Codice Civile art. 2495 - Cancellazione della società 1 .Cancellazione della società 1. [I]. Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, salvo quanto disposto dal secondo comma2. [II]. Decorsi cinque giorni dalla scadenza del termine previsto dal terzo comma dell'articolo 2492, il conservatore del registro delle imprese iscrive la cancellazione della società qualora non riceva notizia della presentazione di reclami da parte del cancelliere.3 [III]. Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società.
[2] Le parole «, salvo quanto disposto dal secondo comma» sono state aggiunte dall'art. 40, comma 12-ter, lett. b), n. 1 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. in l. 11 settembre 2020, n. 120, con entrata in vigore il 15 settembre 2020. [3] Comma inserito dall'art. 40, comma 12-ter, lett. b), n. 2 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. in l. 11 settembre 2020, n. 120, con entrata in vigore il 15 settembre 2020. InquadramentoLa liquidazione della società si conclude con l'iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese dalla quale deriva l'effetto estintivo dell'ente ancorché detta iscrizione sia intervenuta in presenza di rapporti giuridici pendenti: i creditori sociali insoddisfatti potranno, dunque, agire in responsabilità nei confronti dei soci, nei limiti di quanto da questi ricevuto in sede di riparto, ovvero nei confronti dei liquidatori qualora il mancato pagamento sia dipeso da colpa di questi (sul punto, Fimmanò, 296 ss.; Giannelli, 1060 ss.). L'art. 40 d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (convertito, con modificazioni, in l. 11 settembre 2020, n. 120) ha, poi, introdotto il comma 2 dell'articolo in commento a mente del quale, decorsi cinque giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma 3 dell'art. 2492 c.c., il conservatore del registro delle imprese iscrive la cancellazione della società qualora non riceva notizia della presentazione di reclami da parte del cancelliere. Sulla base di tale nuova disciplina, la cancellazione della società dal registro delle imprese costituisce un atto autonomo del conservatore del registro delle imprese, non subordinato alla presentazione della relativa domanda da parte del liquidatore, ma soltanto alla mancata presentazione di reclami avverso il bilancio finale di liquidazione. L'effetto estintivo della cancellazione dal registro delle imprese ed il regime delle sopravvenienzeUna volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Essi devono provvedere senza indugio, ma, in caso di loro inerzia, la dottrina ammette che possano provvedervi anche i soci o i sindaci, così come il notaio che abbia redatto il verbale della riunione dei soci in caso di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea straordinaria (Dimundo 200, Niccolini, 1836). Prima della riforma del diritto societario del 2003 si riteneva che l'estinzione della società derivasse non già dalla sua cancellazione dal registro delle imprese (recte, dalla iscrizione della cessazione della società nel registro), la quale, dunque, aveva natura dichiarativa, ma dalla definizione di tutti i rapporti giuridici pendenti. La costante giurisprudenza di legittimità aveva affermato il principio per cui la cancellazione dal registro delle imprese determinava solamente una presunzione di estinzione della società, come tale suscettibile di prova contraria, sicché i creditori sociali rimasti insoddisfatti, nonostante l'avvenuta cancellazione potevano ancora agire nei confronti della società in persona dei liquidatori, fino ad arrivare a richiederne la dichiarazione di fallimento (cfr., Cass. n. 10555/2001; Cass. n. 7972/2000). Intervenuta la riforma, il problema dell'effetto estintivo della cancellazione della società è tornato all'attenzione della dottrina e della giurisprudenza, la quale si è interrogata sulla natura costitutiva o dichiarativa della cancellazione. Alla luce del contenuto dell'inciso relativo all'estinzione della società che si rinviene nel testo del secondo comma del vigente art. 2495, successivo alla riforma, la giurisprudenza aveva evidenziato che la norma in discorso attribuisce efficacia costitutiva alla cancellazione della società dal registro delle imprese a prescindere dalla sopravvivenza o anche della sopravvenienza di attività o di passività (cfr., Cass. S.U., n. 4060/2010; Cass. S.U., n. 4061/2010; Cass. I, n. 16758/2010 seguite poi da numerose pronunce di merito: App. Roma, III, 7 settembre 2010, n. 3467; Trib. Monza, 18 gennaio 2011; fra le più recenti, in tema essenzialmente di conseguenze processuali dell'estinzione, Cass. n. 17500/2012; Cass. n. 11968/2012). In altre parole, secondo gli arresti delle sezioni unite della Corte di cassazione, la novella normativa ha introdotto, per le società di capitali, una clausola di salvezza dell'effetto estintivo della cancellazione, tramite