Codice Civile art. 2380 bis - Amministrazione della società 1 .Amministrazione della società 1. [I]. La gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. L'istituzione degli assetti di cui all'articolo 2086, secondo comma, spetta esclusivamente agli amministratori.2. [II]. L'amministrazione della società può essere affidata anche a non soci. [III]. Quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione. [IV]. Se lo statuto non stabilisce il numero degli amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e minimo, la determinazione spetta all'assemblea. [V]. Il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi componenti il presidente, se questi non è nominato dall'assemblea.
[1] Articolo sostituito dall' art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. [2] Comma così sostituito dall'art. 377, comma 2, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Tale modifica, ai sensi dell'art. 389, comma 2, d.lgs. n. 14, cit., entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto (16 marzo 2019). il testo del comma precedentemente alla sostituzione era il seguente: «La gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale». Il comma è stato, da ultimo modificato dall'art. 40, comma 2, d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 che ha aggiunto, infine, il seguente periodo: <<L'istituzione degli assetti di cui all'articolo 2086, secondo comma, spetta esclusivamente agli amministratori.>>. Ai sensi dell'art. 42, comma 1, del citato decreto la presente disposizione entra in vigore il 20 novembre 2020. InquadramentoNella società per azioni la funzione gestoria è demandata, in via esclusiva, agli amministratori i quali hanno il compito di svolgere tutte le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. La norma, dunque, rafforza la centralità delle prerogative degli amministratori (Abriani, 2004, 671) a discapito delle competenze assembleari (Aiello, in Tr. Res. 2011, 4). È stato efficacemente affermato che la disposizione di cui all'art. 2380 bis chiude il processo di ribaltamento dei ruoli di amministratori e assemblea iniziato a livello legislativo con il codice del 1942 e che ha portato la seconda a perdere ed i primi ad acquisire una competenza generale con riguardo al governo della società (Mosco, 588). Viene, così, ad essere definitivamente superato il dogma della sovranità assembleare. Il potere esclusivo di gestione dell'impresaIl d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 ha modificato il primo comma della disposizione in commento. Le modifiche così introdotte entrano in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto (pubblicazione intervenuta in data 14 febbraio 2019). Il comma 1 dispone, nella sua prima parte, che la gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, comma 2, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. Tuttavia, il d.lgs., 26 ottobre 2020, n. 147 - recante disposizioni correttive ed integrative al codice della crisi di impresa - ha aggiunto, al termine del primo comma, il seguente periodo: “l 'istituzione degli assetti di cui all'articolo 2086, secondo comma, spetta esclusivamente agli amministratori”. Il richiamo al secondo comma dell'art. 2086 impone agli amministratori il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. L'attribuzione della gestione alla competenza esclusiva degli amministratori rappresenta un profilo qualificante il tipo della società per azioni e lo distingue, all'interno del genere delle società di capitali, dalla società a responsabilità limitata ove, in ultima analisi, l'esercizio delle funzioni gestorie compete ai soci che, ai sensi dell'art. 2479, comma 1, possono avocare ogni decisione. Oggi, tuttavia, l'esclusiva responsabilità per la gestione in capo agli amministratori è stata prevista anche per le società a responsabilità limitata ponendo numerosi problemi di coordinamento con le ulteriori disposizioni codicistiche che continuano a prevedere rilevanti poteri gestori in capo ai soci. Oggi, l'assemblea ha le competenze specifiche enumerate dal nuovo art. 2364. In particolare, l'assemblea delibera sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti. Conseguentemente, mentre si è arrivati ad una tendenziale soppressione dell'area di ingerenza dell'assemblea nella materia gestoria (Mosco, 589; Aiello, in Tr. Res. 2011, 6), la competenza degli amministratori in materia di gestione societaria diviene esclusiva e generale. Quanto all'estensione dei poteri di gestione, si evidenzia che, in tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società di capitali, non trova applicazione la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, dovendosi invece fare riferimento agli atti che rientrano nell'oggetto sociale — qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica — pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, rientrano nella competenza dell'amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società, mentre eccedono i suoi poteri quelli di disposizione o alienazione, suscettibili di modificare la struttura dell'ente e perciò esorbitanti (e contrastanti con) l'oggetto sociale (Cass. n. 5152/2010; Cass. n. 2430/1994; Cass. n. 5353/1987). La natura del rapporto di amministrazioneGli amministratori sono un organo indefettibile della società ed i loro poteri (da qualificarsi come poteri-doveri) non sono derivati dall'assemblea, ma originari e discendono direttamente dalla legge (Spiotta, 468; Bonelli, 2004, 75). È stato così efficacemente affermato che l'atto di nomina dell'assemblea non costituisce un negozio attributivo di poteri, ma soltanto un atto di designazione di soggetti previsti come necessari dalla legge e dall'atto costitutivo (Abriani, 1998, 214). Il rapporto che lega la società agli amministratori non può essere assimilato al mandato (soprattutto dopo la modifica, operata dalla riforma del diritto societario, dell'art. 2392 con eliminazione del riferimento alla diligenza del mandatario). Gli amministratori sono, infatti, investiti della gestione economico-patrimoniale della società e devono adempiervi con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze (Campobasso, 364). In passato, la giurisprudenza, nell'affermare che la controversia con la quale l'amministratore di una società di capitali chieda la condanna della società al pagamento del compenso, è soggetta al rito del lavoro ai sensi dell'art. 409 n. 3, c.p.c., aveva evidenziato che, se verso i terzi estranei all'organizzazione societaria è configurabile, tra amministratore e società, un rapporto di immedesimazione organica, all'interno dell'organizzazione sono ben configurabili rapporti di credito nascenti da un'attività, come quella resa dall'amministratore, continua, coordinata e prevalentemente personale, non rilevando in contrario il contenuto parzialmente imprenditoriale dell'attività gestoria e l'eventuale mancanza di una posizione di debolezza contrattuale dell'amministratore nei confronti della società (Cass. n. 4261/2009). Tuttavia, a tale orientamento se ne contrapponeva un altro secondo il quale la qualità di consigliere di amministrazione non implica di per sé la configurabilità di un rapporto di collaborazione rilevante a norma dell'art. 409 c.p.c. con conseguente assoggettamento delle controversie tra società e amministratori alla competenza del tribunale ordinario (Cass. n. 7814/2001; Trib. Roma, 12 settembre 2012; Trib. Milano 21 novembre 1996; Trib. Roma, 3 giugno 1996). Si è così arrivati alla conclusione che il rapporto di immedesimazione organica fra l'amministratore ed una società di capitali esclude che le funzioni connesse alla carica siano riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato ovvero di collaborazione coordinata e continuativa (Cass. n. 23557/2008 che ne ha tratto la conseguenza che in caso di revoca senza giusta causa, per la liquidazione dei relativi danni, deve procedersi secondo i criteri generali di cui agli artt. 1223 e 2697, trattandosi di vicenda non equiparabile alla risoluzione di un contratto di lavoro subordinato. Più di recente, poi, si è affermato che l' amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una s.p.a. sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c.; ne deriva che i compensi loro spettanti per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dall'art. 545, comma 4, c.p.c. (Cass. S.U., n. 1545/2017). Ciò peraltro, non esclude che si instauri, tra società e persona fisica che la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto, che può assumere le caratteristiche del rapporto subordinato, parasubordinato o d'opera, in relazione ad attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico (Cass. n. 28128/2017). Il consiglio di amministrazioneI soci sono liberi di scegliere se attribuire l'amministrazione della società ad una sola persona (amministratore unico) ovvero ad una pluralità di amministratori. Secondo il terzo comma della norma in commento, quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione. In giurisprudenza, poiché la regola della collegialità, in caso di amministrazione pluripersonale, è destinata ad assicurare l'unitarietà della gestione dell'impresa ed è correlata al regime di responsabilità solidale degli amministratori, secondo la disciplina fissata dall'art. 2392, si reputa che essa sia inderogabile e che, di conseguenza, i poteri di amministrazione (salva la possibilità di demandare alcune specifiche funzioni ad un comitato più ristretto o ad un amministratore delegato) non possano essere attribuiti disgiuntamente ai singoli amministratori (Trib. Milano, 