Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 26 - Reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale 1 2 3 4 5 .

Alessandro Farolfi
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale 1 2 3 4 5.

 

Salvo che sia diversamente disposto, contro i decreti del giudice delegato e del tribunale, puo' essere proposto reclamo al tribunale o alla corte di appello, che provvedono in camera di consiglio.

Il reclamo e' proposto dal curatore, dal fallito, dal comitato dei creditori e da chiunque vi abbia interesse.

Il reclamo e' proposto nel termine perentorio di dieci giorni, decorrente dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento per il curatore, per il fallito, per il comitato dei creditori e per chi ha chiesto o nei cui confronti e' stato chiesto il provvedimento; per gli altri interessati, il termine decorre dall'esecuzione delle formalita' pubblicitarie disposte dal giudice delegato o dal tribunale, se quest'ultimo ha emesso il provvedimento. La comunicazione integrale del provvedimento fatta dal curatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, telefax o posta elettronica con garanzia dell'avvenuta ricezione in base al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, equivale a notificazione.

Indipendentemente dalla previsione di cui al terzo comma, il reclamo non puo' piu' proporsi decorso il termine perentorio di novanta giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria.

Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento.

Il reclamo si propone con ricorso che deve contenere:

1) l'indicazione del tribunale o della corte di appello competente, del giudice delegato e della procedura fallimentare;

2) le generalita' del ricorrente e l'elezione del domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito;

3) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa il reclamo, con le relative conclusioni;

4) l'indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.

Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso, designa il relatore, e fissa con decreto l'udienza di comparizione entro quaranta giorni dal deposito del ricorso.

Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato, a cura del reclamante, al curatore ed ai controinteressati entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto.

Tra la data della notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non minore di quindici giorni.

Il resistente deve costituirsi almeno cinque giorni prima dell'udienza, eleggendo il domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale o la corte d'appello, e depositando una memoria contenente l'esposizione delle difese in fatto e in diritto, nonche' l'indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti.

L'intervento di qualunque interessato non puo' avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione della parte resistente, con le modalita' per questa previste.

All'udienza il collegio, sentite le parti, assume anche d'ufficio i mezzi di prova, eventualmente delegando un suo componente.

Entro trenta giorni dall'udienza di comparizione delle parti, il collegio provvede con decreto motivato, con il quale conferma, modifica o revoca il provvedimento reclamato.

[2] La Corte costituzionale, con sentenza 23 marzo 1981, n. 42, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'intero articolo, nel testo precedente la sostituzione, in relazione all'articolo 23, nella parte in cui assoggettava al reclamo al tribunale, disciplinato nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo.

[3] La Corte costituzionale, con sentenza 19 novembre 1985, n. 303, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'intero articolo, nel testo precedente la sostituzione, in riferimento agli articoli 23, primo comma, e 25, n. 7, ultima proposizione, nella parte in cui assoggettava a reclamo al tribunale il decreto con il quale il giudice delegato liquidava il compenso a qualsiasi incaricato per l'opera prestata nell'interesse del fallimento; ed anche l'illegittimità costituzionale del primo comma nella parte in cui faceva decorrere il termine di tre giorni per il reclamo al tribunale dalla data del decreto del giudice delegato anzichè dalla data della comunicazione dello stesso ritualmente eseguita.

[4] La Corte costituzionale, con sentenza 24 marzo 1986, n. 55, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo, secondo e terzo comma del presente articolo , nel testo precedente la sostituzione, in relazione all'articolo 23, primo comma, e agli articoli 188 , secondo e terzo comma, 167 , secondo comma, e 164 del presente Regio Decreto nella parte in cui si assoggettavano al reclamo al tribunale, nel termine di tre giorni decorrenti dalla data del decreto del giudice delegato anzichè dalla data della comunicazione dello stesso debitamente eseguita, i provvedimenti del giudice delegato alla amministrazione controllata con contenuto decisorio su diritti soggettivi.

[5] La Corte costituzionale, con sentenza 24 giugno 1986, n. 156, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'intero articolo, nel testo precedente la sostituzione, in relazione all'articolo 188 del presente Regio Decreto, nella parte in cui assoggettava al reclamo al tribunale nel termine di tre giorni decorrente dalla data del decreto del giudice delegato anziché dalla data di comunicazione dello stesso debitamente eseguita i decreti, adottati dal giudice delegato, di determinazione dei compensi ad incaricati per opera prestata nell'interesse della procedura di amministrazione controllata.

