Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 16 - Sentenza dichiarativa di fallimento1 .Sentenza dichiarativa di fallimento1 .
Il tribunale dichiara il fallimento con sentenza, con la quale: 1) nomina il giudice delegato per la procedura; 2) nomina il curatore; 3) ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonche' dell'elenco dei creditori, entro tre giorni, se non e' stato ancora eseguito a norma dell'articolo 14; 4) stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procedera' all'esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessita' della procedura; 5) assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di trenta giorni prima dell'adunanza di cui al numero 4 per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione. La sentenza produce i suoi effetti dalla data della pubblicazione ai sensi dell'articolo 133, primo comma, del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese ai sensi dell'articolo 17, secondo comma. [1] Articolo modificato dall'articolo 14, comma 1, lettere a), b) e c) del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e successivamente sostituito dall'articolo 2, comma 5, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. InquadramentoLa decisione adottata dal tribunale fallimentare al termine del procedimento di istruttoria prefallimentare, una volta riscontrata da parte del tribunale la sussistenza della legittimazione del creditore, la sottoponibilità a fallimento del debitore dal punto di vista dei requisiti soggettivi di fallibilità, lo status di insolvenza e la condizione di procedibilità sancita dall'ultimo comma dell'art. 15 l.fall., non può che essere la dichiarazione di fallimento. Essa è contenuta in un provvedimento avente la forma di sentenza che, dunque, ha un contenuto obbligatorio minimo e la necessità di completezza, sufficiente ampiezza della motivazione, omogeneità di forma, sanciti dall'art. 132 del codice di rito. Peraltro, il suo contenuto specifico è indicato dall'art. 16 della legge fallimentare. Deve ritenersi che, dal punto di vista contenutistico, la sentenza dichiarativa di fallimento contenga l'accertamento dell'esistenza dei presupposti e della necessità di attivare un processo esecutivo speciale concorsuale, a tutela o del debitore stesso che l'ha richiesto, ovvero del creditore insoddisfatto che ha presentato la istanza ovvero del pubblico ministero che ha agito a tutela degli interessi pubblici. La sentenza di fallimento ha sia una funzione di accertamento, sia quella di costituzione di uno status ed infine quella di rappresentare il titolo esecutivo del processo di fallimento (Liebman, 140; Andrioli, 154). La natura della sentenza dichiarativa di fallimento può essere identificata in quella di una sentenza di accertamento costitutivo (Ricci, 127, che chiarisce che la sentenza di fallimento è atto che esalta «la principale caratteristica delle nuove situazioni create con il provvedimento: situazioni riassumibili nella circostanza che comincia il procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale, alle quali si riferisce in modo sintetico l'espressione pendenza del fallimento»; Provinciali, 481), la cui natura giurisdizionale e contenziosa non può essere messa in discussione (Cass. n. 924/1985). Il contenuto della sentenza dichiarativa di fallimento. La motivazione ed il dispositivoAl di là della natura da riconoscere alla sentenza dichiarativa di fallimento, non può essere negata la sua natura complessa, dal punto di vista contenutistico, giacché essa determina, da un lato, l'apertura del procedimento esecutivo speciale e, dall'altro lato, la cristallizzazione del patrimonio. E determina, altresì, la modifica dello status del debitore, cagionando il blocco delle iniziative dei creditori e la applicazione di fattispecie penali altrimenti non procedibili. Ebbene, sotto il profilo logico, il primo contenuto che deve rivestire la sentenza dichiarativa di fallimento è quello di accertamento. In primo luogo, la sentenza deve accertare la regolarità del contraddittorio instaurato e la sussistenza della condizione di procedibilità di cui all'art. 15, ultimo comma, l.fall. Poi, deve proseguire con l'accertamento, non più incidentale come avveniva Sub Julio, della legittimazione attiva del creditore; inoltre, la motivazione della sentenza deve soffermarsi sull'accertamento in capo al debitore della qualifica di imprenditore commerciale ai sensi dell'art. 2082 c.c. e sulla esistenza delle condizioni