l'incipit dell' art. 2495, comma 2 («ferma restando l'estinzione della società»): e tale effetto è confermato dal tenore del secondo comma dell' art. 2495, comma 2, a mente del quale la domanda del creditore sociale insoddisfatto verso il socio o il liquidatore della società cancellata, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società. È stato oggetto di discussione la possibilità di procedere alla cancellazione dal registro delle imprese dell'iscrizione di cancellazione della società: e tale problematica è stata affrontata con riferimento alla sopravvivenza (o sopravvenienza) di debiti e di posizioni attive della società stessa. In particolare, con riferimento ai primi, è stato osservato che la presenza di passività non soddisfatte, esistenti al momento del deposito del bilancio finale di liquidazione ovvero a questo sopravvenute, non può considerarsi sintomatica di una cancellazione avvenuta in mancanza dei presupposti previsti dalla legge perché, alla luce del precetto contenuto nel citato art. 2495, comma 2, la liquidazione è compiuta e la società si estingue con la cancellazione anche se rimangono creditori insoddisfatti.. Per converso, quando alla cancellazione abbia fatto seguito la distribuzione ai soci di un attivo residuo, ai sensi del secondo comma dell'art. 2495, i creditori sociali insoddisfatti potranno far valere i loro crediti nei confronti dei soci stessi, nei limiti delle somme da essi riscosse. Più complessa la vicenda con riferimento alla concreta praticabilità della richiesta di cancellazione d'ufficio della cancellazione in caso di residui attivi non liquidati ovvero di sopravvenienze attive della liquidazione della società. Per superare le difficoltà concettuali nel ravvisare dei beni sostanzialmente “adespoti”, era stato evidenziato come l'unica via effettivamente percorribile fosse quella della c.d. cancellazione della cancellazione della società. Nell'ottica da ultimo indicata si era orientata la giurisprudenza di numerosi giudici del registro che ai sensi dell'art. 2191. Tuttavia, il percorso giurisprudenziale è stato completamente “ripensato” da un successivo intervento delle sezioni unite della Corte di cassazione che ha affrontato ex professo gli aspetti illustrati (cfr., Cass. S.U., n. 6070/2013; Cass., n. 7327/2016). È stato affermato che, qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto una attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato. Ora, proprio in ragione del fenomeno successorio indicato, il debito della società del quale possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo che trae origine dalla liquidazione dell'ente, ma si identifica con il medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica. Nella prospettiva di uniformità del fenomeno successorio, le sezioni unite hanno rilevato che se l'esistenza dell'ente collettivo e l'autonomia patrimoniale che lo contraddistingue impediscono, pendente societate, di riferire ai soci la titolarità dei bene e dei diritti unificati dalla destinazione impressa dal vincolo societario, è ragionevole ipotizzare che, venuto meno tale vincolo, la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale. Conseguentemente, essendo completamente regolato dall'art. 2495 l'effetto estintivo ed il conseguente effetto successorio delle posizioni attive residue rispetto alla cancellazione non potrà più procedersi alla cancellazione dal registro delle imprese dell'iscrizione della cessazione della società. Le conclusioni ora esposte sono state poi confermate dalla giurisprudenza di legittimità successiva (Cass., n. 6722/2021 ; Cass. n. 16638/2015; Cass. n. 25974/2015; Cass., n. 15474/2017; Trib. Bari, 13 marzo 2014, n. 1355; Trib. Firenze, 15 gennaio 2015, n. 102; Trib. Roma, 22 settembre 2016). Si è, poi, affermato che in ipotesi di società estinta, l'interpretazione circa l'effettiva rinuncia a elementi attivi del patrimonio che, benché conosciuti, non siano stati presi in considerazione dalla società e dagli organi che hanno proceduto alla liquidazione, impinge nella valutazione di elementi di fatto che è sottratta al sindacato di legittimità, se non tempestivamente e compiutamente dedotta nelle fasi di merito dalla parte interessata (Cass. n. 18250/2014). Inoltre, dopo la cancellazione della società dal Registro delle Imprese, i creditori sociali, non soddisfatti, possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. Ciò implica che l'obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ove i soci stessi siano limitatamente responsabili (Cass., n. 15474/2017). Sotto il profilo, processuale, si evidenzia che la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina l'estinzione dell'ente e, quindi, la cessazione della sua capacità processuale, il cui difetto originario è rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità e comporta, in quest'ultimo