Codice Civile art. 2437 - Diritto di recesso 1 .

Guido Romano

Diritto di recesso 1.

[I]. Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti:

a) la modifica della clausola dell'oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società;

b) la trasformazione della società;

[c) il trasferimento della sede sociale all'estero;]2

d) la revoca dello stato di liquidazione;

e) l'eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto;

f) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell'azione in caso di recesso;

g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

[II]. Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso all'approvazione delle deliberazioni riguardanti:

a) la proroga del termine;

b) l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.

[III]. Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno.

[IV]. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso.

[V]. Restano salve le disposizioni dettate in tema di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento.

[VI]. È nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma del presente articolo.

 

[1] V. nota al Capo V.

[2] Lettera soppressa dall'art. 51, comma 1, d.lgs. 2 marzo 2023, n. 19.  Ai sensi dell'art. 56, comma 2, del medesimo decreto, il citato art. 51 si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto. La società che ha trasferito la sede statutaria all'estero prima di tale data mantenendo l'iscrizione nel registro delle imprese continua a essere regolata dalla legge italiana e, ai fini della giurisdizione e della legge applicabile, la sua sede si considera ubicata presso il registro delle imprese presso il quale ha mantenuto l'iscrizione. Per l'applicazione, v., inoltre, quanto disposto dai commi 1, 4 e 5 del d.lgs. n. 19, cit.

Inquadramento

La riforma del diritto societario ha, modificando in profondità il precedente assetto, inteso valorizzare l'istituto del recesso quale contrappeso del principio maggioritario ed al fine di bilanciare l'accresciuto potere della autonomia privata nella determinazione degli assetti societari con l'ampliamento delle possibilità di reazione, attraverso l'aumento delle ipotesi di exit, del singolo socio (Calavaglio, 1175). Si attua, così, una maggiore efficacia della tutela del socio di fronte a cambiamenti sostanziali delle condizioni dell'investimento (in senso diverso, Daccò, 2, secondo la quale l'interesse tutelato con l'ampliamento delle ipotesi di recesso sarebbe quello della maggioranza).

L'articolo in commento prevede, dunque, le cause di recesso che possono essere divise in tre categorie: a) cause di recesso necessarie, ineliminabili; b) cause di recesso previste in principio, ma eliminabili in sede di statuto; c) altre cause di recesso determinabili dallo statuto, libertà questa limitata alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in considerazione della turbativa che in società con diffusa platea azionaria porterebbero facili, diffusi recessi.

La legittimazione ad esercitare il diritto di recesso

L'articolo in commento conferisce il diritto di recesso ai soci che non hanno concorso ad una serie di deliberazione indicate in un successivo «catalogo». La dizione legislativa — rispetto alla precedente che conferiva il diritto di recesso solo ai dissenzienti — è certamente volta ad attribuire il diritto anche all'assente o all'astenuto, non concorrendo anche in tal caso il socio all'adozione della deliberazione.

Il recesso spetta ai soli soci assenti o dissenzienti, che rivestano tale qualità da data antecedente rispetto all'assemblea che ha deliberato la modificazione statutaria, e non anche, invece, a quanti, pur rivestendo tale qualità al momento dell'iscrizione della delibera nel registro dell'imprese, abbiano acquistato la proprietà delle azioni in data successiva a quella dell'adunanza assembleare (Cass. n. 21641/2005).

Il recesso parziale

La riforma del diritto societario ha anche previsto che il recesso possa essere esercitato per una parte soltanto delle azioni: tale opzione è giustificata nella relazione ministeriale sulla base della circostanza che, ponendo la nuova disciplina della società per azioni al suo centro l'azione piuttosto che la persona del socio, appare possibile consentire il recesso per una parte della partecipazione, ritenendo coerente che, mutato il quadro dell'operazione, il socio voglia rischiare di meno, ma continuare ad essere socio. Il recesso parziale non può essere esercitato, però, nelle ipotesi (previste quali cause derogabili statutariamente) di proroga del termine della società e di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni.

La circostanza che l'ultimo comma dell'articolo in commento preveda che è nullo ogni patto volto anche soltanto a rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso (nelle ipotesi previste dal primo comma) consente di affermare che lo statuto della società non potrebbe escludere o limitare la facoltà di un recesso parziale.

