Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 28 - Requisiti per la nomina a curatore 1 .

Alessandro Farolfi

Requisiti per la nomina a curatore1.

 

Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore:

a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;

b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura;

c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.

[ Nel provvedimento di nomina, il tribunale indica le specifiche caratteristiche e attitudini del curatore. ]2

Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell'impresa [durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento] , nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento3.

Il curatore e' nominato tenuto conto delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all'articolo 33, quinto comma4.

E' istituito presso il Ministero della giustizia un registro nazionale nel quale confluiscono i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali. Nel registro vengono altresi' annotati i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonche' l'ammontare dell'attivo e del passivo delle procedure chiuse. Il registro e' tenuto con modalita' informatiche ed e' accessibile al pubblico 5.

Al curatore fallimentare ed al coadiutore nominato a norma dell'articolo 32, secondo comma, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 35, comma 4-bis, e 35.1 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; si osservano altresi' le disposizioni di cui all'articolo 35.2 del predetto decreto6.

 

[1] Articolo sostituito dall'articolo 25 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

[3] Comma modificato dall'articolo 5, comma 1, lettera a), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132 ; per l'applicazione vedi l'articolo 23, comma 3, del medesimo decreto.

[4] Comma aggiunto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132; per l'applicazione vedi l'articolo 23, comma 3, del medesimo decreto.

[5] Comma aggiunto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132; per l'applicazione vedi l'articolo 23, comma 3, del medesimo decreto.

Inquadramento

L'art. 28 l.fall. si occupa di individuare coloro che possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore. È evidente che, anche prima della riforma della legge fallimentare del 2006-2007, la figura del curatore rivestiva un ruolo centrale nell'amministrazione e gestione della procedura. Tuttavia è altrettanto evidente che solo con l'attuale disciplina il curatore ha visto irrobustito il proprio ruolo, da semplice liquidatore dei beni del fallito, come tale sottoposto ad un potere di direzione del g.d., ad un vero organo motore della procedura, chiamato — con l'autorizzazione del Comitato dei creditori ed il controllo del g.d. — ad operare scelte autonome sia in ordine alle azioni esperibili che alla stessa pianificazione della liquidazione, anche attraverso una innovativa logica tendente alla conservazione del valore dell'azienda. Paradigmatica, da questo punto di vista, si rivela, come si vedrà, l'introduzione dell'art. 104-ter l.fall. in tema di programma di liquidazione, documento ormai considerato il fondamentale atto di pianificazione dell'attività liquidatoria, che in via ordinaria è destinato ad essere approvato dal Comitato dei creditori, mentre il g.d. (salvi naturalmente i casi in cui sia applicabile l'art. 41 comma 4 l.fall.) opera una verifica di legalità, mediante la approvazione degli atti esecutivi conformi al piano già approvato. Resta invece confermata la natura in qualche modo bifronte del curatore, che è terzo rispetto all'imprenditore fallito in molte fattispecie giuridiche (ad esempio quando esercita l'azione revocatoria, fallimentare e ordinaria, o quando è chiamato a prendere posizione sulle domande di insinuazione allo stato passivo formulate dai creditori), ma in casi altrettanto importanti riveste la posizione di parte, in tutto e per tutto assimilabile a quella del fallito (ad es. quando agisce per far valere diritti di credito che già si trovavano nel patrimonio dell'imprenditore prima del fallimento o, ancora, quando subentra in rapporti contrattuali o processuali esistenti o pendenti alla data del fallimento). Discusso è altresì il ruolo di mero rappresentante dei creditori nel loro insieme ovvero la configurabilità di un ruolo pubblicistico connotato dal perseguimento di interessi più generali rispetto a quelli dei creditori. Del pari, l'autonomia gestoria oggi prevista si accompagna pur sempre alla qualità di ausiliare dell'organo giudiziario che procede alla sua nomina e può, motivatamente, revocarlo o sostituirlo.

