Codice Civile art. 2699 - Atto pubblico.Atto pubblico. [I]. L'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato (1). (1) Sull'ordinamento del notariato e degli archivi notarili v. artt. 47 ss. l. 16 febbraio 1913, n. 89. InquadramentoL'art. 2699 definisce l'atto pubblico come il documento redatto, con le prescritte formalità, da un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove è compiuto. La disposizione va letta alla luce del disposto dell'art. 2700 che l'atto pubblico ha efficacia probatoria sino a querela di falso circa 1) la provenienza del documento del pubblico ufficiale che lo ha formato; 2) della data e del luogo ove il documento è formato; 3)delle dichiarazioni delle parti; 4) degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (Proto Pisani 2006, 424 ss.). Caratteri generaliPer spiegare gli effetti suoi propri l'atto pubblico deve essere, innanzitutto, redatto da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato a funzioni fidefacenti, ma non in maniera occasionale, pertanto può considerarsi tale solo colui al quale questa funzione specifica sia conferita esattamente per dotare il documento di pubblica fede. Viene in rilievo perciò la figura del notaio, nonché il segretario comunale negli ambiti di sua competenza, il cancelliere nella redazione dei verbali di causa (Luiso 2000, II, 96 ss.) ovvero l'ufficiale giudiziario (Cass. II, n. 8032 /2004; o chi rivesta la qualità di pubblico ufficiale (Cass., n. 6565/2007). Il verbale redatto dal fidefacente acquista le caratteristiche dell'atto pubblico, e pertanto fa fede fino a querela di falso delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta siano avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e che attinge anche la copia dell'atto pubblico: così secondo Cass. V, n. 23429/2007) in materia di notificazioni, il combinato disposto dell'art. 137, comma 2, c.p.c. e dell'art. 138 c.p.c. non esige che la relata di notifica debba contenere un'espressa precisazione in punto di conformità all'originale della copia ed indicazioni o specificazioni sull'esatta consistenza e composizione dell'originale e della copia; ne consegue che, in caso di discordanza tra i dati emergenti dall'originale del ricorso per cassazione, depositato ai sensi dell'art. 369 c.p.c., e quelli emergenti dalla copia dell'atto consegnata al destinatario, non ricorre un'ipotesi di inammissibilità ipso iure del ricorso, posto che la copia notificata è da ritenersi equivalente all'originale,fino a querela di falso.”. Del pari secondo la giurisprudenza di legittimità ove la discordanza tra copia notificata ed originale dell'atto di citazione consista nella mancanza di pagine e l'atto abbia raggiunto il suo scopo la notifica è nulla ma il convenuto va rimesso in termini (Cass. III, n. 23420/2014). Anche il cancelliere che, ai dell'art. 133, comma 2, , provvede al deposito della sentenza sottoscrivendola ed apponendovi la data e la firma, forma un atto pubblico (App . Napoli 28 aprile 2008). Altra cosa è la formazione del deliberato del giudice monocratico che non coincide con la pubblicazione stante l'anteriorità cronologica e logica del decisum rispetto alla pubblicazione della decisione. che è piuttosto legata agli adempimenti demandati al cancelliere, Decisivo rilievo, al riguardo, assume del resto la disposizione dell'art. 132 c.p.c. a tenore della quale il giudice è tenuto ad indicare in calce la data della decisione. La possibilità di contestare la reale corrispondenza del verbale alla verità dei fatti è subordinato alla proposizione della querela di falso, come disposto dall' art. 2700 e disciplinato dall'art. 221 c.p.c. (App. Napoli 23 settembre 2008, in Vita not., 2009, n. 1, 367). Ne consegue che il meccanismo di contestazione deve indirizzarsi sugli elementi che corrispondono allo schema — base dell'atto pubblico seguendone il contenuto fidefacente aggredibile con la querela di falso. A titolo esemplificativo il verbale di accertamento di una infrazione redatta dal pubblico ufficiale — può presentare nel procedimento civile vari livelli di attendibilità rispetto allo strumento di contestazione, ossia rispetto allo schema tipico dell'atto pubblico nel senso che il verbale fa piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere e percepire senza partecipare di essi con un certo apprezzamento o impressione sensoriale, oltre alle circostanze relative alla provenienza del documento stesso dal pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese ( ad esempio il referto del medico fiscale è atto pubblico quanto alla presenza del lavoratore nella propria abitazione o presso lo studio del medico stesso, e la patologia riscontrata); per converso la verità effettuale di quanto le parti o terzi dichiarano al pubblico ufficiale fa, invece, fede fino a prova contraria, che è ammessa allegando quelle fonti di conoscenza che consentano al giudice ed alle parti ogni utile riscontro del contenuto di quelle dichiarazioni che possono essere disattesi dalla valutazione del giudice come inattendibili. In altre parole, in ambito civile la querela di falso va indirizzata verso quei fatti che il pubblico ufficiale afferma di avere personalmente compiuto o constatato — e che comunque il Giudice può liberamente valutare quanto all'esattezza delle operazioni mentre ogni altra dichiarazione (ad es. informazioni polizia e assunzioni di testi senza giuramento sono contestabili con prova contraria e valgono come materiale indiziario. L'art. 2700 stabilisce che l'atto pubblico fa piena prova, ossia ha l'efficacia di una prova legale. Tale peculiare efficacia, predeterminata dal legislatore, riguarda, tuttavia, esclusivamente l'effettiva provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato ed il c.d. estrinseco dell'atto, i.e. quanto compiuto dal pubblico ufficiale o in presenza dello stesso. A tale proposito, la S.C.ha chiarito che nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre qualora vi sia attestazione positiva di fatti che il pubblico ufficiale accertatore ha attestato come personalmente verificati e non sussista alcun indizio di intrinseca contraddittorietà del fatto, il ricorrente deve proporre querela di falso per far valere l'erroneità delle attestazioni del pubblico ufficiale (Cass. n. 1069/2012). In sostanza il meccanismo dell'atto pubblico e della fede privilegiata erga omnes che lo fonda scaturisce da quel potere certificativo, che il fidefacente si vede attribuito solo nei casi previsti dalla legge. Ne consegue che non costituisce un atto pubblico quello contenente l'attestazione della data di ultimazione dei lavori per la realizzazione dell'opera pubblica, rilasciata dal capo dell'ufficio tecnico provinciale, perché non si rinviene la fonte normativa legittimante il potere certificativo in capo a detto organo ai sensi del combinato disposto degli artt. 2699 e 2700, ossia una disposizione che attribuisca a quest'organo, al riguardo, un potere certificativo con effetti erga omnes, tale da consentire di ricollegare a quanto da lui dichiarato la fede privilegiata di cui all'art. 2700 ( Cass. n. 6838/2011). Analogamente, non costituisce prova idonea per rivendicare la proprietà esclusiva di un'area comune la relazione notarile prodotta in giudizio e confezionata «ad hoc» dal professionista per sostenere la tesi della parte che l'ha presentata: non si tratta, infatti, né di un atto pubblico né può qualificarsi come una scrittura proveniente da un terzo, liberamente valutabile dal giudice, in quanto redatta e finalizzata in funzione volutamente probatoria di una tesi di parte (Cfr. Cass. n. 5440/2010). In tema di protezione internazionale, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva disatteso la domanda di riconoscimento dello "status" di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria di rango inferiore, rilevando la non completa conformità tra i dati anagrafici risultanti dal certificato di nascita del ricorrente e quelli riportati sulla carta d'identità. Ne deriva che il certificato di nascita rilasciato da autorità straniera riveste efficacia limitata dal momento che ai sensi dell'art. 2700, esso rileva, piuttosto, rispetto alla corrispondenza dei dati attestati con quelli annotati nei registri anagrafici del Paese che ha emesso la certificazione, mentre la loro riferibilità alla persona in favore della quale la certificazione è stata rilasciata, va dimostrata mediante la produzione di un valido documento di identità (Cass. I, n. 13829/2016). Secondo Cass. II, n. 1202/2020 nel caso di negoziazione assistita tra avvocati, ove l'accordo raggiunto tra i coniugi, in sede di separazione consensuale, preveda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui all'art. 6 d.l. n. 132 del 2014, conv. dalla l. n. 162 del 2014, deve fare riferimento all'art. 5, comma 3, del medesimo d.l. n. 132, e, pertanto, onde procedere alla trascrizione dell'accordo di separazione che contenga un trasferimento immobiliare, è necessaria l'autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell'art. 5, comma 3, cit. L'efficacia probatoria fino a querela di falsoL'art. 2700 stabilisce che l'atto pubblico fa piena prova, ossia ha l'efficacia di una prova legale. Tale peculiare efficacia, predeterminata dal legislatore, riguarda, tuttavia, esclusivamente l'effettiva provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato ed il c.d. estrinseco dell'atto, i.e. quanto compiuto dal pubblico ufficiale o in presenza dello stesso. Sotto quest'ultimo profilo, la S.C. ha recentemente ribadito che nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre qualora vi sia attestazione positiva di fatti che il pubblico ufficiale accertatore ha attestato come personalmente verificati e non sussista alcun indizio di intrinseca contraddittorietà del fatto, il ricorrente deve proporre querela di falso per far valere l'erroneità delle attestazioni del pubblico ufficiale (Cass. n. 1069/2012). In altri termini, va evidenziato che l'efficacia probatoria fino a querela di falso attiene soltanto alla circostanza che la parte abbia reso una determinata dichiarazione e non anche alla “verità” della stessa, dichiarazione che avrà quindi la valenza istruttoria prevista secondo le regole normali: in sostanza, se si tratta di dichiarazione favorevole al soggetto che effettua la stessa, non avrà alcuna valenza istruttoria, per converso quella di confessione. Pertanto, per contrastare il c.d. intrinseco dell'atto pubblico, non è necessario proporre la querela di falso, potendo essere proposti gli altri mezzi apprestati dall'ordinamento processuale. Sul punto è consolidata la posizione della giurisprudenza ed alcune fattispecie possono essere utilmente richiamate a titolo esemplificativo. Secondo Cass. VI -III, n. 31107/2022 le attestazioni contenute nel verbale di accertamento delle infrazioni al codice della strada fanno piena prova, fino a querela di falso, con riguardo all'avvenuto accadimento dei fatti e delle dichiarazioni ricevute alla presenza del pubblico ufficiale, non estendendosi la fede privilegiata all'intrinseca veridicità del contenuto delle informazioni in tal modo apprese. Va, pertanto, escluso che sia assistita da fede privilegiata l'indirizzo di una persona coinvolta in un incidente stradale, indicato nel relativo verbale, nonostante la notizia dello stesso fosse stata tratta dalle dichiarazioni della persona medesima, o comunque dalla consultazione di documenti in possesso dell'autorità. Frequente nella prassi è la questione concernente i limiti entro i quali nei giudizi di opposizione avverso ordinanze di irrogazione di sanzioni amministrative e verbali di accertamento della sanzione deve essere proposta necessariamente querela di falso onde contrastare il contenuto del verbale. A riguardo le Sezioni Unite della S.C. hanno chiarito che nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell'operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l'esame di ogni questione concernente l'alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell'effettivo svolgersi dei fatti (Cass. S.U., n. 17355/2009), la quale ha ritenuto assistita da fede privilegiata l'indicazione nel verbale del mancato uso della cintura di sicurezza da parte del trasgressore, in quanto oggetto diretto della constatazione visiva del pubblico ufficiale accertatore. In particolare, nel verbale di accertamento di un sinistro stradale redatto da personale della polizia secondo Cass III, n. 29320/2022l'efficacia probatoria di atto pubblico non si estende alle percezioni sensoriali dei verbalizzanti relative alla fase dinamica dell'incidente ed esclude in proposito la necessità della querela di falso. Per converso, è riservata al giudizio di querela di falso — nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell'operato del pubblico ufficiale — la proposizione e l'esame di ogni questione concernente la alterazione del verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell'effettivo svolgersi dei fatti per la quale l'attestazione, contenuta nel verbale di accertamento di una infrazione alle norme del codice della strada, della diretta percezione da parte dell'agente verbalizzante del passaggio con semaforo rosso deve essere contestata con querela di falso. In definitiva, come è stato più volte specificato in sede pretoria, nel giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa pecuniaria, il verbale di accertamento dell'infrazione può assumere un valore probatorio disomogeneo, che si risolve in un triplice livello di attendibilità: a) il verbale fa piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l'eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c)in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, ai fini della decisione dell'opposizione proposta dal trasgressore, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quelle dichiarazioni siano comunque state ricevute dall'ufficiale giudiziario (Cass. n. 6565/2007; conforme Trib. Modena 1n. 489/2012). Si segnala, per la puntualità e chiarezza del percorso motivazionale, una decisione di merito per la quale va, poi, dichiarata l'inammissibilità della querela. Secondo la giurisprudenza costante della S. C., infatti, il processo verbale di accertamento di una violazione amministrativa redatta da pubblico ufficiale è espressione di uno specifico potere di documentazione, con effetti costitutivi sostanziali, conferiti dalla legge al pubblico ufficiale e che, pertanto, fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti del pubblico ufficiale attestanti come da lui compiuti od avvenuti in sua presenza, nonché, ovviamente, alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti (salva prova contraria della veridicità sostanziale di dette dichiarazioni). Tale efficacia privilegiata non si estende, invece, agli apprezzamenti e alle valutazioni del verbalizzante, ivi comprese, le circostanze di fatto documentate nel verbale che, in relazione alle modalità della percezione, non siano state passibili di conoscenza secondo criteri diretti e oggettivi e la cui conoscenza abbia comportato necessariamente da parte del verbalizzante margini di apprezzamento (Cass. S.U., n. 12545/1992). Pertanto, il verbale di accertamento fa piena prova fino a querela di falso intorno ai fatti attestati come compiuti direttamente dal pubblico ufficiale che lo ha formato o verificatisi in sua presenza, ferma rimanendo la possibilità di addurre la prova contraria sulla veridicità sostanziale o contenutistica delle dichiarazioni trasparenti dal medesimo verbale. E, invece, da escludere l'indispensabilità di dover ricorrere al rimedio della querela di falso quando si voglia contestare la rispondenza alla realtà delle valutazioni compiute dal pubblico ufficiale. Ciò comporta che la fede privilegiata non può essere riconosciuta né ai giudizi valutativi né alla menzione di quelle circostanze inerenti fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale e che, però, si risolvono in suoi apprezzamenti personali perché mediati attraverso una percezione sensoriale ovvero a fatti enunciati come compiuti non nella contestualità della formazione dell'atto ma in un momento anteriore. La Suprema Corte, in effetti, ha introdotto un criterio empirico concernente il grado oggettivo di attendibilità dell'accertamento, da desumersi in relazione alle circostanze nel corso delle quali il fatto oggetto dell'accertamento è stato rilevato, distinguendo tra percezione sensoriale organizzata o meno staticamente. Nel caso di specie, nel processo verbale di accertamento n. 25208 si enuncia che l'attore «oltrepassava l'incrocio nonostante il semaforo proiettasse luce rossa». Trattasi di fatto che, in relazione alle circostanze di verificazione come emerse anche dalla espletata prova testimoniale e delle loro modalità di accadimento repentino (orario mattutino di traffico intenso, posizione occupata dal verbalizzante rispetto all'incrocio), non è suscettibile di verificazione e controllo secondo un metro sufficientemente obiettivo ma è mediato da una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento. La Cassazione, infatti, proprio con riferimento ad un verbale di accertamento nel quale si attestava l'avvenuto transito di un'autovettura ad un crocevia mentre il semaforo proiettava luce rossa nella direzione di marcia — come avvenuto nel caso in esame — ha distinto tra la percezione di una realtà statica (come la descrizione dello stato dei luoghi senza oggetti in movimento) e l'indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante. In ordine alla prima ipotesi il verbale di accertamento di una violazione del codice della strada ha l'efficacia di piena prova fino a querela di falso, mentre nella seconda ipotesi il verbale di accertamento costituisce