Codice Civile art. 2388 - Validità delle deliberazioni del consiglio (1).

Guido Romano

Validità delle deliberazioni del consiglio (1).

[I]. Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica, quando lo statuto non richiede un maggior numero di presenti. Lo statuto può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio avvenga anche mediante mezzi di telecomunicazione.

[II]. Le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta dei presenti, salvo diversa disposizione dello statuto.

[III]. Il voto non può essere dato per rappresentanza.

[IV]. Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione; si applica in quanto compatibile l'articolo 2378. Possono essere altresì impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti; si applicano in tal caso, in quanto compatibili, gli articoli 2377 e 2378.

[V]. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle deliberazioni.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

Inquadramento

L'articolo in commento opera sostanzialmente su due fronti, da una parte, prevedendo (solo) alcune regole del procedimento decisorio che deve essere seguito dal consiglio di amministrazione (quorum costitutivo e deliberativo, partecipazione dei consiglieri) e, dall'altra, delineando un sistema rimediale da applicarsi con riguardo alle deliberazioni assunte in modo non conforme alla legge o all'atto costitutivo (Barachini-Pinto, 246).

I quorum costitutivo e deliberativo

I primi due commi della disposizione in commento fissano i quorum costitutivo, individuato nella presenza della maggioranza degli amministratori in carica, e deliberativo, individuato nella maggioranza assoluta dei presenti. La disciplina legale dei quorum, ispirata ad istanze di efficienza e di continuità dell'azione amministrativa, è strutturata al fine di neutralizzare l'impatto sull'attività del consiglio di eventuali condotte opportunistiche di singoli amministratori (Barachini-Pinto, 248).

Deve essere precisato che il quorum costitutivo si calcola sulla base del c.d. collegio reale e non già su quello c.d. legale e, dunque, tenendo conto degli amministratori effettivamente ed attualmente in carica e non al numero di consiglieri previsti dallo statuto cosa che consente al consiglio di deliberare validamente anche laddove uno o più rapporti di amministrazione siano, per qualunque ragione, cessati (Spiotta, 679, nt. 67; Barachini-Pinto, 248, nt. 5; Pinto, 87).

Tanto per il quorum costitutivo che per quello deliberativo la legge consente allo statuto di prevedere una disciplina difforme da quella appena indicata. Così, lo statuto potrebbe prevedere un innalzamento del quorum costitutivo così da tutelare maggiormente l'interesse ad una ampia partecipazione alle decisioni gestionali (Ventoruzzo, 299) e derogare, sia in aumento che in diminuzione, al quorum deliberativo (Barachini-Pinto, 248).

Con particolare riferimento a quest'ultimo, sarebbe in particolare possibile stabilire la regola della maggioranza semplice dei presenti in luogo di quella assoluta, sterilizzando le eventuali astensioni o schede nulle (Guerrieri, 732) e secondo alcuni prevedere la prevalenza del voto del presidente in caso di parità di voti (sistema del c.d. casting vote) (Minervini, 394; Guerrieri, 731; Barachini-Pinto, 248, contra Nazzicone, 131, nt. 4).

La presenza degli amministratori

Il terzo comma dell'art. 2388 vieta l'esercizio del voto per rappresentanza. Il divieto si ricollega al carattere personalissimo dell'attività gestoria (Cottino, 421; Spiotta, 684) e, quindi, alla considerazione del voto come momento attuativo della comune prestazione gestoria, circondato da responsabilità personale e diretta verso la società (Barachini-Pinto, 250).

Forma delle deliberazioni consiliari

L'articolo in commento non contiene una disciplina organica della forma delle deliberazioni e della verbalizzazione delle riunioni del consiglio di amministrazione. Il codice si limita a prevedere, quanto al primo aspetto, la tenuta di un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione (art. 2421 comma 1, n. 4) e, quanto al secondo, per le sole deliberazioni concernenti le materie delegate all'organo amministrativo ai sensi dell'art. 2365 comma 2, la verbalizzazione da parte del notaio.

