Legge - 27/01/2012 - n. 3 art. 6 - Finalita' e definizioni1

Salvo Leuzzi

Finalita' e definizioni1

1. Al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette ne' assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo, e' consentito al debitore concludere un accordo con i creditori nell'ambito della procedura di composizione della crisi disciplinata dalla presente sezione. Con le medesime finalita', il consumatore puo' anche proporre un piano fondato sulle previsioni di cui all'articolo 7, comma 1, ed avente il contenuto di cui all'articolo 82.

2. Ai fini del presente capo, si intende:

a) per "sovraindebitamento": la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente;

b) per 'consumatore': la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attivita' imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una delle societa' appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali34.

 

[1] Rubrica sostituita dall'articolo 18, comma 1, lettera d), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221.

[2] Comma modificato dall'articolo 18, comma 1, lettera d), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221.

[3] Comma sostituito dall'articolo 18, comma 1, lettera d), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221.

Inquadramento

Gli obiettivi della legge n. 3/2012 sono compendiati, al primo comma dell'art. 6, nel «fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali». La crisi economica, il ruolo crescente del consumo finanziato a credito, il progressivo indebolimento del welfare hanno cagionato una sempre più ragguardevole esposizione passiva delle famiglie e delle imprese. Ciò ha reso addirittura inevitabile la ricerca di strumenti volti a recuperare al sistema economico e sociale anche i debitori più fragili, impedendone la marginalizzazione.

In molti ordinamenti giuridici stranieri si è allargato progressivamente l'ambito di applicabilità delle procedure concorsuali per così dire «tradizionali», con appositi adattamenti.

In Italia si è ritenuto di elaborare procedimenti speciali, deliberatamente mirati a fronteggiare il problema, di fortissimo impatto sociale, dell'indebitamento crescente.

Detti procedimenti si connotano alla stregua di strumenti idonei alla ricerca di una soluzione di natura conciliativa o liquidatoria nelle ipotesi di rimarchevole difficoltà patrimoniale e finanziaria.

La legge n. 3/2012 tratteggia strumenti, ad impulso volontario del debitore, che rispondono alla funzione di comporre gli impedimenti a far fronte alle obbligazioni contratte da un novero ampio ed vario di soggetti. Tali soggetti, pur nella loro eterogeneità, sono accomunati – oltre che dal loro essere debitori insolventi o in crisi – dalla esclusione dall'ambito applicativo delle procedure concorsuali contemplate dalla legge fallimentare di cui al r.d. n. 267/1942 (e dalle procedure concorsuali amministrative, quali l'amministrazione straordinaria disciplinata dal d.lgs. n. 270/1999 e l'amministrazione straordinaria cosiddetta speciale prevista dal d.l. n. 347/2003).

La normativa ora in esame riconosce, in particolare, al debitore «non fallibile», l'opportunità di una gestione propositiva delle situazioni debitorie divenute insostenibili, attraverso un progetto di ristrutturazione, con effetti incisivamente esdebitatori.

I rimedi annoverati dalla legge in esame poggiano tutti su un unico binario, valendo, da un lato, a sottrarre il debitore alle azioni esecutive individuali dei creditori free riders, ponendolo al riparo dalla disgregazione ineluttabile del suo patrimonio; dall'altro lato, a consentirgli di ottenere – a fronte dell'adempimento anche parziale e percentualistico delle obbligazioni contratte e del sacrificio totale o parziale dei suoi beni attuali – una totale esdebitazione, idonea a rimetterlo in gioco senza debiti, depurandone, per il futuro, l'attività (c.d. fresh start).

La legge in discorso ha, in tal guisa, rimosso dall'ordinamento una plurisecolare disparità di trattamento, che vedeva messi di fronte, gli imprenditori commerciali, da una parte, e gli imprenditori «non fallibili» e i debitori civili in genere, dall'altra, posto che a queste ultime due categorie il viatico esdebitatorio rimaneva inesorabilmente precluso.

A seguito della recente riforma, il capo secondo della legge n. 3/2012 consta di due sezioni, che disciplinano tre distinti rimedi: l'accordo di ristrutturazione dei debiti, il piano del consumatore (entrambi regolati nella sez. I, dagli artt. da 9 a 14-bis) e la procedura della liquidazione dei beni (sez. II, artt. da 14-ter a 14-terdecies).

La prima è una procedura a carattere generale, rivolta ad ogni debitore sovraindebitato non soggetto ad altre procedure concorsuali, indirizzata a realizzare una soluzione concordata della crisi dall'efficacia vincolante generalizzata.

La seconda è la sola procedura, fra le tre, riservata in via esclusiva alla categoria dei consumatori, ovvero a coloro le cui passività sono costituite da obbligazioni assunte solo per scopi esterni all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. I «consumatori», quindi, oltre alle due altre procedure generali, hanno anche uno specifico percorso privilegiato.