Inquadramento

Il legislatore della riforma 2006-2007 ha profondamente modificato la norma in commento, muovendosi lungo una duplice direttrice. Da un lato è stata espressamente prevista la reclamabilità (oltre che dei provvedimenti del g.d.) anche dei decreti del tribunale fallimentare, attribuendo la relativa competenza alla corte d'appello, con rito camerale, così superando una precedente situazione di assenza di gravame nei confronti dei provvedimenti del tribunale (con la problematica ulteriore di riconoscere per essi la ricorribilità in cassazione ex art. 111 Cost., oggi superata e piuttosto ancora attuale per il provvedimento emesso in sede di reclamo). Naturalmente, la reclamabilità deve essere rettamente intesa nei confronti dei decreti che il tribunale emette in prima istanza, nell'esercizio di una propria competenza diretta, non nei confronti dei provvedimenti che tale organo emette in sede di reclamo avverso i provvedimenti del g.d. Infatti, in caso contrario, finirebbe per ammettersi un doppio grado di reclamo di merito, quando non addirittura un quarto grado di giudizio. La reclamabilità dei decreti del tribunale prevista dall'art. 26 è, quindi, da intendersi in senso stretto, come gravame comportante il riesame di merito della decisione emessa in prime cure dall'organo collegiale di primo grado. Il secondo ordine di modifiche attiene, per converso, ad una più stringente e specifica regolazione del procedimento, elevato dal legislatore a modello processuale di procedimento camerale endoconcorsuale cui ricorrere, oltre che in via generale, anche in casi specifici indicati dal legislatore (si pensi all'art. 37 nel caso di revoca del curatore, alla chiusura del fallimento ex art. 119 l.fall. e per il socio ex art. 153, oppure all'art. 143 in tema di esdebitazione) e persino per la soluzione di possibili contrasti già in sede di prima pronuncia del provvedimento (è il caso, ad esempio, dell'art. 111-bis, che rinvia alla presente disposizione per la quantificazione contestata del compenso spettante agli ausiliari nominati ai sensi dell'art. 25 l.fall.; altra ipotesi, ancora, si trova nell'art. 129, che pure adotta queste forme procedimentali per l'opposizione e la decisione della richiesta di omologazione del concordato fallimentare).

A seguito delle modifiche normative si ritiene inammissibile il ricorso per cassazione avverso un provvedimento del giudice delegato reclamabile innanzi al tribunale ai sensi dell'art. 26 l.fall. (Cass. n. 19847/2015). Del pari, si è affermato che la previsione dell'articolo 26, comma 1 l.fall., secondo la quale contro i decreti del giudice delegato del tribunale può essere proposto reclamo al tribunale o alla corte d'appello, deve essere interpretato nel senso di escludere la reclamabilità in appello del provvedimento con il quale il tribunale abbia già giudicato su reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato. Diversamente opinando, poiché il reclamo proposto avanti al tribunale ha già comportato la consumazione del potere impugnatorio contro la prima decisione, si arriverebbe a consentire una duplicazione del mezzo di tutela (con una inedita forma di «reclamo sul reclamo») e, in astratto, la possibilità di conseguire quattro gradi di giudizio, con evidente abuso del processo e violazione del principio di sua ragionevole durata (Cass. n. 2949/2015). Secondo la giurisprudenza l'art. 111-bis comma 1 l.fall., introdotto dalla novella del d.lgs. n. 5 del 2006, mentre conferma la necessità di ricorrere al procedimento di verifica dei crediti per quelli prededucibili che risultino comunque contestati, in relazione ai compensi spettanti agli incaricati del curatore, prevede oggi espressamente, per il caso di contestazione, che la liquidazione degli importi spettanti ai detti incaricati avvenga con il procedimento di cui all'art. 26, cioè tramite il reclamo al collegio, cui ancora oggi sono legittimati, oltre naturalmente al curatore e al professionista cui si riferisce la liquidazione, il fallito e qualunque altro interessato (Cass. n. 13173/2016).

