi di fatto, da accertare anche sulla base di prove testimoniali (ove ritualmente dedotte), non esistendo, all'uopo, prove documentali e pubbliche idonee a certificare tale appartenenza (Cass. n. 15581/2001).

Ai fini dell'esistenza e validità del rapporto di mezzadria, non è necessaria la titolarità, nella persona del concedente, di un diritto reale sul fondo conferito, ciò in quanto trattasi (al pari della locazione, ugualmente non richiedente la titolarità in capo al locatore di un diritto reale sul bene) di un contratto di natura personale ed a contenuto obbligatorio, caratterizzato per di più (a differenza della locazione) dalla natura associativa inerente al vincolo che astringe due sole parti, concedente e mezzadro, allo Esercizio in comune di un'impresa agricola di coltivazione, ed in conseguenza, altresì, delle modifiche apportate all'originaria disciplina della mezzadria contenuta nel codice civile, in particolare, dalla l. n. 756/1964, la quale ha sancito il divieto di stipulare nuovi contratti di mezzadria, prorogando (art. 14) «fino a nuova disposizione» i contratti in corso, e dalla l. n. 592/1971, che ha regolato, assoggettandoli a proroga legale (art. 5-ter l. n. 592/1971) i contratti di tipo mezzadrile instaurati di fatto in data posteriore all'entrata in vigore della l. n. 756/1964 (Cass. n. 3968/1982).

Conversione in affitto: natura giuridica

La conversione in affitto dei contratti associativi stipulati antecedentemente all'entrata in vigore della l. n. 203/1982, operando indipendentemente dalla volontà del concedente, non integra gli estremi della novazione oggettiva di cui all'art. 1230 (con conseguente sostituzione di un nuovo rapporto a quello preesistente), bensì quelli della mera modificazione dell'originaria fattispecie negoziale (mezzadria, colonia e quant'altro), innestandosi automaticamente il rapporto convertito su quello sino ad allora esistente (tanto che il contratto di affitto, generatosi per effetto del disposto di cui all'art. 25 l. n. 203/1982, non può sorgere, tra le stesse parti, ed in relazione allo stesso fondo, se non risulti già in vita ed «in corso», al momento dell'entrata in vigore della legge, il precedente contratto associativo), e mancando, nella specie, ogni traccia dell' (indispensabile) animus novandi — inteso come comune intento delle parti di sostituire ad una obbligazione originaria una obbligazione nuova — e dell'aliquid novi — risultando del tutto identico l'oggetto contrattuale, e cioè il medesimo fondo rustico (Cass. n. 7174/1997). La conversione del contratto associativo, attuata in seguito alla richiesta formulata da una delle parti dell'originario contratto ai sensi dell'art. 25 l. n. 203/1982, non determina alcuna novazione del precedente rapporto ma la semplice sua modificazione quantitativa. Consegue, circa la disciplina legislativa della durata contrattuale posta dalla l. n. 203/1982 che, mentre per i contratti associativi non convertiti valgono le norme dell'art. 34 l. n. 203/1982, per quelli associativi convertiti vale la disciplina dell'art. 2, al pari di quelli di affitto in corso, ferma restando la disposizione dell'art. 1 l. n. 203/1982 per i soli contratti di affitto stipulati successivamente all'entrata in vigore della legge e che non rientrano nella categoria di quelli di mezzadria o colonia parziaria convertiti in affitto (Cass. n. 9628/1997).

Durata contratti convertiti

In ordine alla disciplina legale della durata dei contratti agrari disposta dalla l. n. 203/1982, mentre per i contratti associativi non convertiti sono applicabili le disposizioni dell'art. 34 l. n. 203/1982, per quelli associativi convertiti in affitto ai sensi dell'art. 25 l. n. 203/1982, vale invece la disciplina prevista dall'art. 2 l. n. 203/1982 per i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge e non quella dell'art. 1 per i contratti di affitto stipulati successivamente alla predetta data, perché la conversione non produce l'estinzione del rapporto agrario in corso e la nascita di un nuovo rapporto, ma solo la modificazione del rapporto originario che perciò prosegue nei medesimi soggetti e con il medesimo oggetto (fondo rustico) senza soluzione di continuità tra l'originario rapporto mezzadrile, esistente al momento dell'entrata in vigore della legge ed il successivo contratto commutativo (Cass. n. 11449/1998).