Sulla posizione di terzo del curatore si è ormai formata una sterminata giurisprudenza. Quanto alle conseguenze probatorie, si è così ritenuto che nei confronti del creditore che proponga istanza di ammissione al passivo del fallimento, in ragione di un suo preteso credito, il curatore è terzo e non parte, circostanza da cui discende l'applicabilità dei limiti probatori indicati nell'art. 2704 c.c., con il corollario che la mancanza di data certa nelle scritture prodotte si configura come fatto impeditivo all'accoglimento della domanda oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice (Cass. S.U., n. 4213/2013). Ulteriore corollario in tema di prova della simulazione, rispetto alla quale si ritiene che il curatore, terzo rispetto al rapporto, possa fornire la relativa prova con ogni mezzo, non applicandosi al medesimo le rigide limitazioni previste per le parti dell'atto simulato. Il curatore del fallimento nella qualità di organo investito di una pubblica funzione nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, svolge un'attività distinta da quella del fallito o dei creditori, agendo egli imparzialmente, e non in rappresentanza o in sostituzione di costoro, onde far valere di volta in volta, e sempre nell'interesse della giustizia, le ragioni degli uni o degli altri, ovvero della massa attiva. Ne consegue che, nel giudizio in cui eserciti l'azione di simulazione spettante al contraente fallito, il curatore stesso cumula la legittimazione già spettante al fallito con quella già spettante ai creditori, agendo pertanto, come terzo quoad probationis avendo tale cumulo rilevanza, peraltro, soltanto nei confronti delle altre parti dell'atto impugnato, e non anche nei confronti del fallito rispetto al quale non è pertanto, configurabile alcun contrasto di interessi. Pertanto, è pienamente ammessa la prova della simulazione da parte del curatore senza limiti, ai sensi del combinato disposto ex artt. 1416 comma 2 — 1417 c.c. e dunque sia a mezzo testimoni che per presunzioni (sul punto si registra un apparente contrasto: da un lato nel senso ampliativo appena riportato, Cass. n. 9835/1994 e Cass. n. 14481/2005; nel senso che anche per il curatore valgono i limiti di cui all'art. 1417 c.c. Cass. n. 9297/2012; la più recente Cass. n. 7263/2013 conferma la non opponibilità della quietanza priva di data certa, mentre per la prova riconduce l'impossibilità di valersi della prova testimoniale per dimostrare la simulazione al tipo di azione svolta, in quel caso mirante – nella medesima posizione della parte poi fallita – a richiedere l'adempimento di un contratto).

La riforma del 2015

Per quanto riguarda la nomina del Curatore, l'art. 5 del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni con l. 6 agosto 2015, n. 132 (pubblicata sulla G.U. 20 agosto 2015 n. 192) introduce alcune modifiche all'art. 28 l.fall., stabilendo in primis una incompatibilità perpetua e non più soltanto biennale per «chi ha concorso al dissesto dell'impresa». Si tratta di una modifica che, seguendo l'impostazione declinata nella stessa relazione di accompagnamento, ha lo scopo di rafforzare la terzietà e la indipendenza del curatore. Si è pertanto ritenuto in sede di conversione che non fosse sufficiente l'allungamento a 5 anni della incompatibilità in commento ma occorresse estenderla sine die (con soluzione che appare ragionevole se si pensa che i soggetti che a vario titolo abbiano concorso al dissesto potrebbero essere attinti da un'azione di responsabilità esercitata proprio dal curatore che, in ipotesi di coinvolgimento seppur datato nella determinazione dell'insolvenza, finirebbe per trovarsi in una sorta di conflitto di interessi nell'esercizio rigoroso delle proprie attribuzioni). Scompare dal testo ufficiale della l. n. 132/2015 pubblicata nella G.U. una causa di incompatibilità che era stata prevista in sede di d.l. n. 83/2015 e che aveva immediatamente dato luogo a discussioni: quella relativa all'aver svolto funzioni di commissario giudiziale nel procedimento di concordato preventivo antecedente l'apertura della procedura concorsuale maggiore. Se in effetti vi possono essere casi di inopportunità nella nomina quale curatore del medesimo professionista che abbia in precedenza svolto le funzioni di commissario giudiziale, non di meno una incompatibilità assoluta era forse eccessiva. Si può pertanto ritenere che l'attuale eliminazione del divieto di nomina a curatore del precedente C.G. (forse effetto di un errore di trascrizione del testo approvato con quello effettivamente pubblicato in G.U., come ritiene Lamanna, 79) non renda di per sé sempre necessaria una nomina coincidente, pur spesso dettata da ragioni di economicità, ma restituisca al Tribunale l'esigenza di valutare discrezionalmente, ma con attenzione, i motivi favorevoli e contrari alla nomina dello stesso soggetto, prima come Commissario giud. poi come Curatore, nelle procedure riguardanti la medesima insolvenza. Tuttavia non sembra corretto estendere sic et simpliciter le motivazioni poste a base di Cass. n. 1237/2013, (che attiene ad una ritenuta incompatibilità fra funzioni di Commissario giud. e liquidatore giudiziale) considerato che nel caso di specie si è di fronte al diacronico svolgimento di funzioni diverse da parte del medesimo soggetto, mentre nel caso affrontato dai giudici di legittimità si è di fronte al sincronico assommarsi di funzioni operative e di vigilanza in capo al medesimo professionista. Non sembra perciò che tale ratio potesse in effetti sorreggere il nuovo caso di incompatibilità «scomparso» nel testo di legge definitivamente pubblicato. Del pari, nel testo definitivo risulta eliminato ogni riferimento alla necessità che «il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei tempi previsti dall'articolo 104-ter». Tale prescrizione, contenuta nel testo del d.l. 83, è stata sostituita dalla più generica esigenza che si tenga conto nella nomina del curatore «delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all'art. 33 quinto comma l.fall.». Va inoltre salutato favorevolemente il fatto che sia stata eliminata l'esigenza che il Tribunale, in sede di nomina del Curatore, potesse tener conto «delle eventuali indicazioni...espresse dai creditori nel corso del procedimento di cui all'art. 15», disposizione che seppur di non facile applicazione avrebbe potuto consentire delle interferenze privatistiche nella nomina di un soggetto che assolve indubbie funzioni pubblicistiche. La norma in effetti poteva creare fraintendimenti e fondarsi sulla suggestione derivante dall'art. 182 l.fall. (in cui l'inciso «se non dispone diversamente» è stato prevalentemente interpretato come possibilità per il debitore che avanza la proposta concordataria di indicare un soggetto professionalmente attrezzato ed indipendente quale liquidatore giudiziale) laddove è evidente che il curatore non si limita a svolgere compiti di puro gestore della fase liquidatoria, ma ha altresì un ruolo pubblicistico nell'indagare sulle cause della crisi, segnalare eventuali reati alla Procura, enucleare responsabilità da perseguire, promuovere azioni recuperatorie o risarcitorie, ecc.. Il riferimento alle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all'art. 33 quinto comma l.fall. non può essere evidentemente riferito alla stessa procedura concorsuale (giacché nel momento della nomina simili adempimenti non possono ancora essere stati svolti), né può pensarsi che si alluda ai rapporti semestrali previsti dall'art. 182, comma 6 l.fall. come adempimento a carico del liquidatore giudiziale, stante la specifica lettera della legge. Può invece più probabilmente ritenersi che il legislatore abbia voluto semplicemente far riferimento all'esigenza che il Tribunale tenga conto nelle nomine dei risultati della liquidazione e della professionalità e solerzia che i professionisti hanno già dimostrato in altre procedure, in modo da alimentare un circuito virtuoso e trasparente nel procedimento di affidamento del delicato incarico di Curatore, volto a consentire la nomina di soggetti che già «abbiano dato buona prova di sé». Sempre in quest'ottica di trasparenza nella distribuzione degli incarichi appare muoversi la prevista istituzione di un registro nazionale presso il Ministero della giustizia, relativo alle nomine dei liquidatori giudiziali, commissari giudiziali e curatori, in cui annotare altresì i provvedimenti di chiusura dei fallimenti e di omologazione dei concordati, nonché dei dati relativi all'attivo ed al passivo delle procedure chiuse. Va notato che la c.d. riforma Rordorf – recentemente approvata dalle camere in prima lettura – prevede, con riferimento alla nomina del Curatore, di intervenire al fine di accentuare l'efficacia di azione di questa figura, fra l'altro integrando la disciplina della incompatibilità tra incarichi assunti nel succedersi di diverse procedure, introdurre e definire poteri di accertamento e di accesso a pubbliche amministrazioni e a banche di dati, per assicurare l'effettività dell'apprensione dell'attivo, specificare il contenuto minimo del programma di liquidazione.