soggettive di fallibilità previste dall'art. 1 l fall. Ed infine, la sentenza deve accertare la condizione oggettiva di fallibilità, e cioè lo stato di insolvenza. Detto altrimenti, la sentenza deve contenere in senso completo e preciso l'accertamento dei presupposti processuali e di diritto necessari per la dichiarazione di fallimento, di cui si è detto sopra. La sentenza deve inoltre avere un contenuto completo in ordine a tutte le eccezioni sollevate nella fase procedimentale e per quanto motivata in modo succinto e sintetico deve comunque occuparsi della trattazione di tutti i presupposti fattuali e giuridici necessari all'accertamento della insolvenza e delle condizioni soggettive di fallibilità. Ciò, peraltro, è necessario per garantire in modo pieno ed effettivo il diritto di difesa delle parti che devono essere poste in grado di poter contraddire, in sede di reclamo, ad una motivazione che dia conto dell'esame e della logica valutazione di tutti i presupposti processuali e sostanziali che sovraintendono alla dichiarazione di fallimento. Ne discende che devono essere considerati del tutto inaccettabili formule di motivazioni ricavabili da moduli prestampati ovvero motivazioni stereotipate e ripetitive ovvero ancora omissioni di motivazione sui punti salienti della decisione, sebbene la celerità di giudizio del procedimento – che impone il deposito e la pubblicazione della sentenza immediatamente – consigli comunque un alleggerimento della motivazione dai comuni orpelli che appesantiscono il provvedimento decisorio reso nel giudizio di cognizione (non è condivisibile sul punto quell'orientamento della Cassazione che reputa per lo più nulla la sentenza dichiarativa esclusivamente nel caso in cui la motivazione manchi del tutto: cfr. Cass. n. 3163/1999; Cass. n. 972/1999). Sarebbe, quindi, auspicabile come tecnica redazionale del provvedimento, una motivazione strutturata per punti, in quella forma motivazionale che è comunemente conosciuta come motivazione «alla francese». Al termine della motivazione, deve essere poi collocato naturalmente il dispositivo il cui contenuto è esplicitamente sancito nell'art. 16 l.fall. Occorre, quindi, costituire l'ufficio fallimentare tramite la nomina del giudice delegato a seguire la procedura, nella sua nuova veste di organo di controllo e di vigilanza della procedura, e dell'organo amministrativo e gestionale, cioè il curatore fallimentare. Occorre, poi, disporre l'ordine al fallito del deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché l'elenco dei creditori, e ciò entro tre giorni dal deposito della sentenza in cancelleria, a meno che le predette scritture non siano state già diligentemente depositate dal debitore nel corso della istruttoria prefallimentare, essendo indispensabile tale incombenza per l'avvio della procedura tramite l'invio delle comunicazioni ai creditori e tramite i necessari accertamenti propedeutici alla verifica dello stato passivo e alla individuazione dei beni e alla loro inventariazione. La sentenza deve inoltre indicare il luogo, il giorno e l'ora nei quali si svolgerà l'adunanza dei creditori, cioè l'udienza nella quale si procederà all'esame dello stato passivo, specificando altresì il termine entro il quale i creditori e i terzi, che vantano diritti reali o personali su beni in possesso del fallito, debbono presentare le relative istanze di insinuazione al passivo e di rivendicazione e restituzione dei beni. In realtà, la riforma della legge fallimentare ha previsto il termine da ultimo menzionato come perentorio, benché la sua violazione non determina alcuna sanzione o decadenza. All'interno della medesima sentenza, il tribunale deve indicare anche qual è il termine massimo per la presentazione delle domande c.d. tardive, cioè quelle che vengono presentate meno di 30 prima della adunanza dei creditori, ed anche qui vi è la scelta tra un termine minimo di 12 mesi dalla chiusura della verifica ed esecutività dello stato passivo e un termine massimo di 18 mesi. Da ultimo, la sentenza deve contenere l'ordine di eseguire le modalità di pubblicità previste dal successivo art. 17, la data della decisione in camera di consiglio e la sottoscrizione del presidente, dell'estensore e del cancelliere. Lo status di fallitoLa natura composita della sentenza dichiarativa di fallimento è dimostrata, come sopra accennato, anche dalla concreta constatazione che alla fase dell'accertamento segue immediatamente quella costitutiva, che è idonea a