La l. n. 203/1982, distinguendo, quanto alla durata dell'affitto a coltivatore diretto, tra contratti nuovi e contratti in corso (stabilendo, per i primi, una durata non inferiore a quindici anni, ex art. 1, comma 2, l. n. 203/1982 e, per i secondi, un'altra, diversa, e variabile tra i dieci ed i quindici anni — con decorrenza dalla data della sua entrata in vigore —, a seconda che il rapporto associativo convertito abbia avuto inizio in epoca più o meno remota) ha previsto due diverse, e del tutto autonome, decorrenze temporali, aggiungendo, ancora, una ulteriore previsione di durata (da sei a dieci anni) con riferimento ai contratti associativi dei quali non sia stata chiesta la conversione. Pertanto (essendo rimessa allo stesso concessionario ogni valutazione circa l'opportunità o meno della trasformazione del rapporto) è, comunque, da escludere che, per effetto della intervenuta modificazione contrattuale, di carattere non novativo, il rapporto di affitto possa ritenersi «nuovo» rispetto al contratto associativo che vi ha dato origine, con conseguente inapplicabilità, ad esso, del termine minimo di durata di cui al citato art. 1, comma 2, l. n. 203/1982 (Cass. n. 7174/1997). In ordine alla disciplina legale della durata dei contratti agrari posta dalla l. n. 203/1982, l'art. 2 della predetta legge — che detta la disciplina transitoria per i contratti di affitto a coltivatore diretto, stipulati anteriormente alla stessa legge ed in corso al momento della sua entrata in vigore, e che dispone, rispetto alla data di scadenza, una ulteriore durata, fa riferimento, nel fissare tale data, all'anno in cui ha avuto inizio il rapporto, intendendosi per tale quello in cui un certo conduttore o una certa famiglia si sono in concreto installati nel fondo, indipendentemente dalla circostanza che dopo la stipulazione del contratto siano stati conclusi nuovi accordi modificativi, o che l'originario rapporto di mezzadria sia stato convertito in affitto. Infatti, tale conversione non produce l'estinzione del rapporto in corso e la nascita di un nuovo rapporto, ma solo la modificazione del rapporto originario, che, perciò, prosegue tra i medesimi soggetti e con lo stesso oggetto, dovendo la volontà di estinguere l'obbligazione precedente risultare in modo non equivoco, sicché, nel dubbio, la volontà delle parti deve essere interpretata come meramente modificativa della precedente obbligazione (Cass. n. 8596/2001). 

Segue. Profili procedurali

La volontà del mezzadro di trasformare il rapporto in affitto richiede una comunicazione esplicita e formale a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi dell'art. 25 comma 3 l. n. 203/1982 — od in altra forma che, rispettando il termine semestrale, assicuri eguale certezza nella comunicazione della volontà del concessionario — senza che detta comunicazione possa ritenersi implicita nel pagamento di somme effettuato dal concessionario a titolo di canone di affitto (Cass. n. 4566/1997). Le formalità e i termini di cui ai comma 1 e 3 dell'art. 25 l. n. 203/1982 stabilite per la conversione di un contratto associativo in contratto di affitto onde salvaguardare sia esigenze di certezza, sia i diritti del concedente, sono inderogabili soltanto se la richiesta di trasformazione è unilaterale; invece, se le parti raggiungono un accordo, prevale il principio di libertà della forma, previsto dall'art. 1325, n. 4, e pertanto anche il negozio verbale è valido (Cass. n. 12717/1997). La comunicazione della conversione del contratto associativo in affitto, inferiore a sei mesi prima della scadenza dell'annata agraria, vale per l'annata agraria successiva, senza che l'accoglimento della richiesta conversione con tale decorrenza implichi violazione dell'art. 112 c.p.c. (Cass. n. 3067/1998). A norma dell'art. 25, comma 3, l. n. 203/1982, la volontà del colono di trasformare il rapporto in affitto richiede una comunicazione esplicita e formale a mezzo di lettera raccomandata (con avviso di ricevimento) e non può essere sostituita da equipollenti, integrando la richiesta di conversione del rapporto associativo di colonia parziaria in quello di affitto un negozio giuridico unilaterale recettizio che produce effetto, per la presunzione di conoscenza stabilità dall'art. 1335, nel momento in cui, essendo giunto all'indirizzo del destinatario, deve reputarsi da questo conosciuto (la S.C. nel caso di specie ha escluso che potesse considerarsi equipollente un'intesa verbale) (Cass. n. 4506/1998).

