Codice Civile art. 2386 - Sostituzione degli amministratori (1).

Guido Romano

Sostituzione degli amministratori (1).

[I]. Se nel corso dell'esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita da amministratori nominati dall'assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea.

[II]. Se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti.

[III]. Salvo diversa disposizione dello statuto o dell'assemblea, gli amministratori nominati ai sensi del comma precedente scadono insieme con quelli in carica all'atto della loro nomina.

[IV]. Se particolari disposizioni dello statuto prevedono che a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l'intero consiglio, l'assemblea per la nomina del nuovo consiglio è convocata d'urgenza dagli amministratori rimasti in carica; lo statuto può tuttavia prevedere l'applicazione in tal caso di quanto disposto nel successivo comma.

[V]. Se vengono a cessare l'amministratore unico o tutti gli amministratori, l'assemblea per la nomina dell'amministratore o dell'intero consiglio deve essere convocata d'urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

Inquadramento

L'articolo in commento si spiega con l'inammissibilità di cesure temporali nella copertura delle funzioni di gestione (Rescio, 228). Le ipotesi regolate dall'art. 2386 costituiscono un punto di equilibrio tra tre esigenze: quella di mantenere il rapporto fiduciario tra amministratori e soci; quella di garantire la completezza del consiglio di amministrazione nel numero fissato dallo statuto o determinato dall'assemblea; quella di non appesantire la vita sociale con la imposizione della necessità di convocare immediatamente un'assemblea qualora venga meno un solo amministratore (Caselli, 9).

L'articolo in commento che affida agli altri amministratori la sostituzione dell'amministratore venuto a mancare nel corso dell'esercizio, così come l'art. 2383 che riserva all'assemblea la nomina e la revoca degli amministratori della società, costituisce norma inderogabile, in quanto di ordine pubblico per la sua incidenza su interessi generali della collettività. È pertanto nullo il contratto che, in contrasto con dette norme, preveda che la nomina di un consigliere di amministrazione sia effettuata da un organo diverso da quelli suindicati (Cass. n. 3181/1990).

La cooptazione

La cooptazione è un obbligo per gli amministratori rimasti in carica e non già una mera facoltà (Frè-Sbisà, in Comm. S.B. 1997, 803); essa non è applicabile quando gli amministratori cessano dalla carica per scadenza del termine (Minervini, 38; Frè-Sbisà, in Comm. S.B. 1997, 802; Della Tommasina, 214). La cooptazione rappresenta una deroga al principio di competenza assembleare in materia di nomina degli amministratori e ciò impone una interpretazione restrittiva dell'istituto (Della Tommasina, 212; Ghezzi, 249).

Gli amministratori cooptati sono amministratori optimo iure (Cottino, 434) che hanno uguali mansioni ed identici poteri rispetto a quelli di nomina assembleare e si distinguono da questi ultimi esclusivamente per la limitata durata della carica che cessa con la successiva assemblea, la quale potrà eventualmente confermarli oppure nominarne di altri (Spiotta, 437; Aiello, in Tr. Res. 2011, 55).

La clausola simul stabunt, simul cadent

Già prima della riforma del diritto societario, l'orientamento del tutto maggioritario in giurisprudenza riteneva la validità della clausola dello statuto di una società per azioni con cui si disponesse la decadenza dell'intero consiglio di amministrazione al venir meno della maggioranza dei suoi membri (c.d. simul stabunt, simul cadent) (Cass. n. 18597/2008; Cass. n. 2197/1990; Trib. Milano, 23 marzo 2002; Trib. Milano, 6 aprile 1995). Peraltro, ogni questione in merito appare superata per effetto della novella intervenuta a seguito del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 che ha introdotto il comma 4 dell'art. 2386 in base al quale tale clausola può essere inserita nello statuto della società, con la conseguenza che, ove cessi l'intero consiglio, l'assemblea per la nomina del nuovo consiglio è convocata d'urgenza dagli amministratori rimasti in carica oppure, ove previsto nello statuto, dal collegio sindacale. In questo modo si è sancita per via normativa la liceità delle clausole statutarie simul stabunt simul cadent.

La clausola in esame è finalizzata ad accentuare il carattere collegiale dell'organo amministrativo ed a salvaguardarne la compattezza: (Cass. n. 2197/1990). La giurisprudenza di merito, successiva alla riforma, evidenzia come la clausola in argomento posta nello statuto di società capitalistica ha il precipuo scopo di evitare la gestione della società da parte di organo amministrativo minoritario, quando, per effetto della cessazione di alcuni consiglieri, si sono rotti gli equilibri già definiti. La nuova regola codicistica (art. 2386 comma 4), nel sancire la legittimità della clausola in esame, regola gli effetti del vuoto di potere gestionale, conseguenti alla causa di decadenza operante per tutto il consiglio di amministrazione, predisponendo un meccanismo di scadenza anticipata del consiglio quale condizione risolutiva del rapporto eguale al caso di naturale scadenza del mandato, cui fa seguito la prorogatio dei poteri di tutti gli amministratori sino alla convocazione dell'assemblea, che nominerà il nuovo consiglio (così, Trib. Milano, 10 giugno 2008).

L'applicazione della clausola si presta, tuttavia, ad abusi quali, ad es., l'estromissione di un amministratore riconducibile alla minoranza azionaria.

Ciò posto, la giurisprudenza ha osservato che — sul presupposto che ogni condotta deve essere esaminata alla luce del principio di buona fede e dell'ulteriore considerazione che la disposizione di cui all'art. 2383 tende a garantire al singolo amministratore una certa stabilità dell'incarico ed una giusta retribuzione di un mandato che si assume oneroso della quale può essere legittimamente privato solo nel caso in cui la revoca sia supportata dalla giusta causa — la concreta applicabilità dell'istituto che, in via parallela e alternativa, sancisce la possibilità di conseguire la decadenza automatica dell'incarico amministrativo, nel suo normale operare, incontra l'insuperabile limite nella clausola generale di buona fede, la quale permette di armonizzare il corretto ambito di operatività della clausola statutaria invocata dalla società, in sé lecita e legittima, arginando forme di utilizzo improprio e strumentale, non teso a realizzare un più incisivo duraturo controllo sulla composizione del consiglio di amministrazione nell'ottica della realizzazione dei fini sociali che hanno portato alla scelta di un particolare organo gestorio, ma ad ottenere un anticipato discarico di funzioni privo di conseguenze onerose e di congrue motivazioni (Trib. Milano, 24 maggio 2011; Trib. Roma, 22 gennaio 2014).

Spetta all'amministratore che deduca l'uso strumentale della clausola statutaria dover provare l'uso distorto del meccanismo della decadenza, per aggirare cioè il diritto degli amministratori di essere revocati solo per giusta causa (Cass. n. 18597/2008; Trib. Milano, 28 dicembre 2012).

Amministrazione del collegio sindacale

In caso di cessazione di tutti gli amministratori, l'assemblea per la loro sostituzione deve essere convocata d'urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione. I poteri di convocare l'assemblea e di compiere gli atti di ordinaria amministrazione sono conferiti al collegio sindacale e non possono essere esercitati dal solo presidente o da uno solo dei suoi componenti (Trib. Milano, 3 aprile 1986).

Bibliografia

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