Codice Civile art. 2555 - Nozione.InquadramentoA norma dell'art. 2555, l'azienda consiste in una universitas rerum, comprendente cose materiali ed immateriali, funzionalmente organizzate in un complesso unitario ad un unico fine e, come non si richiede per la sua esistenza che concorrano tutti gli elementi, specie quelli immateriali, così la titolarità dell'azienda può essere disgiunta dalla proprietà dei beni strumentali, destinati al funzionamento di essa, posto che l'azienda appartiene alla categoria degli oggetti di diritto, mentre è l'imprenditore il soggetto che assume l'iniziativa ed il rischio della attività economica produttiva, risolvendosi nel complesso dei beni aziendali all'uopo organizzati (Cass. n. 1939/1980). Carattere precipuo dell'azienda, secondo la nozione civilistica dell'istituto, è “l'organizzazione dei beni finalizzata all'esercizio dell'impresa”, intesa come opera unificatrice dell'imprenditore funzionale alla realizzazione di un rapporto di complementarità strumentale tra beni destinati alla produzione. Ne consegue la legittimità della configurazione, da parte del giudice del merito, della fattispecie della cessione di azienda tutte le volte in cui la relativa convenzione negoziale abbia avuto ad oggetto il trasferimento di beni organizzati in un contesto produttivo, anche solo potenziale, dell'imprenditore per l'attività d'impresa, senza che risulti d'ostacolo alla configurabilità della cessione né l'eventuale mancanza attuale del così detto “avviamento”, né la destinazione dei beni aziendali ad altro settore produttivo da parte dell'acquirente, purché la nuova produzione si realizzi, pur sempre, attraverso tale complesso di beni già organizzati dal precedente imprenditore (Cass. n. 4319/1998). In tema di locazione di azienda e quindi di inadempimento contrattuale, è lecita la clausola contrattuale recante l'obbligo della manutenzione straordinaria a carico del conduttore d'azienda: così, si configura come illecito ex contractu l'omessa manutenzione, da parte del medesimo, dell'impianto quale causa della cessazione della produzione e dei conseguenti ripristino e sostituzione dei componenti dell'impianto stesso, da parte del proprietario-locatore. È, quindi, illegittima, e va pertanto annullata, la sentenza di merito con cui, accertati lo stato di abbandono dell'impianto, la cessazione della relativa produzione e la mancata effettuazione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria spettanti all'affittuario nonché la carenza di prova sulla relativa eccessiva onerosità, venga dichiarato risolto il contratto per inadempimento del proprietario-locatore (Cass. III, n. 18450/2015, con nt. Basso, in Dir. giust. 2015, 22 settembre). Il legato di azienda ha ad oggetto, salvo diversa volontà del testatore, il complesso unitario dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, comprensivo di tutti i rapporti patrimoniali di debito-credito che ad essa fanno capo, sicché, trovando applicazione le regole successorie, il legatario è tenuto al pagamento dei debiti aziendali, ancorché nei limiti del valore dell'azienda medesima, ex art. 671 (Cass. II, n. 1720/2016). GeneralitàL'attività professionale, anche se svolta con organizzazione di mezzi strumentali ed assistenza di ausiliari, è in sé, esclusivamente ed insostituibilmente personale, non essendo diretta al fine della produzione di servizi per lo scambio, sicché non ha il carattere di una organizzazione imprenditoriale e non determina la costituzione di un'azienda in senso tecnico, suscettibile come tale di alienazione (nella specie, il giudice del merito aveva dichiarato la nullità, per mancanza di oggetto, della cessione di uno studio medico, considerato dalle parti quale complesso organizzato di beni mobili ed immobili distinto dai singoli elementi, anche materiali, che lo componevano e come entità funzionale unitaria atta a produrre utili al nuovo titolare; e la Suprema Corte, ritenuta l'insindacabilità in sede di legittimità dell'apprezzamento di fatto relativo all'individuazione dell'oggetto del contratto, ha, sulla base del principio di cui alla massima, respinto il ricorso) (Cass. n. 899/1979). Ai fini della disciplina del possesso e dell'usucapione, l'azienda, quale complesso dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapito (Cass. S.U. n. 5087/2014). La quota di società è soggetta a collazione per imputazione, prevista dall'art. 750 per i beni mobili, poiché - non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci - attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria. La collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla "universitas rerum" dei beni di cui si compone, va compiuta, invece, secondo le modalità indicate dall'art. 746 per gli immobili, sicché - ove si proceda per imputazione - deve aversi riguardo al valore non delle singole cose, ma a quello assunto dalla detta azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell'apertura della successione (Cass. n. 10756 /2019 ). L'affitto di azienda non richiede la forma scritta ai fini della sua validità, a meno che tale forma non sia richiesta per la natura dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto, né assume rilevanza, in senso contrario, la disposizione di cui al capoverso dell'art. 2556, la quale nel prescrivere l'iscrizione nel registro delle imprese – che, a sua volta, postula la forma pubblica o per scrittura privata autenticata dell'atto -, non richiede tali adempimenti ai fini della validità del contratto, ma si riferisce al regime di opponibilità ai terzi dello stesso (Cass. III, n. 18066/2019). Elementi dell'aziendaL'azienda è un complesso di beni, pertanto distinta dall'impresa, che rappresenta l'attività esercitata dall'imprenditore. La giurisprudenza ha talora affermato, nel quadro della concezione dell'azienda come universitas, che essa comprende non solo i beni materiali e immateriali, ma anche tutti i rapporti giuridici inerenti all'esercizio dell'impresa e dunque contratti, crediti e debiti (Cass. n. 8219/1990). La distinzione tra opere di manutenzione ordinaria e straordinaria nell'ipotesi di affitto di ramo d'azienda deve muovere dalla considerazione che sull'affittuario grava l'obbligo di conservare l'azienda, in tutte le sue componenti, nello stato in cui viene affittata e, perciò, di sostenere tutte le spese necessarie a tale scopo. Ne consegue, ai fini della distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, che - a differenza di quanto avviene per il contratto di locazione di beni non produttivi (nel quale il conduttore non fa proprio il reddito derivante dalla cosa) - i lavori di manutenzione ordinaria vanno individuati "in negativo" e, cioè, escludendo quelle opere che sono da reputarsi straordinarie perché non finalizzate alla conservazione della originaria destinazione economica del bene e al ripristino della sua attitudine produttiva, eventualmente adoperando, in via orientativa e in assenza di un criterio discretivo certo, l'elenco esemplificativo delle riparazioni straordinarie di cui all'art. 1005 c.c., norma applicabile anche ad istituti diversi dall'usufrutto (Cass. n. 17226/2022). Il legato di azienda ha ad oggetto, salvo diversa volontà del testatore, il complesso unitario dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, comprensivo di tutti i rapporti patrimoniali di debito-credito che ad essa fanno capo, sicché, trovando applicazione le regole successorie, il legatario è tenuto al pagamento dei debiti aziendali, ancorché nei limiti del valore dell'azienda medesima, ex art. 671 (Cass. n. 1720/2016). Segue. Casistica La clientela e l'avviamento invece ineriscono necessariamente all'azienda e non possono costituire oggetto di negozi giuridici separati, giacché il negozio che dispone dell'azienda dispone necessariamente anche dell'avviamento (Cass. n. 381/1955). Naturalmente non è necessario che il titolare dell'azienda di proprietà di beni che la compongono: è tuttavia necessario che egli sia munito di un titolo giuridico che gli permetta di utilizzarli (Cass. n. 13689/2001). Deve dirsi che si ha azienda anche allorquando la produttività sia una conseguenza solo potenziale, e non ancora attuale, dell'organizzazione di beni (Cass. n. 1089/1979), sicché può parlarsi di affitto d'azienda anche quando il complesso di beni sia temporaneamente inattivo (Cass. n. 4700/2003), o quando l'attività verrà iniziata dall'affittuario (Cass. n. 6361/1981). Si è in presenza di un'azienda anche se la formazione del complesso aziendale non è ancora completata, occorrendo però che il programma formativo risulti già delineato, in modo che il completamento consegua a scelte organizzative già determinante, mentre non si ha ancora azienda allorquando il programma di formazione non sia ancora definito, cosicché il completamento, potendo avvenire in base a scelte non ancora da prendere, può far assumere al complesso aziendale aspetti diversi (Martorano, 6). In giurisprudenza, è stato affermato che l'azienda costituisce un complesso di beni organizzato per l'esercizio di un'impresa; ma di una impresa specifica e ben individuata, non di una qualsiasi possibile impresa astrattamente ipotizzabile. Se é vero che, per la configurabilità dell'azienda, non é indispensabile che l'impresa sia in atto, nondimeno occorre che ne siano percepibili i potenziali elementi di identificazione, ed in specie, il settore commerciale in cui quell'impresa opera o opererà. Non è invece possibile parlare di azienda come se si trattasse di un insieme vuoto, ossia di un complesso di beni astrattamente utilizzabili in funzione commerciale, ma non specificamente volti ad un determinato commercio (nemmeno potenzialmente individuato), perché la loro caratteristica essenziale è di essere organizzati al conseguimento di un fine, che deve perciò essere ben percepibile. Si potrà ammettere (si veda Cass. n. 4319/1998) che i beni così organizzati sono poi utilizzabili dal cessionario