modificare la situazione di diritto sostanziale non solo del patrimonio del debitore, ma altresì le facoltà processuali dei creditori e dei terzi e persino i loro patrimoni, nella misura in cui siano venuti in contatto con il patrimonio del debitore, e ciò anche relativamente ai rapporti giuridici i cui effetti si sono completamente prodotti ed esauriti (Pajardi-Paluchowscki, 158). Altro profilo fondamentale riguarda la creazione dello status di fallito. Ed invero, benché la riforma del 2006 abbia decisamente inciso sugli effetti del fallimento per il debitore, rimuovendo gli aspetti sanzionatori personali ed eliminando l'equazione decoctor ergo fraudator, è innegabile che ancora oggi il fallimento comprima la capacità di agire del debitore, impedendogli di amministrare e disporre giuridicamente del proprio patrimonio ed anche di disporre di fatto di esso, trasferendo questa capacità agli organi della procedura, e principalmente al curatore. La legge peraltro modifica anche il rispetto della privacy nei confronti della sua corrispondenza, impone degli obblighi di comunicazione degli spostamenti della propria residenza, produce la decadenza da alcune cariche ovvero la incapacità a rivestirle, secondo quanto disposto più precisamente dal codice civile. Ebbene, tutti questi effetti giuridici discendenti dalla sentenza di fallimento determinano il c.d. status di fallito, cui si contrappone dal punto di vista concettuale e nominalistico la posizione di colui che è «in bonis», cioè non è sottoposto a fallimento. Ed invero, status è una qualità giuridica complessa della persona che si ricollega alla posizione della persona nella società (cfr. Cass. n. 10177/1992; Cass. n. 924/1985), come si verifica proprio in relazione alla posizione del fallito, il cui status è presupposto di una sfera particolare di capacità, e cioè di una attitudine ad essere titolare di una serie di rapporti e punto di riferimento di diritti e doveri. Altro importante profilo è quello riguardante, rispetto alla modifica della situazione soggettiva e della capacità giuridica del fallito, la creazione del titolo esecutivo attraverso la declaratoria di fallimento, titolo intorno al quale ruota invero tutto il processo concorsuale speciale che il fallimento continua in buona sostanza ad essere. Come già si è detto, la sentenza dichiarativa di fallimento costituisce il titolo dell'esecuzione speciale, giustifica il processo e legittima i suoi atti tipici. È in realtà la sentenza di fallimento il titolo giudiziale al quale si ricollegano tutte le fasi del processo, ancorando ad essa la validità e la stabilità degli atti e dei provvedimenti conseguenti(Pajardi-Paluchowscki, 159). La sentenza di fallimento non costituisce tuttavia il titolo esecutivo del creditore istante ovvero dei creditori istanti, ma rappresenta invece il titolo di tutti i creditori, costituendo il «titolo in bianco» in base al quale ciascuno di essi è legittimato a partecipare al processo esecutivo fallimentare. Gli effetti giuridici. Il giudicato formale e sostanziale. L'esecutivitàGli effetti della sentenza di fallimento possono essere distinti in diretti ed indiretti (Pajardi-Paluchowscki). Ebbene, le conseguenze dirette sono certamente da rintracciarsi nella indisponibilità relativa del patrimonio del fallito, nella possibilità di ricostruzione del patrimonio nei confronti di atti dispositivi precedenti la dichiarazione di fallimento ed il complesso degli effetti previsti dagli artt. 64, 65 e 66 l.fall. Ma la sentenza di fallimento determina anche l'applicazione della normativa dettata dalla legge fallimentare in tema di rapporti giuridici preesistenti, in tema di regime processuale e sostanziale dell'accertamento dei crediti e della loro soddisfazione, nonché in tema di posizione degli organi fallimentari e di possibile applicazione dell'istituto del concordato fallimentare per la chiusura della procedura. Le conseguenze indirette sono invece quelle che si sviluppano a carico e a favore di terzi, nonché quelle che si dispiegano sul piano penalistico sia sostanziale che processuale. Peraltro, uno degli effetti più imponenti che si producono riguarda la formazione del giudicato formale e sostanziale sulla esistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, atteso che l'unico elemento su cui, per consenso unanime in dottrina, non si forma il giudicato riguarda l'accertamento del credito in capo al creditore istante la cui valutazione avviene solo incidenter tantum