In materia di contratti agrari, la volontà del mezzadro di trasformare il rapporto in affitto richiede inderogabilmente, ove non sia intervenuto un accordo tra le parti ma vi sia solamente la richiesta unilaterale del mezzadro, una comunicazione esplicita e formale ai sensi dell'art. 25, comma 3, l. n. 203/1982, che va effettuata a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altra forma che sia idonea ad assicurare eguale certezza nella trasmissione della volontà del concessionario, senza che detta comunicazione possa ritenersi implicita nel pagamento di somme effettuato, anche a mezzo di vaglia postale, a titolo di canone di affitto (Cass. n. 23446/2009). Nelle controversie pendenti, anche in sede di legittimità, sulla opposizione del concedente avverso la richiesta di conversione del rapporto agrario in affitto, la sopravvenienza della l. 14 febbraio 1990, n. 29, rende applicabili, oltre che le innovazioni sostanziali di cui agli artt. 2-4 l. n. 29/1990, l'ultimo comma dell'art. 33-bis l. n. 203/1982, introdotto dall'art. 5 l. n. 29/1990, il quale, ponendo a carico del concedente l'onere di provare i fatti su cui l'opposizione si basa, configura norma di natura sostanziale, a differenza dei primi due commi del citato art. 33-bis in tema di decadenza dall'opposizione stessa. Consegue che il concedente che si propone come attore nella causa di opposizione alla conversione, allo scopo di evitare che la conversione esercitata dal destinatario divenga definitiva ed irretrattabile, ha l'onere della prova dei fatti dedotti a sostegno della propria domanda (Cass. n. 9914/1998).

In tema di conversione in affitto di contratti agrari associativi, l'art. 5 l. n. 29/1990, che ha introdotto l'art. 33-bis l. n. 203/1982, trova applicazione nella parte sostanziale che pone a carico del concedente l'onere di provare i fatti su cui l'opposizione si basa, mentre va esclusa l'applicabilità dei primi due commi in tema di decadenza dell'opposizione, non potendo lo ius superveniens sanzionare silenzio ed inerzie verificatesi prima della sua entrata in vigore (Cass. n. 7703/1997). Di converso, l'art. 5 l. n. 29/1990 non può trovare applicazione, nella parte relativa alla decadenza dall'opposizione, con riguardo a situazioni verificatesi anteriormente alla data della sua entrata in vigore, mentre l'efficacia dell'opposizione del concedente successiva a tale momento, ma riferita a conversione richiesta dal concessionario in un tempo anteriore, deve essere valutata ai sensi della novella (Cass. n. 3974/2012).

Se il colono contesta la presunzione legale di adeguato apporto del concedente — imprenditore agricolo a titolo principale da oltre un biennio antecedente l'entrata in vigore della l. n. 203/1982alla condirezione dell'impresa (art. 3, comma 1, l. n. 29/1990), oggetto della richiesta di conversione in contratto di affitto, ha l'onere di provare il contrario, chiedendo all'uopo parere alla Regione, (art. 3, comma 2, l. n. 29/1990), liberamente valutabile dal giudice, ovvero dimostrando l'inesistenza delle condizioni normativamente disposte (art. 4, l. n. 29/1990, cit.) (Cass. n. 56/1998). Per escludere l'adeguato apporto del concedente alla condirezione dell'impresa, onde contrastare l'opposizione di questi alla conversione del contratto di colonia in contratto di affitto (artt. 2 e 3 l. n. 29/1990), il colono che contesta la regolare tenuta della contabilità da parte di quegli (art. 4, lett. d, l. n. 29/1990) perché mancante il libretto colonico, deve dimostrare l'esplicito accordo per la sua istituzione (art. 2169) (Cass. n. 56/1998).

Destinatario della domanda di conversione del contratto di mezzadria in contratto di affitto è il soggetto che nel contratto di mezzadria risulta concedente, a prescindere dalla circostanza che egli sia o meno proprietario del fondo; ne consegue che correttamente la domanda di conversione di un contratto di mezzadria stipulato nel 1960 va posta nei confronti del solo concedente, non rilevando che, in seguito all'entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, il fondo sia entrato in regime di comunione legale e risulti perciò anche di proprietà del coniuge del concedente, atteso che detto coniuge restò estraneo al contratto di mezzadria e atteso altresì che, nel regime di comunione tra i coniugi, la gestione in comune dell'azienda agraria riguarda solo gli «utili» e gli «incrementi» (Cass. n. 10671/2002).

Segue. Disciplina e produzione degli effetti

Dall'art. 29, lett. a), l. n. 203/1982, il quale pone una condizione ostativa alla conversione dei contratti associativi in contratti di affitto si desume a contrario che la conversione ha luogo quando al momento della presentazione della domanda nella famiglia colonica vi sia almeno un'unità attiva che si dedichi alla coltivazione dei campi o all'allevamento del bestiame, di età inferiore ai sessanta anni (Cass. n. 9620/1994; Cass. n. 1339/1991, per la quale non è necessario che tale unità dedichi all'attività agricola almeno due terzi del proprio lavoro complessivo, poiché questa ulteriore condizione riguarda, ai sensi della lett. b) del richiamato art. 29 l. n. 203/1982, espressamente ed esclusivamente il mezzadro, il compartecipante, il soccidario o il colono.