dell'azienda (o di un suo ramo) per attività imprenditoriali anche diverse da quelle specificamente esercitate dal cedente; ma è pur sempre indispensabile che quel vincolo di organizzazione sussista. E ciò tanto più quando, trattandosi dell'asserito trasferimento non dell'azienda nella sua interezza, ma solo di un certo numero di beni strumentali al suo esercizio, il confine tra la figura della cessione d'azienda (o di un ramo di essa) e quella della vendita dei singoli beni atomisticamente considerati rischia inevitabilmente di farsi più sottile: onde più che mai è indispensabile, per poter ravvisare la prima delle due suaccennate figure, che il vincolo di organizzazione teleologica esistente tra detti beni permanga e sia tuttora chiaramente identificabile, ad onta del loro distacco dal precedente complesso unitario dell'azienda. Una tale esigenza non solo risponde a criteri generali di ordine logico-giuridico inerenti alla nozione stessa di azienda, ma specificamente si cala nella disciplina dettata, in materia di locazione di immobili adibiti ad uso commerciale, dall'art. 36 l. n. 392/1978, per il quale il conduttore può cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda. Il fine di detta norma è quello di tutelare l'avviamento commerciale con riferimento alla attività imprenditoriale svolta nell'immobile locato, ma è ovvio che l'avviamento presuppone una ben individuata attività imprenditoriale al cui specifico oggetto esso si ricollega. Ragion per cui la cessione dell'azienda, come presupposto per il possibile subingresso del cessionario nel contratto locatizio anche in difetto di consenso del locatore, richiede che, almeno al momento della cessione (salva la possibilità di cambiamenti successivi), vi sia una significativa continuità tra l'attività imprenditoriale svolta in quei locali dal cedente e quella che il cessionario si accinge a svolgervi, venendo altrimenti meno la finalità di tutela dell'avviamento che, pur non essendo in quanto tale un elemento costitutivo indispensabile dell'azienda, è però a fondamento della norma dettata dalla citata legge speciale (Cass. n. 3973/2004). Le autorizzazioni amministrative all'esercizio di una attività di impresa, avendo carattere personale, non sono riconducibili tra i beni che compongono l'azienda; pertanto, nel caso in cui questa sia ceduta, il relativo contratto non può ritenersi, di per sé, nullo per violazione di intrasferibilità delle autorizzazioni amministrative (Cass. n. 22112/2006). Natura giuridica dell'aziendaLa qualificazione dell'azienda come universitas è comune anche in giurisprudenza, ove, quando non si faccia genericamente riferimento all'azienda come universalità senza ulteriori specificazioni, si riscontrano incertezze circa la sua riconduzione nel novero delle universitates rerum (Cass. n. 4274/1992) ovvero delle universitates iuris (Cass. n. 8219/1990). AvviamentoL'avviamento è stato definito non elemento, ma qualità dell'azienda. In giurisprudenza, è stato invero affermato che non essendo l'avviamento un bene compreso nell'azienda, e del quale si possa ipotizzare un vizio nel senso in cui tale nozione è intesa nell'art. 1490 in tema di vizi della cosa venduta, ma soltanto una qualità immateriale dell'azienda, che può essere dedotta in contratto e dar luogo alla fattispecie d'inadempimento descritta nell'art. 1497 in tema di mancanza di qualità promesse, la sua mancanza, o il suo valore inferiore alle pattuizioni del contratto non sono oggetto della speciale garanzia per vizi della cosa venduta prevista dalla legge, e non possono essere poste a fondamento di un'azione di riduzione del prezzo (Cass. n. 5845/2013: la Suprema Corte, nel precisare che il c.d. « avviamento » costituisce un plusvalore derivante dall'insieme di tutti i beni aziendali organizzati per l'esercizio dell'impresa e, quindi, pur avendo un rilievo patrimoniale, non costituisce un vero e proprio bene aziendale — atteso che il valore della azienda non è determinato dal valore dei beni che la compongono, ma da essi uniti alla gestione e organizzazione unitaria dei fattori di impresa —, conferma la qualificazione di tale elemento quale qualità immateriale dell'azienda, intesa come l'attitudine del complesso aziendale a produrre profitti, nuovi redditi e ricchezza: in questo senso, per tutte, cfr. Cass. n. 26299/2010). Sul punto, in dottrina, v. Paganini, Se manca l'avviamento la cessione d'azienda non è “viziata”, ma semmai è priva di qualità essenziale, in Dir. giust., 2013, 191. La giurisprudenza è, peraltro, ferma nel precisare che il valore dell'avviamento deriva dall'organizzazione dei beni aziendali sicché, a differenza di questi ultimi, non può essere considerato indipendentemente dall'azienda e non è, quindi, suscettibile di rapporti giuridici separati: sul punto, per tutte, Cass. n. 5848/1979; contra, Trib. Bologna 29 marzo 1986, Riv. not., 1987, 1123). Sulla scorta di tale premesse è inevitabile la conclusione secondo la quale l'avviamento