Codice Civile art. 2383 - Nomina e revoca degli amministratori 1 .Nomina e revoca degli amministratori 1. [I]. La nomina degli amministratori spetta all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell'atto costitutivo, e salvo il disposto degli articoli 2351, 2449 e 2450. La nomina e' in ogni caso preceduta dalla presentazione, da parte dell'interessato, di una dichiarazione circa l'inesistenza, a suo carico, delle cause di ineleggibilita' previste dall'articolo 2382 e di interdizioni dall'ufficio di amministratore adottate nei suoi confronti in uno Stato membro dell'Unione europea2. [II]. Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi, e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica. [III]. Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili dall'assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto dell'amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa. [IV]. Entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne l'iscrizione nel registro delle imprese indicando per ciascuno di essi il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza, nonché a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, precisando se disgiuntamente o congiuntamente. [V]. Le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la rappresentanza della società non sono opponibili ai terzi dopo l'adempimento della pubblicità di cui al quarto comma, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza.
[1] Articolo sostituito dall' art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. [2] Comma modificato dall'art. 6, comma 2, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 183 che ha aggiunto, in fine, il seguente periodo «La nomina e' in ogni caso preceduta dalla presentazione, da parte dell'interessato, di una dichiarazione circa l'inesistenza, a suo carico, delle cause di ineleggibilita' previste dall'articolo 2382 e di interdizioni dall'ufficio di amministratore adottate nei suoi confronti in uno Stato membro dell'Unione europea.». InquadramentoL'articolo in commento disciplina la nomina e la revoca degli amministratori. Mentre i primi amministratori sono indicati nell'atto costitutivo, i successivi sono nominati dall'assemblea. Essi restano in carica per tre esercizi: la norma, peraltro, ricollega la scadenza alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica. La natura del rapporto di amministrazioneGli amministratori sono un organo indefettibile della società ed i loro poteri (da qualificarsi come poteri-doveri) non sono derivati dall'assemblea, ma originari e discendono direttamente dalla legge (Spiotta, 468; Bonelli, 2004, 75). È stato così efficacemente affermato che l'atto di nomina dell'assemblea non costituisce un negozio attributivo di poteri, ma soltanto un atto di designazione di soggetti previsti come necessari dalla legge e dall'atto costitutivo (Abriani, 1998, 214). Il rapporto che lega la società agli amministratori non può essere assimilato al mandato (soprattutto dopo la modifica, operata dalla riforma del diritto societario, dell'art. 2392 con eliminazione del riferimento alla diligenza del mandatario). Gli amministratori sono, infatti, investiti della gestione economico-patrimoniale della società e devono adempiervi con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze (art. 2392). L'amministratore è legato da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è ricompreso in quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c. Ne deriva che i compensi spettantigli per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dall'art. 545 c.p.c. (Cass. S.U., 1545/2017). Ciò peraltro, non esclude che si instauri, tra società e persona fisica che la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto, che può assumere le caratteristiche del rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera, in relazione ad attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico (Cass. n. 28128/2017). La nominaLa competenza dell'assemblea per la nomina degli amministratori è inderogabile (Caselli, 1; Spiotta, 419). Tale posizione è condivisa dalla giurisprudenza. Si osserva, infatti, che la norma che riserva all'assemblea la nomina e la revoca degli amministratori è inderogabile e che le deliberazioni dell'assemblea debbono essere inderogabilmente prese con l'osservanza del metodo collegiale (Cass. n. 12820/1995; Trib. Verona, 18 dicembre 1987). L'accettazione della nomina ad amministratore di una società non richiede l'osservanza di specifiche formalità e può essere anche tacita (Cass. n. 