I soggetti nominabili: lett. a)

I professionisti indicati nella lett. a) della norma in commento sono i seguenti: avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti. Trattasi di soggetti che potevano essere designati come curatori anche prima della riforma del 2006-2007. In dottrina è discusso se occorra il semplice possesso del titolo abilitativo all'esercizio di una delle professioni indicate o, piuttosto, se sia altresì necessaria la iscrizione al rispettivo albo d'appartenenza. Questo secondo orientamento è nettamente prevalente, tanto da ritenersi che una eventuale cancellazione dall'albo comporti altresì, necessariamente, la decadenza dall'incarico di curatore (Grossi, 251); non manca tuttavia un altro orientamento che ritiene che il requisito ordinistico, ove realmente necessario, debba essere espressamente previsto, come nel caso del professionista attestatore, ex art. 67 comma 2, lett. d) l.fall. (D'aquino – Delladio – Fontana – Mammone, 56). Quest'ultimo argomento, pur autorevole, non sembra dirimente. Da un lato, infatti, la nomina del professionista attestatore proviene dallo stesso debitore e non dal tribunale, dall'altro le norme in tema di qualificazioni professionali distinguono sempre fra soggetti meramente abilitati all'esercizio della professione (quando ad es. il profilo soggettivo rilevante sia un mero bagaglio culturale di conoscenze) da coloro che possono definirsi avvocati o commercialisti, la cui qualifica professionale non può essere spesa senza la relativa iscrizione all'albo, che svolge una funzione di pubblicità costitutiva verso i terzi, anche a tutela dell'ulteriore bene della fede pubblica. In effetti le prassi conoscono circolari, in uso anche presso i principali uffici giudiziari, che prevedono addirittura requisiti più restrittivi di quelli testualmente richiesti dalla norma, richiedendosi quale requisito formale soggettivo l'appartenenza/iscrizione da almeno cinque anni all'Ordine degli Avvocati e/o all'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili; di norma, previa specifica istanza dell'interessato cui deve essere allegato un curriculum da cui emerga il possesso di conoscenze ed esperienze adeguate allo svolgimento delle funzioni curatorie e commissariali. Non appare invece necessaria l'iscrizione all'albo dei CTU del tribunale. Va notato, piuttosto, come in attuazione della legge delega 24 febbraio 2005, n. 34, il d.lgs. 28 giugno 2005, n. 139 abbia fatto confluire l'ordine dei dottori commercialisti e quello dei ragionieri e periti commerciali in un nuovo ordine unico, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che al suo interno è distinto in due sezioni: la sezione A, per i dottori commercialisti dotati di laurea quinquennale; la sezione B, riservata agli esperti contabili in possesso di laurea triennale. Orbene, a conferma di quanto detto precedentemente, l'art. 1, comma 3 lett. d) del d.lgs. citato, ha espressamente previsto che ai soli iscritti nella sezione A «può essere conferito «l'incarico di curatore, commissario giudiziale e commissario liquidatore nelle procedure concorsuali, giudiziarie e amministrative, e nelle procedure di amministrazione straordinaria, nonché l'incarico di ausiliario del giudice, di amministratore e di liquidatore nelle procedure giudiziali».

