Codice Civile art. 2533 - Esclusione del socio (1).

Guido Romano
aggiornato da Rossella Pezzella

Esclusione del socio (1).

[I]. L'esclusione del socio, oltre che nel caso indicato all'articolo 2531, può aver luogo:

1) nei casi previsti dall'atto costitutivo;

2) per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico;

3) per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società;

4) nei casi previsti dall'articolo 2286;

5) nei casi previsti dell'articolo 2288, primo comma.

[II]. L'esclusione deve essere deliberata dagli amministratori o, se l'atto costitutivo lo prevede, dall'assemblea.

[III]. Contro la deliberazione di esclusione il socio può proporre opposizione al tribunale, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione.

[IV]. Qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti.

(1) V. nota al Titolo VI.

Inquadramento

L'esclusione del socio dalla cooperativa — che consiste nello scioglimento particolare del vincolo sociale per decisione unilaterale della società — è consentita soltanto in particolari circostanze e, in via di principio, solo in presenza di un inadempimento del socio ovvero quando la sua partecipazione sia incompatibile, inutile o dannosa con il perseguimento del fine sociale (Bonfante, 148). Nelle società cooperative, il fondamento dell'esclusione è legato alle finalità mutualistiche della società.

Le ipotesi di esclusione

La norma in commento fornisce un catalogo delle cause di esclusione, catalogo che, però, è integrabile dall'atto costitutivo.

L'art. 2533, anche se amplia le cause di esclusione dalla società cooperativa alle altre cause contemplate dall'atto costitutivo, costituisce pur sempre applicazione della disciplina generale in tema di risoluzione del contratto per inadempimento (così, Cass., n. 1936/1989).

La norma detta, in primo luogo, una causa generica di esclusione costituita dalle gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico.

L'esclusione può ritenersi legittima solo nel caso in cui l'inadempimento non rivesta scarsa importanza, nel senso che deve essere tale da impedire o rendere più gravoso il perseguimento del fine sociale e sia, comunque, imputabile ad un comportamento doloso o colposo del socio (Cass., n. 8251/2002.; Cass., n. 2697/1995.; Cass., n. 14741/2011). Al fine dell'esclusione di un socio di una società cooperativa per inadempimento, configurano requisiti necessari, sindacabili dal giudice in sede di impugnazione da parte dell'interessato della deliberazione da parte del competente organo collegiale, la colposità del detto inadempimento, e la gravità del medesimo, da riscontrarsi in relazione al pregiudizio arrecato al perseguimento dello scopo sociale (cfr. Cass., n. 4598/1988).

Fra i comportamenti idonei a giustificare l'esclusione del socio di una cooperativa di capitali, ha stabilito che può assumere rilevanza l'abuso del diritto di difesa nell'ambito di un giudizio intentato nei confronti della società, ove tale comportamento valga a configurare un tentativo di limitare l'attività economica dell'organismo societario e quindi di arrecare a quest'ultimo un danno patrimoniale e d'immagine (Cass., n. 8251/2002). È stato, poi, considerata giusta causa di esclusione l'esercizio volutamente ostruzionistico ed ostile verso la società dei diritti sociali (App. Bari, 7 gennaio 1995, in Giur. comm., 1985, II, 821; App. Milano, 24 febbraio 1989, in Giust. Civ., 1989, I, 1911; ma si vedano Cass., n. 2690/1996.; Cass., n. 2190/2013 che hanno stabilito la nullità di una delibera di esclusione di un socio che aveva proposto querela nei confronti del presidente della cooperativa).

L'esclusione può essere disposta per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società.

La riforma ha superato il contrasto esistente in precedenza in dottrina e in giurisprudenza sancendo definitivamente che, anche in relazione a tali ipotesi, si tratta di esclusione facoltativa (Bonfante 152). Anche il fallimento del socio oggi costituisce una causa facoltativa di esclusione (sul punto, Delli Priscoli, 307 ss.; Callegari, 2534).

L'esclusione può essere disposta, poi, negli altri casi previsti dall'atto costitutivo.

Sul punto, la dottrina precisa che, in tali ipotesi, dovrebbe ritenersi la gravità presunta dalla volontà dei soci (Bonfante, 154; contra Bassi, 301 secondo il quale in ogni caso l'inadempimento dovrebbe essere grave)

Per altro verso, si ritiene che non sarebbe legittima una clausola di esclusione basata su eventi che non hanno alcun riferimento con le finalità di quella cooperativa o che violino principi generali dell'ordinamento (Bonfante, 155).

Sono, così, ritenute invalide le clausole che, per la loro assoluta genericità, impediscono in concreto di verificare la sussistenza, in concreto, degli addebiti anche al fine di evitare una eccessiva discrezionalità dell'organo amministrativo (App. Bari, 3 dicembre 1996, in Not., 1997, 48; Trib. Milano, 26 settembre 1988, in Soc., 1988, 1268; Trib. Milano, 9 marzo 1989, in Soc., 1989, 1040). Così, la clausola statutaria che prevede l'esclusione del socio il quale, in qualunque modo, arrechi danno materiale o morale alla cooperativa e fomenti in seno ad essa dissidi e disordini è nulla, per contrasto con l'art. 1346 (Trib. Torino, 19 gennaio 2001, in Soc., 2001, 1102).

