Codice Civile art. 2568 - Insegna.Insegna. [I]. Le disposizioni del primo comma dell'articolo 2564 si applicano all'insegna. InquadramentoIl concetto di ditta, volto a designare, genericamente ed unitariamente, il nome sotto cui l'imprenditore esercita l'impresa, non ha — salvo che essa venga usata anche come marchio — una diretta attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi prestati, e si distingue, pertanto, sia dal marchio in generale, sia dal cosiddetto «marchio di servizio» (introdotto in Italia dall'art. 3 l. n. 1178/1959), destinato a contraddistinguere una specifica attività o branca di attività tra quelle esercitate dall'impresa (e dotato di un campo di produzione limitato a tale attività in sé considerata, mentre la ditta è sempre riferibile ad un «complesso» di attività), sia dall'insegna, che non identifica né il prodotto, né l'attività o branca di attività, bensì un bene aziendale presso il quale o mediante il quale un prodotto viene posto in commercio. Ne consegue la facoltà, per l'imprenditore, di disporre di più ditte, e la possibilità, per il medesimo (qualora produca beni o servizi differenziati, destinando ad essi aziende o beni aziendali distinti), di cedere una propria attività unitamente o disgiuntamente all'insegna che contraddistingue i beni interessati, insieme o disgiuntamente ad una sua ditta (Cass. n. 8034/2000). L'insegna e il segno, nominativo o emblematico, distintivo di un determinato locale nel quale si esercita un'attività imprenditoriale, essa contraddistingue lo stabilimento di un'azienda ed acquista particolare importanza nelle imprese in cui lo stabilimento costituisce il punto di incontro tra imprenditore e clienti e, quindi, il luogo di conclusione degli affari. Dalla funzione dell'insegna di identificare uno stabilimento, commerciale o industriale, consegue il suo collegamento con un'attività imprenditoriale e la sua distinzione dal nome che ha la funzione individuatrice della persona dell'imprenditore e dalla denominazione con la quale l'immobile, come tale, sia individuato. Pertanto, se ad uno stabilimento commerciale o industriale sia attribuito come insegna la denominazione dell'immobile in cui è installato, e successivamente detto stabilimento viene trasferito in altro immobile, legittimamente l'imprenditore può continuare ad usare la precedente insegna. Nella specie, una villa denominata "La terrazza" era stata data in locazione ad un imprenditore, che l'aveva destinata ad albergo con l'insegna "Hotel La terrazza". Cessata la locazione, l'imprenditore aveva trasferito l'azienda alberghiera in altro immobile, sul quale aveva apposto la stessa insegna “Hotel La terrazza”. Il proprietario della villa aveva chiesto che fosse inibito l'uso di tale insegna. La Corte regolatrice ha affermato i principi di cui innanzi (Cass. n. 1042/1966). Nel conflitto tra i titolari di insegne uguali o simili per la presenza dello stesso cognome come cuore di esse, legittimamente usate per effetto del loro acquisto, il giudice può disporre modificazioni, aggiunte o soppressioni, fino all'eliminazione del cognome dall'insegna sorta successivamente, ove quel conflitto sia tale da creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata (Cass. n. 971/2017). Capacità distintiva dell'insegnaNel conflitto tra i titolari di due insegne legittimamente usate, costituite entrambe da abbreviazione dello stesso nome, tali da creare confusione tra le imprese, al fine di valutare se le modificazioni od integrazioni introdotte siano sufficienti ad escluderne in concreto la confondibilità occorre considerare, secondo la giurisprudenza, l'obbiettiva composizione dei segni distintivi usati, avendo riguardo al risultato percettivo che essi, nell'insieme dei loro elementi grafici e fonetici e con riferimento alla persona di media diligenza, possono determinare nella clientela. Il relativo accertamento di fatto, che è rimesso al giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità, se sufficientemente motivato (Cass. n. 2423/1992). Nell'ipotesi in cui sussista confondibilità fra due ditte contenenti il medesimo nome patronimico, il potere del giudice di prescrivere