Codice Civile art. 2341 bis - Patti parasociali (1).

Guido Romano

Patti parasociali (1).

[I]. I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società:

a) hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano;

b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano;

c) hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza.

[II]. Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni (2).

[III]. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo.

(1) Articolo inserito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.

Inquadramento

Il legislatore non indica una definizione astratta e generale di patti parasociali, limitandosi a disciplinare talune tipologie di essi e taluni aspetti in relazione alla loro durata e pubblicità. Secondo l'illustre autore che, per primo, si è occupato della tematica, i patti parasociali sono quelle convenzioni con cui i soci o alcuni di essi attuano un regolamento di rapporti difforme o complementare rispetto a quello previsto dall'atto costitutivo o dallo statuto della società (Oppo 1942, 2 ss.). Il patto sociale è quello efficace per tutti i soci, presenti e futuri, e per i terzi regolando non le posizioni personali, ma le partecipazioni sociali e, precisamente, i diritti e gli obblighi di chi è e sarà socio: l'efficacia del patto sociale assume natura reale (Oppo 2004, 57). I patti parasociali, invece, esauriscono la loro portata sul piano negoziale in un impegno rilevante tra le parti: la loro funzione è essenzialmente quella di “personalizzare” la partecipazione (Angelici, 242 ss.).

In questa prospettiva, si evidenzia come non sia decisiva la formale separatezza del patto rispetto allo statuto, ben potendo una pattuizione a natura parasociale essere inclusa nell'atto costituivo o nello statuto (Oppo 1942, 21 ss.; Angelici, 243; diversamente, Libertini, 472). La distinzione va ricercata nel fatto che il patto parasociale è destinato alla regolamentazione, mediante vincoli individuali e specificatamente inter-individuali, di diritti ed obblighi fondati sul rapporto sociale. Così, i patti parasociali regolano rapporti tra i soci come singoli se ed in quanto aderenti al patto e non, come i patti sociali, tra i soci come tali e tra tutti i soci (Oppo 1942, 4 ss., Perrino, 325; sul punto anche Cicconi, 59 ss.).

I patti parasociali costituiscono convenzioni atipiche che si pongono sul «piano parasociale», in quanto riguardante i rapporti personali tra i soci e sul quale essi sono destinati ad operare, distinto dal «piano sociale», concernente invece l'organizzazione della società e non direttamente investito da quei patti (Cass. n. 9846/2014; Cass. n. 14865/2001; Cass. n. 9191/1996). Il vincolo che discende da tali patti opera su di un terreno esterno a quello dell'organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere «parasociale» e, conseguentemente, l'esclusione della relativa invalidità ipso facto), sicché non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all'esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell'organo assembleare, poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l'interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell'inadempimento del patto (Cass. n. 14865/2001; Cass. n. 6898/2010; Cass. n. 5963/2008).

I patti parasociali vanno tenuti distinti dagli atti di estrinsecazione e realizzazione dell’organizzazione societaria, quali quelli di modificazione del contratto sociale, giacchè i patti parasociali propriamente attengono non al piano organizzativo dell’ordinamento sociale, bensì a quello dei rapporti interindividuali tra titolari di partecipazioni societarie. Di conseguenza, i patti parasociali non possono essere equiparati ad un contratto preliminare (Cass. n. 13877/2017).

Al patto parasociale possono partecipare anche soggetti terzi estranei alla società (Cass., n. 15963/2007; Cass., n. 9846/2014).

La natura meramente obbligatoria dei patti implica che i rimedi posti in caso di inadempimento sono quelli previsti dalla disciplina dei contratti e, segnatamente, il risarcimento del danno (Oppo 1942, 65; Santoni, 25; Perrino, 326 ss.).

Anche in giurisprudenza, si evidenzia come la violazione di un patto parasociale, ove si preveda il diritto di prelazione dei soci in caso di alienazione delle azioni, obbliga il socio inadempiente al risarcimento del danno (Cass. n. 5963/2008 cit.).

Le tipologie di patti parasociali non previste dall'art. 2341 bis

Come già evidenziato, il legislatore ha rinunziato a porre una disciplina esaustiva dei patti parasociali, limitandosi a prevedere determinate tipologie di essi che abbiano come finalità quella di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società. Ciò non toglie che nella pratica esistano, e vadano riconosciuti legittimi, una serie di altre ipotesi di patti parasociali.