6928/2001). L'art. 6 d.lgs. 8 novembre 2021, n. 183 - che ha recepito la direttiva (UE) 2019/1151 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, recante modifica della direttiva (UE) 2017/1132 per quanto concerne l'uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario – ha, peraltro, aggiunto un secondo periodo al primo comma dell'art. in commento prevedendo che la nomina è in ogni caso preceduta dalla presentazione, da parte dell'interessato, di una dichiarazione circa l'inesistenza, a suo carico, delle cause di ineleggibilità previste dall'art. 2382 e di interdizioni dall'ufficio di amministratore adottate nei suoi confronti in uno Stato membro dell'Unione europea. L'inopponibilità ai terzi dei vizi della nominaL'ultimo comma dell'articolo in commento prevede che le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la rappresentanza della società non siano opponibili ai terzi dopo l'adempimento della pubblicità di cui al quarto comma, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza. La norma ora richiamata afferisce a quelle delibere di nomina degli amministratori che, per quanto viziate, siano in qualche modo riferibili alla società; non a quelle, affette da inesistenza, che, adottate in una assemblea solo apparente, provengano da soggetti che, senza avere la qualità di soci, abbiano addirittura fatto assurgere alla massima carica sociale un usurpatore a completa insaputa della società e anzi in frode e contro la volontà di questa e del suo amministratore legittimo e in carica (App. Milano 25 giugno 2002). La pubblicitàLa nomina e la revoca degli amministratori devono essere iscritte nel registro delle imprese e divengono opponibili ai terzi solo dopo tale pubblicazione, a meno che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza. Il potere di rappresentanza degli amministratori deriva esclusivamente dall'atto di conferimento dei relativi poteri e non dalla pubblicità della nomina, avendo al riguardo l'iscrizione degli atti riguardanti la società, efficacia dichiarativa e non costitutiva (Cass. n. 4173/1995). La società di capitali che ha omesso di rendere pubblica, nelle forme prescritte dagli artt. 2383, 2385, la sostituzione dell'amministratore che ha agito in giudizio nella qualità di rappresentante della stessa, non può opporre ai terzi la carenza dei poteri dell'amministratore sostituito per far valere la nullità del giudizio da questo promosso (benché privo della legittimazione processuale), a meno che non provi che i terzi erano a conoscenza della cessazione dalla carica dello stesso (Cass. n 1886/1994). La revoca degli amministratoriLa revoca dell'amministratore, al pari della nomina, è atto di pertinenza dell'assemblea e, come tale, riferibile alla società, che esprime la propria volontà di rescindere il mandato ad amministrare per il tramite dell'assemblea stessa (Cass. n. 11801/1998). La revoca, poi, può essere anche implicita come nel caso in cui venga deliberata una riduzione dei membri del consiglio di amministrazione, con conseguente cessazione degli amministratori in esubero (Cass. n. 27512/2008). L'art. 2383 prevede che gli amministratori siano revocabili dall'assemblea in ogni tempo, senza necessità della giusta causa, che non costituisce un elemento costitutivo della validità, né dell'efficacia della revoca trattandosi di un potere di recesso ex lege (Trib. Roma, 7 marzo 2001, contra, Trib. Genova, 16 febbraio 2004). Conseguentemente, non è invalida la delibera assembleare che revochi un amministratore senza specificare i motivi pur sussistendo il diritto dell'amministratore revocato a essere risarcito dei danni, ove la revoca sia avvenuta senza giusta causa (Trib. Torino, 6 ottobre 1980). Peraltro, posto che, come detto, l'atto di revoca è riferibile esclusivamente alla società, si afferma che la responsabilità risarcitoria per revoca dell'amministratore senza giusta causa grava esclusivamente sul soggetto revocante, ossia sulla società e non già sui soci la cui responsabilità personale potrebbe sorgere solo sulla base dell'art. 2043 (Cass. n. 11801/1998). In tema di revoca dell'amministratore di società, la giusta causa può essere sia soggettiva che oggettiva, purché si tratti di circostanze o fatti sopravvenuti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto; nel secondo caso, essa consiste in situazioni estranee alla persona dell'amministratore, quindi non integranti un suo inadempimento e sempre che ricorra un quid pluris, cioè l'esistenza di situazioni tali da elidere il citato affidamento; ne consegue