elemento probatorio liberamente valutabile e non coperto dalla fede privilegiata dell'atto pubblico (Trib. Salerno II, 22 settembre 2004). Analoghe devono essere, poi, le considerazioni nella ricostruzione della dinamica di un incidente stradale in ordine alla valutazione delle risultanze del verbale dello stesso redatto dagli agenti accertatori intervenuti nell'immediatezza: in particolare, il verbale della Polizia o dei Carabinieri fa piena prova fino a querela di falso in ordine ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell'incidente, quale risulta al momento del loro intervento. Peraltro non è preclusa la prova testimoniale contro le attestazioni, recepite nei verbali annessi al rapporto della polizia giudiziaria, le quali, assolvendo alla funzione — diversa da quella propria dell'atto pubblico — di informativa all'autorità giudiziaria di una notizia di reato, sono soggette, ai sensi dell'art. 116 c.p.c., alla libera valutazione del giudice del merito in relazione alla intrinseca veridicità delle dichiarazioni dei soggetti verbalizzanti, specie quando esse abbiano la natura di una testimonianza ed esprimano valutazioni, percezioni e sensazioni in ordine alla rappresentazione di un fatto dal quale possano sorgere responsabilità penali; ogni valutazione del giudice del merito in ordine alla rilevanza o meno della prova in concreto è, peraltro, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata Cass. n. 10820/2007, con riferimento ad una fattispecie, relativa all'investimento, da parte di un autocarro — nei confronti del cui autista, proprietario ed assicuratore era instaurata la causa — del conducente dell'auto sbalzato fuori per l'impatto con l'autotreno che lo precedeva, la Corte di merito aveva ricondotto la causa del decesso al traumatismo conseguente al tamponamento, perché la verbalizzazione degli agenti, secondo cui l'investito era ancora in vita al momento degli accertamenti sul posto, giungendo cadavere al pronto soccorso, risultava generica rispetto alle c.t.u. e testimonianze esperite. Altro ambito nel quale è necessario esperire la querela di falso per contrastare le risultanze documentali è, poi, quello afferente le attestazioni contenute nei verbali di causa e nelle sentenze, attese le funzioni attribuite al cancelliere in ordine alla pubblica fede di siffatti atti processuali. Pertanto, l'attestazione con la quale il cancelliere, ai sensi del comma 2 dell'art. 133 c.p.c., dà atto del deposito della sentenza, costituisce atto pubblico la cui efficacia probatoria, ex art. 2700, può essere posta nel nulla solo con la proposizione della querela di falso: ne consegue che, ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, la sentenza deve ritenersi depositata nella data attestata, sia pure erroneamente, dal cancelliere, fino a quando non sia attivata, con esito positivo, la suddetta procedura di falso. V., tra le altre, Cass. n. 9622/2009; Cass. n. 4092/1985. Invero, quando sull'originale di una sentenza figura una doppia attestazione da parte del cancelliere, il quale dà atto che essa è stata depositata in una certa data e pubblicata in una data successiva, ai fini del computo del c.d. termine lungo per l'impugnazione di cui all'art. 327 c.p.c. occorre fare riferimento alla data di deposito e non a quella di pubblicazione, in quanto è solo la prima che integra la fattispecie di cui all'art. 133 c.p.c., mentre la successiva pubblicazione si collega ad attività che il cancelliere è obbligato a compiere per la tenuta dei registri di cancelleria o per gli avvisi alle parti dell'avvenuto deposito (Cass. n. 7240/2011). Occorre peraltro evidenziare che, in accordo con una giurisprudenza pressoché consolidata della medesima S.C., l'attestazione contenuta nella narrativa della sentenza in ordine alla avvenuta lettura del dispositivo in udienza può essere contrastata soltanto con la querela di falso, trattandosi di affermazione contenuta in atto pubblico, né l'apposizione del deposito recante una data diversa appare di per sé idonea a porre in dubbio o ad ascrivere ad errore materiale la riferita attestazione, atteso che il deposito attiene alla motivazione della decisione e non esclude la lettura immediata del dispositivo (Cass. n. 15366/2005). Quanto ai verbali di causa occorre ricordare che: in presenza di una correzione non effettuata secondo quanto disposto dall'art. 46 disp. att. c.p.c., l'atto pubblico processuale, fermo restando l'effetto sostanziale dell'attività documentata, non può ritenersi fornito di fede privilegiata nella parte che risulta corretta in modo ambiguo: ne deriva che in una tale ipotesi spetta al giudice del merito valutare liberamente l'atto e scegliere, sulla base di adeguata motivazione, tra le possibili letture della parte corretta, fermo restando che la scelta della lettura del testo come risultante dalla correzione non può ritenersi giustificata dalla sola considerazione della posteriorità della correzione stessa, ove non si accerti che anche questa provenga dal pubblico ufficiale redattore dell'atto, o dal solo rilievo che dell'atto medesimo, nel testo risultante dalla correzione, siano state rilasciate copie, poiché i difetti dell'atto originale si riflettono nell'atto riprodotto (Cass.. 5894/2006; conf. Cass. n. 18341/2010). La querela di falso può investire anche una sentenza ma solo nel senso di privare di efficacia probatoria l'atto pubblico relativamente alla provenienza del documento dall'organo che l'ha sottoscritta, alla conformità dell'aspetto estrinseco dell'atto, ossia data, sottoscrizione, composizione del collegio giudicante, etc.) ma non è proponibile nell'ambito del giudizio di impugnazione della stessa decisione di cui si predica la falsità ( Cass. II n. 24007/2017). Secondo Cass. VI , n. 994/2016in tema di notificazione l'eventuale difformità di date tra la relata contenuta nella copia restituita al notificante e quella consegnata