È penalmente rilevante il comportamento di chi esercita la professione di avvocato senza essere iscritto all'albo, anche se risulta in possesso dell'abilitazione professionale ed anche se il professionista non va in udienza; per il reato è sufficiente curare le pratiche legali a far scattare l'esercizio abusivo della professione. (Cass. pen. n. 646/2014).

Segue. Lettera b).

La riforma del 2006 ha per la prima volta previsto la possibilità, per il tribunale, di nominare come curatore degli studi sociali associati o delle società fra professionisti. La ragione di questa innovazione consiste nella presa di coscienza che le crisi aziendali hanno dimensioni sempre più vaste e problematiche organizzative sempre più complesse, la cui soluzione ben difficilmente può essere affrontata da un solo professionista e, spesso, può essere adeguatamente fronteggiata soltanto dal concorso di diverse esperienze e specializzazioni professionali. La scommessa di questa disposizione, peraltro di non frequente applicazione, era la sostituzione di un approccio fiduciario individuale fra organo giudiziario e curatore con una cultura della professionalità e della managerialità della gestione della crisi e della stessa fase liquidatoria (da questo punto di vista la norma può collegarsi ad altre disposizioni che, come l'art. 105 comma 8 – liquidazione dell'azienda o suoi mediante conferimento in una o più società – o l'art. 106 ultimo comma – gestione dei crediti mediante mandato all'incasso a favore di soggetti terzi – operano una spersonalizzazione di fasi importanti della liquidazione dell'attivo fallimentare). È tuttavia indispensabile che i soci dello studio associato o della società di professionisti siano in possesso della qualifica professionale prevista dalla lett. a). Non manca chi ritiene che tale qualifica possa spettare soltanto ad alcuni soci. Le società di professionisti, un tempo vietate dall'art. 2 della legge n. 1815/1939, sono oggi ammesse dall'art. 10 della l. n. 183/2011 (c.d. legge di stabilità per il 2012). Al tribunale spetta unicamente la nomina come curatore dello studio associato o della società tra professionisti. Spetta poi all'associazione così individuata, all'atto della nomina, designare il singolo specifico professionista responsabile della procedura. È quindi pur sempre necessario, contraddicendo in parte la ratio appena ricordata, che il curatore eserciti le proprie funzioni personalmente, così come ancora oggi prevede l'art. 32 l.fall. In ogni caso la distinzione formale fra nomina dello studio o società (da parte del tribunale) e designazione del responsabile o gestore della singola procedura (da parte del legale rappresentante della società fra professionisti) non è priva di rilievo. Potrebbe accadere, ad esempio, che la nomina sia avvenuta sulla scorta di un rapporto fiduciario sperimentato con uno o più professionisti di un certo studio o STP; l'abbandono dello studio da parte di questi o la designazione quale responsabile di altro socio non può portare alla diretta individuazione da parte del Tribunale di un altro responsabile interno allo studio, ma comporterà la revoca della nomina di quest'ultimo e la individuazione di un diverso curatore. L'organo giudiziario, cioè, non sembra possa sostituirsi all'associazione dei professionisti nella designazione del responsabile, ma dovrà procedere alla revoca e nomina di un nuovo curatore, così da consentire le garanzie e le possibilità di riesame previste dall'art. 37. Così, ancora, nel caso in cui il socio designato dallo studio come responsabile lasci lo studio, ovvero perda la propria iscrizione ordinistica, si deve ritenere che il Tribunale non possa sic et simpliciter individuare altro responsabile, spettando allo studio o società procedere alla sostituzione, salvo che il Tribunale non ritenga compromesso il rapporto fiduciario e, pertanto, revochi la nomina dello studio, officiando altro curatore. Nell'ipotesi in cui tutti i soci perdano la qualità professionale richiesta dalla lett. a), naturalmente non potrà lo studio individuare altro responsabile, sì che la situazione determinerà una causa di revoca della nomina e la possibilità per il Tribunale di procedere ai sensi dell'art. 37.