D'altra parte, la circostanza che il legislatore riconosca anche altre tipologie di patti parasociali è dimostrata dall'art. 3 comma 2 lett. c) d.lgs. n. 168/2003 (come modificato dal d.l. n. 1/2012, conv., con modif., in l. n. 27/2012) che devolve alla cognizione delle Sezioni specializzate in materia di impresa le controversie che hanno ad oggetto patti parasociali anche diversi da quelli regolati dall'art. 2341-bis  (Rescio-Speranzin, 727).

In questa sede è possibile accennare soltanto a taluni di tali accordi iniziando dai patti volti al risanamento della società che obbligano i soci ad eseguire prestazioni aggiuntive ed ulteriori rispetto ai conferimenti.

Il patto parasociale, in forza del quale taluni soci si impegnano ad eseguire prestazioni a beneficio della società, integra la fattispecie del contratto a favore di terzo, ai sensi dell'art. 1411, del quale sono legittimati a pretendere l'adempimento sia la società, quale terzo beneficiario, sia i soci stipulanti, moralmente ed economicamente interessati a che l'obbligazione sia adempiuta nei confronti della società di cui fanno parte (Cass. n. 9846/2014; Cass. n. 17200/2013; Cass. n. 2493/1993). In questa prospettiva, è stato considerato valido il patto, stipulato anche con soggetti estranei alla compagine sociale, avente ad oggetto la ricapitalizzazione di una società (Cass. n. 15963/2007).

I patti che consentano ad un socio l'exit a condizioni economiche e di tempo prestabilite (le c.d. opzioni put) sono nulli per frode all'art. 2265 solo se siano idonei ad escludere un socio dalle perdite in modo assoluto e costante e se detta esclusione costituisce la loro funzione essenziale (dunque, la loro «causa»). Sono, pertanto, validi i patti parasociali che non prevedono un'esclusione assoluta dagli utili e dalle perdite e che rispondono ad una funzione causale autonomamente meritevole di tutela, conforme all'esigenza di salvaguardare l'interesse al coinvolgimento dei soci nella buona gestione dell'impresa, ratio dell'art. 2265 (Trib. Milano, 3 ottobre 2013, Soc., 2014, 688; Trib. Milano, 30 ottobre 2011, Soc., 2012, 1158; Trib. Milano, 13 settembre 2011, Soc., 2012, 1163; Trib. Milano, 6 agosto 2015, Giur. it., 2016, 636).

Ha natura di patto parasociale, utilizzato frequentemente nella prassi, l'accordo con il quale gli aderenti si impegnano nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando all'esercizio del diritto di voto.

Secondo una parte della giurisprudenza, tale patto non è contrario all'ordine pubblico, ma agli art. 2392 e 2393, i quali non pongono principi aventi tale carattere, ma sono norme imperative inderogabili, con conseguente nullità del patto, in quanto avente oggetto, la prestazione inerente alla non votazione dell'azione di responsabilità, o motivi comuni illeciti, perché la clausola mira a far prevalere l'interesse di singoli soci che, per regolamentare i propri rapporti, si sono accordati a detrimento dell'interesse generale della società al promovimento della detta azione, dal cui esito positivo avrebbe potuto ricavare benefici economici (Cass. n. 10215/2010), a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società (Cass. n. 7030/1994). Anche nella giurisprudenza di merito si riscontra la medesima posizione (Trib. Milano, 16 giugno 2014, in Giur. comm., 2015, II, 1098). In senso contrario, però, si è osservato che tale orientamento appare condivisibile solo ove riguardi un amministratore in carica e abbia ad oggetto la rinunzia preventiva ad esercitare l'azione di responsabilità relativamente a condotte assunte dall'amministratore successivamente all'adozione del patto parasociale stesso, ma non quando il patto abbia, al contrario, ad oggetto l'assunzione di un impegno a non votare l'azione di responsabilità dell'amministratore che, in conseguenza della cessione della propria partecipazione sociale, cessa (anche) di ricoprire tale carica e, dunque, faccia riferimento ad attività pregresse poste in essere dall'amministratore (Trib. Roma, 28 settembre 2015, in Il Societario, 2016).

L'ambito soggettivo di applicazione della norma. L'applicabilità alla società a responsabilità limitata

L'ambito soggettivo di applicazione dell'art. 2341-bis è definito più che dalla norma in commento dall'art. 122 comma 5-bis d.lg. n. 58/1998 il quale precisa che alle società con azioni quotate in mercati regolamentati non si applica la disciplina prevista dal codice civile.