Il procedimento di esclusione

Quale che sia il motivo di esclusione, essa può avvenire solo se vi è un formale provvedimento di esclusione dalla struttura associativa (Delli Priscoli, 305). La norma in argomento demanda all'organo amministrativo la competenza a deliberare l'esclusione, ove lo statuto non disponga diversamente.

È inesistente il provvedimento espulsivo del socio di cooperativa adottato con lettera raccomandata firmata dagli amministratori e da alcuni soci: tale documento, infatti, non è idoneo ad integrare gli estremi identificativi di una deliberazione consiliare di esclusione (Trib. Potenza, 18 gennaio 2000, in Giur. comm., 2001, II, 372). Non è, però, necessaria la preventiva contestazione dell'addebito al socio, atteso che tale contestazione non è prevista da alcuna disposizione di legge (né, nella specie, dello statuto) e che la fase contenziosa non ha carattere preventivo, ma segue in sede di opposizione (Cass., n. 7308/1994).

La deliberazione di esclusione deve rispondere ai canoni della autonomia e della completezza, nel senso che dal suo contenuto debbono emergere i fatti specifici oggetto dell'addebito che consente il sacrificio del diritto al permanere del rapporto sociale (cfr. Trib. Roma, 20 febbraio 2002; App. Milano, 7 novembre 1989 in Giur. it., 1990, I, 505; Cass., n. 6027/1979).

La deliberazione deve essere, poi, comunicata all'interessato personalmente (Cass., n. 7592/1999). La comunicazione al socio della delibera di esclusione svolge la funzione d'informarlo non tanto di ciò di cui si è discusso nel corso del procedimento, bensì delle ragioni in concreto ritenute giustificative dell'esclusione dall'organo deliberante, dal momento che su di esse egli dovrà articolare le proprie difese; la sua incompletezza non comporta pertanto l'invalidità dell'atto, ma incide esclusivamente sulla decorrenza del termine per l'opposizione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la conoscenza da parte del socio degli addebiti contestatigli nel corso del procedimento, in quanto gli stessi possono anche non coincidere con quelli posti a base dell'esclusione come deliberata dal competente organo societario, ben potendo accadere che gli iniziali addebiti siano ridimensionati o riconfigurati nella decisione finale, ovvero che quest'ultima, in caso di pluralità di addebiti, si basi soltanto su alcuni di essi (Cass., n. 11558/2008; Cass., n. 3577/2014). La comunicazione dell'esclusione, ai fini del decorso del termine per proporre opposizione, non richiede l'adozione di specifiche formalità o di particolari mezzi di trasmissione, né la rigorosa enunciazione degli addebiti, dovendosi considerare sufficiente qualsiasi fatto o atto idoneo a rendere edotto il socio delle ragioni e del contenuto del provvedimento per porlo, conseguendosi in tal modo le finalità previste dalla legge, nelle condizioni di articolare le proprie difese (Cass., n. 11402/2004; Cass.,n. 23628/2015). L'eventuale incompletezza, ovvero la mancata specificità della comunicazione non incide, pertanto, sulla validità e sull'operatività del provvedimento (potendo spiegare rilievo solo al diverso fine di consentire un'opposizione tardiva o non specifica), e diviene, comunque, irrilevante quando l'escluso dimostri di essere pienamente consapevole delle vicende concretamente addebitategli, per avere su di esse fondato la propria difesa in sede di opposizione (Cass., n. 4126/1999.).

In tema di esclusione del socio dalla società cooperativa, e per il caso in cui lo statuto accordi all'escluso la facoltà di ricorrere contro la relativa delibera ad un collegio di «probiviri», nell'ambito di un sistema di tutela non arbitrale ma endosocietario, l'esercizio di tale facoltà comporta che il procedimento di esclusione si perfeziona solo con la determinazione del collegio dei «probiviri» (Cass., n. 17337/2008; Cass., n. 26318/2006; Cass., n. 11402/2004.).

Il giudizio di opposizione

Contro la deliberazione di esclusione il socio può proporre opposizione al tribunale, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione.

L'opposizione, da proporre nel termine di decadenza previsto dal terzo comma dello stesso art. 2533 nelle forme del processo di cognizione ordinaria e, dunque, con atto di citazione (Cass., n. 4207/1989), costituisce l'unico rimedio esperibile dal socio (Cass., n. 2690/1996). Ciò significa che una volta decorso il termine senza che l'opposizione sia stata proposta è da escludere che i vizi di legittimità della deliberazione di esclusione possano essere sollevati in via di eccezione avanti il giudice ovvero da quest'ultimo rilevati d'ufficio (Cass., n. 26211/2013; Cass., n. 25945/2011; Cass. n. 18556/2004, n.; Cass.n. 13407/2004). Peraltro, il termine di decadenza è in ogni caso applicabile anche in presenza di una clausola compromissoria nello statuto (Cass. S.U., n. 13722/2016).

