Codice Civile art. 2601 - Azione delle associazioni professionali.Azione delle associazioni professionali. [I]. Quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una categoria professionale, l'azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa anche dalle associazioni professionali e dagli enti che rappresentano la categoria (1). (1) Il riferimento alle associazioni professionali è da ritenersi inoperante a seguito della soppressione dell'ordinamento corporativo ai sensi del d.lg.lt. 23 novembre 1944, n. 369. Ma l'art. 2, comma 5, l. 29 dicembre 1993, n. 580, dispone che le camere di commercio possono promuovere l'azione per la repressione della concorrenza sleale ai sensi dell'articolo 2601 del codice civile. InquadramentoPerché sia configurabile la legittimazione di una associazione professionale ad agire per la repressione della concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2601, è necessario che sussista in capo a tale associazione un interesse ulteriore e differenziato rispetto a quello del singolo imprenditore ad essa aderente, tale da consentire ad essa di agire anche se quest'ultimo non intenda farlo. La sussistenza di tale legittimazione presuppone quindi necessariamente il carattere plurioffensivo della condotta della quale si chiede la repressione, nel senso che essa, oltre a ledere l'interesse di uno o più imprenditori, deve implicare la diretta lesione dell'interesse specifico del quale l'associazione professionale è portatrice; non è pertanto ammissibile, ai sensi della norma citata, un'azione per la repressione della concorrenza sleale promossa da una associazione di categoria a tutela di un generico interesse alla correttezza del commercio (Nella specie, la sentenza impugnata aveva ritenuto un'associazione di commercianti carente di legittimazione ad agire, ai sensi dell'art. 2601, nei confronti di un'impresa accusata di aver diffuso opuscoli atti a denigrare presso il pubblico altre imprese del settore. La S.C. ha confermato tale decisione in base al suddetto principio) (Cass. n. 11404/1996). Nel caso in cui una associazione non riconosciuta, quale ente esponenziale di un determinato gruppo di imprenditori, abbia ottenuto, a norma degli art. 2570 e 2 r.d. n. 929/1942 (v. ora art. 11 d.lgs. n. 30/2005), la registrazione di un marchio collettivo utilizzato dagli imprenditori associati, detta associazione, che non riveste la qualità di imprenditore e non ha lo scopo di tutelare interessi generali di categoria, ove vengano compiuti da terzi atti di abuso del marchio, mentre può ottenere ogni tutela di tipo reale nascente dalla violazione di tale diritto oltre che il risarcimento dei danni eventualmente derivanti da tale violazione, non è legittimata ad agire con l'azione di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2601 (Cass. n. 9073/1995). Le associazioni di categoria degli imprenditori, sebbene non abbiano esse stesse la qualità di imprenditori, rispondono di concorrenza sleale, secondo la previsione dell'art. 2598, per gli atti compiuti nell'interesse degli aderenti ed in pregiudizio dei concorrenti di questi ultimi estranei alle associazioni, come nel caso in cui stipulino con altri imprenditori, o con analoghe associazioni, intese che comportino illecite restrizioni della concorrenza, o comunque incidano con mezzi non corretti sui rapporti di concorrenza. Pertanto, in tema di distribuzione, l'accordo settoriale fra associazioni od altre (coalizioni) di produttori e di rivenditori (nella specie, accordo del 5 marzo 1969 fra la federazione editori di giornali e riviste e le organizzazioni nazionali dei rivenditori dei medesimi), il quale consenta l'accesso ai prodotti solo ai rivenditori scelti in base a regole predeterminate, deve ritenersi fonte della suddetta responsabilità per concorrenza sleale, qualora si traduca, alla stregua del complessivo contenuto dell'intesa, coinvolgente le associazioni di ogni livello del settore, nell'esclusione della possibilità di far ricorso ad idonei canali di approvvigionamento e di distribuzione, diversi da quelli disciplinati, e nella selezione degli aspiranti rivenditori affidata in tutto od in parte alle associazioni della stessa categoria, secondo criteri caratterizzati da discrezionalità, tanto in ordine alle qualità soggettive di detti aspiranti, quanto in ordine al numero ed alla localizzazione delle nuove imprese (Cass. n. 2634/1983). BibliografiaCottino, Diritto commerciale, I, Padova, 1999, 253; Ghidini, I limiti negoziali alla concorrenza, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, 1981, 89. |