Competenza e altre forme di impugnazione

Il reclamo deve essere proposto al tribunale fallimentare o alla Corte d'appello a seconda della tipologia dell'atto impugnato: al primo ufficio se oggetto di doglianza è un provvedimento del g.d.; alla Corte nel caso in cui il gravame sia rivolto ad un decreto del tribunale. In questa seconda ipotesi, a seguito delle modifiche normative, è quindi possibile una doppia decisione collegiale anche nel merito. In ogni caso, come precisa l'art. 25 comma 2 (al cui commento su questo punto si rimanda) il g.d. non può far parte del collegio investito del reclamo contro i suoi atti. Si ritiene che il reclamo proposto ad un ufficio incompetente non consenta la translatio judicii, ma comporti l'inammissibilità del gravame, con conseguente perenzione della stessa possibilità di impugnativa se nel frattempo non tempestivamente coltivata avanti al giudice competente. L'art. 26 si apre con l'inciso «salvo che sia diversamente disposto». Il legislatore ha cioè inteso assegnare alla norma un carattere generale e sussidiario, applicabile in ogni situazione nella quale un diverso rimedio impugnatorio specifico non sia espressamente previsto (o la stessa impugnabilità sia esclusa). Fra i casi di impugnazione speciale devono ricordarsi, per la loro rilevanza, il reclamo alla Corte d'appello nei confronti del provvedimento di rigetto dell'istanza di fallimento, di cui all'art. 22 l.fall., nonché le impugnazioni previste dagli artt. 98 e 99 l.fall. di competenza funzionale del tribunale che ha dichiarato il fallimento, del cui collegio, anche in questo caso, non può far parte il g.d. Va ancora ricordato il caso dell'art. 102 l.fall. (insufficiente realizzo) nel quale la specialità riguarda soltanto il termine per la proposizione del gravame (di quindici giorni invece che dieci) mentre per il resto dovrebbero valere le regole generali del reclamo in commento.

Il reclamo avverso i decreti del giudice delegato va proposto, ex art. 26 l.fall., come novellato dal d. lgs. n. 5 del 2006 e successivamente modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007, innanzi al tribunale in composizione collegiale, sicché ove la corte d'appello, erroneamente investita, ometta di rilevarne l'inammissibilità, l'impugnazione, in sede di legittimità, va dichiarata inammissibile d'ufficio, con cassazione senza rinvio della sentenza erroneamente emessa, riguardando l'erronea individuazione del giudice legittimato a decidere non la competenza ma la valutazione delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame medesimo, senza che al gravame inammissibilmente spiegato (con relativo passaggio in giudicato della decisione di primo grado) possa riconoscersi efficacia conservativa del processo di impugnazione (Cass. n. 12005/2016). L'opposizione allo stato passivo è alternativa al reclamo ex art. 26 l.fall. e prevale sul secondo rimedio per specialità: il decreto del giudice delegato che, senza fissazione di udienza, sancisca l'inammissibilità della domanda tardiva di credito, perché formulata oltre il termine di cui all'art. 101 l.fall., così impedendo alla parte istante di fornire la prova della non imputabilità ad essa del ritardo, è impugnabile con l'opposizione di cui all'art. 99 l.fall., trattandosi di provvedimento che concorre alla formazione definitiva dello stato passivo ed incide sul diritto alla partecipazione al concorso del creditore (Cass. n. 21596/2012 in un caso in cui la sentenza impugnata aveva erroneamente riqualificato come reclamo ex art. 26 l.fall. l'opposizione).

Rapporti con il reclamo dell'art. 36 l.fall.

Il tema dei rapporti fra l'art. 26 ed il reclamo previsto dall'art 36 avverso gli atti del curatore (e del comitato dei creditori) è divenuto di particolare attualità dopo le riforme degli anni 2005-2007. Infatti, le previgenti norme contenute negli artt. 26 e 36 vedevano un termine comune di tre giorni per proporre l'impugnazione (rispettivamente avverso i decreti del giudice delegato e gli atti di amministrazione del curatore) e nulla dicevano in ordine all'ammissibilità dei motivi di gravame. L'attuale formulazione delle due norme, invece, assegna al reclamo di cui all'art. 26 un ruolo più generale, esperibile tanto nei confronti dei decreti del g.d. quanto dei provvedimenti (di prime cure) dello stesso tribunale, in un termine di dieci giorni dalla comunicazione dell'atto impugnato, fondato su motivi di censura di legittimità e di merito. Il vigente art. 36, invece, prevede un termine di soli otto giorni dalla conoscenza dell'atto per avanzare reclamo al g.d. nei confronti degli atti di amministrazione, anche omissivi, del curatore od i provvedimenti autorizzativi del comitato dei creditori, con cognizione estesa in questo caso alle sole violazioni di legge. Appare perciò evidente che il reclamo ex art. 26 ha un oggetto più ampio, comprensivo della stessa opportunità o comunque del merito del provvedimento gravato, mentre il reclamo di cui all'art. 36 concerne esclusivamente profili di legittimità dell'atto, con conseguente insindacabilità del merito delle scelte del curatore e rafforzamento del ruolo gestorio degli organi della procedura fallimentare. Al tempo stesso si deve notare che, mentre le forme del reclamo ex art. 26 sono attualmente oggetto di dettagliate previsioni, il reclamo ex art 36 si fonda su un rito camerale non altrimenti regolato se non per la necessaria osservanza del contraddittorio e per i termini, con la conseguenza che le lacune di disciplina specifica devono essere integrate attingendo, per analogia, alle norme generali di cui all'art. 737 e ss. c.p.c.