14 novembre 1977; Trib. Verona, 27 febbraio 1992; Trib. Cosenza, 9 febbraio 1994; Trib. Parma, 16 giugno 2000). Quando l'attività di gestione di una società dotata di personalità giuridica è affidata ad un consiglio di amministrazione, si verifica (a differenza del caso dell'amministratore unico) una separazione del potere deliberativo, diretto a formare la volontà dell'ente, da quello di rappresentanza esterna, in quanto il primo appartiene al consiglio di amministrazione, mentre il secondo spetta al presidente o all'amministratore cui esso sia stato espressamente conferito (Cass. n. 15706/2004; Cass. n. 9710/1994; Cass. n. 6468/2005). L'amministratore di fattoIl rapporto di amministrazione trae la sua origine dalla nomina operata dai soci o in sede di costituzione della società o, successivamente, in sede di assemblea. La figura dell'amministratore di fatto ricorre allorquando un soggetto, pur non essendo formalmente investito della carica di amministratore, si ingerisce nell'amministrazione, esercitando (di fatto) i poteri propri inerenti alla gestione della società: trattasi sovente del dominus della società, che ha ufficialmente incaricato dell'amministrazione persone prive di un patrimonio adeguato a far fronte alle responsabilità che possono eventualmente insorgere. Al fine di far emergere il soggetto che effettivamente esercita le funzioni gestorie, la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato la figura dell'amministratore di fatto equiparandolo a quello di diritto ai fini della responsabilità civile e penale. La dottrina (in particolare, Abriani, 1998, passim) ha enucleato le condizioni al ricorrere delle quali sussiste la figura dell'amministratore di fatto: 1) assenza di una efficace investitura assembleare; 2) attività esercitata (non occasionalmente ma) continuativamente e sistematicamente; 3) funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; 4) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori “di diritto”. La giurisprudenza, sul fronte della responsabilità civile, è rimasta a lungo ancorata, almeno in astratto, ad una concezione più restrittiva dell'istituto richiedendo che vi fosse stata una qualche investitura (sia pur irregolare o implicita, cfr. Cass. n. 234/1984; Cass. n. 6519/1998). La prevalenza del contenuto delle funzioni concretamente esercitate sulla mera qualificazione formale del rapporto è stata in seguito affermata anche dalla giurisprudenza civile (Cass. n. 1925/1999; Cass. n. 9795/1999). In questa prospettiva, è amministratore di fatto chi, senza valido titolo — p.es. per nomina irregolare ovvero per usurpazione dei poteri — gestisce, da solo o anche con l'amministratore formale, la società, esercitando con sistematicità e completezza un potere di fatto corrispondente a quello degli amministratori di diritto. L’amministratore di fatto di una società di capitali, pur privo di un'investitura formale, esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un'influenza che trascende la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto, sicché può concorrere con questi ultimi a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l’omissione di atti di gestione (Cass. n. 21567/2017). Sul fronte della responsabilità la più recente giurisprudenza evidenzia la necessità del carattere non occasionale dell'ingerenza nella gestione da parte dell'amministratore di fatto, non limitabile al compimento episodico di singoli atti eterogenei fra loro (cfr. Cass. n. 21567/2017; Cass. n. 9795/1999, Cass., n. 2586/2014; Cass., n. 28819/2008; Cass., n. 671972008; Trib. Roma, 8 giugno 2015). Si precisa, però, che la mera circostanza di pagamenti di debiti sociali e di riscossione di somme destinate alla società non è idonea di per sé a far ritenere assunte funzioni gestorie con carattere di sistematicità e completezza, in quanto si richiede l'accertamento dell'avvenuto inserimento nella gestione dell'impresa. E tale inserimento è a sua volta desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società (Cass., n. 4045/2016). Nella prassi, è stato rilevato che la sistematicità, la significatività nonché la non occasionalità sono rinvenibili in tali fattispecie: a) istruzioni informalmente impartite agli amministratori di diritto e da questi sistematicamente osservate nel compimento di atti gestori; b) partecipazione in prima persona ad operazioni patrimonialmente consistenti; c) ingerenza nell'impartire direttive ai dipendenti della società; d) acquisto di immobili ed azioni sociali; e) tenuta delle scritture contabili (Trib. Roma, 8 giugno 2015, cit.). BibliografiaAbbadessa, La gestione dell'impresa nelle società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1974; Abbadessa, Il direttore generale, in Tr. 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