Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 11 - Fallimento dell'imprenditore defunto.

Roberto Amatore

Fallimento dell'imprenditore defunto.

 

L'imprenditore defunto può essere dichiarato fallito quando ricorrono le condizioni stabilite nell'articolo precedente.

L'erede può chiedere il fallimento del defunto, purché l'eredità non sia già confusa con il suo patrimonio; l'erede che chiede il fallimento del defunto non e soggetto agli obblighi di deposito di cui agli articoli 14 e 16, secondo comma, n. 3) 1.

Con la dichiarazione di fallimento cessano di diritto gli effetti della separazione dei beni ottenuta dai creditori del defunto a norma del codice civile.

[1] Comma sostituito dall'articolo 10 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

Il fallimento «post mortem» dell'imprenditore comporta l'acquisizione del patrimonio da questi relitto all'attivo fallimentare, nonché la separazione del patrimonio stesso da quello degli eredi (se tale effetto non è stato ottenuto mediante l'accettazione con beneficio d'inventario), al fine di permettere ai creditori dell'imprenditore defunto, ammessi al fallimento, di soddisfarsi in via preferenziale rispetto ai legatari e ai creditori degli eredi (Cass. I, n. 12846/1998)

La domanda di fallimento proposta dall'erede dell'imprenditore defunto

L'art. 11 l.fall. disciplina l'ipotesi del fallimento dell'imprenditore defunto, il quale può essere dichiarato fallito, allorché ricorrano le condizioni stabilite dall'art. 10 in relazione all'imprenditore che ha cessato dall'esercizio dell'impresa (vedi supra), ossia entro un anno dalla morte, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo.

In realtà, la norma presenta una rilevanza applicativa ridotta, in ragione della crescente marginalità dell'impresa organizzata in forma individuale da parte della persona fisica, alla quale essa si riferisce, ancorché conservi un rilievo teorico, soprattutto con riguardo al presupposto oggettivo del fallimento dell'imprenditore defunto, ossia all'insolvenza ed al momento del suo manifestarsi, e cioè anteriormente o entro l'anno successivo alla morte (De Santis, 70. Si rimanda inoltre a Ferri, jr., 251; Lamanna, 278 e ss).

Ebbene, per quanto qui interessa il profilo della legittimazione attiva, assume rilievo il comma secondo, che istituisce una legittimazione speciale a domandare il fallimento, prevedendo che l'erede è legittimato a chiedere il fallimento del defunto, purché l'eredità non sia già confusa con il suo patrimonio. A tal fine, egli non è soggetto agli obblighi di deposito della documentazione dall'art. 14, a carico del debitore che agisce in auto fallimento. Rispetto alla formulazione originaria, contenuta nella legge fallimentare del 1942, l'art. 11 ha subìto, ad opera d.lgs. n. 512006, l'unica modifica recata dal comma secondo, proprio nella parte in cui esonera l'erede che chiede il fallimento del defunto dagli obblighi di deposito delle scritture contabili e obbligatorie e dei prospetti integrativi informativi, imposto dai successivi artt. 14 e 16 l.fall. (cfr. Salanitro, 126).

Sul punto, va precisato che, sebbene la norma menzioni soltanto l'erede dell'imprenditore defunto, ciò non vuol dire che soltanto l'erede sia legittimato; anzi, il comma secondo ha proprio lo scopo di chiarire che, in questo particolare caso, al novero dei soggetti ordinariamente legittimati, si aggiunge anche l'erede (Salanitro, 363; e, dopo le riforme, Lo Cascio, 150; Di Majo, 89).

Pertanto, va ribadito che la condizione espressa per l'esercizio della legittimazione dell'erede è che l'eredità non si sia già confusa col suo patrimonio. Invero, il fallimento post mortem dell'imprenditore comporta l'acquisizione del patrimonio da questi relitto all'attivo fallimentare, nonché la separazione del patrimonio medesimo da quello degli eredi (se tale effetto non è stato già ottenuto mediante l'accettazione con beneficio d'inventario), e ciò al fine di consentire ai creditori dell'imprenditore defunto, ammessi al fallimento, di soddisfarsi in via preferenziale rispetto ai legatari ed ai creditori degli eredi (Cass. n. 12486/1998).