Si è ritenuto in giurisprudenza che l'art. 110, comma 3, l.fall., prevedendo che, nei confronti del progetto di riparto dell'attivo fallimentare, i creditori possono proporre reclamo al giudice delegato ai sensi dell'art. 36 l.fall., rinvia integralmente alla disciplina processuale ivi contenuta, compreso il termine di otto giorni per ricorrere al tribunale nei confronti del decreto pronunciato dal giudice delegato. (Cass. n. 17948/2016). Ancora, si è osservato che il reclamo ex art. 36 l.fall. avverso l'atto del curatore di scelta dell'affittuario va dichiarato inammissibile se proposto quando il giudice delegato aveva già autorizzato l'affitto dell'azienda in favore del soggetto preventivamente scelto dal curatore. In casi in cui l'impugnazione è proposta successivamente all'autorizzazione del giudice delegato all'affitto (successiva a sua volta alla scelta dell'affittuario già operata dal curatore), l'interpretazione della norma di cui all'art. 104-bis l.fall. che appare preferibile impone di ritenere che l'unico reclamo esperibile è quello di cui all'art. 26 l.fall. avverso il provvedimento del giudice delegato., che, autorizzando l'affitto dell'azienda al soggetto prescelto, necessariamente conferma la correttezza della scelta operata dal curatore (Trib. Brescia, 11 giugno 2015; in senso contrario, esclude il reclamo ex art. 26 per ammettere quello ex art. 36 Trib. Milano, 23 luglio 2014).

Procedimento

Si è rilevato (Cecchella, 351) che il diritto concorsuale è invaso da tempo di procedimenti aventi forme camerali. Tale opzione processuale risponde ad una precisa scelta del legislatore del 1942 di privilegiare, rispetto all'interesse dell'imprenditore alla prosecuzione dell'attività di impresa ed allo stesso esercizio più compiuto dei diritti di difesa, l'opposto interesse ad una più rapida liquidazione dell'impresa insolvente ed al ripristino della normalità dei rapporti sul mercato. Ciò, almeno, sino agli interventi della Consulta, volti a coniugare tali ultime istanze con le esigenze di un giusto processo e del rispetto del contraddittorio. Il modello di riferimento, in materia di controlli avverso gli atti degli organi della procedura fallimentare (all'epoca solo giudice delegato e curatore e non anche, come si è visto, tribunale fallimentare), era costituito dall'opposizione agli atti esecutivi, ma con la previsione di termini ancora più stringenti. L'art. 36, infatti, ammetteva una generale ricorribilità innanzi al giudice delegato nei confronti degli atti del curatore, su iniziativa del fallito e di qualunque interessato. Contro la decisione del giudice delegato, reso con decreto, era invece consentito un ulteriore reclamo entro tre giorni avanti al tribunale, il cui provvedimento non era ulteriormente impugnabile. L'art. 26, a sua volta, introduceva una generale reclamabilità avanti al tribunale nei confronti dei decreti del giudice delegato, da esercitarsi entro tre giorni dalla data del decreto. Gli unici aspetti procedimentali regolati consistevano nel fatto che si affermava espressamente che il tribunale decideva «in camera di consiglio», mentre il reclamo non sospendeva gli effetti del provvedimento sottoposto a gravame. L'assenza di indicazioni più precise lasciava alla discrezionalità del tribunale ed alla sua iniziativa officiosa tutta la regolamentazione pratica del procedimento, peraltro di difficile esperimento a causa della estrema ristrettezza del termine di impugnazione, escludendo poi un ulteriore sindacato dopo quello del tribunale. L'insoddisfazione di tale soluzione, a fronte di un mutato quadro costituzionale, nei casi in cui la controversia finisse per coinvolgere diritti soggettivi delle parti, ha nel corso del tempo determinato plurimi interventi della Corte costituzionale, i cui arresti spiegano l'attuale formulazione dell'art. 26.