In altre parole, secondo una simile impostazione che potrebbe dirsi ancora attuale in ragione della insussistenza di modifiche normative, la mancata registrazione della deliberazione consiliare nel libro costituisce una mera irregolarità degli amministratori, mentre la mancata verbalizzazione non importa l'invalidità delle deliberazioni (sulla distinzione tra registrazione e verbalizzazione, cfr., Nazzicone, 88; sul punto anche Spiotta, 685).

Tale orientamento è, però, andato incontro a critiche in quanto la mancanza di una regolare documentazione dei lavori del consiglio è incompatibile con un assetto normativo diretto a procedimentalizzare l'attività dell'organo e a garantire la circolazione delle informazioni fra i consiglieri, anche assenti (Barachini-Pinto, 252). Inoltre, oggi la verbalizzazione della riunione deve ritenersi funzionale all'accresciuta possibilità di impugnare le deliberazioni consiliari e, in particolare, all'individuazione sia degli amministratori, assenti e dissenzienti, legittimati ad esperire il rimedio sia del percorso motivazionale della decisione (Spiotta, 686; Barachini-Pinto, 252).

Si ritiene che il verbale debba essere sottoscritto dal presidente e dal segretario e non necessariamente da tutti gli intervenuti (Spiotta, 687).

L'invalidità delle deliberazioni

In epoca antecedente alla riforma del diritto societario, non era prevista una disciplina organica dell'impugnazione delle deliberazioni consiliari, essendo contemplata soltanto l'ipotesi di cui all'art. 2391.

Tuttavia, la giurisprudenza aveva colmato la lacuna normativa applicando in via analogica le norme dettate in materia di invalidità delle deliberazioni assembleari (ex plurimis, Cass. n. 3544/1988; Cass. n. 2229/2002).

Oggi, il quarto comma dell'articolo in commento prevede che le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione. Le medesime deliberazioni poi possono essere impugnate anche dai soci allorquando siano lesive di loro diritti.

La norma allude al vizio di annullabilità delle deliberazione e non prende in considerazione la nullità di esse.

La dottrina maggioritaria ritiene che, non potendosi ravvisare quelle medesime esigenze di tutela che giustificano la previsione della nullità con riferimento alle deliberazioni dell'assemblea, deve essere esclusa la possibilità di fare ricorso analogico al disposto di cui all'art. 2379 (Aiello, in Tr. Res. 2011, 103; Ventoruzzo, 321; Pinto, 101, contra Nazzicone, 93 che ritiene la necessità di fare riferimento alla categoria della nullità con riferimento alle delibere affette dai vizi più gravi di cui all'art. 2379). In questa prospettiva, tutte le decisioni consiliari vanno assoggettate, dal punto di vista dell'invalidità, alla medesima disciplina (Aiello, in Tr. Res. 2011, 104), non trattandosi nel caso di specie, di lacuna dell'ordinamento, ma di disciplina peculiare.

L'art. 2388 esaurisce nella categoria dell'annullabilità tutte le fattispecie d'invalidità della delibera consiliare, con la conseguenza l'amministratore assente o dissenziente ha l'onere d'impugnare la delibera non conforme alla legge o allo statuto entro novanta giorni dalla data della sua adozione (Trib. Milano, 12 marzo 2009).

In materia di invalidità delle delibere del consiglio di amministrazione di una società, cui è applicabile in via analogica la disciplina dettata per le delibere assembleari, la nullità può essere dichiarata d'ufficio dal giudice, così come per l'impugnazione delle medesime, entro tre anni dalla iscrizione o deposito della delibera nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze (Cass., n. 11224/2021).