Il principio secondo il quale, ai fini dell'impugnazione delle delibere sociali, la qualità di socio deve sussistere non solo al momento della proposizione dell'azione, ma anche al momento della decisione della controversa, tranne che nell'unico caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità è oggetto di contestazione, è applicabile anche alle società cooperative (Trib. Milano, 10 novembre 2016).

Nel giudizio di opposizione a deliberazione di esclusione di socio di società cooperativa è la società che ha la posizione sostanziale dell'attore, onerato della prova (art. 2697) della sussistenza dei fatti ascritti al socio e della loro configurabilità quale causa di esclusione prevista dallo statuto (cfr. Cass., n. 8096/1993; Cass. n. 6452/1994.). In particolare, si afferma che la società assume veste sostanziale di parte istante per la risoluzione del rapporto ed è, per l'effetto, tenuta a provare il fatto specifico in base al quale risulti adottata quella deliberazione, senza poter invocare in giudizio, a sostegno della legittimità della medesima, fatti distinti e diversi, ancorché potenzialmente idonei a giustificare l'interruzione del rapporto societario (Cass., n. 3342/2003).

La società resta peraltro vincolata, nel giudizio di opposizione instaurato dal socio, alla manifestazione di volontà già espressa nella delibera di esclusione, nel senso che i fatti addotti a sostegno della decisione adottata dall'organo cui lo statuto attribuisce il potere di esclusione devono coincidere con quelli su cui si instaura il contraddittorio nel giudizio di opposizione, non potendo la cooperativa allegare a sostegno dell'esclusione fatti nuovi (cfr. Cass. n. 6452/1994; Cass., n. 2887/1989; App. Milano, 7 novembre 1989; Trib. Milano, 22 marzo 1990; Trib. Roma, 20 febbraio 2002).

Quanto all'oggetto del sindacato del giudice, si afferma che nel procedimento di opposizione avverso la deliberazione di esclusione di un socio dalla società, il giudice deve riscontrare non solo l'effettiva sussistenza della causa di esclusione posta a fondamento della deliberazione, ma anche la sua inclusione fra quelle previste dalla legge o dall'atto costitutivo, restandogli preclusa soltanto l'indagine sull'opportunità del provvedimento adottato dagli organi sociali (Cass., n. 1936/1989). In altre parole, l'apprezzamento della sussistenza dei gravi motivi non è rimesso alla esclusiva discrezionalità degli organi associativi, giacché rientra tra i compiti del giudice di merito, adito in sede di opposizione avverso la deliberazione di esclusione, riscontrare l'effettiva sussistenza della causa di esclusione, posta a fondamento della detta deliberazione, e la sua inclusione fra quelle previste dalla legge o dallo statuto, nonché accertare la congruità della motivazione adottata a sostegno della ritenuta gravità (Cass., n. 14665/2002). L'indagine è di mera legittimità e consiste nella valutazione della regolarità soltanto formale della deliberazione e cioè la sussistenza della causa di esclusione posta a fondamento della delibera (il fatto specifico addebitato al socio) e la sua inclusione tra quelle previste dalla legge o dallo statuto come motivo del recesso della società dal rapporto sociale (Trib. Roma, 30 maggio 2011).

L'annullamento della deliberazione di esclusione ha effetto retroattivo (Cass., n. 5942/1987).

Gli effetti dell'esclusione

La delibera di esclusione del socio da una società cooperativa è sufficiente a determinare l'automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento, trovando la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell'art. 2533, che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall'atto costitutivo, dall'assemblea (Cass., n. 2802/2015; Cass., n. 14741/2011; Cass., n. 17337/2008).

Nelle cooperative edilizie, inoltre, fino all'assegnazione definitiva dell'immobile, il socio di società cooperativa vanta solo una posizione di detenzione nell'interesse della cooperativa, proprietaria dell'edificio; venuta meno la qualità di socio, a seguito della delibera di esclusione, viene meno anche la prenotazione dell'immobile, con la conseguenza che il detentore ex socio non può più vantare alcun diritto di permanenza nell'occupazione, né con riferimento alla cooperativa, né con riguardo al successivo assegnatario dell'immobile medesimo (Cass. n. 2749/2008). Deve, dunque, distinguersi tra il rapporto sociale, di carattere associativo, e quello di scambio, di natura sinallagmatica, rapporti che, pur collegati, hanno causa giuridica autonoma; da ciò discende che il pagamento di una somma, eseguito dal socio a titolo di prenotazione dell'immobile, deve essere ascritto al rapporto di scambio e perciò al pagamento del prezzo d'acquisto, alla cui restituzione la cooperativa è, quindi, tenuta, in caso di scioglimento dal rapporto sociale per esclusione o per recesso, anche in presenza di un disavanzo di bilancio (Cass. n. 18536/2024Cass., n. 13641/2013; Cass., n. 10648/2010).

Bibliografia

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