all'imprenditore, che abbia adottato la ditta posteriormente, l'introduzione di modificazioni e integrazioni idonee ad evitare la confusione, non può spingersi sino a imporre la soppressione del patronimico dalla ditta. Va cassata, in quanto erronea e immotivata, la sentenza di appello che — senza considerare la possibilità di integrazioni o modificazioni atte ad evitare la confondibilità — abbia fatto divieto assoluto, ad un imprenditore, di utilizzare nella ditta (e insegna) il nome patronimico comune a quello previamente usato da altro imprenditore nella propria ditta (e impresa). La modificazione apportata all'art. 13 r.d. n. 929/1942 [v. ora d.lgs. n. 30/2005], dalla l. n. 158/1967, non supera il limite delle prescrizioni cautelative nell'art. 2564, il quale comporta non l'eliminazione del cognome debitamente incluso nella ditta (se da esso derivi l'eventuale confondibilità), ma una variazione della ditta opportunamente adeguata (Cass. n. 4481/1978). Tutela dell'insegnaIl diritto, previsto dall'art. 9 r.d. n. 929/1942 (e indi dall'art. 12, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 30/2005), di continuare nell'uso del marchio non registrato, che importi notorietà puramente locale, ai fini della pubblicità, nei limiti della diffusione locale, nonostante la successiva registrazione di uno stesso marchio da parte di altro soggetto, comporta, per il principio di unitarietà dei segni distintivi espressamente stabilito dagli artt. 13 e 17, comma 1, lett. c), del citato r.d. n. 929/1942 (e indi dagli artt. 22 e 12 d.lgs. n. 30/2005) — principio che rinviene la sua «ratio» nella tendenziale convergenza dei differenti segni verso una stessa finalità — che chi acquista il diritto su un segno utilizzato in una determinata funzione tipica (nella specie, di insegna) acquista il diritto sul medesimo anche in riferimento alla utilizzazione in funzioni ulteriori e diverse (nella specie, come ditta e in tabelloni pubblicitari), ferma restando l'estensione della tutela all'ambito territoriale raggiunto in riferimento all'uso fattone (Cass. n. 4405/2006). L'Azione di usurpazione o contraffazione di ditta (o di denominazione o ragione sociale) e quella di usurpazione o contraffazione di insegna, pur avendo in comune la natura e i presupposti, differiscono fra loro per il bene giuridico di cui si chiede la tutela, costituito, nel primo caso, dal nome adottato dall'imprenditore per distinguersi nell'Esercizio dell'impresa, e, nel secondo caso, dal segno adottato per l'identificazione dei locali aziendali. Data la funzione concorrenziale che e propria, egualmente, della ditta e degli altri segni distintivi di cui si vale l'imprenditore (insegna, per la Sede dell'azienda, e marchio, per i prodotti), il diritto all'uso esclusivo, nel che si risolve la titolarità della prima, e suscettibile di essere violato non solo con l'altrui uso di una ditta uguale o simile, ma anche con l'uso di altro dei predetti segni che della prima riproduca il contenuto o la parte caratteristica attività illecita, codesta, che e ben riconducibile nel concetto di usurpazione concretandosi essa nell'appropriazione della ditta per svolgerla, appunto, ad un uso che realizza, sotto un profilo diverso, la medesima funzione concorrenziale. Pertanto, ciò che è rilevante ai fini della qualificazione dell'Azione e il segno costituente il bene che, secondo l'assunto dell'attore, subisce la lesione, e non quello adottato dal preteso usurpatore per concretare tale lesione, ancorché sul secondo segno siano destinati ad incidere gli invocati provvedimenti di giustizia (Cass. n. 1497/1968). BibliografiaAscarelli, Teoria della concorrenza e dei beni materiali, Milano, 1960, 399; Auteri, voce Ditta, in Enc. giur., Roma, 1989, 3; Campobasso, Diritto commerciale, I, Torino, 2013, 164; Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, 244; Greco, I diritti sui beni immateriali, 76; Mangini, voce: Ditta, in Dig. comm., V, Torino, 1990, 79; Martorano, Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, Torino, 2013, 503; Salandra, Manuale di diritto commerciale, I, Milano, 1996, 87; Vanzetti, La nuova legge marchi, Milano, 2001, 38. |