caso, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione (Cass. n. 21188/2014). Anche la Corte costituzionale è intervenuta ribadendo i principi ora espressi (Corte cost. n. 198/2013; Corte cost. n. 53/2016). L'estinzione della società non fa venire meno l'interesse ad agire in revocatoria perché il creditore non potrebbe più conseguire un titolo esecutivo nei confronti del soggetto estinto: ed infatti, non solo il titolo esecutivo validamente formato contro la società, anteriormente alla cancellazione dal Registro delle imprese, può essere fatto valere, dopo l'estinzione della società, direttamente nei confronti dei soci che assumono la posizione di soggetti passivi dell'azione esecutiva, ma il titolo esecutivo può essere conseguito anche dopo l'estinzione del soggetto societario ― per un credito insorto pendente societate ―, dovendo intendersi legittimati passivi della domanda di accertamento del credito i singoli soci, che assumono la qualità di successori a titolo particolare del soggetto estinto subentrando nei rapporti attivi e passivi che facevano capo alla società (Cass., n. 21105/2016). L'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (Cass., n. 9464/2020; Cass., n. 22432/2020; Cass., 30075/2020; in senso contrario cfr. Cass. n. 21071/2023 ). Il mero omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi, da cui consegua la cancellazione d'ufficio della società dal registro delle imprese, non costituisce presunzione grave, precisa e concordante di rinuncia al credito di cui la società è titolare e non è qualificabile come negozio di remissione del debito (Cass. n. 24078/2024; Cass. n. 13534/2021 ). Le residue ipotesi di cancellazione della iscrizione della cessazione della societàLa dottrina e la giurisprudenza successive alla decisione delle sezioni unite ora illustrata si è, però, interrogata se sussistano, ancora oggi, ipotesi in cui sia doveroso procedere ad una cancellazione dell'iscrizione di cessazione della società. Una parte della giurisprudenza dei giudici del registro ha risposto affermativamente. In particolare, si è rilevato che la cancellazione non segue immediatamente il verificarsi di una causa di scioglimento, ma è il risultato di una fattispecie a formazione progressiva, articolata nell'accertamento ad opera degli amministratori della causa di scioglimento, nella nomina assembleare di un liquidatore, nell'attività di liquidazione in senso proprio, culminante nella redazione del bilancio finale di liquidazione recante l'indicazione della parte spettante a ciascun socio nella divisione dell'attivo. Solo a seguito di tale procedimento e dell'approvazione del bilancio finale, può aver luogo la cancellazione. Pertanto, in una ipotesi in cui a seguito del conferimento dell'intero patrimonio ad un trust liquidatori, il bilancio finale di liquidazione riportava tutte le poste contabili “a zero” si è ritenuto che l'attività di liquidazione sia meramente apparente con la conseguenza che la iscrizione della cancellazione della società deve essere a sua volta cancellata in base all'art. 2191 (Trib. Milano, 22 novembre 2013, Soc., 2014, 356; Trib. Roma, 19 aprile 2016). In questa prospettiva, si è anche osservato che tra le verifiche che l'ufficio del registro delle imprese deve compiere al momento della presentazione della richiesta di cancellazione della società vi è la lettura delle poste contabili indicate e che, dunque, l'azzeramento formale dell'attivo e del passivo non è sufficiente a ottenere l'iscrizione del (deposito del) bilancio finale. Ciò in particolare quando risulti, per tabulas, che grazie al conferimento in trust la liquidazione venga posticipata alla cancellazione della società (Riva Crugnola, 1246 ss.). Si vedano sul punto anche le indicazioni operative circa i controlli dell'ufficio in ordine all'iscrizione nel registro delle imprese del deposito del bilancio finale di liquidazione. È stato, poi, affermato che deve disporsi la cancellazione del provvedimento di cancellazione dal registro delle imprese di una società, di capitali il cui bilancio finale di liquidazione era stato approvato a maggioranza dall'assemblea, adottato quando non era ancora decorso il termine di legge per il reclamo avverso il bilancio finale (Trib. Milano, 19 maggio 2014, Giur. it., 2014, 1937). La responsabilità prevista dal secondo comma. La responsabilità dei sociIl secondo comma dell'articolo in commento prevede che, dopo la cancellazione (e ferma restando l'estinzione della società), i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. Iniziando l'analisi dalla responsabilità dei soci, la dottrina osserva che questa è circoscritta alla quota di patrimonio loro spettante in base al bilancio finale di liquidazione il quale, dunque, definisce la responsabilità dei soci (Giannelli 1075). L'interpretazione estensiva della disciplina di cui all'art. 2495 comma 2, permette