Le singole cause di recesso. Le fattispecie inderogabili

Come già evidenziato, l'articolo in esame distingue tra cause di recesso legali inderogabili, cause legali derogabili e cause statutarie.

Le prime sono contenute nel «catalogo» indicato al primo comma dell'art. 2437.

La prima fattispecie è costituita dalla modifica della clausola dell'oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società. La norma si spiega sulla base della considerazione che la modificazione (significativa) dell'oggetto sociale comporta un mutamento delle condizioni di rischio dell'investimento che il socio aveva previamente valutato, al momento dell'ingresso nella società (Cavalaglio 1180, Acquas, Lecis, 33). Alla luce della ratio così individuata deve essere, dunque, interpretato l'aggettivo «significativo» indicato dal legislatore come caratterizzante la fattispecie in esame. Il cambiamento rilevante importa una modificazione radicale dell'attività tale da rendere l'oggetto dell'impresa effettivamente diverso da quello precedentemente esistente (Cavalaglio 1181, Carmigiani, 879). Il recesso spetta, dunque, solo ove la mutatio si traduca in una attività sensibilmente difforme da quella precedentemente esercitata poiché solo tali cambiamenti sono idonei a modificare l'alea connessa all'esercizio dell'impresa (Callegari in Tr. R., 288) e la convenienza dell'investimento (Carmignani 879).

La delibera di cambiamento dell'oggetto sociale è solo quella che, nel configurare l'oggetto della società in modo completamente diverso da quello precedente, comporti lo snaturamento dell'attività e dello scopo sociale, e si differenzia dal semplice completamento di una attività che si svolge nell'ambito dello stesso settore merceologico (Cass. n. 14963/2007).

La norma richiede, ai fini della legittimità dell'esercizio del diritto di recesso, che la modificazione dell'oggetto sociale intervenga con una formale modificazione della clausola statutaria restando irrilevante una modifica di fatto attuata attraverso lo svolgimento in concreto di una attività di impresa estranea all'oggetto sociale.

Tale conclusione è, peraltro, aderente alla lettera dell'articolo in commento ed è confermata dal confronto con la fattispecie prevista nella disciplina della società a responsabilità limitata laddove è espressamente previsto che legittima l'esercizio del recesso il compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo (art. 2473, comma 1) (Di Cataldo, 227; Galletti, 1499, Daccò, 145).

La seconda causa di recesso prevista dall'articolo in commento è costituita dalla trasformazione della società, dizione questa che ha sostituito quella precedente di «cambiamento del tipo». Il mutamento terminologico consente di includere nella fattispecie anche le ipotesi di passaggio ad una differente struttura organizzativa (art. 2500 septies) (Callegari in Tr. R., 291, Cavalaglio, 1182).

L'art. 51, comma 1, d.lgs. 2 marzo 2023, n. 19 ha soppresso la causa di recesso costituita dal trasferimento della sede sociale all’estero. La soppressione si è resa necessaria per coordinare le disposizioni codicistiche in tema di recesso (artt. 2437 e 2473) con la nuova disciplina dettata per il trasferimento di sede all’estero che, essendo assoggettata al procedimento dettato per le trasformazioni transfrontaliere, contiene specifiche disposizioni a tutela dei diritti dei soci.

La norma è stata criticata in quanto anacronistica alla luce della internazionalizzazione dei mercati (Callegari in Tr. R., 291, Galletti, 1622).

Il catalogo prosegue, poi, indicando tra le cause giustificatrici del recesso la revoca dello stato di liquidazione.

Prima della riforma, era dibattuta la possibilità di revocare a maggioranza lo stato di liquidazione affermandosi da una parte della dottrina e della giurisprudenza che, con lo scioglimento, sorgesse il diritto del socio alla liquidazione della quota con la conseguenza che una eventuale revoca avrebbe richiesto il consenso unanime dei soci (così Cass. n. 8928/1994, Cass. n. 2734/1983). Oggi, invece, da una parte, l'art. 2487-ter consente che lo stato di liquidazione venga revocato in ogni momento con le maggioranze necessarie per le modificazioni dell'atto costitutivo e, dall'altro, il socio dissenziente trova la sua tutela attraverso il riconoscimento del diritto di recesso.