Il terzo rimedio, anch'esso a carattere generale come il primo, consiste in un procedimento espropriativo concorsuale e collettivo, volto alla liquidazione dell'intero patrimonio del debitore, a cui può seguire, qualora ne ricorrano i presupposti, l'esdebitazione.

Sia il primo che il secondo procedimento sembrano riprendere, adattandolo, l'archetipo del concordato, benché nel piano del consumatore venga in rilievo la saliente peculiarità rappresentata dalla mancanza del passaggio procedurale rappresentato, in ambito concordatario appunto, dall'approvazione dei creditori. La liquidazione del patrimonio, dal canto suo, mette in mostra sembianze procedurali e teleologiche che, almeno in parte, evocano le forme del c.d. «autofallimento».

Le due procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento ex artt. 7 ss. sono perfettamente alternative al procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore ex artt. 14-ter ss., nel senso che il debitore può scegliere se tentare una soluzione al sovraindebitamento attraverso un piano approvato dalla maggioranza dei creditori o – nel caso del consumatore – «convalidato» dal giudice, oppure richiedere la liquidazione del proprio patrimonio nella prospettiva di potersi affrancare dai debiti residui.

Con ogni evidenza, tutte e tre le procedure traggono origine da un criterio d'ispirazione concorsuale e sono volte a soddisfare le richieste non soltanto degli imprenditori, ma anche delle persone fisiche che si trovino in una condizione di deficit tale da non poter essere più contrastata e dominata attraverso gli ordinari strumenti civilistici.

Specularmente, dal punto di vista dei creditori, l'effetto del ricorso ai nuovi strumenti di composizione della crisi finisce per rappresentare un'alternativa alle procedure esecutive individuali del codice di rito civile, con la garanzia, peraltro, del rispetto del principio della par condicio creditorum.

La natura concorsuale delle tre procedure si rinviene sotto diversi, convergenti aspetti. Innanzitutto, risalta il tenore letterale della legge, tesa a rimediare a situazioni di sovraindebitamento non governabili attraverso procedure concorsuali – testualmente – «diverse da quelle regolate dal presente capo» (comma 1, art. 6). Inoltre, viene in rilievo l'apertura delle procedure in questione con provvedimento dell'autorità giudiziaria e il loro susseguente dipanarsi sempre sotto il controllo di quest'ultima. Ancora, assume pregnanza la tutela del credito attraverso strumenti che assicurano tendenzialmente un trattamento paritetico dei singoli titolari di pretese, mediante la massimizzazione degli esiti di un'attività di risanamento dell'impresa, ove possibile, o attraverso la virtuosa ed efficiente liquidazione del complesso produttivo, ove necessario.

Ambito soggettivo di applicazione

La legge n. 3/2012 all'art. 6 riferisce la situazione di sovraindebitamento genericamente al «debitore», sicché, in linea di principio, si mostra accessibile a ciascun soggetto che sia tale, a prescindere dalla sua qualità o meno di imprenditore o di lavoratore, autonomo o dipendente.

Tenuto conto del filtro selettivo – enucleato dal comma 1 – e consistente nella non assoggettabilità alle procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla legge n. 3 del 2012, possono senz'altro ritenersi legittimati ad accedere agli strumenti da quest'ultima disciplinati tutte le persone fisiche e giuridiche che esercitano una attività non commerciale.

Legittimati all'impiego degli strumenti rimediali della legge in commento sono, dunque, innanzitutto i c.d. «debitori civili», ossia le persone fisiche che non sono imprenditori commerciali ai sensi degli artt. 2082 e 2195 c.c., i professionisti e gli imprenditori «non fallibili» (quindi i soggetti previsti dagli artt. 2083, 2135 e 2221 c.c. e dall'art. 1 l.fall.) che si sono sovraindebitati in qualità di meri consumatori.

Legittimati sono, altresì, i piccoli imprenditori che hanno maturato il sovraindebitamento nell'esercizio della loro attività. Si tratta degli imprenditori commerciali esclusi dal fallimento, vuoi in ragione del disposto di cui all'art. 1, comma secondo, l.fall. (c.d. imprenditori «sotto soglia», che non raggiungono i limiti dimensionali pretesi dalla norma), vuoi in ragione della concorrenza di altre ragioni ostative, come nel caso degli imprenditori che abbiano cessato da oltre un anno la loro attività ex art. 10 l.fall.

Legittimati, proprio perché non fallibili, sono gli imprenditori agricoli ex art. 2135 c.c., peraltro espressamente contemplati altrove (v. art. 7, comma 2-bis).

Finanche chi non svolga alcuna attività lavorativa può fare appello ai rimedi della legge.

Gli enti collettivi possono accedere quale che sia la forma che li contrassegna: società, associazioni, fondazioni, consorzi.

Per la start up innovativa di cui al d.l. n. 179/2012, l'accesso agli strumenti di legge è possibile quand'anche essa oltrepassi la soglia minima dell'art. 1 l.fall. Essa, ai sensi dell'art. 31, comma 1, del richiamato d.l. «non è soggetta a procedure concorsuali diverse da quelle previste dal Capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3». Il trattamento peculiare si collega all'opportunità di agevolare iniziative d'impresa ad elevato tasso, tanto di originalità, quanto di rischio. Proprio la sottrazione al fallimento costituisce un'incentivo all'assunzione di detto rischio, in quanto idonea a fungere da contrappeso rispetto ad esso.