Le notevoli dimensioni dell'impresa e la presumibile complessità della procedura giustificano la nomina di un collegio di curatori (Trib. Torre Annunziata, 2 maggio 2012).

Segue. Lettera c).

Va infine rilevato che del tutto nuova, rispetto al sistema previgente la riforma del 2006-2007, è la possibilità di nominare come curatori soggetti che abbiano svolto le funzioni di amministratore o sindaco di s.p.a., «purché abbiano dato prova di adeguate capacità imprenditoriali e non sia intervenuta nei loro confronti sentenza di fallimento». Anche questa disposizione prosegue la medesima ratio di cui si è detto al par. precedente, volta a favorire una maggiore capacità organizzativa e managerialità nello svolgimento delle funzioni di curatore. Si è sostenuto (Abete, 534) che la norma potrebbe essere estesa ai tipi societari in cui sia richiesto un analogo livello di responsabilità e professionalità a quello richiesto per la s.p.a., così per il caso di società in accomandita per azioni (art. 2454 c.c.) o per le società cooperative di rilevanti dimensioni (art. 2519 c.c.). Del pari si è sostenuto che la norma non richieda, in caso di partecipazione ad un consiglio di amministrazione, di essere stati membri di un comitato esecutivo od aver svolto funzioni delegate. Il riferimento alle funzioni di direzione, ancora, implica la possibilità di nomina a curatore per coloro che siano stati nominati direttori generali (art. 2346 c.c.). Il riferimento alle funzioni di controllo, invece, comporta la necessità — ai fini della nomina all'ufficio di curatore – di essere stato membro di un collegio sindacale o di un consiglio di sorveglianza, nel c.d. sistema dualistico (art. 2409-terdecies c.c.). Si discute del significato da attribuire all'espressione limitativa «purché non sia intervenuta nei loro confronti sentenza di fallimento». Secondo l'opinione più liberale, tale sentenza dovrebbe riguardare in proprio il soggetto da designare, ossia (in linea con quanto parrebbe emergere dalla Relazione ministeriale di accompagnamento alla riforma) dovrebbe trattarsi di imprenditori individuali falliti direttamente, ovvero di soci illimitatamente responsabili falliti per estensione rispetto alla società amministrata. Il dubbio sulla correttezza di detta interpretazione è giustamente posto (Bonfatti – Censoni, 84), considerato che la sentenza di fallimento della società amministrata o controllata potrebbe anche essere intesa come fonte di una presunzione legale assoluta di incapacità ad assumere, successivamente, le funzioni di curatore. In realtà ben può ritenersi che la norma intenda la sentenza di fallimento in proprio come motivo di incapacità e la sentenza di fallimento della società amministrata o controllata come una prova presuntiva del possesso inadeguato di capacità imprenditoriali concorrentemente richiesta. In questo modo sarà tuttavia possibile fornire una prova contraria, ad esempio nel caso in cui si fosse nominati liquidatori o amministratori a decozione ormai avvenuta e sedimentata con lo scopo, cosa che non di rado si verifica proprio con riguardo alla nomina di professionisti della crisi di impresa, di «portare i libri in tribunale», senza alcun concorso causale nella verificazione del dissesto. Va peraltro aggiunto che simili interrogativi rivestono un carattere prevalentemente teorico, posto che la nomina di questi soggetti avviene più per il concorrente possesso delle qualità richieste dalla lett. a) che per una vera dimostrazione (spesso incontrollabile) di capacità manageriali, e che la nomina di amministratori o sindaci privi della qualifica professionale avviene in modo estremamente raro.