L'articolo in commento prevede, poi, il diritto di recesso nei casi di eliminazione di una o più cause statutarie di recesso facoltativo e di modifica dei criteri di liquidazione della quota. La prima ipotesi è volta ad impedire alla maggioranza di alterare l'ampiezza del potere di disinvestimento attraverso l'eliminazione delle ipotesi di recesso introdotte statutariamente: il diritto spetta, peraltro, indipendentemente dal fatto che la modifica sia migliorativa o peggiorativa, ma si ricollega esclusivamente alla eliminazione della causa di recesso (Callegari 293). La seconda ipotesi impedisce alla maggioranza degli azionisti di vanificare il diritto di recesso del socio attraverso deliberazioni che abbiano ad oggetto (non già il recesso in sé, ma) i criteri di liquidazione della partecipazione. In tali ipotesi, la liquidazione della partecipazione del socio che esercita il diritto di recesso avviene sulla base dei criteri precedenti e non sulla base dei criteri introdotti dalla deliberazione che legittima il recesso (Callegari in Tr. R., 294; Di Cataldo, 228).

L'ultima causa prevista come inderogabile dall'art. 2437 comma 1 è costituita dalle modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

Mentre secondo una interpretazione estensiva, il diritto di recesso sorgerebbe anche di fronte a deliberazioni che introducono modificazioni statutarie tali da incidere solo indirettamente sulle posizioni soggettive del socio, secondo altra impostazione, il recesso sarebbe legittimato di fronte alle deliberazioni che hanno direttamente ad oggetto la modificazione dei diritti di voto o di partecipazione dei soci e per la cui adozione, in assenza del rimedio dell'exit, si potrebbe dubitare dell'applicazione del principio maggioritario. (Calandra Buonaura, 296).

In giurisprudenza si osserva che non legittima il diritto di recesso la delibera assembleare che, modificando lo statuto, introduca limitazioni o indirettamente aggravi la possibilità dei soci di minoranza, nel contesto di un sistema di voto per lista, di concorrere alla nomina di componenti del consiglio di amministrazione (Trib Roma, 30 aprile 2014, in Giur. comm., 2015, II, 864; così anche App. Brescia, 2 luglio 2014, in Giur. comm., 2015, II, 1053). In senso parzialmente contrario, in una ipotesi non del tutto analoga alle precedenti, si è posto Trib. Milano, 31 luglio 2015 (in Giur. it., 2015, 2398) secondo il quale spetta il diritto di recesso al socio di società per azioni che non abbia contribuito ad approvare la deliberazione che prevede l'eliminazione del meccanismo del voto di lista per la nomina dei componenti del consiglio di amministrazione.

In tema di recesso dalle società di capitali, la delibera assembleare che muti il "quorum" per le assemblee straordinarie, riconducendolo a previsione legale, non giustifica il diritto del socio al recesso ex art. 2437, lett. g ), perché l’interesse della società alla conservazione del capitale sociale prevale sull’eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio, che non vede inciso, né direttamente né indirettamente, il suo diritto di partecipazione agli utili ed il suo diritto di voto a causa del mutamento del "quorum" (Cass. n. 13875/2017).

Oltre alle ipotesi previste dall'articolo in commento, sussistono altre ipotesi di recesso indisponibile previste da altre norme: 1) art. 2343 comma 4 che consente il recesso ove risulti che il valore dei beni o dei crediti conferiti è inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento; 2) l'art. 2437 quinquies che legittima il recesso dei soci di società quotate che non abbiano concorso alla deliberazione che comporti il delisting dei titoli; 3) l'art. 2497-quater che disciplina il recesso del socio di società soggetta a direzione e coordinamento; 4) l'art. 34 d.lgs. n. 5/2003 che riconosce ai soci assenti e dissenzienti il diritto di exit in caso di introduzione o soppressione di clausole compromissorie statutarie.

La durata indeterminata della società

Il terzo comma dell'articolo in commento pone una ulteriore ipotesi di recesso inderogabile. È, infatti, previsto che, se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno.

