Codice Civile art. 2393 - Azione sociale di responsabilità (1).Azione sociale di responsabilità (1). [I]. L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione. [II]. La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie (2) da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. [III]. L'azione di responsabilità può anche essere promossa a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti (3). [IV]. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica. [V]. La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso, l'assemblea provvede alla sostituzione degli amministratori (4). [VI]. La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo 2393-bis. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. (3) Comma inserito dall'art. 3 1 lett. a) n. 1 l. 28 dicembre 2005, n. 262. (4) Comma così sostituito dall'art. 31 lett. a) n. 2 l. n. 262, cit. Il testo del comma era il seguente: «La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l'assemblea stessa provvede alla loro sostituzione». InquadramentoCome evidenziato in sede di commento all'articolo precedente, gli amministratori devono adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze; essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri. L'inadempimento degli amministratori ai loro obblighi può essere fatto, quindi, valere direttamente dalla società cui l'articolo in commento concede l'azione di responsabilità nei loro confronti. Natura dell'azione e oneri probatoriL'azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell'inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero nell'inadempimento dell'obbligo generale di vigilanza o dell'altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo (ex plurimis, Cass. n. 24715/2015; Cass. n. 25977/2008; Cass. n. 13765/2007). La norma di cui all'art. 2392 struttura, quindi, una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma consente all'amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell'azione de qua consegue che, mentre sull'attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, sugli amministratori l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti. In altre parole, l'inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà al curatore fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre spetterà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l'inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo (Cass. n. 22911/2010; Cass. n. 16050/2009; Cass. n. 2772/1999; Trib. Roma, 8 maggio 2003; Cass. n. 10488/1998). Quanto agli oneri di allegazione, non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che deve sin dall'inizio sostanziarsi nell'indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale (Cass. n. 23180/2006; Cass. n. 23180/2006; Cass. n. 28669/2013). In tema di azioni sociali di responsabilità, incombe sulla società l'onere di individuare e dimostrare le condotte compiute dall'amministratore in violazione dei doveri inerenti alla funzione svolta, cioè i fatti costitutivi della responsabilità, nonché i danni che ne assume derivati, onde consentire poi all'amministratore di assolvere all'onere, su di lui gravante, di fornire, con riferimento agli addebiti contestati, la prova positiva dell'adempimento dei propri doveri. L'indicazione specifica dei fatti materiali che la società, attrice, assume essere stati lesivi del proprio diritto costituisce elemento essenziale, richiesto dalla legge a pena di nullità, della domanda introduttiva di un giudizio avente ad oggetto un diritto c.d. eterodeterminato quale quello di risarcimento del danno (Cass. n. 9071/2018). In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata per i danni ad essa cagionati da operazioni illegittime, il giudice ben può tenere conto, al fine di ricostruire nei limiti del possibile l'andamento degli affari sociali, e di valutare gli effetti concreti dell'operato degli amministratori medesimi, delle risultanze di scritture contabili informali, ossia non conformi alle prescrizioni di legge. (Cass., n. 12454/2016; Cass., n. 6471/2016). Quanto al danno, si ritiene che la società attrice sia onerato della allegazione e della prova, sia pure mediante presunzioni, dell'esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale, di cui chiede il ristoro, e della riconducibilità della lesione al fatto dell'amministratore inadempiente, quand'anche cessato dall'incarico: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente. In difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe, infatti, di oggetto (Cass. n. 5960/2005). Infatti, all'amministratore che pure si sia reso responsabile di condotte illecite non può essere imputato non ogni effetto patrimoniale dannoso che la società, cui esso è legato da un rapporto di mandato, sostenga di aver subito, ma solo quello che si ponga come conseguenza immediata e diretta della violazione degli obblighi incombenti sull'amministratore (Cass. n. 3774/2005). In tema di azione di responsabilità promossa contro gli amministratori di una società di capitali, ove i comportamenti che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto, l'onere della prova gravante sulla parte attrice non si esaurisce nel dimostrare che l'amministratore abbia posto in essere le condotte produttive del danno, ma anche che in questo modo siano stati violati i suoi doveri di lealtà o di diligenza, spettando poi all'amministratore allegare e provare i fatti idonei ad escludere o ad attenuare la sua responsabilità ( Cass. n. 25260/2024; Cass., n. 25056/2020 ). Legittimazione all'esercizio dell'azione. La delibera di autorizzazioneL'articolo in commento esordisce subordinando l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori alla deliberazione dell'assemblea. L'assemblea delibera in sede ordinaria e anche quando la società è in liquidazione. Sono esclusi