Legge - 27/01/2012 - n. 3 art. 14 - Impugnazione e risoluzione dell'accordo

Salvo Leuzzi

Impugnazione e risoluzione dell'accordo

 

1. L'accordo può essere annullato dal tribunale su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento1.

1-bis. Il ricorso per l'annullamento deve proporsi nel termine di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto2.

2. Se il proponente non adempie [regolarmente] agli obblighi derivanti dall'accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione dello stesso3.

3. Il ricorso per la risoluzione è proposto, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dall'accordo4.

4. L'annullamento e la risoluzione dell'accordo non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in buona fede.

5. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento5.

Inquadramento

La norma annovera la disciplina di alcuni eventi suscettibili di ripercuotersi sull'accordo, cagionando la cessazione dei relativi effetti. Vengono in rilievo per un verso, l'inadempimento degli obblighi assunti nei confronti dei creditori, per altro verso, la scoperta di comportamenti fraudolenti del debitore, non conosciuti al momento della presentazione della proposta e del raggiungimento dell'accordo. Dalla norma si evince che l'istituto dell'annullamento e quello della risoluzione per inadempimento sono «riservati» all'accordo di composizione.

Azione di annullamento

Ai sensi del primo comma della norma in esame, l'annullamento dell'accordo può essere pronunciato dal tribunale nel caso in cui sia stato dolosamente aumentato o diminuito il passivo, oppure sottratta o dissimulata parte rilevante dell'attivo oppure siano state dolosamente simulate attività inesistenti. In sostanza si tratta del compimento di atti di frode.

Escluse espressamente altre azioni di annullamento, quella qui tassativamente prevista può essere proposta su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore. Appare evidente che la norma di cui al menzionato comma 1 si ispira all'art. 1986 c.c.

Ad integrare il presupposto oggettivo delle ipotesi di annullamento dell'accordo di composizione sono le condotte del debitore tese ad ingenerare una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale, in guisa da indurre i creditori ad accettare la proposta e il giudice ad omologare l'accordo, proprio in virtù della prospettazione di una maggior convenienza rispetto all'alternativa liquidatoria. Le fattispecie contemplate dal comma 1 della norma in commento sono ipotesi che registrano tutte atti fraudolenti a danno dei creditori.

Rilevano del resto la sottrazione e la dissimulazione dell'attivo, che possono consistere, rispettivamente, nel materiale occultamento, nella concreta distruzione di beni e nella mancata denuncia di crediti e diritti, o nell'adozione di artifici contabili e nel compimento di atti simulati od apparenti di alienazione; la dolosa esagerazione del passivo ricorre, invece, quando sono stati esposti debiti insussistenti o esistenti in misura inferiore a quella indicata; la dolosa diminuzione del passivo consiste nella mancata esposizione di debiti; infine la simulazione di attività inesistenti ricorre allorché vengano fittiziamente ricondotti al patrimonio del debitore beni o diritti che, in realtà, non vi appartengono.

Si tratta di atti che, ove scoperti prima dell'omologazione, avrebbero comportato la revoca del decreto di ammissione del debitore alla procedura.

Il requisito psicologico delle condotte integranti le fattispecie rilevanti ai fini dell'annullamento è rappresentato dal dolo e dalla «colpa grave», quindi dalla estrema imprudenza o superficialità, dalla negligenza inescusabile nella rappresentazione della propria situazione patrimoniale.

Le condotte enucleate dal comma ora in esame rivelano una sostanziale corrispondenza con le fattispecie descritte negli artt. 138 e 186 l.fall. in materia di annullamento del concordato fallimentare e preventivo, sicché può tenersi conto dell'elaborazione giurisprudenziale formatasi sul tema proprio con riferimento all'applicazione delle predette norme.

È stabilito, ai sensi del comma 1-bis che il ricorso per l'annullamento deve proporsi nel termine di sei mesi dalla scoperta dell'evento e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto. La disposizione è mirata a stabilizzare, ove possibile, gli effetti dell'accordo in ragione della pluralità degli interessi da esso intercettati.

L'ultimo comma dell'art. 14 dispone che, per l'azione di annullamento (e per quella di risoluzione), si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c., con conseguente, tendenziale cameralizzazione del rito. La domanda va, dunque proposta nella forma del ricorso; i procedimenti vengono definiti dal tribunale, in composizione collegiale; la competenza è ascritta al tribunale che ha omologato l'accordo; la decisione va assunta con decreto motivato.

Quest'ultimo è reclamabile davanti alla corte d'appello a norma dell'art. 739 c.p.c. Il provvedimento di accoglimento si palesa ricorribile per cassazione a mente dell'art. 111 Cost. Nel caso di provvedimento di rigetto, la ricorribilità per cassazione sembra esclusa dalla riproponibilità della domanda.