ai fini dello scrutinio della esistenza della condizione dell'azione rappresentata dalla legittimazione attiva in capo al creditore istante in prefallimentare. La dottrina è altresì concorde, nella sua maggioranza, nell'ammettere che la sentenza è suscettibile di passare in cosa giudicata formale e sostanziale, stante la sua natura di sentenza di accertamento costitutiva (Pajardi; Satta, 71; Ricci, 136; Provinciali, 491; per Vitale, 170, l'oggetto dell'accertamento sul quale si forma il giudicato è esclusivamente la esistenza dello stato di insolvenza). La sentenza dichiarativa, nel suo contenuto cognitivo, una volta divenuta giudicato formale, non è più ritrattabile, revocabile o riformabile da alcun giudice né controvertibile da alcun soggetto privato, al pari di qualsiasi altra sentenza ordinaria che abbia regolato diritti indisponibili. La sentenza crea tuttavia un giudicato formale i cui limiti soggettivi, a differenza di quanto è previsto dall'art. 2909 c.c., operano erga omnes. Ed invero, essi si producono nei confronti di tutti i soggetti rispetto ai quali la sentenza crea situazioni giuridiche nuove, siano essi creditori concorsuali, terzi acquirenti di beni del fallito, terzi contraenti che abbiano al tempo del fallimento rapporti giuridici pendenti con il debitore ovvero ancora soci del fallito e, più in generale, tutti coloro i cui interessi siano coinvolti nel dissesto patrimoniale dell'impresa. Ebbene, l'art. 16, ultimo comma, l.fall. sancisce, poi, l'esecutività della sentenza svincolata dal suo passaggio in giudicato, in quanto stabilisce che essa produce i suoi effetti dalla data della sua pubblicazione ai sensi dell'art. 133, comma primo, cod. proc. civ. È da dirsi che, naturalmente, dalla pubblicazione, che coincide invero con il deposito della sentenza in cancelleria, si producono di regola gli effetti tra le parti, e cioè il creditore istante ed il debitore, ma non solo quelli (Pajardi-Paluchowscki, 161). Vi sono altri effetti che si producono direttamente ed automaticamente dal deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa. E sono quelli connessi all'attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore ovvero alla incapacità di ricoprire cariche da parte del fallito, al blocco degli interessi sui crediti chirografari, al blocco delle azioni esecutive e all'applicazione della normativa penale repressiva dei reati fallimentari. Sussistono, invece, effetti che si producono dalla pubblicazione della sentenza nel registro delle imprese del luogo ove l'impresa ha la sede, ai sensi dell'art. 17, comma secondo, l.fall. Ciò indica pertanto un doppio regime degli effetti. Invero, tra le parti gli effetti si producono direttamente dal momento della pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa; mentre per i terzi gli effetti sono connessi alla effettuazione della pubblicità notizia che, in questo caso, il legislatore ha svincolato dalle precedenti obsolete disposizioni che sancivano il dovere di procedere all'affissione sulla porta del tribunale, per riconnetterla invece alla annotazione nel registro delle imprese. Sul punto, va precisato che terzi sono, per antonomasia, tutti coloro i quali non hanno partecipato alla istruttoria prefallimentare, i quali potrebbero essere destinatari di atti a valenza economica del fallito nel lasso di tempo che intercorre fra il deposito della sentenza e la sua annotazione sul registro delle imprese. Un tipico effetto che per i terzi inizia a maturare dalla iscrizione-annotazione dell'estratto della sentenza sul registro delle imprese, è rappresentato dal termine per proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento da parte di soggetti che, pur avendo un interesse riconosciuto, non abbiano tuttavia partecipato direttamente alla fase prefallimentare. Si pensi all'ipotesi del socio illimitatamente responsabile di una società receduto da meno di un anno, ovvero alla moglie del fallito deceduto medio tempore o ai suoi eredi, ed ancora ai garanti del fallito o ai fideiussori dei soci illimitatamente responsabili dichiarati falliti con la società. Ebbene, per tutti costoro che di regola non partecipano alla istruttoria fallimentare e ne ignorano persino la esistenza, il termine di trenta giorni per il reclamo decorre dall'inserimento della notizia nel registro delle imprese. La decorrenza degli effetti della sentenza dichiarativa di fallimentoAl previgente comma terzo dell'art. 16 l.fall. è stata sostituita dalla legge di