Incapacità

La norma prevede alcune incapacità specifiche ad assumere l'ufficio di curatore. In primo luogo, come già visto al paragrafo precedente, viene inconsiderazione la dichiarazione di fallimento del soggetto che si vorrebbe designare come curatore, nonché, ma quale indice di scarsa attitudine e capacità gestoria, la dichiarazione di fallimento della società di cui si era amministratori o sindaci, salva la dimostrazione del non aver dato causa allo stato di dissesto. Vi sono poi impedimenti di carattere soggettivo fondati sul rapporto di parente coniugio od affinità con il fallito: non possono infatti ricoprire il ruolo di curatore i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, nonché il coniuge del fallito. Per fallito deve intendersi anche chi sia sottoposto ad una procedura concorsuale riflessa, o per estensione (così il coniuge del socio illimitatamente responsabile non solo non potrà essere curatore del fallimento personale del partner, ma neppure della società di cui era socio ed amministratore). Altra ipotesi di impedimento specifico (o incapacità non assoluta ma relativa) ricorre rispetto a chi sia creditore del fallito. La norma qui prevede una sorta di presunzione assoluta di carenza di obiettività e quindi di impedimento ad assumere le funzioni curatorie. In verità, dovrebbe più correttamente ritenersi che la qualità di creditore sia un caso specifico ed esemplificativo della più generale categoria del conflitto di interessi con il fallimento. Quindi solo nelle situazioni in cui il soggetto, in quanto creditore, si trovi nella situazione di beneficiare se stesso creando pregiudizio per la procedura concorsuale, ossia nella condizione di poter scegliere fra perseguire il proprio interesse particolare e quello più generale dei creditori e della procedura, solo in tali casi dovrebbe ritenersi effettivamente sussistente l'impedimento in parola. Quindi, nell'ipotesi di creditore chirografario verso un fallimento il cui attivo neppure appaia sufficiente a consentire alcuna soddisfazione per i creditori privi di cause di prelazione, tale ipotesi di incapacità dovrebbe ritenersi insussistente. Così, del pari, per quel creditore tutelato al massimo grado dal riconoscimento della prededuzione, rispetto a quella procedura dotata di una liquidità ampiamente sufficiente al regolare soddisfacimento di tale credito. Del resto non si spiega diversamente la circostanza che in sede di conversione del d.l. n. 83/2015 il legislatore abbia eliminato una causa di incompatibilità che si voleva in un primo tempo introdurre, consistente nell'essere stati commissari giudiziali nel procedimento di concordato preventivo poi sfociato nella procedura concorsuale maggiore. Anche in questa ipotesi, infatti, il professionista ha certamente maturato un credito nei confronti della procedura maggiore e, sempre certamente, lo stesso ben può dirsi sorto in «occasione» della stessa, ben potendo fruire della prededuzione, ex art. 111 l.fall. Nondimeno, con la legge di conversione n. 132/2015 tale incompatibilità è stata immediatamente eliminata, ritenendosi che spetti al Tribunale, volta per volta e non in via generale ed astratta, a valutare se il professionista già commissario giudiziale sia «incompatibile» o meno a svolgere le funzioni di curatore, con valutazione da svolgersi in concreto e non in via generale ed ipotetica (il caso potrebbe porsi, ad esempio, quando il fallimento derivi dalla segnalazione compiuta dal C.G. della commissione di atti di frode il cui carattere decettivo od illecito, ex art. 173 l.fall., sia contestato ed abbia portato alla impugnazione del provvedimento di revoca dell'ammissione alla procedura di concordato ed alla pronuncia di fallimento o quando, addirittura, per essere stato consulente del debitore, lo stesso abbia interesse contrario all'emersione di possibili responsabilità del fallito e proprie). Ed infatti, ecco le ultime due categorie più generali di impedimento: a) l'aver concorso al dissesto dell'impresa; b) il trovarsi in conflitto di interessi con il fallimento. Quanto alla prima non occorre un particolare elemento soggettivo, deve infatti ritenersi che sia sufficiente l'aver tenuto comportamenti che di fatto, in modo obiettivo, siano causalmente connessi alla determinazione della crisi aziendale; al riguardo si segnala che è stato soppresso l'inciso «durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che l'impedimento in parola deve oggi intendersi come permanente; b) anche l'ipotesi di conflitto di interessi, finché sussiste, costituisce una incapacità permanente a svolgere le funzioni di curatore. Si è detto che tale conflitto sussiste quando il soggetto sia portatore di un interesse contrario a quello dei creditori e sia nella posizione di poter soddisfare questo interesse proprio ed egoistico sacrificando quello collettivo. Come detto tale situazione non sussiste in genere, salvo verifica in concreto, nell'ipotesi in cui lo stesso soggetto abbia svolto le funzioni di commissario giudiziale e poi di curatore della medesima crisi. Ma neppure sussiste in via generale quando si sia curatore di fallimenti fra loro connessi: del resto una prassi assai diffusa prevede la nomina del medesimo curatore per il fallimento della società e per le procedure relative ai soci illimitatamente responsabili della stessa. Più rigorosa la problematica da affrontare nel caso in cui un curatore debba insinuare un proprio credito in altra procedura di cui pure sia curatore. Si sostiene in tali casi la necessità di nominare sempre e comunque un curatore speciale per il fallimento chiamato a valutare l'istanza di insinuazione. Ove si ritenga, come chi scrive, che tutte le ipotesi previste dal secondo comma dell'art. 28 individuino altrettante forme di incapacità non assoluta ma relativa, e quindi impedimenti soggettivi da verificare in concreto, anche in tale situazione potrebbero verificarsi casi in cui la nomina del curatore speciale non sia a stretto rigore necessaria. Si pensi all'insinuazione di un credito di natura chirografaria destinato a non trovare alcuna capienza nel fallimento, ma il cui titolo è comunque necessario per poter separatamente agire verso fideiussori in bonis. Si pensi, viceversa, al caso in cui l'insinuazione riguardi un credito destinato ad essere pacificamente soddisfatto dall'altra procedura di cui pure si è curatore. È invece l'area centrale – quella «grigia» — a meritare maggiore attenzione, in cui un credito possa o meno ricevere soddisfacimento, ed in una misura piuttosto che in un'altra a seconda delle valutazioni discrezionali condotte o di certe iniziative recuperatorie più o meno assunte. È in questi casi che l'attenzione e l'opportunità di procedere a nomine distinte si pone, anche per la banale esigenza che controllandosi a vicenda i diversi curatori, ciascuno funga da stimolo per l'altro e così, indirettamente, favorisca un più efficiente e rapido andamento delle procedure fra loro collegate.