A tenore del comma 4 dell'art. 14 l'annullamento non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede. In buona sostanza, i terzi nei confronti dei quali, nelle more della procedura, siano stati compiuti atti dispositivi, tanto che essi abbiano acquisito diritti in esecuzione dell'accordo, certamente mantengono tali diritti, laddove non se ne provi la mala fede, quindi l'ignoranza colpevole della causa di annullamento o di risoluzione dell'accordo.

Gli effetti dell'annullamento (e della risoluzione) investono, naturalmente, tanto i creditori quanto lo stesso debitore. I primi possono trattenere quanto ricevuto in adempimento dell'accordo e, tenuto conto della norma per la quale, salvo diversa previsione, l'accordo non determina novazione delle obbligazioni (art. 11, comma 4, l. n. 3/2012), per la differenza del credito originario non soddisfatta nel corso della procedura «riconquistano» il diritto di promuovere o continuare le ordinarie azioni esecutive e cautelari (e di insinuarsi al passivo dell'eventuale fallimento del debitore), nonché quello di acquisire titoli di prelazione sul suo patrimonio. Gli effetti protettivi che l'apertura della procedura realizza vengono, infatti, meno al suo cessare.

Azione di risoluzione

L'azione di risoluzione è prevista nel comma 2 dell'art. 14 nei casi in cui il proponente non adempie gli obblighi derivanti dall'accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al creditore; in tali casi ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione dell'accordo.

Anche nell'ipotesi ora in discorso, l'accertamento degli eventi in questione è svolto dal tribunale su ricorso di uno qualsiasi dei creditori. Segnatamente, l'interesse all'azione può ravvisarsi anche nell'inadempimento del debitore ad obblighi assunti verso altri, ove questo comprometta la fiducia del creditore nella capacità del sovraindebitato di tener fede agli impegni assunti.

L'inadempimento viene in evidenza in sé, a prescindere dalla sua ascrivibilità diretta al debitore, a un suo mandatario ad hoc, ad un garante.

Qualora gli obblighi correlati all'accordo siano stati assunti da un terzo con liberazione immediata del debitore, i creditori potranno far valere le proprie ragioni esclusivamente nei confronti dell'assuntore, concorrendo con i suoi creditori personali (in applicazione analogica degli artt. 137, comma 7, e 186, comma 4, l.fall.).

Il d.l. n. 179/2012 ha eliminato dal testo del comma 2 l'avverbio «regolarmente» che, in precedenza, dava coloritura all'adempimento del proponente implicando una valutazione intransigente delle eventuali difformità nell'esecuzione dell'accordo. In buona sostanza, la lettera della legge portava a ravvisare nella mancanza come nell'inesattezza dell'adempimento, quindi nella violazione di qualsiasi pattuizione afferente la composizione della crisi, il presupposto oggettivo della risoluzione. La soppressione nel testo oggi vigente del richiamo alla regolarità dell'adempimento è sintomatico di una valutazione dell'inadempimento suscettibile di dar rilievo, ai fini della risoluzione, alle sole violazioni di non scarsa importanza (in linea con il principio contemplato ex art. 186 l.fall. in materia di concordato preventivo). Occorre, in definitiva, un inadempimento sussumibile nel paradigma generale del diritto dei contratti di cui all'art. 1455 c.c. Il giudice sarà, dunque, chiamato a ponderare l'insieme degli obblighi assunti dal debitore in rapporto all'interesse globale del ceto creditorio, in guisa da appurare la dimensione oggettiva dell'inadempimento.

Viene in rilievo l'ultimo comma dell'art. 14 che accomuna l'azione di risoluzione a quella di annullamento in punto di applicabilità, in quanto compatibili, degli artt. 737 ss. c.p.c., con ogni già evidenziato corollario (v. supra).

Non è espressamente previsto – diversamente che nel primo comma, con riguardo all'annullamento – il contraddittorio con il debitore; tuttavia appare necessaria la partecipazione al giudizio di quest'ultimo poiché si debbono accertare i suoi inadempimenti o le sue frodi eventuali, talché è proprio costui la parte concretamente più interessata. Del resto, trattandosi di controversie in materia di diritti soggettivi, le parti devono veder preservata la propria facoltà di far valere tutte le proprie ragioni.

Ai sensi del comma 3 dell'art. 14, il ricorso per la risoluzione va proposto entro sei mesi dalla scoperta del motivo di impugnativa e comunque entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dall'accordo,

Alla medesima stregua del provvedimento che statuisce sull'azione di annullamento, anche il decreto che definisce quella di risoluzione è reclamabile davanti alla corte d'appello a norma dell'art. 739 c.p.c. Il provvedimento di accoglimento si palesa ricorribile per cassazione a mente dell'art. 111 Cost. Nel caso di provvedimento di rigetto, la ricorribilità per cassazione sembra esclusa dalla riproponibilità della domanda.

A tenore del comma 4 dell'art. 14 nemmeno la risoluzione, al pari dell'annullamento, pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede.

Bibliografia

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