riforma la disposizione del comma secondo, che è previsione di più ampio respiro e di più corretta impostazione sistematico-teorica, a tenore della quale la sentenza dichiarativa di fallimento produce gli effetti tra le parti e gli effetti protettivi patrimoniali dalla data della sua pubblicazione ai sensi dell'art. 133, comma primo, c.p.c.. (cioè dalla data del suo deposito nella cancelleria del tribunale che l'ha pronunciata), mentre gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese, ai sensi dell'art. 17, comma secondo (De Santis, 337; Censoni, 54; Tedeschi, 82; Pajardi–Paluchowscki, 161). La riforma ha precisato pertanto che nei confronti dei terzi, e cioè coloro che non hanno partecipato alla istruttoria prefallimentare, gli effetti della sentenza si producono dalla data, successiva, di iscrizione di un suo estratto nel registro delle imprese (c.d. pubblicità notizia), in applicazione dell'art. 17, comma secondo, l.fall. Sul punto, deve essere sottolineato che lo scopo della norma è quello di rendere il più possibile effettiva la conoscenza della dichiarazione di fallimento mediante uno strumento che ne assicuri l'agevole conoscibilità (Pajardi-Paluchowscki, 161). La ratio evidente della regola dettata nel secondo comma è quella di tutelare l'affidamento di coloro che, essendo rimasti estranei all'istruttoria prefallimentare, e, pertanto, essendo rimasti probabilmente ignari della sentenza di fallimento, abbiano intrattenuto rapporti con il fallito nel periodo intercorrente tra il deposito della sentenza in cancelleria e l'iscrizione della medesima nel registro delle imprese. In tal modo, il legislatore si è dimostrato sensibile alla esigenza di tutela dei terzi in buona fede, consentendo al fallito di compiere atti di disposizione dei propri beni e ai terzi di compiere atti sui beni del fallito, atti tutti che i terzi potranno opporre alla curatela, nelle more tra la pubblicazione della sentenza e l'iscrizione nel registro delle imprese. Peraltro, la circostanza non è irrilevante, giacché i tempi d'iscrizione sono sì brevi, ma non brevissimi, comportando alcuni adempimenti tecnici da parte dell'Ufficio del conservatore. Pertanto, gli atti compiuti prima della annotazione della sentenza nel registro delle imprese non soggiacciono all'azione ex art. 44 l.fall., che sancisce – come noto – la inefficacia degli atti e dei pagamenti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, con identica sorte per i pagamenti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento e per i pagamenti ricevuti dal fallito (Zoppellari, 137). Peraltro, in considerazione di quanto previsto nel secondo comma dell'art. 16, è stato sostenuto, correttamente a parere di chi scrive, che decorrano dal momento dell'iscrizione nel registro delle imprese tutti i termini previsti nelle norme contenute nelle Sezioni II («Degli effetti del fallimento per i creditori»), III («Degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori») e IV («Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti») del Capo III del Titolo II della legge fallimentare: sul punto, si legga il recente provvedimento del Tribunale di Milano (Trib. Milano, decr. 16 gennaio 2014, in IlFallimentarista.it, 14 marzo 2014, con nota Amatore), ove in materia di revocatoria, il dies a quo per la decorrenza a ritroso del periodo sospetto viene individuato nella data di iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese, salvo il caso di consecutio, in cui il periodo sospetto retroagisce alla data di iscrizione in tale registro del ricorso per l'ammissione al concordato preventivo. Nel caso si specie, con ricorso oppositivo avanzato ex artt. 98 e 99 l.fall., la società istante aveva proposto opposizione avverso lo stato passivo, deducendo che al credito ammesso non era stata riconosciuta la richiesta prelazione ipotecaria sulla base della erronea convinzione del g.d. che l'ipoteca non si fosse consolidata e fosse pertanto revocabile ex art. 67, comma primo, n. 4, l.fall., giacché la decorrenza a ritroso del periodo di revocabilità avrebbe dovuto fissarsi non già dalla data di pubblicazione della sentenza di fallimento mediante deposito in cancelleria quanto piuttosto dalla data di iscrizione della medesima sentenza nel registro delle imprese. Deve, pertanto, ritenersi che l'iscrizione della sentenza nel registro delle imprese rappresenti il momento oltre il quale nessun terzo può dichiararsi ignaro del fallimento (Censoni, ibidem, che considera