al notificante si risolve a favore della parte destinataria della notifica con la conseguenza che il notificante deve proporre querela di falso laddove affermi la diversità della data contenuta nelle relata dell'atto restituito in suo possesso. L'efficacia probatoria dell'atto pubblico, nella parte in cui fa fede fino a querela di falso, è limitata agli elementi estrinseci dell'atto stesso, come indicati all'art. 2700, e non abbraccia intrinseco del medesimo, che può anche non essere veritiero. Ne consegue che risulta ammessa qualsiasi prova contraria, nei limiti consentiti dalla legge, in ordine alla veridicità e all'esattezza delle dichiarazioni rese nel menzionato atto dalle parti. Fattispecie in tema di dichiarazioni dei contraenti, riportate nell'atto pubblico di "finanziamento ipotecario", relative all'esigibilità del credito garantito (Cass. VI, n. 20214/2019). Querela di falso: profili generaliStrumento volto a contrastare il c.d. estrinseco dell'atto pubblico è, come più volte evidenziato, la querela di falso, disciplinata dall'art. 221 c.p.c. come un processo sui generis, avente ad oggetto non la tutela di un diritto soggettivo, quanto la genuinità di un atto pubblico (così Luiso 2000, II, 99). Il documento può essere imputato di falso sotto il profilo materiale quando il contenuto nasce genuino ma viene successivamente alterato. Si ha, invece, falso ideologico quando si deduce che il pubblico ufficiale ha attestato nell'atto la verificazione di fatti difformi rispetto a quelli compiuti in propria presenza o effettuati dallo stesso. La querela di falso costituisce il rimedio estremo, la cui precipua finalità è quella di superare la fede privilegiata che l'ordinamento attribuisce, oltre che agli atti pubblici, anche alle scritture private, limitatamente alla provenienza delle dichiarazioni in esse contenute da chi figuri averle sottoscritte nei casi in cui la sottoscrizione sia stata riconosciuta, ovvero debba considerarsi legalmente riconosciuta. Cfr. Cass. n. 8162/2012, la quale ha pertanto evidenziato che alla parte la quale non abbia operato il tempestivo disconoscimento non resta che ricorrere alla querela di falso, alla cui proponibilità l'art. 221 c.p.c., proprio in considerazione della particolarità del rimedio e delle rigorose forme che ne disciplinano l'esperimento, non pone limitazioni di sorta quanto al grado e allo stato del giudizio. Peraltro, l'idoneità del documento impugnato ad assumere efficacia di prova privilegiata costituisce il presupposto necessario del procedimento di verificazione giudiziale a norma degli art. 221 ss. c.p.c., di talché è inammissibile la proposizione della querela avverso la consulenza tecnica d'ufficio, la quale, riguardo alle affermazioni, constatazione o giudizi in essa contenuti, non è munita di pubblica fede, potendo essere contrastata con tutti i mezzi di prova e non essendo vincolante per il giudice, che può liberamente disattenderla. V., tra le altre, Cass. n. 9796/2011; Cass. n. 12086/2007; Cass. n. 19539/2004. Con riferimento alla scrittura privata si è nondimeno precisato anche nella recente giurisprudenza di merito che: alla parte, nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata, deve ritenersi consentita, oltre alla facoltà di disconoscerla, così facendo carico alla controparte di chiederne la verificazione (addossandosi il relativo onere probatorio), anche la possibilità alternativa, senza riconoscere, né espressamente, né tacitamente, la scrittura medesima, di proporre querela di falso al fine di contestare la genuinità del documento, atteso che, in difetto di limitazioni di legge, non può negarsi a detta parte di optare per uno strumento per lei più gravoso, ma rivolto al conseguimento di un risultato più ampio e definitivo, quello, cioè, della completa rimozione del valore del documento con effetti erga omnes e non nei soli riguardi della controparte (Trib. Nola, sez. II, 18 gennaio 2011, in dejure.giuffre.it). Sotto un distinto profilo, appare anche importante ricordare che nel caso di sottoscrizione di documento in bianco, colui che contesta il contenuto della scrittura è tenuto a proporre la querela di falso soltanto se assume che il riempimento sia avvenuto absque pactis, in quanto in tale ipotesi il documento esce dalla sfera di controllo del sottoscrittore completo e definitivo, sicché l'interpolazione del testo investe il modo di essere oggettivo dell'atto, tanto da realizzare una vera e propria falsità materiale, che esclude la provenienza del documento dal sottoscrittore, mentre qualora, invece, il sottoscrittore, che si riconosce come tale, si dolga del riempimento della scrittura in modo difforme da quanto pattuito, egli ha l'onere di provare la sua eccezione di abusivo riempimento contra pacta e, quindi, di inadempimento del mandato ad scribendum in ragione della non corrispondenza tra il dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare, giacché attraverso il patto di riempimento il sottoscrittore medesimo fa preventivamente proprio il risultato espressivo prodotto dalla formula che sarà adottata dal riempitore (Cass. n. 18989/2010). In senso conforme, nella giurisprudenza di merito edita (cfr. Trib. Bari, sez. II, 29 dicembre 2005 n. 2793, in Giur. Merito, 2006, n. 7-8, 1696). In sostanza, pertanto, la querela di falso ha il fine di privare un atto pubblico della sua idoneità a far fede, a servire cioè come prova di atti o rapporti, mirando, attraverso la relativa declaratoria, a conseguire il risultato di provocare la completa rimozione del valore del documento e può essere proposta in via principale nei confronti di un documento anche qualora tale documento sia stato già prodotto in un diverso giudizio ed il querelante non intenda proporre la querela in via incidentale. Secondo l'art. 221 c.p.c., infatti, la querela di falso può essere proposta tanto in via principale quanto in via incidentale ed è esclusa