di affermare la ricorrenza della responsabilità dei soci cessati verso i creditori sociali non solo entro i limiti delle somme riscosse dai soci in base al bilancio finale di liquidazione ma anche entro i limiti di successive attribuzioni patrimoniali pervenute ai soci cessati in dipendenza del loro subentrare nelle posizioni attive della società cancellata (Trib. Milano, 20 maggio 2013, Giur. comm., 2015, II, 73; in arg. cfr. Cass. n. 18720/2024). Segue. La responsabilità del liquidatoreLa responsabilità dei liquidatori si fonda sulla prova di due presupposti, uno di natura oggettivo relativo al mancato pagamento dei debiti sociali e l'altro di natura soggettiva consistente nella riconducibilità del mancato pagamento al comportamento doloso o colposo dei liquidatori, per cui la lesione dei diritti dei creditori si sostanzia nel mancato adempimento, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico, dei doveri legali e statutari (Trib. Roma, 19 luglio 2011, Giur. mer., 2013, 335). Ovviamente, la responsabilità del liquidatore deve essere esclusa quando il mancato pagamento del debito sociale non dipenda dal mancato inserimento di quest'ultimo nel bilancio finale, quanto piuttosto dalla mancanza di qualsiasi risorsa economica necessaria per poter procedere al pagamento. Quanto alla natura, la responsabilità dei liquidatori in argomento costituisce una responsabilità di matrice tipicamente extracontrattuale per lesione del diritto di credito del terzo. Ed invero, non appare condivisibile l'opinione — peraltro, del tutto minoritaria in dottrina — che ravvisa, nella fattispecie in esame, un caso di responsabilità di natura contrattuale in considerazione della sua derivazione dalla violazione di una preesistente obbligazione ex lege (Trib. Milano, 17 febbraio 2005, Giustizia a Milano, 2005, 79). La natura extracontrattuale della responsabilità dei liquidatori per omesso pagamento dei debiti della società estinta non è scevra di conseguenze in ordine al regime probatorio e della prescrizione. Ed infatti, proprio in ragione di tale inquadramento, deve ritenersi che ricade in capo al creditore che agisca in giudizio al fine di far valere la responsabilità del liquidatore l'onere probatorio in relazione all'esistenza del credito, all'inadempimento da parte della società e, in particolare, alla condotta dolosa o colposa del liquidatore, oltre, ancora, al nesso di causalità con il mancato soddisfacimento del credito (Cass., n. 3216/1994, nonché Tribunale Milano, 17 febbraio 2005 cit.). In altre parole, il creditore sociale rimasto insoddisfatto che intenda agire nei confronti del liquidatore ha l'onere di provare l'esistenza nel bilancio finale di liquidazione di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito, e che, invece, sia stata distribuita ai soci, oppure la sussistenza di una condotta dolosa o colposa del liquidatore cui sia imputabile la mancanza di attivo. In tema di liquidazione di società di capitali, la responsabilità verso i creditori sociali prevista dall'art. 2495 c.c. ha natura aquiliana, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto di dedurre ed allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della par condicio creditorum. In particolare, quanto alla dimostrazione della lesione patita, il medesimo creditore, qualora faccia valere la responsabilità "illimitata" del liquidatore, affermando di essere stato pretermesso nella detta fase a vantaggio di altri creditori, deve dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell'apertura della fase di liquidazione, e il conseguente danno determinato dall'inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti; grava, invece, sul liquidatore l'onere di dimostrare l'adempimento dell'obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali e di averli pagati nel rispetto della "par condicio creditorum", secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all'epoca esistenti. Diversamente, ove vi sia stata una ripartizione dell'attivo a favore dei soci e il creditore agisca facendo valere la loro responsabilità "limitata", l'attore è tenuto a provare che l'importo preteso sia di ammontare eguale o superiore a quello riscosso dal socio in sede di liquidazione, sulla base del relativo bilancio, poiché è attraverso la vicenda successoria ex lege che il medesimo socio rimane obbligato nei confronti del creditore sociale, divenendo la percezione della quota dell'attivo sociale elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato (Cass., n. 521/2020; Cass., n. 19008/2020). La dottrina precisa che il danno per il creditore pretermesso non può consistere nella perdita totale o parziale del proprio credito, ma nella perdita derivante dalla mancata percezione della quota di attivo colpevolmente o dolosamente attribuita ai soci (Giannelli 1079). 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