Ebbene, occorre chiarire che il chiamato che non ha ancora accettato l'eredità (neanche tacitamente) non è neanche legittimato a chiedere il fallimento del de cuius: così, AA.VV., L'istruttoria prefallimentare, cit., 438. Tuttavia, in senso contrario, si legga Cass. n. 5018/2009, secondo la quale «colui che accetta l'eredità con beneficio d'inventario. per ciò solo neppure può essere ritenuto terzo. Infatti, egli è e resta erede, sia pure con la rilevante differenza, rispetto al caso di accettazione pura e semplice, della distinzione dei patrimoni e della produzione degli effetti indicati dall'art. 490 c.c. Siffatta accettazione non comporta il venire meno della responsabilità patrimoniale dell'erede per i debiti del de cuius, ma soltanto il diritto a non rispondere al di là dei beni ereditati. Ed è appunto per questa posizione che l'accettazione dell'eredita con beneficio di inventario neppure determina il venire meno della legittimazione passiva dell'erede beneficiario per una controversia relativa ai diritti patrimoniali di cui il curatore fallimentare si sia disinteressato, fatti valere nei confronti del patrimonio del de cuius». Tale discorso è finalizzato all'affermazione del principio di diritto per il quale «alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale (cfr. Corte cost. n. 151/1980) dell'art. 18, 1 comma, l.fall. (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5/2006), il principio secondo cui il termine di quindici giorni per l'opposizione alla sentenza di fallimento non decorre per il debitore dalla data di affissione della stessa, ma dalla sua comunicazione ai sensi dell'art. 17 l.fall., si applica anche all'erede del debitore medesimo, non essendo la sua posizione equiparabile, agli effetti di tale disposizione, a quella di qualsiasi altro terzo avente interesse all'opposizione, in quanto egli subentra al defunto in tutti i pregressi rapporti giuridici, sostanziali e processuali; né tale conclusione muta, allorché l'accettazione dell'eredità sia avvenuta con beneficio di inventario».

Secondo autorevole dottrina (De Santis, 72), tale legittimazione non spetterebbe neppure al curatore dell'eredità giacente, stante il carattere di stretta interpretazione da riconoscersi alla previsione di cui al comma secondo dell'art. 11 l.fall. (in senso contrario, v. Ferro, ibidem).

Va tuttavia ulteriormente precisato che come presupposto della domanda, oltre alla condizione espressa di cui sopra, ve n'è un'altra, implicita nella norma, ossia che l'erede — il quale non abbia consentito la confusione dei patrimoni — sia anche creditore del defunto (De Santis, ibidem). Ed invero, «come la confusione non consente all'erede di giovarsi della pregressa veste di creditore del defunto per sollecitarne la dichiarazione di fallimento, così l'erede, pur essendo, a seguito dell'accettazione pura e semplice, succeduto nel patrimonio del defunto, non può denunciare un dissesto che non è il suo, talché il fallimento, nell'ipotesi di eredità confusa, può essere pronunziato su istanza dei creditori del defunto»; invece, «se l'eredità è separata, nulla esclude che l'erede, in qualità di creditore del defunto, possa chiedere che ne sia dichiarato il fallimento, e che questo sia pronunziato si istanza dei creditori ereditari», ma non dei creditori personali dell'erede (cfr. Andrioli, Fallimento dell'imprenditore defunto e separazione del patrimonio, in AA. VV., Studi in onore di Alberto Asquini, I, Padova, 1965, 10).

Deve pertanto concludersi nel senso che occorre escludersi, da un lato, la possibilità di riconoscere all'erede una legittimazione propria e specifica a chiedere il fallimento del defunto, diversa da quella che gli spetterebbe come creditore di quest'ultimo; e dall'altro, che l'erede, quando propone la domanda di fallimento, ai sensi dell'art. 11 l.fall., esercita il medesimo diritto, che era del defunto, ad agire in autofallimento, e ciò anche in ragione dell'espresso esonero (oggi previsto dal secondo comma dell'art. 11) dagli obblighi di deposito che gravano, ai sensi dell'art. 14, sul debitore che propone la domanda di autofallimento.

Bibliografia

AA.VV., L'istruttoria prefallimentare, a cura di M. Ferro e A. Di Carlo, cit., 2010, 2010, 438; Amatore, Le dichiarazioni di fallimento, Milano, 2014; De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, Padova, 2007, 70; Di Majo, Sub. art. 11, in AA. VV., Codice Commentato del fallimento, a cura di Lo Cascio, Milano, 2008, 89; Ferri, jr., Sub art. 11, in AA. VV., Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, Milano, I, 2010, 251; Lamanna, Sub. art. 11, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio-Fabiani, I, Bologna, 2006, 278 e ss.; Lo Cascio, Il fallimento, Milano, 2007, 150; Salanitro, Il fallimento dell'imprenditore defunto, Milano, 1976, 126; Salanitro, Sub artt. 10-11 l.fall., in AA. VV., in Comm. S.B., Bologna 1974, 36.

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