Il primo intervento, in ordine cronologico, risale a Corte cost. n. 118/1963, , che con una sentenza interpretativa di rigetto ritenne che le forme camerali di cui all'art. 26 non dovessero applicarsi alle controversie concernenti diritti soggettivi, così da respingere in concreto la questione di costituzionalità. A fronte di un refrattario indirizzo della giurisprudenza di merito e legittimità, invece, Corte cost. n. 42/1981, sancì l'illegittimità costituzionalità della norma in commento (nella formulazione previgente) ove applicata ai decreti del giudice delegato in materia di approvazione dei piani di riparto, considerato che detta norma non garantiva sufficientemente, pur in una materia concernente diritti soggettivi, né il diritto di azione né quello di difesa, ex art. 24 Cost. La successiva Corte cost. n. 303/1985, estese poi l'illegittimità costituzionale sia al termine di appena tre giorni che alla sua decorrenza dalla data del decreto in materia di impugnazione dei decreti del g.d. di liquidazione dei compensi degli ausiliari (per l'amministrazione controllata cfr. Corte cost. n. 156/1986). Nel frattempo, nella giurisprudenza di legittimità, a partire dalla nota decisione Cass. S.U., n. 2255/1984 si sono affermati i seguenti principi: a) reclamabilità del decreto del g.d. sia per motivi di legittimità che di merito; b) soppressione de facto del termine di tre giorni e sua sostituzione con il termine di dieci giorni di cui all'art. 739 c.p.c., decorrente dalla comunicazione del provvedimento; c) garanzia del contraddittorio mediante notifica del decreto di fissazione dell'udienza ai soggetti controinteressati; d) onere di motivazione del provvedimento che decide sulla impugnazione.

Detti principi si trovano trasfusi nell'attuale formulazione della norma, unitamente a criteri ispiratori che possono così delinearsi: 1) previsione del reclamo anche nei confronti dei decreti del tribunale fallimentare, da proporsi avanti alla Corte d'appello; la non impugnabilità di quest'ultimo provvedimento lascia aperta la strada al ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. nelle controversie concernenti diritti soggettivi; 2) regolamentazione minuziosa del rito camerale nel caso di reclamo ai sensi dell'art. 26, così trasformato in una sorta di rito speciale a cognizione piena del quale sono indicati gli elementi dell'atto introduttivo, le modalità di realizzazione del contraddittorio, i termini di costituzione del convenuto e le modalità della decisione; 3) incompatibilità del giudice delegato, che non può conseguentemente fare parte del collegio che decide del reclamo avverso i propri atti (cfr. anche art. 25 comma 2 l.fall.); 4) gravame pieno, caratterizzato da un effetto devolutivo e sostitutivo del giudizio svolto nella prima fase, sorretto da motivi di reclamo a critica libera, sia di legittimità che di merito; si esclude l'applicabilità al reclamo dei filtri in appello introdotti con d.l. n. 83/2012 conv. con l. n. 134/2012 e, in particolare, della causa i inammissibilità di cui all'art. 348-bis c.p.c. (Cecchella, 369); 5) il ricorso non sospende l'efficacia del decreto di prime cure oggetto di gravame ed il procedimento è retto dal principio inquisitorio, potendo il collegio – anche mediante delega ad uno dei suoi componenti – assumere d'ufficio i mezzi di prova che ritenga opportuni e necessari; 6) i termini previsti per la costituzione delle parti non danno luogo a decadenze o preclusioni (che «scattano» solo all'esito della celebrazione dell'udienza); 7) si ritiene che il carattere giurisdizionale del procedimento richieda l'onere del patrocinio legale, che vale anche per il curatore, qualora intenda costituirsi formalmente per assumere proprie conclusioni (o sia egli stesso il soggetto reclamante) e non limitarsi ad assistere all'udienza rendendo semplici informazioni al collegio.