Il registro nazionale delle nomine

La riforma adottata con il d.l. n. 83/2015, successivamente convertito con l. n. 132/2015, ha aggiunto una disposizione di chiusura all'articolo in commento. Si prevede infatti che venga istituito presso il Ministero della giustizia un registro nazionale nel quale confluiscono i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali. Si prevede altresì che in detto registro vengano annotati i provvedimenti di chiusura del fallimento, di omologazione del concordato, l'ammontare dell'attivo e del passivo. Tale registro, da tenersi con modalità informatiche, deve essere accessibile al pubblico. La funzione di tale norma è quella di perseguire una maggiore trasparenza nelle nomina degli ausiliari da parte dei tribunali, nonché, indirettamente, contenere una serie di elementi utili a consentire una valutazione dei risultati ottenuti dai diversi professionisti, oltre che costituire una molla per ciascuno «a fare meglio», considerato che la pubblicità del registro e la sua accessibilità da parte del pubblico (interessato) costituisce sicuramente uno stimolo a delle performance più ottimali, nell'interesse dei creditori e del buon andamento della procedura. Da notare che questa stessa idea di trasparenza sta alla base di una ulteriore previsione, contenuta nell'art. 3 della l. n. 119/2016 (di conversione del d.l. n. 83/2016: ennesima miniriforma estiva), secondo cui deve essere istituito presso lo stesso Ministero di giustizia un (ulteriore) registro delle procedure di espropriazione immobiliare, delle procedure di insolvenza o di gestione della crisi, accessibile dalla Banca d'Italia, in cui pubblicare tutte le informazioni ed i documenti relativi a queste procedure e diviso in due sezioni: una ad accesso pubblico e gratuito, l'altra ad accesso limitato. Solo su richiesta del debitore, del curatore, del commissario giudiziale, di un creditore e di chiunque vi abbia interesse o d'ufficio il g.d. o il tribunale (deve ritenersi nell'ambito delle rispettive competenze) possono limitare la pubblicazione di un documento o di una sua parte.

Le nuove incompatibilità introdotte dal d.lgs. n. 54/2018

Con la legge n. 161/2017 si era attribuita una delega al Governo per ridisegnare la disciplina del regime delle incompatibilità relative alle figure dell’amministratore giudiziario e di curatore fallimentare e loro coadiutori. Il Governo ha esercitato tale facoltà con il recentissimo d.lgs. 18 maggio 2018, n. 54, entrato in vigore il successivo 26 giugno 2018, dopo una vacatio legis di trenta giorni dalla pubblicazione in G.U. L’art. 1 di detto d.lgs., nel modificare il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ha introdotto nuove e più diffuse forme di incompatibilità per i professionisti nominati dal Tribunale nelle procedure concorsuali. In particolare si è previsto che “Non possono assumere   l'ufficio   di   Amministratore giudiziario, né quello di suo coadiutore, coloro i quali sono legati da rapporto di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, parentela entro il terzo  grado  o affinità entro il secondo grado con magistrati  addetti  all'ufficio giudiziario  al  quale  appartiene  il  magistrato   che   conferisce l'incarico, nonché coloro i  quali  hanno  con  tali  magistrati  un rapporto di assidua frequentazione.  Si intende  per  frequentazione assidua quella derivante  da  una  relazione  sentimentale  o  da  un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza,  nonché il  rapporto  di  frequentazione  tra commensali abituali”. L’art. 2, come anticipato, ha cura di estendere tali incompatibilità al Curatore ed al coadiutore nominato ai sensi del secondo comma dell’art. 32 l.fall., introducendo un nuovo ultimo comma all’art. 28 l.fall. In virtù del rinvio all’art. 28 l.fall. compiuto dall’art. 163 comma 2 n. 3), le nuove incompatibilità si applicano anche al Commissario giudiziale nelle procedure di concordato preventivo. Parimenti va segalato l’analogo rinvio all’art. 28 l.fall. da pare dell’art. 15 comma 9 della l. 27 gennaio 2012 n. 3 in tema di sovraindebitamento, con riguardo al professionista eventualmente nominato dal Tribunale per lo svolgimento dei compiti e delle funzioni attribuite agli organismi di composizione della crisi (pur se tale facoltà appare contraddetta dalla recente Cass8 agosto 2017 n. 19740). L’art. 4 del nuovo d.lgs. n. 54/2018, ancora, prevede l’espressa applicazione delle nuove incompatibilità al gestore per la liquidazione nominato dal Giudice ai sensi dell’art. 7 co. 1 ult. periodo della citata l. n. 3/2012 (accordo di composizione), nonché al liquidatore nominato ex art. 14 quinquies della stessa legge (liquidazione del patrimonio). Pur mancando un espresso rinvio nelle norme di nuovo conio, deve ritenersi che l’incompatibilità si applichi anche al liquidatore nominato per l’esecuzione del piano del consumatore sovraindebitato, posto il rinvio dell’art. 13 comma 1 l. n. 3/2012 all’art. 28 l.f. in commento. Le nuove incompatibilità appaiono di amplissimo tenore (non a caso definite “extralarge” in uno dei primi commenti: Lamanna, 2018) e rischiano di creare seri problemi nei tribunali medio-piccoli, che nei grandi uffici giudiziari, laddove un regime esteso ai rapporti di assidua frequentazione (formula lata e declinata nell’incerto presupposto della “reciproca confidenza”) con tutti i magistrati dell’ufficio giudiziario che provvede alla nomina rischia di creare non poche interferenze al buon andamento dell’attività giudiziaria ed alla speditezza ed efficienza delle procedure. Se, infatti, la ratio di trasparenza sottesa è certamente condivisibile, mendo comprensibile è – da un lato – l’estensione dell’incompatibilità a tutto l’ufficio giudiziario e non ai soli magistrati della sezione o del settore che provvede alla nomina e – dall’altro – la mancata inclusione delle incompatibilità con i colleghi di studio di parenti, coniugi o conviventi. Sono stati pertanto, al riguardo, già prospettati dei dubbi di tenuta costituzionale delle nuove norme (Zanichelli, 2018).

