Codice Civile art. 2240 - Norme applicabili.Norme applicabili. [I]. Il rapporto di lavoro che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico è regolato dalle disposizioni di questo capo [203 trans.], e, in quanto più favorevoli al prestatore di lavoro, dalla convenzione e dagli usi [2068 2] (1). (1) V. l. 2 aprile 1958, n. 339 e l. 27 dicembre 1953, n. 940. InquadramentoLa normativa codicistica in tema di lavoro domestico ha attualmente una valenza limitata, in considerazione della significativa disciplina del rapporto successivamente introdotta dalla l. n. 339/1958 a proposito dei rapporti di lavoro che si svolgono presso lo stesso datore di lavoro per almeno 4 ore giornaliere; conseguentemente essa continua ad applicarsi solamente ai rapporti che prevedano lo svolgimento di meno di quattro ore di lavoro al giorno (in giurisprudenza, Cass. n. 5211/1985; Cass. n. 905/1969; in dottrina, Persiani, 828; M.c. Britton, 226). A quest'ultimo riguardo, è stato precisato che la disciplina del codice civile che rileva è sia quella dettata dagli artt. 2240-2246, sia, in virtù del principio espresso in generale per tutti i rapporti di lavoro speciali — incluso quello domestico — dall'art. 2239, quella contenuta nelle sezioni II, III, IV del capo I del titolo II del libro V, con il previsto limite della compatibilità con la specialità del rapporto (Persiani, 828; Basenghi, 29; MC Britton, 226; contra, Offeddu, in Tr. Res. 1986, 657, secondo il quale l'art. 2239 non si applicherebbe al lavoro domestico). NozioneSecondo l'opinione della dottrina ormai comunemente accettata (Persiani, 826), il lavoro domestico è essenzialmente caratterizzato dal fatto che si svolge in una organizzazione che non è impresa, bensì normalmente, seppur non necessariamente, è l'organizzazione di una famiglia (invece, nel senso lavoro domestico si abbia solo quando è prestato a vantaggio di una famiglia, Riva-Sanseverino, in Comm. S.B. 1943, 820) e dal fatto che consiste nello svolgimento di una attività lavorativa, sia manuale che intellettuale, destinata a soddisfare le esigenze di vita dei soggetti che tale organizzazione compongono, e consistente nella prestazione dei servizi inerenti al governo di una casa e ai personali bisogni di coloro che vi abitano. Il tratto caratterizzante la fattispecie, pertanto, non l'oggetto della prestazione (che può essere analogo a quello di un comune contratto di lavoro), bensì la sua funzionalizzazione alle esigenze di vita del datore di lavoro e della sua famiglia (Offeddu, in Tr. Res. 1986, 657; Basenghi, 73; MC Britton, 226). Anche secondo la giurisprudenza, l'elemento caratterizzante il rapporto di lavoro domestico è la prestazione finalizzata al funzionamento della vita familiare per soddisfare un bisogno personale del datore e non può costituire strumento per l'attività professionale da lui prestata (Cass. n. 27578/2005, che ha negato l'applicabilità della normativa sul lavoro domestico in un caso in cui il lavoratore svolgeva la sua opera di precettore o di istitutore, non già per le necessità personali del datore, ma per il funzionamento dell'attività istituzionale e professionale da questi svolta, di gestione di una comunità alloggio per minori; Cass. n. 6824/2005, che ha escluso il nesso funzionale diretto con i servizi domestici e familiari nell'attività avente ad oggetto l'assistenza di minore portatore di handicap psicofisici svolta in ambito scolastico ed in collaborazione con l'insegnante di sostegno). E dunque il servizio può essere esteso anche al di fuori dell'ambito strettamente domestico, purché si svolga per soddisfare un bisogno del datore di lavoro e non costituisca strumento dell'attività professionale di costui, specie quando dalla utilizzazione del servizio stesso esulino finalità di lucro del datore di lavoro (Cass. n. 5969/1987, in riferimento ad una ipotesi di attività di pulizia, ed altre minori e collaterali, relative ad oggetti facenti parte di una raccolta-museo sita nella privata dimora del datore di lavoro). Quanto, poi, alla natura «familiare» della comunità a favore della quale sono eseguite le prestazioni di lavoro domestico, la giurisprudenza afferma che sono necessarie la stabilità, la continuità e la permanenza delle persone che la costituiscono, sotto lo stesso tetto, l'assenza di uno scopo di lucro, l'osservanza di un principio di mutua assistenza quale si riscontra nelle famiglie che sono basate su vincoli di sangue, e la presenza di una solidarietà affettuosa fra le persone aventi una tale comunanza di vitto e di alloggio (Cass. n. 2354/1983, secondo cui non possono essere ascritti alla categoria dei lavoratori domestici coloro che svolgano la loro attività lavorativa alle dipendenze di comunità non caratterizzate da tali requisiti, come una scuola allievi di Forze di polizia). In tale concetto di convivenza di tipo familiare non rientra la diversa situazione del concomitante alloggiamento di più aggregati o nuclei di persone, estranei gli uni rispetto agli altri, ancorché facenti parte di uno stesso stabile o fabbricato, in cui le esigenze comuni sono limitate ad alcune necessità di corrente manutenzione delle parti comuni del fabbricato ed a taluni elementari servizi relativi all'uso dello stabile da parte di tutti i condomini o coinquilini (quali la pulizia dei locali comuni, accensione e spegnimento delle luci, consegna della posta), senza estendersi affatto alle principali esigenze materiali ed affettive o spirituali proprie