Si è ritenuto per una parte della giurisprudenza che l'assenza di una disposizione espressa escluda il potere di inibitoria dell'efficacia esecutiva del provvedimento reclamato da parte del collegio investito del reclamo (Trib. Pordenone, 18 marzo 2011). In contrario si è condivisibilmente argomentato che nonostante il potere di sospensione dell'efficacia del provvedimento del giudice delegato non sia espressamente attribuito al collegio adito in sede di reclamo ex art. 26 l.fall., il tribunale può esercitare detto potere visto che allo stesso, in ambiti diversi, sono conferiti poteri cautelari; è il caso degli artt. 15, comma 8, l.fall. e 25, comma 1, l.fall., nonché dello specifico potere di sospensiva attribuito dall'art. 19 l.fall. alla corte d'appello in sede di reclamo avverso la dichiarazione di fallimento (Trib. Bologna, 10 luglio 2014). In sede di reclamo al tribunale fallimentare, proposto, ai sensi dell'art. 26 l.fall., avverso i provvedimenti del Giudice delegato, il curatore, controparte del reclamante, partecipa al procedimento in quanto contraddittore necessario (Cass. n. 6710/2009). L'art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo dispone la condanna alle spese giudiziali, intende riferirsi a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo, con la conseguenza che la norma trova applicazione anche ai provvedimenti resi in esito al reclamo ex art. 26 legge fall., avverso il provvedimento del g.d. al fallimento, benché la disposizione richiamata manchi di una espressa indicazione circa il governo delle spese (Cass. n. 19979/2008). Sul tema della incompatibilità del G.d, a far parte del collegio del reclamo, si è osservato che il divieto contenuto nell'articolo 25, comma 2, l.fall., che vieta al giudice delegato di far parte del collegio investito del reclamo proposto contro i suoi atti, è inapplicabile al giudizio di omologazione del concordato fallimentare previsto dall'articolo 129 l.fall., il quale non è assimilabile, ai fini in esame, al decreto contro i provvedimenti del giudice delegato; nell'ambito della procedura concordataria non è, infatti, possibile individuare la previsione di alcun atto dispositivo di tale procedura da parte del giudice delegato, consistendo piuttosto la funzione di tale organo in quel contesto nel coordinare ed organizzare le varie fasi dell'avanzamento progressivo del procedimento stesso (Cass. n. 13427/2015). Ammesso dalla giurisprudenza anche il reclamo incidentale, per il quale si è infatti osservato che il termine lungo per la proposizione del reclamo di cui al quarto comma dell'articolo 26, legge fallimentare deve essere rispettato da colui che propone reclamo principale e non dal reclamante in via incidentale. Il reclamo incidentale può, pertanto, essere proposto fino all'udienza fissata per la discussione del reclamo principale (Trib. Brindisi, 1 febbraio 2012). Sulla legittimazione a proporre il reclamo si è osservato, nella parte in cui è consentito a chiunque vi abbia interesse l'interesse a reclamare, che lo stesso deve essere qualificato, ai sensi dell'art. 100 c.p.c. Ove, per l'effetto, non riguardi il fallito, o il curatore o il comitato dei creditori (cui sempre compete la legittimazione attiva) deve consistere nella minaccia di un pregiudizio scaturente direttamente dal provvedimento emesso. Deriva da quanto precede, pertanto, che qualora sia stata negata la sospensione della vendita coattiva del complesso aziendale (invocata ai sensi dell'art. 20 l. n. 44 del 1999, in tema di usura) la legittimazione al reclamo non può essere riconosciuta ai soci della società di capitali fallita, portatori di un mero interesse di fatto alla conservazione della consistenza economica del patrimonio sociale (Cass. n. 8434/2012).

Termine

Si è già notato che il termine per proporre reclamo ex art 26 è di dieci giorni. Tale termine decorre dalla comunicazione o notificazione del provvedimento per il fallito, il curatore, il comitato dei creditori ed i soggetti che hanno chiesto o nei cui confronti è stato chiesto il provvedimento oggetto del reclamo. La comunicazione integrale dell'atto da parte del curatore ai soggetti interessati equivale a notificazione, trattandosi di adempimento che assicura in modo equipollente l'integrale conoscenza dell'atto. A garanzia della stabilità dei rapporti giuridici e per esigenze di certezza in ordine all'andamento della procedura concorsuale è poi previsto un termine finale di 90 giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento suscettibile di riesame: decorso tale termine l'atto diviene pertanto non più reclamabile. Da notare che, ai sensi dell'art. 36-bis, i termini previsti per proporre il reclamo in commento non sono soggetti a sospensione feriale. Quanto ai termini di costituzione per le parti, si ritiene che l'unico termine perentorio sia quello a garanzia del diritto di difesa del convenuto, previsto in 15 giorni fra la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza e quest'ultima. Va ancora ricordato che l'art. 31-bis l.fall., introdotto dalla l. n. 221/2012 di conversione del d.l. n. 179/2012, ha previsto che le comunicazioni si intendono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria per quei soggetti, creditori e titolari di diritti su beni, ai quali la comunicazione all'indirizzo PEC non sia avvenuta per cause imputabili al destinatario o nel caso in cui questi soggetti non abbiano indicato un indirizzo PEC cui eseguire le comunicazioni.