Si ritiene (Barachini-Pinto, 253) che dal carattere impugnatorio del rimedio previsto dall'art. 2388 e dal rinvio all'art. 2378 derivino talune conseguenze e, in particolare: l'immediata efficacia della deliberazione viziata, efficacia che è poi destinata a stabilizzarsi in caso di decorso del termine previsto per l'introduzione del giudizio volto all'annullamento; l'efficacia ultra partes del giudicato che accerta l'invalidità della deliberazione (Pinto, 94); l'esperibilità del rimedio della sospensione dell'efficacia delle deliberazioni (Nazzicone, 173); la disciplina della sostituzione della deliberazione viziata (art. 2377 commi 8 e 9) (Nazzicone, 195; Pinto, 95); l'applicazione della regola del simultaneus processus (art. 2378 comma 5).

La sospensione cautelare delle delibere del c.d.a. impugnate è ammessa soltanto in pendenza del procedimento di impugnazione, senza possibilità di ricorrere allo strumento di cautela atipica di cui all'art. 700 c.p.c. (Trib. Napoli, 4 agosto 2010).

Segue L'impugnazione da parte degli amministratori e del collegio sindacale

L'impugnazione da parte degli amministratori e del collegio sindacale si distingue da quella dei soci con riguardo all'interesse tutelato: essi, infatti, tutelano un interesse della società e non un interesse particolare di un determinato azionista. Inoltre, è stato affermato che la legittimazione degli amministratori e dei sindaci è funzionale, a differenza della legittimazione del socio, all'emersione del conflitto tra soggetti che partecipano al momento deliberativo per la cura di un interesse altrui (Barachini-Pinto, 253).

L'amministratore che si astiene dalla votazione è privo della legittimazione attiva ad impugnare la delibera adottata dal consiglio di amministrazione (Trib. Milano, 24 maggio 2010). Posto che, a seguito della riforma del diritto societario, l'art. 2388 c.c. esaurisce nella categoria dell'annullabilità tutte le fattispecie d'invalidità della delibera consiliare, l'amministratore assente o dissenziente ha l'onere d'impugnare la delibera non conforme alla legge o allo statuto entro novanta giorni dalla data della sua adozione (Trib. Milano, 12 marzo 2009, n. 3396).

Segue L'impugnazione da parte dei soci

Il quarto comma dell'articolo in commento attribuisce la legittimazione ad impugnare le deliberazioni del consiglio di amministrazione invalide anche ai soci, ma circoscrive tale potere all'ipotesi in cui queste siano lesive dei loro diritti. Per la verità, la possibilità, per i soci, di impugnare le delibere consiliari lesive dei loro diritti, era già stata riconosciuta da parte della giurisprudenza anche in epoca antecedente alla riforma del diritto societario in quanto costituente il portato di principi generali (cfr., da ultimo, Cass. n. 2229/2002; Cass. n. 15786/2002; Cass. n. 3544/1988). Tale principio, peraltro, è stato recentemente ribadito e ha portato all'applicazione della norma anche al di fuori dei confini del diritto societario, come, ad esempio, alle associazioni non riconosciute (Cass. n. 10188/2011; Trib. Roma, 22 febbraio 2010).

Secondo parte della dottrina, le caratteristiche del rimedio impugnatorio previsto dall'articolo in commento portano a ritenere che i diritti rilevanti in tale ambito siano solo i c.d. diritti sociali e, quindi, le situazioni di titolarità non individuale inscrivibili nella dialettica che contrappone la collettività degli azionisti agli amministratori (Barachini-Pinto, 256; Angelici, 66). Al contrario, in caso di lesione dei diritti soggettivi dei soci diversi da quelli sociali dovrebbe applicarsi la categoria dell'inefficacia della delibera che, però, non potrebbe essere autonomamente impugnata (Spiotta, 702).

La deliberazione illecita del consiglio di amministrazione di una società per azioni che incida solo sul patrimonio della società non può ritenersi direttamente lesiva dei diritti dei soci, ai quali, pertanto, è preclusa la possibilità di impugnarla (Trib. Milano, 29 marzo 2014).

La norma è stata ritenuta, in virtù della identità di ratio, analogicamente applicabile alla società a responsabilità limitata, anche per le decisioni dell'amministratore unico lesive dei diritti dei soci, costituendo tale facoltà espressione di un principio generale dell'ordinamento (Trib. Roma, 12 settembre 2012).

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