dal voto gli amministratori azionisti ai sensi dell'art. 2373 comma 2. La disposizione di cui all'art. 2364 che attribuisce all'assemblea ordinaria la facoltà di deliberare l'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci è inderogabile (Cass. n. 12279/2012). È, però, dubbio se la deliberazione assembleare integri un presupposto processuale o una condizione per la legittimazione. In questo secondo senso sembra orientata la giurisprudenza maggioritaria. Si afferma, infatti, che l'autorizzazione dell'assemblea all'esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori costituisce una condizione dell'azione che integra la legittimazione di colui che, in qualità di legale rappresentante della società, agisce nel processo, la cui sussistenza va verificata d'ufficio dal giudice. Al riguardo, peraltro, appunto perché trattasi di condizione dell'azione, è sufficiente che sussista al momento della pronuncia che definisce il giudizio (Cass. n. 18939/2007, ma anche Cass. n. 9090/2003; contra, però, Cass. n. 9904/2000; Cass. n. 9849/1996). Inoltre la delibera può anche sopravvenire nel corso del giudizio già introdotto con effetto sanante ex tunc. La delibera, poi, autorizza l'esercizio dell'azione, ma non ne (pre)determina il contenuto. Conseguentemente, in sede di proposizione l'azione di responsabilità può essere fondata anche su atti diversi da quelli specificamente esaminati dall'assemblea (Trib. Milano, 9 novembre 1987). La giurisprudenza di legittimità ha affermato, dapprima, che l'ampiezza dei poteri spettanti agli amministratori, quanto alla individuazione delle condotte illecite da denunciare con l'azione di responsabilità, dipende dalle concrete determinazioni dell'assemblea, giacché è quest'ultima a definire, col proprio deliberato, la legittimazione processuale del soggetto che deve agire in giudizio in nome e per conto della società. Ciò non significa però che, ove la delibera rechi menzione di alcuni comportamenti, sia precluso prospettarne in giudizio di ulteriori (Cass., n. 12568/2021) e, successivamente, che la delibera assembleare con la quale è autorizzato il promovimento dell'azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. deve contenere l'individuazione degli elementi costitutivi dell'azione, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, in mancanza dei quali la delibera deve considerarsi generica e, dunque, invalida, non essendo idonea ad esprimere la volontà compiutamente informata dei soci (Cass., n. 21245/2021). Queste posizioni sono condivise dalla dottrina (Spiotta, 864; Picciau, 575; Sambucci, 386). Il secondo comma dell'articolo in commento prevede, poi, che la deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori possa essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. La norma in argomento si spiega con l'esigenza, propria delle società per azioni, di agevolare ed accelerare l'esercizio dell'azione evitando che ostacoli o ritardi possano derivare dal doversi procedere alla convocazione di una nuova riunione assembleare, successiva a quella in cui sono stati rilevati (Picciau, 575), attraverso la discussione sul bilancio, i fatti di mala gestio, produttivi di danno per la società: a tale esigenza, ritenuta preminente, è stato sacrificato l'interesse del singolo socio (e dello stesso amministratore) ad essere informato preventivamente, attraverso la comunicazione con l'avviso di convocazione dell'ordine del giorno, circa che le materie che saranno trattate nel corso dell'assemblea e l'interesse a prendere parte alla discussione ed alla deliberazione in punto di azione di responsabilità. La norma specifica che la non necessità dell'indicazione della proposta di esercizio dell'azione sociale di responsabilità nell'ordine del giorno è possibile, in sede di discussione del bilancio, solo ove si tratti di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. Sotto altro aspetto, si precisa che, riferendosi il legislatore alla riunione assembleare tenutasi «in occasione della discussione del bilancio», non è necessario che, in quella sede, si arrivi all'adozione di una deliberazione di approvazione o non approvazione del bilancio. La deliberazione assembleare di promuovere l'azione sociale di responsabilità degli amministratori costituisce un provvedimento da assumersi in via del tutto eventuale in stretta dipendenza della formulazione di un giudizio negativo sull'operato dell'amministratore risultante dall'esame del bilancio; sicché, non è tanto necessario distinguere quale provvedimento abbia adottato l'assemblea in relazione al bilancio, quanto considerare se si sia discusso in concreto dell'andamento gestionale (Trib. Milano, 15 dicembre 1988; Trib. Marsala, 1 aprile 2005; Trib. Rimini, 29 febbraio 2002). Sulla base del disposto di cui all'art. 2434 (v.), l'approvazione del bilancio non importa liberazione degli amministratori per le responsabilità incorse nella gestione. Il terzo comma (inserito dalla l. 28 dicembre 2005, n. 262) prevede, poi, che l'azione di responsabilità possa anche essere promossa a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. La legittimazione passivaQuanto alla legittimazione passiva, questa compete a ciascuno degli amministratori e non al consiglio di amministrazione come corpus o come organo autonomo: l'azione può essere proposta, dunque, nei soli confronti di quei soli amministratori ritenuti inadempienti ai loro obblighi. L'azione promossa nei confronti degli amministratori di una società, per far valere la responsabilità dei medesimi introduce cause scindibili ed indipendenti, in quanto investe obbligazioni solidali, cioè rapporti autonomi, pur nella identità della prestazione gravante su ciascun debitore (Cass. n. 1760/1981). È pacifico, dunque, che non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 20476/2008). Il