l'esistenza di una opzione obbligata per il querelante, al quale è rimessa la scelta tra le due forme di querela. La querela di falso, ai sensi dell'art. 221 c.p.c., deve contenere a pena di nullità l'indicazione degli elementi specifici e delle prove della asserita falsità: costituisce, infatti, presupposto imprescindibile dell'ammissibilità della procedura, in ragione della rilevanza pubblica degli interessi connessi alla genuinità del documento e in considerazione della necessità di individuare i dati costitutivi della domanda relativa, l'indicazione e l'enunciazione specifica delle ragioni addotte dal querelante a sostenere la falsità del documento, con la conseguenza che non possono essere addotti nuovi ed ulteriori elementi di falsità successivamente alla proposizione della querela( cfr., tra le altre, Trib. Catanzaro II, 28 giugno 2011 e Trib. Padova I, n. 556/2006). Ai fini della valida proposizione della querela di falso, l'obbligo di indicazione degli elementi e delle prove della falsità di cui all'art. 221, comma 2, c.p.c. può peraltro essere assolto con qualsiasi tipo di prova che sia idoneo all'accertamento del falso, anche per mezzo di presunzioni, e non implica necessariamente la completa e rituale formulazione della prova testimoniale, essendo sufficiente l'indicazione di tale prova e delle circostanze che ne dovrebbero costituire l'oggetto (App. Milano 14 dicembre 2004.). Recentemente, tuttavia, le Sezioni Unite hanno richiamato l'attenzione dei giudici di merito in ordine alla valutazione dei presupposti di cui all'art. 221 c.p.c. avendo riguardo al principio di ragionevole durata del processo, evidenziando che in tema di querela di falso, la formulazione dell'art. 221 c.p.c., secondo cui la proposizione della querela deve contenere, a pena di nullità, l'indicazione degli elementi e delle prove poste a sostegno dell'istanza, indica in modo non equivoco che il giudice di merito davanti al quale sia stata proposta la querela di falso è tenuto a compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, finendosi diversamente dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost. (Cass., S.U., n. 15169/2010). Querela di falso proposta in via incidentale La querela di falso può essere in primo luogo proposta in un giudizio avente un differente oggetto al fine di contestare la genuinità di un documento avente efficacia fidefacente prodotto in tale procedimento: poiché la competenza a decidere sulla querela spetta al Tribunale in composizione collegiale, sia il giudice monocratico di Tribunale che gli altri giudici dell'ordinamento (ad es. giudici di pace, Corte d'Appello) a seguito dell'autorizzazione alla proposizione della querela dovranno sospendere il giudizio principale pendente dinanzi a sé. La proposizione della querela è atto riservato alla parte, che, pertanto, il procuratore privo di procura speciale in tal senso non può proporre.Una volta proposta la querela di falso incidentale, il giudice, valutata l'ammissibilità della stessa (cfr. Cass. n. 5040/2005, in Giust. Civ., 2005, I, 1182) deve quindi interpellare la parte la quale ha prodotto il documento circa l'effettiva intenzione di avvalersi dello stesso ai fini della decisione: soltanto nell'ipotesi di esito positivo dell'interpello Tuttavia la risposta affermativa all'interpello rivolto dal giudice alla parte circa l'intenzione di avvalersi del documento contestato, è revocabile poiché l'utilizzazione del documento resta nella disponibilità della parte che l'ha prodotto e che può, pertanto, dichiarare successivamente di non avvalersene (Cass. n. 7108/2001) difatti, potrà essere autorizzata la querela, non essendo nell'ipotesi opposta il documento utilizzabile in quel processo. In sede di merito si è evidenziato sul punto che: la dichiarazione di non volersi avvalere del documento prodotto, impugnato dalla controparte con querela di falso (art. 222 c.p.c.) costituisce rinunzia ad un mezzo di prova: essa deve essere resa dal procuratore alle liti (non importando disposizioni del diritto in contesa) sia perché la legge non riserva tale attività alla parte personalmente, sia perché trattasi di tipica attività rimessa al procuratore ad litem (App. Brescia 5 febbraio 1988, in Giust. Civ., 1988, I, 1028). Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità,la mancata risposta della parte che ha prodotto la scrittura all'interpello rivoltole dal giudice, ai sensi dell'art. 222 c.p.c., ha valore di risposta negativa in ordine al se la medesima parte intenda avvalersi in giudizio del detto documento, dal momento che viene omessa quella integrazione che, nell'incidente, il legislatore ritiene necessaria V., tra le altre, Cass. n. 883/2006; Cass. n. 15493/2002. Nel senso che la risposta negativa della parte, all'interpello rivolto dal giudice, ai sensi dell'art. 222 c.p.c., in ordine al se intende avvalersi in giudizio del detto documento, può anche desumersi da un equivalente contegno processuale della stessa, quale la mancata comparizione a rispondere cfr. Cass. 11912/2002. In senso diverso, si era però espressa la giurisprudenza precedente della stessa S.C. secondo cui in tema di querela di falso la mancata risposta della parte all'interpello rivoltole dal giudice in ordine alla volontà di avvalersi o meno del documento in giudizio deve equipararsi a risposta affermativa, giacché la produzione del documento implica di per sé la volontà di avvalersene e questa non può venir meno che a seguito di manifestazione di volontà contraria (Cass. n. 6185/1998). Se la parte non ritira quindi il documento il giudice dovrà valutarne la rilevanza ai fini della decisione, ossia esaminare se i mezzi di prova offerti sono idonei, astrattamente considerati ed indipendentemente dal loro esito, a privare di efficacia probatoria il documento impugnato e tale valutazione è ammissibile solo laddove la parte che intenda impugnare il documento ne indichi, con