che le mere ragioni di convenienza economica addotte dalla società, con il richiamo alle perdite subite ed al fine di giustificare la modificazione dell'organo amministrativo da collegiale a monocratico invocando un risparmio di spesa, non integrano la nozione di giusta causa, discendendone così il diritto al risarcimento del danno ex art. 2383, comma 3 (Cass. n. 23557/2008, parzialmente diversa, Trib. Torino, 11 gennaio 2005). La giusta causa non può essere ravvisata in mere divergenze od attriti con gli altri amministratori, ove si tratti di contrasti rientranti nella normale dialettica del consiglio di amministrazione, da risolversi all'interno di tale organo collegiale (Cass. n. 3768/1985). Essa può derivare anche da fatti non integranti inadempimento, ma richiede pur sempre un quid pluris rispetto al mero dissenso (alla radice di ogni recesso ad nutum), ossia esige situazioni sopravvenute (provocate o meno dall'amministratore stesso) che minino il pactum fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e le capacità dell'organo di gestione, in modo tale da poter fondatamente ritenere che siano venuti meno, in capo allo stesso, quei requisiti di avvedutezza, capacità e diligenza di tipo professionale che dovrebbero sempre contraddistinguere l'amministratore di una società di capitali (Cass., n. 7475/2017; Cass. n. 15322/2004; Cass. n. 16526/2005). In linea di massima, sono stati ritenuti integrare la giusta causa di revoca: la mancata predisposizione del bilancio di esercizio (Trib. Padova, 20 giugno 1989); l'impiego, per scopi personali, di disponibilità liquide della società ovvero di crediti concessi alla società da istituti bancari (Trib. Milano, 29 giugno 1989); il compimento di atti estranei all'oggetto sociale (Trib. Milano, 18 maggio 1995); l'inerzia dell'amministratore delegato rispetto alle direttive, da lui conosciute, essenziali al proficuo ed efficace svolgimento del ruolo di direzione unitaria da parte della società capogruppo (Trib. Firenze, 15 febbraio 2005). Sebbene, all'amministratore di una società non possa essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico (Cass. n. 3652/1997), si ritiene che la revoca sia giustificata dall'avvenuta effettuazione da parte degli amministratori di operazioni irrazionali ed avventate, di pura sorte od azzardate, assolutamente rischiose ed imprudenti e comunque di inosservanza dell'obbligo di gestire la società con diligenza, nonché l'esigenza di ripristinare una corretta gestione (App. Milano, 4 luglio 2003). Nel caso di revoca senza giusta causa dell'amministratore di una società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato, il danno risarcibile consiste nel lucro cessante e cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l'amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse intervenuta la revoca (Cass. n 23557/2008; Cass. n. 329/2002). In caso di revoca dell'amministratore di società azionaria, alla responsabilità contrattuale ex art. 2383 c.c. relativa al lucro cessante per i compensi residui non percepiti, derivante dal fatto stesso del recesso senza giusta causa dal rapporto di amministrazione, può aggiungersi la responsabilità, sempre di natura contrattuale, per la violazione delle regole di buona fede e correttezza, oppure una responsabilità extracontrattuale della società, o di soggetti in concorso con essa, solo in presenza di condotte che costituiscano un quid pluris, diverso ed ulteriore, rispetto alla revoca in sè, come allorchè le stesse ragioni esternate della revoca, in luogo che essere semplicemente insussistenti o inidonee a fondare il potere di recesso, oppure le concrete modalità della cessazione del rapporto, connotate da colpa o dolo, siano tali da ledere un diritto della persona (come onore, reputazione, identità personale, con le eventuali conseguenti ricadute patrimoniali) distinto dal diritto dell'amministratore alla prosecuzione della carica sino alla sua naturale scadenza (Cass. n. 2037/2018). Tale danno si parametra normalmente in via equitativa con l'emolumento che la parte avrebbe conseguito dalla prestazione gestoria nell'arco di sei mesi (Trib. Milano 22 marzo 2007). La cessazione dalla carica di amministratore per messa in liquidazione della società non comporta il pagamento del risarcimento del danno (Cass., n. 22351/2022). BibliografiaAbbadessa, La gestione dell'impresa nelle società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1974; Abbadessa, Il direttore generale, in Tr. 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