L'art. 2341-bis, dunque, è applicabile soltanto alle società per azioni ed alle società, a prescindere dalla forma giuridica, che le controllano purché i patti siano diretti a stabilizzare l'assetto proprietario o il governo della società per azioni controllata (Rescio-Speranzin, 730; Donativi, 162, Macrì, 127 che escludono, però, che la norma si applichi ad enti controllanti non societari; contra Picciau, 329). In altre parole, è stato evidenziato che se il patto parasociale ha come effetto o come fine la stabilizzazione degli assetti proprietari o di governo della società per azioni attraverso una catena di controllo, ad esso si applica la disciplina in commento anche se l'oggetto del patto riguardi una società non per azioni ma inserita nella sequenza di controllo (Brancadoro, 25).

Si è, poi, posto il problema della applicazione delle norme in commento alla società a responsabilità limitata. La dottrina maggioritaria esclude tale tipo di società dall'ambito soggettivo di applicazione dell'art. 2341-bis evidenziando, in particolare, l'inesistenza dell'interesse alla contendibilità della società e l'ampia autonomia statutaria prevista dal legislatore nella disciplina della società a responsabilità limitata (Donativi, 159; Picciau, 330, contra Santoni, 94; Rescio, Speranzin, 731).

La finalità dei patti parasociali prevista dall'art. 2341 bis

La norma in commento prende in considerazione i patti (indicati nelle lett. a, b e c) che abbiano come finalità quella di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società (critica l'eccessiva genericità ed indeterminatezza dell'indicazione legislativa che la rende inidonea a circoscrivere l'ambito di applicazione della norma, Santoni, 90).

I patti previsti dall'art. 2341 bis. I sindacati di voto

Come già evidenziato, il legislatore non ha inteso offrire una regolamentazione organica dei patti parasociali, limitando il proprio intervento ad alcune specifiche fattispecie indicate dall'art. 2341-bis. Si ritiene che l'elencazione prevista dalla norma sia tassativa (Picciau, 331; Sbisà, 211, Rescio, Speranzin, 732). La finalità della norma è quella di favorire il corretto funzionamento della contendibilità delle partecipazioni (Brancadoro, 23).

La prima tipologia è costituita dai sindacati di voto e, cioè, da quei patti che hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano. I sindacati di voto hanno ad oggetto la regolamentazione dell’esercizio del diritto di voto in sede assembleare e possono avere il contenuto più vario. Infatti, i soci aderenti possono predeterminare il contenuto del voto ovvero predisporre una organizzazione volta a disciplinare le modalità di formazione della volontà assembleare (Donativi, 167) ponendo un vincolo per i soci di votare in maniera conforme a ciò che, attraverso quella organizzazione, è stato deciso in sede di sindacato. Il patto può prevedere che il modo in cui verrà esercitato il diritto di voto da parte dei singoli soci sia deciso all’unanimità ovvero, come più frequentemente avviene, a maggioranza degli aderenti al patto (Campobasso, 346).

Mutando il proprio originario orientamento, oggi la giurisprudenza osserva che la predeterminazione delle modalità di espressione dei soci non preclude una loro libera determinazione in ordine al voto da esprimere all'interno dell'assemblea che non viene così ad essere esautorata (Cass. n. 9975/1995; Cass. n. 14865/2001; Cass. n. 6898/2010).

L'orientamento prevalente ritiene che tali patti abbiano natura obbligatoria e non reale con conseguenze meramente risarcitorie nei rapporti interni tra i contraenti restando invece escluso ogni efficacia vincolante del socio nei confronti della società (Cass. n. 5963/2008; Cass. n. 14865/2001, cit.; Trib. Nocera Inferiore, 19 giugno 2006).

Si esclude, così, che l'inadempimento del socio al vincolo di votare in una determinata maniera possa comportare l'invalidità assunta dall'organo societario. Parimenti, si esclude che possa essere emesso un ordine, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., diretto ad alcuni soci aderenti al patto di votare nell'assemblea della società in conformità agli obblighi assunti (Trib. Roma, 27 luglio 2012 ,Il Societario.it; contra, però, Trib. Milano, 20 gennaio 2009, Soc., 2009, 1129; Trib. Genova, 8 luglio 2004, Soc., 2004, 1265).