Di particolare interesse pratico è la modifica della dichiarazione di incompatibilità,  che riguarda tutti i soggetti appena indicati, ciascuno dei quali: “…al    momento    dell'accettazione dell'incarico e comunque entro due giorni dalla  comunicazione  della nomina,  deposita  presso  la  cancelleria  dell'ufficio  giudiziario conferente l'incarico una  dichiarazione  attestante  l'insussistenza delle cause di incompatibilità di cui all'articolo 35, comma  4-bis”. Si ritiene che il deposito cartaceo in cancelleria possa essere validamente sostituito dal deposito telematico della dichiarazione di insussistenza dell’incompatibilità nella specifica procedura concorsuale “caricata” sull’applicativo informatico dell’ufficio. La dichiarazione, per ragioni di completezza, seppur non direttamente rilevante ai fini della nomina ricevuta, deve estendersi a valutare i rapporti con tutti i magistrati del distretto della Corte d’Appello di appartenenza dell’ufficio che procede alla nomina. Si prevede, infatti, che “nella dichiarazione  il  soggetto  incaricato  deve   comunque indicare … l'esistenza  di  rapporti di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, parentela entro il  terzo  grado  o  affinità entro il secondo  grado  o  frequentazione  assidua  con  magistrati, giudicanti o requirenti, del distretto di Corte di appello nel  quale ha  sede  l'ufficio  giudiziario  presso  il  quale  è  pendente  il procedimento”. Per i coadiutori si può immaginare che spetti al Curatore acquisire la dichiarazione da parte del soggetto di cui si propone al Tribunale la nomina (nelle procedure prive di Comitato dei creditori, da autorizzare ex art. 41 comma 4 l.fall.) o di cui si comunica la nomina (nelle procedure in cui è già intervenuta l’autorizzazione del C.d.C.), anche qui entro 2 giorni al massimo dalla designazione. Si intende che la mancata dichiarazione o la dichiarazione positiva comportano la necessità di individuazione di altro coadiutore, se del caso previa revoca da parte del G.D., cui compete la vigilanza sul legittimo andamento della procedura, sussistendo un indubbio caso di urgenza in assenza di attivazione spontanea da parte del Curatore o del C.d.C. Le nuove norme non si applicano al delegato, ai sensi dell’art. 32 comma 1 l.fall. Inoltre, nel novero dei coadiutori di cui all’art. 32 comma 2 l.fall. non possono ritenersi compresi, per ragioni di ordine sistematico, la nomina di legali e difensori del fallimento (ruolo che infatti ex art. 31 ult. comma il curatore non può svolgere), come pure i soggetti autonomamente previsti dalla legge con funzioni proprie e specifiche rispetto al curatore, con la cui opera concorrono soltanto in via occasionale in vista del miglior andamento della procedura concorsuale (è il caso, ad es. dello stimatore individuato dal Curatore ex art. 87 l.fall.). Particolare attenzione va prestata alla sanzione prevista: “in caso di violazione della disposizione (…) il  tribunale  provvede  d'urgenza  alla  sostituzione  del  soggetto nominato. Il tribunale provvede allo stesso modo  nel  caso  in  cui, dalla dichiarazione depositata, emerga la sussistenza di una causa di incompatibilità.  In  caso  di  dichiarazione  di  circostanze   non corrispondenti al vero effettuata da un soggetto iscritto ad un  albo professionale,  il  tribunale  lo   segnala   all'organo   competente dell'ordine o del collegio professionale ai fini della valutazione di competenza in ordine  all'esercizio  dell'azione  disciplinare  e  al presidente  della  Corte  di  appello  affinché  dia  notizia  della segnalazione a tutti i magistrati del distretto”.

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