giudice competenteOggi, peraltro, l'art. 3 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 (nel testo modificato dall'art. 2 comma 1 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1) prevede che siano devolute alla competenza delle istituite sezioni specializzate in materia di impresa le tutte azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati. La revoca degli amministratoriQualora approvata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, la deliberazione di autorizzazione all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità importa la revoca automatica dall'ufficio degli amministratori contro i quali è proposta. Si tratta di una decadenza comminata dalla legge cui è attribuito il valore legale della revoca (Nazzicone, 199; Minervini, 469). Attesa la natura eccezionale della norma che prevede la decadenza, si esclude che abbia tale effetto la proposizione della azione di responsabilità da parte del collegio sindacale (Spiotta, 867). In caso di decadenza degli amministratori, l'assemblea deve provvedere immediatamente alla loro sostituzione, dovendosi escludere che in tal caso venga in rilievo il meccanismo della prorogatio (Trib. Milano, 22 marzo 1993; Trib. Como, 2 agosto 1999). Dubbi sono insorti in merito alla possibilità dell'azionista-amministratore revocato a partecipare alla votazione in ordine alla nomina del sostituto e se possa egli essere addirittura rieletto. La tesi affermativa si fonda sulla circostanza che le prerogative che derivano ad un soggetto dalla sua qualità di socio non sono comprimibili (Bonelli, 2004, 196). Secondo altra dottrina (Abriani, 512), gli amministratori revocati potrebbero votare nella delibera di nomina dei nuovi amministratori, ma non potrebbero essere eletti con il loro voto determinante (Abriani, 512). Termini per l'esercizio dell'azioneL'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica, come specificato dal quarto comma dell'articolo in commento. È dubbio se il termine ora indicato sia di decadenza ovvero di prescrizione. In senso favorevole alla prima alternativa è stato osservato che, diversamente, la norma sarebbe ridondante e priva di valore con riferimento a quanto disposto dall'art. 2941 n. 7 (Bussoletti, 311). Tuttavia, la dottrina maggioritaria sembra orientata, sulla base di una interpretazione sistematica e teleologica delle norme, a riconoscere natura prescrizionale al termine indicato (Ambrosini, 213; Sambucci, 387; Spiotta, 879; Nazzicone, 196). Si argomenta sulla eccezionale lunghezza del termine e sulla eccezionalità dei termini di decadenza. Rinunzia e transazioneL'ultimo comma dell'articolo in commento consente alla società, in quanto titolare del diritto al risarcimento, di rinunziare all'azione ovvero di transigerlo. In una ottica di tutela delle minoranze, tuttavia, la rinunzia e la transazione sono subordinate, da una parte, ad un espresso pronunciamento dell'assemblea e, dall'altra, alla mancata opposizione dei soci che siano titolari di una determinata aliquota del capitale sociale. Con riferimento alla prima condizione, si evidenzia che compete esclusivamente all'assemblea dei soci il potere di deliberare sia il promovimento dell'azione sociale di responsabilità sia la rinuncia all'esercizio di tale azione, sia la transazione. Pertanto, la rinuncia o la transazione effettuata dal nuovo amministratore (o dal legale rappresentante della società) senza la preventiva delibera assembleare è affetta non da mera inefficacia, secondo la disciplina dell'atto posto in essere dal rappresentante senza poteri, ovvero da mera annullabilità, in base alle regole sul difetto di capacità a contrattare, ma da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d'ufficio, atteso che detta delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti (Cass., n. 14963/2011; Cass. n. 10869/1999; Cass. n. 5123/1991; Cass. n. 2012/1983). Peraltro, la rinuncia, perché possa produrre efficacia, deve essere deliberata dall'assemblea in relazione a specifici e concreti episodi di amministrazione integranti la pretesa risarcitoria della società: per tale ragione, non è ammissibile una rinuncia anteriore ai fatti di mala gestio (Trib. Milano, 2 dicembre 2005; Trib. Milano, 10 febbraio 2000). Quanto ai patti parasociali che impegnano i soci (entranti) a votare contro l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, si evidenzia che secondo la giurisprudenza maggioritaria il patto con il quale i soci s'impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso sarebbe affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione realizza un conflitto d'interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell'interesse del terzo ed integra una condotta contraria alle finalità imposte dal modello legale di società, non potendo i soci, non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l'interesse della società, a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società (Cass. n. 1012572010; Cass. n. 7030/1994; Trib. Milano, 16 giugno 2014). Il Tribunale di Roma è, però, andato di contrario avviso statuendo che il patto parasociale con cui i soci compratori s'impegnino a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori è valido se stipulato a seguito della cessazione dalla carica degli amministratori medesimi (Trib. Roma 28 settembre 2015). Sul punto, cfr., sub art. 2341-bis La rinunzia e la transazione sono poi subordinate all'assenza di un voto contrario di una determinata aliquota del capitale sociale: lo scopo della norma è quello di conferire alle minoranze un sostanziale potere di veto (in dottrina Spiotta, 873). BibliografiaAbbadessa, La gestione dell'impresa nelle società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1974; Abbadessa, Il direttore generale, in Tr. 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