In tema di reclamo endofallimentare avverso i decreti del giudice delegato, ai sensi dell'art. 26 l.fall. (nel testo vigente anteriormente al d.lgs. n. 5 del 2006), il termine iniziale di decorrenza per la presentazione coincide con la comunicazione del decreto alla parte, da effettuarsi, di regola, ai sensi degli artt. 136 e segg. c.p.c., ovvero con forme equipollenti in grado di assicurare l'effettiva ed integrale conoscenza del contenuto del provvedimento e la data in cui essa è avvenuta, sicché, in assenza di tali riscontri, opera soltanto il termine lungo annuale per la proposizione del reclamo. (nella specie, la S.C. ha confermato il provvedimento del tribunale che, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del reclamo, ha ritenuto equipollente alla comunicazione ex art. 136 c.p.c. la notifica da parte dell'ufficiale giudiziario del decreto di trasferimento unitamente al precetto) (Cass. n. 20118/2015). Nel caso in cui il curatore si sia limitato a dare comunicazione dell'esito negativo dell'istanza, realizzando solo una parziale ed incompleta conoscenza del provvedimento, deve applicarsi il termine lungo di novanta giorni, di cui al quarto comma dell'articolo richiamato (Cass. n. 4783/2010). Si è osservato che in tema di reclamo avanti al tribunale fallimentare dei decreti del giudice delegato aventi natura decisoria, qualora il provvedimento impugnato non sia stato comunicato, non opera il termine di cui all'articolo 26 l.fall., bensì quello annuale, decorrente dalla pubblicazione, ai sensi dell'art. 327 c.p.c., conseguendone l'inammissibilità del reclamo stesso ove proposto oltre tale scadenza. Dal coordinamento di tale principio con quello in forza del quale nella procedura esecutiva fallimentare, è inammissibile il reclamo, fondato su motivi di illegittimità dell'ordinanza di apertura della fase di rincaro non impugnata, proposto avverso il provvedimento del giudice delegato che dispone la vendita a favore della società maggiore offerente nella gara, discende che è inammissibile il reclamo contro il decreto di trasferimento per far valere vizi non dedotti tempestivamente per la avvenuta decadenza dalla impugnazione contro l'ordinanza di vendita (Cass. n. 491/2015, con l'avvertenza che oggi il termine «lungo» annuale, ricondotto in generale ad un periodo semestrale, in ogni caso, per ragioni di certezza, è sostituito dal termine di novanta giorni di cui all'art. 26 comma 4).

Legittimazione

 Il reclamo può essere proposto da qualunque controinteressato, inteso quale creditore che sarebbe in qualche modo potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante; il reclamo va notificato a tutti i restanti creditori ammessi alla ripartizione, potendo il difetto di integrazione del contraddittorio essere rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. I, n. 977/2021; Cass. S.U. n. 24068/2019). Nella norma in esame il legislatore ha adottato un concetto ampio di legittimazione ad agire: sono infatti indicati il curatore, il fallito, il comitato dei creditori e chiunque vi abbia interesse. Trattandosi in questo caso della impugnazione di un atto giurisdizionale, normalmente l'interesse sarà dato dalla soccombenza di fronte al provvedimento da impugnare. Per il curatore si ritiene che lo stesso sia legittimato ad impugnare il decreto del g.d. o del tribunale non solo quando questo lo leda come persona fisica od organo (si pensi al caso di revoca dell'art. 37 l.fall.), ma anche nei casi di dissenso dalle soluzioni disposte, potendo infatti il gravame essere proposto anche soltanto per motivi di merito o di opportunità (a differenza del reclamo ex art. 36). Viene invece ritenuto insufficiente a legittimare il reclamo il mero interesse alla regolarità della procedura, quando non sia identificabile in modo specifico e qualificato in capo ad uno o più soggetti individuati.

Si ritiene che i soci di una società di capitali creditrice verso il fallimento siano privi di legittimazione autonoma a proporre il reclamo, che dovrà pertanto essere eventualmente avanzato dalla società stessa, dotata di piena soggettività (Cass. n. 11369/1999). Anche l'acquirente attraverso una procedura competitiva fallimentare possiede la legittimazione attiva ad impugnare gli atti giurisdizionali che lo riguardano, salvo che egli sia semplicemente portatore di una generica aspettativa all'acquisto del bene, prima che lo stesso venga aggiudicato (Cass. n. 11287/1999).