Si tratta di una ipotesi di recesso ad nutum che risponde al generale riconoscimento della libertà di risoluzione anticipata dei contratti senza determinazione di durata (Callegari in Tr. R., 296) e si ricollega alla volontà di evitare l'eccessiva immobilizzazione dell'investimento (Cavalaglio 1186; Delli Priscoli, 26).

È, però, dubbio se il recesso spetti anche in caso di fissazione statutaria di un termine eccessivamente lungo ovvero commisurato a tutta la vita di uno dei soci: la dottrina maggioritaria (Callegari 296, Galletti, 1519) è orientata in senso negativo.

Superando un lungo contrasto, la giurisprudenza di legittimità è giunta ad affermare che, in tema di società di capitali, la previsione di un termine di durata particolarmente lungo, largamente superiore alle aspettative di vita di uno dei soci, non può essere assimilata all'ipotesi di società contratta a tempo indeterminato, con conseguente esclusione del diritto di recesso del socio (Cass., n. 4716/2021).

Le cause di recesso derogabili

Il secondo comma dell'articolo in commento prevede due ipotesi di recesso disponibili da parte dei soci, in quanto, in tali casi, lo statuto potrà sia escludere sia rendere più gravoso il diritto.

Si tratta delle fattispecie costituite dalla proroga del termine e dall'introduzione (o rimozione) di vincoli alla circolazione dei titoli azionari. La prima fattispecie è tesa a proteggere, a fronte della decisione della maggioranza che deliberi una proroga della società, il diritto del socio alla liquidazione della quota e, quindi, al disinvestimento alla scadenza programmata (Cavalaglio 1190, Callegari, in Tr. R., 305). La seconda ipotesi, invece, mira a tutelare l'interesse del socio a mantenere il regime di circolazione dei titoli azionari esistenti ovvero il livello di commerciabilità della sua partecipazione (Cavalaglio 1191).

Per il legittimo esercizio del diritto di recesso del socio di s.p.a., ai sensi dell'art. 2437, comma 2, lett. b), c.c., è sufficiente una qualsiasi modifica statutaria che comporti l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni, non essendo richiesta alcuna indagine in ordine alla rilevanza sostanziale di tale modifica rispetto alla disciplina precedente (Cass., n. 20546/2022).

Le cause convenzionali di recesso

Lo statuto delle società che non fanno ricorso al capitale di rischio può, poi, prevedere ulteriori cause di recesso. La possibilità di introdurre fattispecie convenzionali non incontra limiti: esso potrà non essere legato ad una determinata deliberazione assembleare, essere totale o parziale, oppure sottoposto a condizione o a termine (Cavalaglio 1192). In questa prospettiva, si è infatti affermato che può essere presa in considerazione qualsivoglia circostanza purché obiettivamente determinata che abbia attinenza con la organizzazione della società o con l'attività economica da essa intrapresa (Acquas Lecis, 73). È però dubbio se la causa possa essere generica e, in particolare, se possa rilevare la giusta causa (in senso negativo, Di Cataldo, 232, Acquas, Lecis, 73, contra, Cavalaglio, 1192, Delli Priscoli, 1193).

Secondo la S.C., è lecita la clausola statutaria di una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, la quale, ai sensi dell'art. 2437, comma 4, c.c., preveda, quale ulteriore causa di recesso, la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un termine congruo di preavviso (Cass. n. 2629/2024).  

L'inderogabilità della norma

L'ultimo comma dell'articolo in commento sanziona con la nullità ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma: la sanzione è, dunque, limitata alle cause legali inderogabili di recesso.

La nullità colpisce, in particolare, sia le clausole societarie che possano costituire un ostacolo al libero esercizio del diritto sia eventuali accordi parasociali che pongano lo stesso effetto di sopprimere o alterare in senso peggiorativo l'esercizio del diritto (Cavalaglio 1193, Acquas, Lecis, 1194). Secondo una parte della dottrina, peraltro, sarebbero nulle anche le clausole che deroghino alla disciplina legale in senso più favorevole al socio e ciò perché lesive dei diritti dei creditori e del sistema in generale (Di Cataldo, 233).

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