Ai fini della conversione della mezzadria in affitto a coltivatore diretto, l'art. 31 l. n. 203/1982 richiede che il fondo costituisca una unità produttiva idonea a consentire la formazione di una impresa agricola valida sotto il profilo tecnico ed economico con riferimento alla produzione annuale media, detratte le spese di coltivazione ed escluse quelle di manodopera, senza alcuna distinzione fra le possibili produzioni e le relative utilizzazioni, per cui assume rilievo la produzione lorda totale, comprendente i prodotti destinati alla vendita a terzi, quelli destinati al consumo interno della famiglia mezzadrile, nonché quelli reimpiegati in un nuovo ciclo produttivo (Cass. n. 6384/2001). La produzione annuale media alla quale deve aversi riguardo per attribuire al fondo le caratteristiche di unità produttiva idonea alla formazione di una impresa agricola, necessarie, ai sensi dell'art. 31, l. n. 203/1982, per la conversione della mezzadria in affitto, è quella complessiva comprendente sia i prodotti destinati alla vendita sia quelli destinati al consumo della famiglia mezzadrile o al reimpiego in nuovi cicli produttivi (Cass. n. 1863/1995).

In tema di conversione di contratto associativo di colonia in contratto di affitto, la disciplina di cui all'art. 32, l. n. 203/1982 trova applicazione con riferimento alle aziende definite dalla stessa disposizione come «pluripoderali», che si distinguono dall'azienda unica o dalla proprietà unica fondiaria suddivisa in più appezzamenti di terreno, ciascuno dei quali oggetto di un autonomo contratto associativo, ed a ciascuno dei quali sono destinati gli eventuali impianti ed attrezzature individuali (depositi, cantine, stanze di abitazione, magazzini, etc.) esistenti; attrezzature ed impianti i quali si rivelano, invece, comuni, nelle aziende pluripoderali, ai vari poderi o fondi, e sono utilizzati, in queste, promiscuamente, in quanto posti al servizio dell'intero complesso (Cass. n. 2887/2003).

In tema di conversione della mezzadria in affitto, la l. n. 29/1990, le cui disposizioni, ai sensi dell'art. 10, si applicano a tutti i contratti associativi in corso, ad esclusione di quelli oggetto di accordi di cui all'art. 45, l. n. 203/1982 o di controversie giudiziarie definite con sentenza passata in giudicato, non considera la condizione di imprenditore agricolo a principale del concedente di per se ostativa alla conversione automatica del rapporto agrario, ma conferisce alla predetta condizione solo il valore di una presunzione (fino a prova contraria) dell'adeguato apporto (del concedente) alla condirezione dell'impresa, con la conseguenza che questo apporto, ai sensi dell'art. 2, l. n. 203/1982, rimane, come nel previgente sistema, l'esclusiva ragione ostativa alla conversione, oltre quelle soggettive proprie del richiedente di cui alla lett. a) e b) dell'art. 29 l. n. 203/1982 (Cass. n. 9622/1992). In tema di esclusione della conversione del contratto di mezzadria in affitto, la condizione prevista dall'art. 4, lett. d), l. n. 29/1990 (consistente nella regolare tenuta della contabilità da parte del concedente), presuppone l'istituzione del libretto colonico ed è soddisfatta esclusivamente dalla sua regolare tenuta, alla stregua di quanto disposto dall'art. 2161 e delle norme che ne regolano il contenuto, secondo un obbligo contrattuale cui è tenuto il concedente anche in relazione ai due anni precedenti l'emanazione della l. n. 203/1982 (ossia dal maggio 1980). La menzionata condizione non può, pertanto, ritenersi soddisfatta dalla tenuta, da parte del mezzadro, di schede mobili sottoscritte, sia pur successivamente raccolte (Cass. n. 6869/1996).

Premesso che l'esercizio del diritto potestativo alla conversione del contratto di mezzadria o colonia parziaria in affitto, mediante negozio unilaterale ricettizio, produce effetto, a norma dell'art. 26, l. n. 203/1982 dall'inizio dell'annata agraria successiva alla comunicazione del richiedente, la concreta e definitiva estinzione del precedente rapporto associativo, con la sostituzione del nuovo rapporto di affitto, si produce in tempo successivo, di modo che nelle more tra il negozio unilaterale di conversione, pur perfetto e valido, ma non ancora efficace, ed il perfezionamento del negozio sostitutivo ex lege, il concedente è legittimato a domandare in giudizio la risoluzione del contratto associativo per grave inadempimento del mezzadro o colono verificatosi anteriormente o nello stesso periodo, e in ipotesi di accoglimento della domanda la sentenza costitutiva di risoluzione del contratto associativo travolge il negozio unilaterale di conversione, stante il suo effetto retroattivo (Cass. n. 8651/1994).

