Codice Civile art. 2301 - Divieto di concorrenza.Divieto di concorrenza. [I]. Il socio non può, senza il consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui un'attività concorrente [2595 ss.] con quella della società, né partecipare come socio illimitatamente responsabile [2291, 2318, 2452] ad altra società concorrente. [II]. Il consenso si presume, se l'esercizio dell'attività o la partecipazione ad altra società preesisteva al contratto sociale, e gli altri soci ne erano a conoscenza. [III]. In caso d'inosservanza delle disposizioni del primo comma la società ha diritto al risarcimento del danno, salva l'applicazione dell'articolo 2286. InquadramentoLa norma, che costituisce espressione del generale divieto di agire in conflitto di interessi (Conforti 2015, 101), trova il proprio fondamento, secondo taluni, nel dovere di collaborazione tra i soci derivante dal contratto sociale e volto al conseguimento dell'oggetto sociale (Ferri, in Comm. S.B., 1987, 419; Tassinari, 473) e, secondo altri, nell'esigenza di vietare che il socio si avvalga del know how di una società per scopi personalistici (Ghidini, 463). La giurisprudenza ha, per parte sua, evidenziato che la ragione del divieto risiede nella necessità d'impedire che il socio si avvalga delle notizie e delle conoscenze acquisite in seno alla società per trarne, come imprenditore o come co-imprenditore concorrente, personale profitto (Cass. n. 1977/1973). È stato, peraltro, precisato che la norma ha carattere dispositivo, costituendo il divieto un effetto naturale del contratto che può essere derogato dall'autonomia privata (Ferrara-Corsi, 262). Conseguentemente, i soci potranno escludere l'operatività del divieto consentendo a ciascuno o a taluno di essi di esercitare ogni attività imprenditoriale concorrente (Cass. n. 2669/1980) così come inasprirne il contenuto (Trib. Napoli 17 luglio 1996) e, eventualmente, protrarlo anche per un periodo successivo alla uscita del socio dalla società (Cass. n. 6169/2003). Ambito soggettivo di applicazione del divietoIl divieto si applica ai soci e cessa naturalmente con il venire meno della qualità di socio; alle parti è tuttavia consentito pattuirne l'estensione successivamente all'uscita del socio dalla società (Cass. n. 6169/2003, cit.). Il divieto viene, dunque, meno in caso di esclusione o di recesso dalla società. Più problematica la questione relativa alla cessione della quota nella società e, dunque, dell'applicazione del divieto all'ex socio. In tali casi, infatti, non viene tanto in rilievo il disposto dell'articolo in commento, quanto quello di cui all'art. 2257. Superando l'orientamento più risalente (Cass. n. 2669/1980), la giurisprudenza di legittimità, muovendo dal carattere non eccezionale del divieto di concorrenza che mira a disciplinare in modo congruo la portata di quegli stessi effetti che le parti hanno esplicitato o che deve presumersi connaturali al rapporto che le parti stesse hanno posto in essere, non ha escluso l'applicabilità in via analogica dell'art. 2557 all'ipotesi di cessione di quote sociali, nel caso in cui il giudice, con una rigorosa indagine che tenga conto di tutte le circostanze e le peculiarità del caso, accerti che tale cessione concreti un «caso simile» all'alienazione d'azienda, ossia che essa produca sostanzialmente la sostituzione di un soggetto ad un altro nell'azienda (Cass. n. 549/1997; Cass. n. 9682/2000 ; Cass. n. 27505/2008). Peraltro, non è necessaria la costituzione di una società regolare essendo, al contrario, sufficiente la costituzione di una società di fatto o lo svolgimento di un'attività come socio di tale società (Cass. n. 17588/2005). Si esclude, invece, che l'articolo in esame impedisca al socio di assumere partecipazioni dalle quali derivi una limitata responsabilità come avviene per le partecipazioni in società di capitali (Cass. n. 2669/1980) ancorché l'assunzione riguardi una posizione di controllo della società. Si è precisato che l'attività concorrenziale del socio di una società in nome collettivo può costituire violazione del divieto di concorrenza anche quando si concreta nella costituzione, da parte del socio stesso, di una società a responsabilità limitata con identico oggetto, della quale egli assuma la qualità di amministratore (Cass. n. 13424/2008). Si osserva, sul punto, che l'esercizio di funzioni amministrative costituisce lo svolgimento di attività