la presunzione di conoscenza come assoluta). Tuttavia, ciò non inibisce gli effetti derivanti da altre forme di legale conoscenza, precedenti alla iscrizione (De Santis, 341). Si tratta di una regola che costituisce, evidentemente, applicazione di quanto previsto nell'art. 2193 cod. civ., constatazione quest'ultima dalla quale può farsi discendere che, fino alla iscrizione nel registro delle imprese, i terzi possono ritenersi legittimati a opporre l'ignoranza della intervenuta dichiarazione di fallimento e prima dell'iscrizione gli organi della procedura possono comunque opporre loro questi effetti, qualora riescano a provare che i terzi medesimi erano già venuti comunque a conoscenza della sentenza di fallimento (Severini, 549). Quanto alla iscrizione nel registro delle imprese, la norma in esame fa riferimento all'art. 17, comma 2, non ravvisandosi alcun problema, come già sopra accennato, nella ipotesi di corrispondenza tra sede legale e sede effettiva. Per le società che abbiano sede legale distinta da quella effettiva e due distinte annotazioni in due distinti uffici del registro delle imprese, si ritiene che assuma rilevanza esclusivamente l'iscrizione nel registro delle imprese presso cui l'impresa fallita la sede legale (Montanaro, Sub art. 16, in AA. VV., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro-Sandulli-Santoro, Torino, 2010, 94). Sul punto, va aggiunto che vero è che le norme dettate dalle legge fallimentare in materia di inefficacia e revocabilità di atti fanno indistintamente riferimento, ai fini della individuazione del dies a quo di decorrenza a ritroso del periodo sospetto, alla data della dichiarazione di fallimento, con ciò indicando senza dubbio, nel vigore del testo originario di tale normativa, la data di pubblicazione della sentenza, e cioè la data di deposito in cancelleria della stessa. Tuttavia, deve ritenersi dirimente in subiecta materia il contenuto normativo del secondo comma dell'art. 16 l.fall., come risulta modificato dalle recenti leggi di riforma, norma a tenore della quale l'efficacia verso i terzi della sentenza dichiarativa di fallimento comincia a decorrere dalla data della sua avvenuta iscrizione nel registro delle imprese, tanto ciò è vero che, come già sopra osservato, il termine per il reclamo decorre per il debitore dalla data della notificazione della sentenza, mentre per tutti gli altri interessati decorre, al solito, ai sensi dell'art. 18, comma 4, dalla data di iscrizione nel registro delle imprese. Ebbene, già il richiamo al secondo comma dell'art. 16 più volte citato sarebbe da considerarsi ragione di per sé buona e sufficiente per far ritenere convincente e condivisibile la conclusione cui giunge anche la giurisprudenza di merito (Trib. Milano, decr. 16 gennaio 2014, cit.) in ordine alla individuazione del dies a quo di decorrenza del termine per la revocabilità degli atti pregiudizievoli per i creditori, tuttavia è possibile qui anche il richiamo ad altri riferimenti normativi estraibili dalla legge fallimentare per sostenere, con una interpretazione logico-sistematica, la fondatezza del principio sopra richiamato. Ed invero, in tal senso non può essere dimenticato il tenore testuale dell'art. 69-bis l.fall., norma secondo la quale, nella ipotesi in cui il concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli artt. 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 l.fall. decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese, dovendosi evidenziare che il riferimento letterale svolto dalla norma in commento alla data di pubblicazione della domanda di concordato in regime di consecutio richiederebbe, per analogia di ratio, l'applicazione del medesimo principio anche nella diversa ipotesi di sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata al di fuori del fenomeno della consecutio. Detto altrimenti, l'art. 69-bis l.fall. non farebbe altro che fornire diretta applicazione al principio codificato in termini più generali dall'art. 16, secondo comma, laddove quest'ultima norma fissa in linea generale il principio di efficacia verso terzi degli effetti della sentenza di fallimento a partire dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di quest'ultima. Affermato pertanto in termini generali il principio della efficacia degli effetti verso terzi dal momento della pubblicazione della sentenza nel detto registro, principio come tale rispettoso della tutela dell'affidamento dei terzi e della conoscibilità da parte di