Infatti, si osserva in giurisprudenza che la circostanza che i patti parasociali — ed in particolare i sindacati di voto — non siano di per sé vietati e siano destinati ad operare su di un piano obbligatorio, vincolante per le parti dell'accordo ma pur sempre diverso e separato da quello sul quale operano gli organi della società e si esplicano le relative deliberazioni, non esclude però che quei medesimi patti possano risultare illegittimi, qualora, in una specifica fattispecie, il vincolo assunto dai contraenti si ponga in contrasto con norme imperative o appaia comunque tale da configurare uno strumento di elusione di quelle norme o dei principi generali dell'ordinamento che ad essi sono sottesi (Cass. n. 15963/2007).

I patti che pongono limiti al trasferimento delle azioni

La lett. b) dell'articolo in commento prevede i patti che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano (c.d. sindacati di blocco). Tali pattuizioni hanno la finalità di stabilizzare gli assetti proprietari.

Sono soggetti alla disciplina tutti gli accordi che limitino la libera trasferibilità delle azioni (Brancadoro 32) prevedendo limitazioni assolute o temporali, obblighi di consultazione prima dell'alienazione, limitazione alla costituzione o al trasferimento di diritti reali diversi dalla proprietà (per una elencazione, Donativi, 167). Secondo una parte della dottrina vi rientrano anche le opzioni call, i preliminari di vendita ed i contratti futures su azioni, i patti relativi al trasferimento dell’usufrutto o della nuda proprietà (Picciau, 344), nonché le clausole di covendita (tag along) e di trascinamento (drag along) (sul punto, Sangiovanni, 695 ss.; Sanfilippo, 631 ss.; Donativi, 167 ss.).

I sindacati di controllo

La lett. c) del comma 1 dell'articolo in esame prevede i patti che hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società. Si tratta di una fattispecie residuale nel cui ambito non viene considerato soltanto l'oggetto del patto, ma anche il suo effetto (Rescio-Speranzin, 733; Castriota-Scandemberg, 132). Si tratta di una norma di chiusura che ha a riferimento i patti che, pur essendo in grado di influenzare il governo della società, non sono riconducibili agli altri tipi di accordi disciplinati dal medesimo articolo (Brancadoro, 33).

Vi rientrano, ad es., i casi di acquisto congiunto di partecipazioni di una medesima società volto ad esercitare su di essa una influenza dominante (Rescio-Speranzin, 734) o, secondo una parte della dottrina, i patti volti a creare una dipendenza strettamente economica (Libertini, 487 che menziona il caso della esclusiva di lunga durata su aspetti essenziali dell'attività di impresa).

Devono invece ritenersi invalidi i patti di gestione e, precisamente, quei patti che rimettono le scelte gestorie alla volontà maggioritaria dei contraenti. In altre parole, i soci paciscenti si impegnano a concordare decisioni di natura gestoria inerenti lo svolgimento dell'attività di impresa con effetti diretti sugli amministratori (eventualmente partecipanti allo stesso patto) designati dai pattisti (definizione ripresa da Brancadoro, 33) ovvero i patti con i quali i soci si impegnano a fare in modo che gli amministratori conformino le loro decisioni a quelle assunte dai paciscenti (Ferrara-Corsi, 400 ss.; Picciau, 347). Tali patti, infatti, secondo l'orientamento maggioritario, si pongono in insanabile contrasto con il disposto di cui all'art. 2380-bis  C.C. il quale attribuisce all'esclusiva competenza degli amministratori la gestione dell'impresa finalizzata all'attuazione dell'oggetto sociale (Fiorio, 139; più possibilista Libertini, 482 secondo il quale la funzione di indirizzo del patto può legittimamente esprimersi purché si limiti ad orientare la scelta fra diverse soluzioni, tutte compatibili con i principi di corretta gestione perché ove ciò non si verificasse costituisce potere-dovere dell'amministratore disattendere l'atto di indirizzo).

In giurisprudenza, prima della riforma ma con principi ancora oggi (a maggior ragione) validi si è affermato costituisce giusta causa di revoca dell'amministratore la sua adesione ad un patto parasociale che rimette le scelte gestorie alla volontà maggioritaria dei relativi contraenti (cosiddetto sindacato di gestione) (Cass. n. 8221/2012; Trib. Torino, 31 maggio 2006Giur. it., 2007, 665).