costituisce una qualità « non essenziale » dell'azienda, ben potendo questa essere ceduta anche in sua assenza, con conseguente inconfigurabilità di un vizio o difetto del bene venduto ex art. 1490 e della conseguente azione ex art. 1492. Si tratterebbe, quindi, di una qualità del bene «promessa », che giustifica, in caso di sua carenza, i soli rimedi previsti dagli art. 1453-1458, richiamati dall'art. 1497. Ai fini della verifica della « congruità del valore dell'avviamento » numerosi sono i criteri tecnici astrattamente utilizzabili (tra essi deve menzionarsi quello, residuale, previsto dal d.P.R. n. 460/1996, art. 2, comma 4, usualmente considerato in assenza di validi criteri di stima alternativi). In ogni caso, la consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene che la valutazione di congruità costituisca un giudizio di fatto, rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, come tale immune dal sindacato di legittimità se adeguatamente motivato (in questo senso, per tutte, Cass. n. 2204/2006). L'avviamento e la clientela rispondono a concetti che non coincidono tra loro, in quanto, mentre il primo termine sta ad indicare la potenzialità economica dell'azienda, il secondo termine si riferisce al complesso dei clienti attirati (Cass. n. 2258/1968). In giurisprudenza viene affermato che l'avviamento non è elemento costitutivo essenziale, ma solo elemento rilevatore dell'azienda (Cass. n. 6608/1983). Di contrario avviso è la dottrina secondo cui non esiste azienda senza avviamento (Auletta, 6). L'avviamento è una componente del valore dell'azienda, costituita dal maggior valore che il complesso aziendale, unitamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono. Pertanto, in caso di cessione di azienda, si deve tener conto dell'avviamento, agli effetti dell'imposta di registro, nella determinazione del valore venale dell'azienda ceduta, senza che assumano rilievo circostanze contingenti, che pure possano avere influito nella determinazione concreta del corrispettivo — quali i legami di parentela e di lavoro tra cedente e cessionario (nella specie, padre e figlio, già partecipe dell'attività aziendale condotta in regime di impresa familiare) — in quanto il valore che deve essere preso in considerazione per la determinazione della base imponibile è il prezzo che il bene ha «in comune commercio», vale a dire quello che il venditore ha la maggiore probabilità di realizzare e l'acquirente di pagare in condizioni normali di mercato, prescindendo, quindi, da situazioni soggettive e momentanee che possano deprimerlo o esaltarlo (Cass. n. 8642/2011). In tema di cessione d'azienda, ai fini della determinazione della base imponibile dell'imposta di registro, nel valore dell'avviamento commerciale deve essere considerato anche il marchio in quanto esso, ove faccia parte del complesso dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, comporta un incremento di valore dell'azienda ( Cass. n. 1118 /2019). Il sequestro dell'azienda. Il pegno dell'aziendaL'azienda, quale complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa, è compiutamente identificata mediante la specificazione del tipo di attività svolta e dei locali nei quali essa è esercitata, trattandosi di indicazioni idonee a comprendere tutti i beni presenti in detti locali e destinati allo svolgimento dell'attività, mentre la analitica individuazione di detti beni rileva al solo scopo di prevenire eventuali contestazioni in ordine alla riconducibilità degli stessi alla azienda; pertanto il sequestro giudiziario dell'azienda è validamente eseguito indicando nei relativi atti gli elementi indispensabili a permetterne l'individuazione, non occorrendo la specifica elencazione di tutti i beni che la compongono. (Cass. n. 877/2004: fattispecie concernente un'azienda di rivendita al pubblico di tabacchi e valori bollati). Nel senso che in tema di sequestro giudiziario, a differenza del sequestro conservativo, la mancata indicazione dei singoli componenti non è causa di invalidità o inefficacia, cfr. Cass. n. 8429/2000). È prevalentemente negato invece che l'azienda possa essere oggetto di sequestro conservativo, poiché si nega che l'azienda, unitariamente considerata, possa costituire oggetto di espropriazione (Martorano, 375). Se ne ammette talora, ma non pacificamente, la costituibilità in pegno (Martorano, ibidem). 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Buonocore, Torino, 2015, 114; Menti, L'acquisto dell'azienda e il prezzo pagato per l'avviamento, in Riv. giur. trib. 2002, 644; Micangeli, Indennità per la perdita dell'avviamento: la presenza di professionisti non esclude la caratterizzazione come commerciale dell'attività svolta nell'immobile locato, in Giur. mer. 1999; Presti Rescigno, Corso di diritto commerciale, Bologna, 2005, 54; Pettiti, Il trasferimento volontario d'azienda, Napoli, 1970, 151; Tommassini, Contributo alla teoria dell'azienda come oggetto di diritti, Milano, 1986, 74. |