Codice Civile art. 2385 - Cessazione degli amministratori (1).

Guido Romano

Cessazione degli amministratori (1).

[I]. L'amministratore che rinunzia all'ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d'amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori.

[II]. La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito.

[III]. La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

Inquadramento

Il rapporto di amministrazione può cessare per una serie di cause, soltanto alcune delle quali contemplate dal codice. L'articolo in commento prende in considerazione la rinunzia all'incarico da parte del singolo amministratore e la cessazione degli amministratori per scadenza del termine. Ulteriori ipotesi di cessazione del rapporto sono costituite dalla decadenza (artt. 2382, 2387), dalla revoca volontaria da parte dell'assemblea (art. 2383) o, comunque, ricollegata, come effetto legale, alla deliberazione, assunta dall'assemblea, di esercizio dell'azione sociale di responsabilità (art. 2393) e dalla revoca giudiziale (art. 2409).

La rinunzia all'incarico

Il primo comma dell'articolo in commento si limita a specificare che la rinunzia all'incarico da parte dell'amministratore deve essere portata a conoscenza, mediante comunicazione scritta, del consiglio di amministrazione e del presidente del collegio sindacale, operando poi una regolamentazione dell'efficacia temporale della rinunzia medesima.

In via generale la rinunzia è un atto unilaterale recettizio che richiede la forma scritta la quale costituisce un requisito di perfezionamento delle dimissioni dell'amministratore (Della Tommasina, 199; Aiello, in Tr. Res. 2011, 45). Quanto ai destinatari della comunicazione, la norma omette di precisare se essa debba essere indirizzata al ciascuno degli altri consiglieri in carica ovvero al consiglio di amministrazione riunito in sede comune. Seppure non manca, in dottrina, chi sostiene la prima tesi (Minervini, 476), la maggioranza degli autori è concorde nel richiedere che le dimissioni siano indirizzate all'intero consiglio il quale riceve la notizia per mezzo del suo presidente il quale è tenuto, in ragione delle sue prerogative, ad informare senza indugio i singoli amministratori delle intervenute dimissioni e a convocare il consiglio per i provvedimenti previsti dall'art. 2386 (Aiello, in Tr. Res. 2011, 45; Della Tommasina, 200; Caselli, 76).

Ciascun amministratore può dimettersi in ogni momento e, quindi, qualora lo ritenga opportuno, senza che le dimissioni possano integrare di per sé un fatto generatore di responsabilità (App. Milano, 12 novembre 1993). Infatti, i poteri di rappresentanza dell'amministratore di società di capitale cessano per effetto di un valido atto di rinuncia, senza che si renda a tal fine necessaria, salvo specifico patto, la sussistenza di una giusta causa o l'accettazione di quell'atto da parte dei soci. L'art. 2385, infatti, a differenza dell'art. 2383, dettato per l'ipotesi di revoca dell'amministratore, non contempla fra i presupposti della rinuncia l'esistenza di una giusta causa e tale esclusione non prospetta nessuna violazione grave di principi generali, né alcuna ingiustificata carenza di tutela per la società, il cui interesse alla continuità dell'attività gestoria può facilmente essere soddisfatto con l'immediata sostituzione dell'amministratore; sicché deve escludersi la necessità di far ricorso all'applicazione analogica dell'art. 1720 (Cass. n. 21563/2008).

La scadenza del termine

La durata della carica degli amministratori si computa in termini di esercizi sociali e non in anni solari (in dottrina Caselli, 71).

Il principio di diritto secondo il quale al componente del consiglio di amministrazione di una società va riconosciuta la facoltà di permanenza in carica, nonostante la scadenza del suo mandato, fino a quando non siano stati sostituiti tutti gli altri componenti del consiglio medesimo non è rinvenibile in alcuna delle norme stabilite dall'ordinamento in tema di società e, in particolare, né nell'art. 2385, comma 2 (che ha soltanto lo scopo di assicurare la contestualità tra cessazione e sostituzione, ma non consente di far permanere in carica il precedente amministratore, nonostante la sua sostituzione), né nel successivo art. 2386 (che disciplina la sola ipotesi della sostituzione degli amministratori di nomina assembleare, nel caso che alcuni di essi vengano a mancare nel corso del mandato e, cioè, anteriormente alla cessazione naturale del loro incarico), costituendo, per converso, la clausola simul stabunt, simul cadent una evidente deroga, in subiecta materia, alle disposizioni legislative, la liceità della quale si riconnette direttamente al principio della libertà di manifestazione della autonomia privata che non contrasti con norme imperative, ma la cui validità risulta inderogabilmente condizionata alla esistenza di una esplicita previsione statutaria (in giurisprudenza Cass. n. 8612/1997).

L'efficacia temporale delle dimissioni

Il regime dell'efficacia temporale delle cause di cessazione persegue lo scopo di impedire che si determinino vuoti di potere nella gestione (Aiello, in Tr. Res. 2011, 48) attraverso il prolungamento della durata dell'incarico oltre i limiti naturali.

Gli amministratori in regime di prorogatio restano tali optimo iure (Aiello, in Tr. Res. 2011, 48), mantenendo intatti tutti i proprio poteri senza alcuna compressione all'esercizio della sola ordinaria amministrazione.

Per quanto riguarda la rinunzia all'incarico, il primo comma dell'articolo in commento attribuisce una diversa decorrenza all'efficacia di essa, a seconda che, a seguito di quest'ultima, rimanga o meno in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione. Nel primo caso, le dimissioni hanno efficacia immediata, nel secondo la cessazione si verifica soltanto quando la maggioranza dei consiglieri sia stata ricostituita a seguito della accettazione dei nuovi consiglieri. Ovviamente, la prorogatio si avrà anche in caso di dimissioni dell'amministratore unico.

L'art. 2385, che attribuisce una diversa decorrenza all'efficacia della rinuncia, a seconda che, a seguito di quest'ultima, rimane o meno in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, pone un regime ispirato all'esigenza di evitare vuoti di potere e soluzioni di continuità nell'esercizio dell'amministrazione della società. Sono, pertanto, valide le delibere del consiglio di amministrazione, prese con il voto favorevole di alcuni consiglieri dimissionari ma che sono rimasti in carica (Cass. n. 798/1976). Non è, prevista alcuna prorogatio in caso di revoca dell'amministratore, nel qual caso, alla nomina del nuovo amministratore procede la stessa assemblea che ha deliberato la revoca (Trib. Milano 22 marzo 1993).

La prorogatio opera anche nell'ipotesi di cessazione per scadenza del termine (Aiello, in Tr. Res. 2011, 49).

Pubblicità

La società che ha omesso di rendere pubblica, nelle forme previste dagli artt. 2383 e 2385, la sostituzione dell'amministratore, non può opporre ai terzi la carenza dei poteri dell'amministratore sostituito, a meno che non provi che i terzi erano a conoscenza della cessazione dalla carica dello stesso (Cass. n. 16692/2002; Cass. n. 1886/1994; Cass. n. 2402/1962).

Bibliografia

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