univocità e tempestività, gli elementi di irregolarità Cass. n. 28514/2008. Soltanto nell'ipotesi di giudizio positivo sulla rilevanza, il Giudice potrà autorizzare la proposizione della querela. Non si può trascurare che la questione della rilevanza dell'eventuale falsità del documento, impugnato con la querela in via incidentale di cui all'art. 221 c.p.c., ai fini della decisione di merito è devoluta esclusivamente al giudice del merito e non a quello della querela, il cui unico compito è quello di affermare o negare la falsità dell'atto, come si evince dal disposto dell'art. 222 dello stesso codice di rito, secondo il quale solo se il giudice istruttore valuta rilevante il documento in funzione della sentenza attinente al giudizio di merito può autorizzare la proposizione della querela (Cass. n. 12399/2007). In tale prospettiva è stato evidenziato che nel procedimento di querela di falso incidentale ad un giudizio pendente davanti al giudice amministrativo, il giudice ordinario non può disporre l'interpello, ai sensi dell'art. 222 c.p.c. e per conoscere se la parte che ha prodotto il documento intenda valersene, atteso che tale disposizione non è interna al procedimento di accertamento del falso ma costituisce un adempimento di verifica preliminare di rilevanza rimesso al giudice della causa principale (Cass. n. 20233/2011). Su tale questione si segnala in sede di merito l'ordinanza di Trib. Torino, 20 febbraio 2006. È quindi fondamentale distinguere tra proposizione e presentazione della querela di falso incidentale: invero, per quanto sinora evidenziato, la querela di falso in corso di causa, deve essere prima «proposta» ai sensi dell'art. 221 c.p.c., cioè portata all'attenzione del giudice affinché valuti la rilevanza e l'ammissibilità della relativa istanza, e, quindi, «presentata» ai sensi dell'art. 222 c.p.c., il che può avvenire solo dopo l'autorizzazione del giudice che ne abbia positivamente valutato l'ammissibilità. In altri termini, solo la «presentazione», e non la «proposizione» della querela dà origine al sub-procedimento incidentale di falso, con la conseguenza che la mera proposizione della querela stessa non comporta alcuna necessità di sospendere il giudizio principale (cfr. Cass. III, n. 12263/2009 e già Cass. n. 445/1978; Cass. n. 2280/1968). Invero, il giudice dinanzi al quale la querela sia proposta, anche se privo della competenza a conoscerne è comunque tenuto ad autorizzare o meno la presentazione della querela sulla base del motivato esame delle condizioni di ammissibilità della stessa, alla stregua del disposto degli art. 221 e 222 c.p.c. e, se riconosce la rilevanza del documento impugnato di falso e se il modo in cui l'impugnazione è proposta è conforme ai detti requisiti di ammissibilità, è tenuto a sospendere il giudizio e a rimettere le parti dinanzi al tribunale per il relativo procedimento ( Cass. n. 21062/ 2006) fissando a tal fine un termine perentorio per la riassunzione (Cfr. Trib. Roma 9 aprile 2001, in Giur. it., 2003, 699, con nota di Miozzo). Non si può trascurare, tuttavia, che almeno secondo una parte della giurisprudenza di merito il giudice della causa principale pendente in grado di Appello, incompetente a decidere sulla querela, non sarebbe previamente tenuto all'interpello della parte che ha prodotto il documento, bensì esclusivamente a valutarne la rilevanza per la decisione. In tale direzione si è affermato che: In ordine al primo motivo di gravame si rileva che parte appellante insiste nelle sue argomentazioni, già efficacemente confutate dal primo giudice, sulla asserita irregolarità del procedimento di proposizione della querela di falso per il mancato interpello, da parte del Giudice d'Appello, della P. C. ai sensi dell'art. 222 c.p.c. Tale tesi è priva di fondamento, in quanto l'art. 359 c.p.c. sancisce l'applicabilità ai giudizi di appello delle norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al Tribunale, se non sono incompatibili con le disposizioni del procedimento di appello. L'art. 355 c.p.c. a sua volta stabilisce che «se nel giudizio di appello è proposta querela di falso, il Giudice, quando ritiene il documento impugnato rilevante per la decisione della causa, sospende con ordinanza il giudizio e fissa alle parti un termine perentorio entro il quale debbano riassumere la causa di falso davanti al Tribunale». È evidente, quindi, come nel caso di specie non possa applicarsi l'art. 222 c.p.c. (che impone l'interpello della parte convenuta nel giudizio incidentale di querela di falso), norma incompatibile con la disciplina prevista per i giudizi di appello, nei quali è richiesta al Giudice la sola valutazione della rilevanza, ai fini della decisione, del documento impugnato. La ratio è agevolmente individuabile, trattandosi di documento che, necessariamente, è già stato utilizzato in primo grado. Pertanto, nel giudizio d'appello, il Giudice deve limitarsi a valutare la rilevanza del documento ai fini decisionali e, in caso positivo, sospendere il giudizio per consentire la riassunzione del giudizio di falso davanti al Tribunale, come ritualmente avvenuto nel caso di specie: v. al riguardo Cass.. III n. 104/1997, secondo cui « ai sensi degli artt. 221 e 355 c.p.c. nel giudizio di appello. il giudice non è tenuto a interpellare la parte, che lo ha prodotto, sulla sua intenzione di avvalersi del documento impugnato, ma deve limitarsi a valutarne la rilevanza ai fini della decisione, sospendendo in caso positivo il giudizio...». Appare pertanto pretestuosa l'argomentazione di parte appellante secondo cui la richiesta di interpello deve considerarsi sempre inutile, anche se proposta in primo grado, poiché, fisiologicamente, la querela di falso si propone sempre contro un documento che la controparte, con la produzione in giudizio, intende utilizzare. È di tutta evidenza come l'interpello debba necessariamente essere esperito nel giudizio