La durata dei patti

I patti parasociali previsti dal primo comma della norma in commento possono essere stipulati a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato. Quanto ai primi, la legge fissa la durata massima in cinque anni, ma precisa che essi sono rinnovabili alla scadenza. Qualora sia fissata una durata superiore, essa è automaticamente convertita (artt. 1339 e 1419 comma 2) nel termine quinquennale previsto dalla norma.

Si discute in ordine alla liceità delle clausole di rinnovo automatico. Secondo un primo orientamento, infatti, la norma sarebbe funzionale ad imporre ai contraenti l'onere di attivarsi per rinnovare o rinegoziare espressamente i patti con conseguente invalidità della clausola di rinnovo automatico (Brancadoro, 37; Fauceglia, 810 ss.; Fiorio, 150). Secondo altra parte della dottrina, invece, la pattuizione in argomento sarebbe lecita in quanto la norma che consente la rinnovabilità non esclude che ciò avvenga tacitamente, modalità questa lecita ed usuale di rinnovo di un accordo negoziale (Rescio-Speranzin, 737; Libertini, 463)

Quanto ai patti con durata indeterminata, la legge attribuisce ai singoli contraenti il diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni, evitando così l'instaurarsi di un vincolo obbligatorio illimitato (Brancadoro, 35).

Secondo una parte della dottrina, l'autonomia negoziale delle parti non potrebbe modificare in aumento il termine di preavviso previsto dalla norma in commento, di natura imperativa, così come non potrebbe rendere più gravose le modalità di esercizio del diritto di recesso (Donativi 179; Brancadoro, 36). Secondo altri autori, invece, tali modificazioni sarebbero consentite purché queste non siano finalizzate ad obbligare i contraenti al rinnovo dei patti (Rescio-Speranzin, 740; Picciau, 358). Sono certamente lecite le clausole volte a ridurre il termine di preavviso (Brancadoro, 36).

Bibliografia

Blandini, sub art. 2341-bis, in Commentario delle S.p.A., a cura di Fauceglia-Schiano di Pepe, Torino, 2007; Brancadoro, I patti parasociali, in Le società commerciali: organizzazione, responsabilità e controlli, a cura di Vietti, Torino, 2014; Castriota-Scademberg, artt. 2341-bis e 2341-ter, in Commentario romano, a cura di D’Alessandro, II, Padova, 2010; Chionna, La pubblicità dei patti parasociali, Torino, 2008; Cicconi, Accordi fra soci a favore di terzi, Milano, 2013; Donativi, art. 2341-bis e 2341-ter, in Commentario Niccolini Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004; Fauceglia, Patti parasociali, in Enc. dir., agg. V, Milanom 2001,; Fiorio, sub artt. 2341-bis e 2341-ter, in Comm. Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, II, Bologna, 2004; Libertini, I patti parasociali nelle società non quotate. Un commento agli artt. 2341-bis e 2341-ter del codice civile, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Portale-Abbadessa, IV, Torino, 2007; Macrì, Patti parasociali e attività sociale, Torino, 2007; Oppo, Contratti parasociali, Milano, 1942; Oppo, Patto sociale, patti collaterali e qualità di socio nella società per azioni riformata, in Riv. dir. civ., 2004, I, 57; Perrino, artt. 2341-bis e 2341-ter, in Le società per azioni, diretto da Abbadessa-Portale, Milano, 1942; Picciau, art. 2341 bis - art. 2341 ter, in Commentario alla riforma delle società, a cura di Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, Milano, 2007; Rescio-Speranzin, art. 2341-bis - 2341-ter, in Delle società - Dell’azienda. Della concorrenza, artt. 2247-2378, a cura di Santosuosso, Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli E., Torino, 2015; Riolfo, I patti parasociali, Padova, 2003; Sanfilippo, I patti parasociali. Per una riflessione sulle tecniche di controllo, in Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini, a cura di Di Cataldo-Meli-Pennisi, Milano, 2015; Sambucci, Patti parasociali e fatti sociali, Milano, 2005; Sangiovanni, Le pattuizioni di co-vendita quali limiti alla circolazione di azioni e quote, in Not. 2013, 695; Santoni, artt. 2341-bis e 2341-ter, in Commento al codice civile, Torino, 2003; Semino, I patti parasociali nella riforma delle società di capitali: prime considerazioni, in Soc. 2003, 350.

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