L'art. 1, l. n. 29/1990 che ha interpretato autenticamente l'art. 26, l. n. 203/1982 e che pertanto è applicabile ai contratti oggetto di controversia giudiziaria non definita con sentenza passata in giudicato, stabilisce che la conversione del contratto agrario associativo in contratto di affitto a coltivatore diretto si verifica di diritto a seguito della comunicazione del richiedente, ma con effetto dall'inizio dell'annata agraria successiva. Ne consegue che il mezzadro coltivatore diretto il quale abbia gestito il fondo come affittuario a decorrere dall'inizio dell'annata agraria successiva alla richiesta di conversione, non può essere considerato come autore di spoglio in danno del concedente, poiché tale comportamento derivante dalla conversione di diritto del contratto non è di per sé illegittimo (Cass. n. 12245/1992). 

Titolarità rapporto

Nel contratto di mezzadria la qualità di concedente, a meno che il contrario non risulti dal titolo, compete all'usufruttuario, contro il quale deve perciò essere esercitata ogni Azione dipendente dal rapporto: ciò vale anche per l'usufrutto legale del genitore, il quale può autonomamente compiere in nome proprio tutti gli Atti negoziali che non incidono sulla consistenza del patrimonio e non ne diminuiscano il valore, ed e legittimato perciò a resistere contro le pretese del mezzadro attinenti sia all'usufrutto (prodotti, utilità, rimborsi di spese), sia alla proprietà, come la richiesta di compenso per i miglioramenti a favore del fondo (estensione qualitativa della proprietà) (Cass. n. 342/1978).

Nell'ipotesi di comunione indivisa di un fondo unitariamente concesso a mezzadria, pur non potendosi parlare di contitolarità nella gestione di un'impresa agricola da parte di tutti i soggetti associati, e cioè concedenti e mezzadro, si costituisce tra i comproprietari del fondo indiviso — proprio a causa della sua concessione a mezzadria — una vera e propria comunione d'impresa e non una comunione di mero godimento: ne consegue che, a norma dell'art. 2257, ciascun contitolare può compiere, se non sia stato stabilito diversamente tra le parti, atti di ordinaria amministrazione nell'ambito dell'attività propria di quell'impresa anche disgiuntamente dagli altri, salve le possibili opposizioni da parte di ciascuno di essi, poiché, sebbene tale norma sia dettata in tema di società semplice, essa trova indubbio campo di applicazione in tutte le ipotesi di gestione in Forma associata di un'impresa, anche se prive di carattere societario in senso stretto, com'e appunto la comunione d'impresa (nella specie, la suprema Corte ha ribadito la legittimità della richiesta di rendiconto al mezzadro da parte di uno dei comproprietari del fondo separatamente dagli altri, ritenendolo semplice atto di amministrazione della cosa comune) (Cass. n. 2933/1976).

Forma e prova del contratto

Il contratto di mezzadria è soggetto alla forma scritta, ai sensi dell'art. 1350, solo quando sia stata espressamente pattuita una durata ultranovennale, mentre non è richiesta tale forma nel caso di contratto stipulato senza pattuizione della durata, trovando applicazione la disposizione contenuta nell'art. 2143, che prevede la durata del contratto in un anno agrario e la rinnovazione di anno in anno in difetto di disdetta da darsi almeno sei mesi prima della scadenza, senza obbligo di una particolare forma nella sua stipulazione (Cass. n. 8113/1991). Il contratto di mezzadria, in quanto autonomo e distinto rispetto all'affitto (ove non ricorrano le ipotesi «miste» di cui agli artt. 18 e 24 l. 11 febbraio 1971 n. 11), può essere dimostrato con qualunque mezzo di prova, compresa quella per testi, anche quando sia stato stipulato dall'usufruttuario del fondo, dovendosi escludere l'applicabilità delle eccezionali limitazioni probatorie che l'art. 999 contempla per il diverso caso delle locazioni concluse dall'usufruttuario (Cass., S.U., n. 9225/1987).

Bibliografia

Carrara, I contratti agrari, Torino, 1954, 825; Cattaneo, in Contratti agrari associativi, Manuale di diritto agrario italiano (a cura di Irti), Torino, 1978, 331; Giuffrida, Imprenditore agricolo, in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 557.

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