Casistica

E' inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale di approvazione del rendiconto del curatore perché avverso tale provvedimento è esperibile il reclamo alla corte d'appello ai sensi dell'art. 26 l. fall. (Cass. I, ord. n. 19889/2022).   Lo strumento del reclamo non va confuso con l'esercizio della rivendica endofallimentare, che ai sensi della nuova formulazione dell'art. 52 comma 2 (riguardante anche «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare») e 103 ha visto aumentato il proprio ambito di applicabilità. Infatti, lo spossessamento del fallito, ai sensi dell'art. 42 l.fall., colpisce tutti i beni rinvenuti nella sua disponibilità a qualsiasi titolo alla data del fallimento, giustificando l'acquisizione di essi alla massa attiva in via diretta, se effettivamente a lui appartenenti, o mediante sigillatura, se si tratti di beni rinvenuti presso il fallito ma di terzi che, in quella sede, non abbiano svolto contestazioni, conseguendone, in ogni caso, l'onere per il terzo opponente di esperire lo strumento generale della rivendica, ex art. 103 l.fall.; ne consegue l'inammissibilità del reclamo, proposto ex art. 26 l.fall., avverso il decreto di acquisizione emesso dal giudice delegato relativamente ai beni rinvenuti in una cassetta di sicurezza, intestata al terzo ricorrente ma nella disponibilità del fallito, delegato all'accesso (Cass. n. 607/2012). Come esempio di legittimazione in tema di provvedimenti concernenti la aggiudicazione, il trasferimento e la liberazione di immobili facenti parte dell'attivo fallimentare, si è ritenuto che il decreto del tribunale fallimentare che si è pronunciato sulla legittimità del provvedimento del giudice delegato di trasferimento e di rilascio immediato di un immobile, detenuto da terzi in base a contratto di sublocazione, stipulato dalla società fallita quando era ancora in bonis e scaduto in corso di procedura, ha carattere decisorio, in quanto ha immediata e diretta ricaduta sul contrasto ingenerato dall'ordine di rilascio ed è, quindi, impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 21224/2011). Concernendo tali controversie diritti soggettivi, quindi, oltre al reclamo la giurisprudenza ammette il ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost. Nello stesso senso, il provvedimento del tribunale che, decidendo il reclamo contro il decreto del giudice delegato, ha dichiarato la decadenza dall'aggiudicazione di un bene immobile e disposto l'incameramento della cauzione, stante il mancato versamento di quanto dovuto per l'oblazione, può essere impugnato con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'articolo 111 Cost., trattandosi di un provvedimento definitivo per mancanza di rimedi diversi e per l'attitudine a pregiudicare con l'efficacia propria del giudicato il diritto di garanzia dell'acquirente (Cass. n. 13915/2015). Sempre in materia di vendite fallimentari, si è ritenuto che il decreto del tribunale che rigetta il reclamo del fallito — ai sensi dell'art. 26 l.fall. — avverso il provvedimento del giudice delegato con il quale sia stata respinta la istanza di sospensione della vendita all'incanto di beni compresi nell'attivo del fallimento, è ricorribile per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., dato che tale decreto — pronunciato nell'ambito della giurisdizione esecutiva del processo fallimentare — decide una controversia del tutto analoga all'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c. Tale principio trova applicazione — sussistendo la stessa ratio — anche con riguardo al provvedimento che rigetta il reclamo avverso il decreto di trasferimento pronunciato dal giudice delegato (Cass. n. 22260/2012). Per una ipotesi di prevalenza del reclamo in esame rispetto ad altre forme speciali di opposizione, si è ritenuto che contro il decreto di liquidazione dei compensi emesso dal giudice delegato è esperibile il reclamo previsto dall'art. 26 l.fall. e non l'opposizione di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 (norma che ha sostituito la L. n. 319 del 1980, art. 11, atteso che detta legge, ad eccezione dell'art. 4, Onorari commisurati al tempo, è stata abrogata dal d.P.R. n. 115 del 2002, art. 299, sulle spese di giustizia) talché deve ritenersi tardivo il ricorso depositato nei venti giorni dalla comunicazione del decreto del giudice delegato. È pur vero che nel d.P.R. n. 115 del 2002 non mancano disposizioni relative alle procedure concorsuali, e segnatamente quelle di cui agli artt. 146 e 147, le quali però, attenendo esclusivamente alla prenotazione a debito, all'anticipazione ed al recupero delle spese in caso di mancanza di denaro nell'attivo o di revoca della dichiarazione di fallimento, non intaccano l'autonomia del sistema normativo che disciplina la liquidazione del compenso dovuto al curatore o al commissario giudiziale (Cass. n. 1050/2015). Occupandosi di un caso tipico in cui la reclamabilità è espressamente sancita, si è affermato che la legge fallimentare novellata pone un limite alla discrezionalità del tribunale fallimentare nel rimuovere il curatore dall'incarico, stabilendo, all'art. 23, che la revoca possa avvenire solo «per giustificati motivi» e prevedendo, all'art. 37, che il decreto di revoca sia motivato e sia soggetto a reclamo ai sensi dell'art. 26 (Cass. n. 5094/2015). Con riferimento al concordato preventivo si è osservato che i decreti emessi dal tribunale ai sensi dell'articolo 161, comma 7, l.fall. di autorizzazione al compimento di atti urgenti di straordinaria amministrazione nel periodo di concordato con riserva devono ritenersi impugnabili ai sensi dell'articolo 26 l.fall. e ciò anche se l'articolo 164 l.fall. si riferisce ai soli decreti del giudice delegato. La mancata menzione, in detto articolo, dei decreti del tribunale è, infatti, frutto di un difetto di coordinamento della norma conseguente alla introduzione, avvenuta nel 2012, della disciplina del concordato con riserva, la quale demanda al tribunale il controllo sugli atti di straordinaria amministrazione durante il periodo di concordato con riserva (App. Firenze, 11 luglio 2013).

Bibliografia

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