di primo grado, quando, ai sensi dell'art. 222 c.p.c., la parte che ha prodotto il documento può ancora rinunciarvi (rendendolo quindi inutilizzabile in causa), ma non certamente nel giudizio di appello, quando il medesimo documento, posto a fondamento della decisione di primo grado, è già stato ampiamente e formalmente utilizzato (App. Firenze I, n. 298/2006). In ogni caso, in tema di querela di falso, il giudizio di ammissibilità e rilevanza non è riservato alla fase della sua proposizione, in quanto l'ordinanza che autorizza la presentazione non è suscettibile di passare in giudicato e, pertanto, non vincola il giudice della querela che, se non è obbligato a esaminare nuovamente la rilevanza, è tenuto a controllare che: a) che sulla genuinità del documento sia insorta contestazione; b) sia stato fatto uso del documento; c) il documento stesso sia idoneo a costituire prova contro l'istante (Cass. n. 6793/2012). In altri termini, benché il dettato normativo affidi all'istruttore il giudizio sulla rilevanza processuale dell'atto inciso dalla querela e sull'ammissibilità della proposizione della stessa, non è precluso al collegio il riesame dei presupposti suddetti, atteso che l'ordinanza dell'istruttore, non suscettibile di passare in giudicato, può essere riesaminata, sia in ordine ai requisiti formali che nel merito della rilevanza dei documenti impugnati di falso, ai sensi dell'art. 178, comma 1, c.p.c., dal collegio, in sede di decisione della causa ( Cass. n. 1110/2010). La parte interessata può proporre, come espressamente previsto dall'art. 221 c.p.c., la querela in ogni stato e grado del giudizio, purché prima che la causa sia rimessa in decisione (Cass. n. 17900/2011). Inoltre, per giurisprudenza costante, nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione la querela incidentale di falso non è proponibile con riferimento a documenti già acquisiti nei precedenti gradi ed utilizzati nella decisione impugnata( cfr. Cass., S.U. , n. 11964/2011). Incardinato il giudizio di falso dopo l'autorizzazione dello stesso da parte del Giudice della causa principale, nel procedimento ex art. 70 c.p.c. è previsto l'intervento necessario del Pubblico Ministero, essendo coinvolto il generale interesse all'intangibilità della pubblica fede dell'atto, che l'organo requirente è chiamato a tutelare Cass. n. 12444/2000. Nondimeno, in accordo con le regole generali in tema di intervento c.d. necessario del pubblico ministero nel processo civile, l'obbligatorietà dell'intervento del pubblico ministero nel giudizio di falso, correlato all'esigenza di tutela di interessi generali in tema di pubblica fede e di ricerca dell'autore della falsità, non richiede la partecipazione del rappresentante di quell'ufficio alle varie udienze o anche alle operazioni di consulenza tecnica, essendo assicurata l'osservanza del precetto normativo tutte le volte che il predetto organo abbia avuto la possibilità di intervenire e di esercitare i poteri attribuitigli dalla legge Cass. n. 4236/1990.. Querela di falso proposta in via principale Il giudizio di querela di falso, tanto in via principale che incidentale, si connota quale processo a contenuto oggettivo con prevalente funzione di protezione dell'interesse pubblico all'eliminazione di documenti falsi dalla circolazione giuridica: peraltro, qualora la querela di falso sia proposta in via principale, il giudice non è tenuto al preliminare vaglio, al fine della valutazione dell'ammissibilità della domanda, della rilevanza del documento, come richiede invece l'art. 222 c.p.c., per il caso di querela incidentale, dopo avere prescritto l'interpello della controparte, ma deve, ai soli fini del riscontro della fondatezza o non della querela, controllare che sulla genuinità del documento sia insorta contestazione, che di esso sia stato fatto uso, anche al di fuori di un determinato processo e che, per il suo contenuto, esso sia suscettibile di costituire mezzo di prova contro l'istante, mentre non ha rilievo l'ammissione della falsità da parte del soggetto nei cui confronti la querela è stata proposta. V., tra le altre, Cass. n. 12130/2011; Cass. n. 9013/1992. Sotto un distinto profilo, non si può inoltre trascurare che se la querela di falso è proposta in via principale, in forza di procura espressamente contemplante, con riferimenti circostanziati al documento impugnato, è sufficiente la procura apposta in calce all'atto di citazione per soddisfare la condizione della proposizione personale, o a mezzo di procuratore speciale, della querela, richiesta dall'art. 221 c.p.c. a pena di nullità (Trib. Milano VI, n. 1065/2008, in Giust. a Milano, 2008, n. 1, 7). Nel giudizio di querela di falso instaurato in via principale è invero esclusa la proposizione di altre domande, anche se dipendenti dalla domanda di accertamento della falsità del documento (Cass. n. 13190/2006). Ai fini della sospensione necessaria del processo, nel quale sia stato prodotto il medesimo documento, impugnato con querela di falso in via principale in altro giudizio, occorre stabilire se l'eventuale dichiarazione di falsità del documento costituisca non già soltanto uno dei tanti elementi di valutazione, dei quali il giudice della causa asseritamente pregiudicata deve tenere conto nella formazione del proprio convincimento (ciò che implicherebbe, tutt'al più, un rapporto di pregiudizialità logica, ma non giuridica), bensì se tale dichiarazione costituisca il passaggio necessario della decisione in ordine ad un elemento costitutivo della pretesa dell'attore o di un'eccezione decisiva del convenuto in tale causa (Cass. n. 14578/2011). BibliografiaBarone, Interesse a proporre querela di falso in via principale, in, 1994, I, 2873 Comoglio, Le prove civili, Torino, 2004; Comoglio, Ferri, Taruffo, Lezioni sul processo civile, 4a ed., Bologna, 2006; Conte, artt. 2697- 2730. 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