della vita in comune di tipo familiare, in una singola unita abitativa; pertanto, il rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di una collettività di condomini o di coinquilini di un medesimo stabile diviso in distinti appartamenti o unita immobiliari autonomi non rientra nel rapporto di lavoro domestico (Cass. n. 1235/1979). La stessa giurisprudenza riconduce, ai fini che qui interessano, nella categoria delle comunità familiari quelle religiose conventuali, anche quando queste, fuori del perseguimento di qualsiasi fine di lucro, ospitino saltuariamente altre persone, in aggiunta ai religiosi, avendo nella detta ipotesi rilievo preminente, ai fini dell'inquadramento del rapporto di lavoro, la prestazione principale, espletata nell'esclusivo interesse della comunità religiosa, e non i compiti accessori svolti in favore degli ospiti estranei (Cass. n. 5049/1988, che, in un caso del genere, ha configurato come rapporto di lavoro domestico, con la correlativa inapplicabilità dei parametri retributivi della disciplina collettiva del settore turistico o alberghiero, quello della cuoca e di addetta alle pulizie svolto alle dipendenze della comunità stessa). Collaborazione domestica prestata tra familiari La giurisprudenza è consolidata nel ritenere operante una presunzione semplice di gratuità del lavoro domestico quando le prestazioni intercorrono fra stretti congiunti ed abbiano come ambito consueto di svolgimento una comunità familiare caratterizzata dalla convivenza dei suoi componenti (Cass. n. 5197/1995; Cass. n. 2597/1990). Lavoro domestico prestato in situazione di convivenza In tema di rapporto di lavoro domestico in situazione di convivenza, ad avviso della giurisprudenza l'esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive deve essere escluso solo in presenza della dimostrazione di una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi (famiglia di fatto), che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, del convivente alla vita e alle risorse della famiglia di fatto in modo che l'esistenza del vincolo di solidarietà porti ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso (Cass. n. 23624/2010). Peraltro, se l'attività lavorativa e di assistenza svolta all'interno di un contesto familiare effettivamente qualificabile come convivenza more uxorio trova di regola la sua causa nei vincoli di fatto di solidarietà ed affettività esistenti, ciò non esclude che talvolta le prestazioni svolte possano trovare titolo in un rapporto di lavoro subordinato, mediante il riferimento alla qualità e quantità delle prestazioni svolte ed alla presenza di direttive, controlli ed indicazioni da parte del datore di lavoro del quale il convivente superstite deve fornire prova rigorosa (Cass. n. 12433/2015; Cass. n. 5632/2006). Il rapporto “alla pari” Secondo l'art. 1 l. n. 304/1973 (di ratifica ed esecuzione dell'accordo europeo sul collocamento alla pari, adottato a Strasburgo il 24 novembre 1969) il collocamento alla pari consiste nell'accoglimento temporaneo in seno a famiglie, come contropartita di alcune prestazioni, di giovani stranieri venuti allo scopo di perfezionare le loro conoscenze linguistiche ed, eventualmente, professionali e di arricchire la loro cultura generale con una migliore conoscenza del Paese di soggiorno. Ai sensi dei successivi artt. 4, 8 e 9 di detta legge, la persona collocata alla pari deve avere un'età compresa tra i diciassette e i trenta anni, deve ricevere dalla famiglia ospitante vitto, alloggio ed «una certa somma di denaro per le piccole spese», e deve fornire “prestazioni consistenti in una partecipazione ai normali lavori casalinghi, di regola per non più di cinque ore giornaliere e con un giorno di riposo settimanale”. Circa la distinzione di tale fattispecie da quella di lavoro domestico, la giurisprudenza ha chiarito che lo scambio di prestazioni, rese da uno straniero estraneo alla famiglia, contro vitto, alloggio e retribuzione pecuniaria, sia pur modesta, dà luogo a rapporto di lavoro subordinato, ove non risultino tutti gli elementi del rapporto cosiddetto alla pari, richiesti dalla l. n. 304/1973 (Cass. n. 25859/2010). BibliografiaBalzarini, Il contratto di lavoro domestico, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da Borsi e Pergolesi, II, Padova; Basenghi, Lavoro domestico, Milano, 2000; Bianchi D'Urso, Lavoro domestico, in Enc. giur., Roma, 1990; Cester, I licenziamenti nel Jobs Act, in WP Csdle Massimo D'Antona. IT, n. 273/2015; De Litala, Domestici (contratto di lavoro e previdenza sociale), in Nss. D.I., VI, Torino, 1960; De Luca, Campo di applicazione delle «tutele» e giustificazione dei licenziamenti, in Foro it. 1990, V; MC Britton, Lavoro domestico, in Dig. comm., VIII, Torino, 1992, 225; Mezzalama, In tema di diritto dei congiunti del lavoratore domestico alla indennità di preavviso e di anzianità in caso di morte del lavoratore, in Giur. it. 1952, IV; Persiani, Domestici (lavoro domestico), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964; Santoni, Il campo di applicazione della disciplina del licenziamento nel d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23, in Mass. giur. lav. 2015; Sordi, Il nuovo art. 18 della legge n. 300 del 1970, in Di Paola (a cura di), La riforma del lavoro, Milano, 2013; Tremolada, Il campo di applicazione del d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23, in Carinci-Cester, Il licenziamento all'indomani del d. lgs. n. 23/2015, Modena, 2015. |