quest'ultimi degli effetti connessi alla declaratoria di fallimento, è possibile individuare i corollari applicativi del principio in parola nelle ulteriori diverse disposizioni normative estraibili dalla legge fallimentari nelle quali si disciplinano gli effetti verso terzi, in materia di procedure concorsuali minori, dell'ammissione e della omologazione delle proposte negoziali di risoluzione della crisi d'impresa. E così, si può individuare nell'art. 168, primo comma, l.fall., uno tra i precipitati applicativi del principio sopra enunciato là dove la norma da ultimo menzionata dispone proprio che «dalla data della pubblicazione nel registro delle imprese e fino al momento di omologazione del concordato» i creditori per titolo e causa anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari e là dove, nella medesima norma, si dispone che le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la «data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese» sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato. Peraltro, è lo stesso art. 184, comma primo, l.fall., sempre in tema di concordato preventivo, a suggellare in via generale il medesimo principio con riferimento agli effetti della procedura concorsuale minore, statuendo che il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla «pubblicazione nel registro delle imprese» del ricorso di cui all'art. 161. Ebbene, è anche possibile individuare analoghe applicazioni del principio generale sopra affermato di tutela di affidamento dei terzi anche nelle disposizioni contenute nell'art. 182-bis, commi secondo-sesto, l.fall. in tema di accordi di ristrutturazione. Ne discende, come ulteriore corollario, che, in materia di revocatoria, ciò implica la decorrenza a ritroso del periodo sospetto a far tempo dalla data di iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese, fatta salva la ipotesi di consecutio, in cui il periodo sospetto retroagisce – come è noto – dalla data di iscrizione in tale registro del ricorso di ammissione al concordato (cfr. sempre Trib. Milano, decr. 16 gennaio 2014, cit.). Lo spossessamento del debitore, l'apertura del concorso ed il divieto di azioni esecutiveAlla sentenza dichiarativa di fallimento si collegano due ulteriori conseguenze, che rappresentano il tratto di unione tra il processo di istruttoria prefallimentare e la fase procedimentale dell'esecuzione collettiva. Ed invero, si tratta di conseguenze che concretizzano l'efficacia della dichiarazione di fallimento, consentendole il raggiungimento dei suoi scopi. La prima è quella descritta dagli artt. 4 e 52 l.fall. e consiste nel fatto che la sentenza dichiarativa priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti a quella data, aprendo sugli stessi il concorso dei creditori, e ciò con la sola eccezione prevista ora da quanto disposto dall'art. 104-ter, comma terzo, disposizione a tenore della quale il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all'attivo patrimoniale o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l'attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente. La seconda è quella prevista dall'art. 51 l.fall. e consiste nell'effetto secondo cui dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione esecutiva ovvero cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento (Cass. n. 7659/1997). BibliografiaAmatore, Le dichiarazioni di fallimento, Milano, 2014; Andrioli, La posizione del creditore nell'esecuzione singolare e nel fallimento, in Foro it. 1934, IV, 154; Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, 54; De Santis, Sub art. 15, in AA. VV., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro-Sandulli, Torino, 2006, 337; Liebman, Il titolo esecutivo riguardo ai terzi, in Riv. dir. proc. civ. 1934, I, 140; Pajardi-Paluchowscki, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 158; Pajardi, Sub art. 16, in AA. VV., Codice del fallimento, Milano, 2008; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, 481; Ricci, Lezioni sul fallimento, Milano, 1998, 127; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996; Severini, La sentenza di fallimento e la sua impugnazione, in AA. VV., Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia-Piccininni-Severini, Torino, 2010, 549; Vitale, La dichiarazione di fallimento, Milano, 1967, 170; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 82; Zoppellari, Sub art. 16, in AA. VV., La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2007, 135. |