concorrenziale «per conto altrui» (Cottino Weigmann, 178; Ghidini, 470). Ambito oggettivo di applicazione del divietoPer attività «concorrente» con quella della società deve intendersi qualsiasi attività svolta dal socio dello stesso genere di quella della società anche prescindendo da indici di affinità merceologiche o di contiguità territoriale tra mercati (Buonore, in Comm. S., 1995, 335) e ciò sulla base della considerazione che, anche in assenza di detta affinità merceologica e contiguità territoriale, il socio verrebbe ad utilizzare quel know how acquisito proprio nella sua qualità di socio. Secondo altro orientamento, invece, dovrà escludersi l'applicabilità del divieto allorquando, per la diversità dei luoghi, dei tempi ovvero per altri motivi (ad es., il target dei consumatori), non potrà parlarsi di rapporto concorrenziale (Conforti, 2015, 100). È stato, però, osservato che una simile conclusione imporrebbe di ritenere, per l'applicabilità della norma, necessario il requisito del pericolo di danno che l'articolo in commento non menziona. È, poi, dibattuta la questione del rapporto tra l'attività concorrenziale posta in essere in violazione del divieto e l'oggetto sociale della società danneggiata. In particolare, secondo una parte della dottrina, verrebbe in rilievo il dato formale dell'oggetto sociale con la conseguenza che per ricadere nel perimetro del divieto sarebbe sufficiente una conflittualità potenziale (Ferrara-Corsi, 314): in questa prospettiva, verrebbe in rilievo anche l'attività meramente programmata, ma non (ancora) esercitata. Secondo altro orientamento, tuttavia, la mera corrispondenza tra l'attività esercitata dal socio e l'oggetto sociale non sarebbe sufficiente, in quanto sarebbe comunque necessaria che l'attività indicata nell'atto costitutivo fosse in concreto effettivamente esercitata dalla società non potendo aversi riguardo ad attività programmate, ma mai realizzate (Ferri, in Comm. S.B., 1987, 376; Ghidini, 464). Qualora, infine, una determinata attività venga inserita nell'oggetto sociale a seguito di una modificazione dell'atto costitutivo (eventualmente adottata a maggioranza) non potrà addebitarsi al socio la violazione del divieto e potrà essere riconosciuto al medesimo il diritto di recesso dalla società (Tassinari, 475; Ghidini, 470). In tal caso, comunque, è escluso che la società possa imporre al socio di cessare l'attività svolta in proprio (Ghidini, 470). Il consenso all'attività concorrenzialeI soci possono consentire all'attività concorrenziale svolta da un socio: il consenso, che configura una rinunzia ad un diritto disponibile (Tassinari, 475), deve, però, provenire da tutti i soci (Campobasso, 106) e può essere manifestato anche tacitamente per facta concludentia (Ghidini, 470). Nel caso in cui l'attività sia stata svolta in epoca precedente alla costituzione della società o, comunque, all'ingresso del socio in essa, il consenso si presume — iuris et de iure — qualora gli altri soci ne erano a conoscenza (Tassinari, 475), essendo in tal caso tutelato l'affidamento del socio entrante sul consenso degli altri che non hanno manifestato alcuna obiezione. Le conseguenze della violazione del divietoAlla violazione del divieto consegue sia l'insorgere dell'obbligazione risarcitoria cui è tenuto il socio colpevole nei confronti della società sia la possibilità che i soci deliberino l'esclusione del socio ai sensi dell'art. 2286. Legittimata ad esercitare l'azione di responsabilità è esclusivamente la società — per mezzo dei propri legali rappresentanti e, dunque, per mezzo degli amministratori ovvero dei liquidatori — in quanto soggetto giuridico danneggiato dal comportamento concorrenziale del socio. Alla violazione del divieto consegue, poi, la possibilità che i soci deliberino l'esclusione dell'autore dell'attività concorrenziale. Infatti, lo svolgimento di detta attività implica un grave inadempimento delle obbligazioni che derivano dalla legge e dal contratto sociale. Rimandando alla disciplina dell'art. 2286, si evidenzia in questa sede che l'esclusione non necessita del requisito del danno per la società. BibliografiaBigiavi, La ragione sociale della collettività, in Giur. it., 1946, IV; Campobasso G.F., Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, a cura di Campobasso M., Torino, 2012; Conforti C, Le società di persone. 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