Dubbia rimane l'applicabilità della legge n. 3/2012 al socio illimitatamente responsabile di società di persone. In senso affermativo sembrano militare alcune circostanze: quella per cui detto socio non fallisce in via autonoma ai sensi dell'art. 1, ma solo in estensione a mente dell'art. 147 l.fall.; quella per cui egli non ha accesso al concordato preventivo; quella, infine, per cui l'eventuale fallimento della società, quindi pure del socio a titolo personale, incide come causa di risoluzione dell'accordo eventualmente omologato (art. 12, comma 5). In senso contrario paiono deporre, peraltro, due dati convergenti: il riferimento ampio di cui all'art. 6 ai soggetti sic et simpliciter non assoggettabili alle procedure concorsuali vigenti e la circostanza per la quale il socio illimitatamente responsabile generalmente si propone come imprenditore indiretto (Trib. Milano II, 18 agosto 2016 ha ritenuto che il socio accomandatario di una s.a.s. non può accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, valorizzando il fatto che ai sensi dell'art. 147 l.fall. i soci illimitatamente responsabili falliscono in estensione al fallimento della società e possono considerarsi assoggettabili alle procedure concorsuali e, di conseguenza, esclusi dall'ammissione al sovraindebitamento ex art. 7).

Nel caso di decorso del termine di un anno dal venir meno della responsabilità illimitata, non vi sono ragioni per escludere l'accesso all'accordo di cui all'art. 7, comma 1.

Pochi dubbi che gli strumenti della legge n. 3/2012 siano aperti ai fideiussori che abbiano garantito debiti di un imprenditore fallito, posto che essi sono ex lege non fallibili e non potrebbero altrimenti ottenere l'esdebitazione. In particolare, poiché è assoggettabile alle procedure concorsuali chi assume la veste di imprenditore in senso giuridico formale, non invece l'imprenditore in senso economico (ossia colui che esercita attività imprenditoriale attraverso società di capitali a lui riconducibili), ben potranno avvalersi della disciplina sul sovraindebitamento i soci e gli amministratori di società di capitali, che, in ipotesi, abbiano garantito con fideiussioni debiti della società.

Perplessità suscita l'utilizzabilità degli istituti in commento da parte degli enti pubblici istituiti o riconosciuti tali per legge, i quali, «fatta salva la disciplina speciale vigente per determinate categorie», sono soggetti, nei casi di insolvenza, alla liquidazione coatta amministrativa (art. 15, d.lgs. 6 luglio 2011, n. 98) (unico precedente favorevole censito è Trib. Treviso, 20 maggio 2015: può essere ammesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, in presenza degli altri requisiti richiesti dalla legge n. 3/2012, l'IPAB, ossia l'istituto pubblico di assistenza e beneficenza, che, in quanto ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico avente caratteristiche di ente pubblico non economico, non è assoggettabile alle procedure concorsuali; contra, peraltro, v. Trib. Treviso, 12 maggio 2016).

Gli strumenti della legge devono reputarsi accessibili sia alle associazioni che abbiano per oggetto esclusivo l'esercizio dell'attività forense (art. 4, comma 10, l. n. 247/2012), sia alle società fra avvocati (espressamente sottratte alle procedure concorsuali: art. 16, comma 3, d.lgs. n. 96/2001) sia alle società fra professionisti in genere (legge n. 183/2011), che esercitino professioni intellettuali.

Le procedure della normativa in disamina non sembrano riferibili anche ai patrimoni separati (fondo patrimoniale) o segregati (trust) o destinati a uno specifico affare, posta l'assenza di soggettività giuridica. La non assoggettabilità a procedure concorsuali che contrassegna detti patrimoni non vale a superare il dato saliente di una disciplina – quella della legge in commento – incentrata, nei profili processuali e operativi, sul riconoscimento della soggettività (competenza territoriale del tribunale, legata alla sede principale o alla residenza del debitore, trascrizione del decreto di ammissione alle procedure presso il registro delle imprese e gli uffici competenti, ove il piano preveda la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o mobili registrati, domanda di accesso alle procedure, che postula un organo comune che agisca in rappresentanza del patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori).

La possibilità di regolare l'insolvenza o la crisi in base alle procedure della legge in commento pare, piuttosto, circoscritta ai casi in cui un soggetto insolvente o in crisi sia compiutamente identificabile, il che avviene qualora, come descritto al comma 4-quater, ultimo periodo, d.l. n. 5/2009, il contratto di rete che abbia istituito un organo e un fondo patrimoniale comuni, sia stato rogato per scrittura privata autentica o per atto pubblico o per atto firmato digitalmente a norma dell'art. 25, d.lgs. n. 82/2005 e poi fatto oggetto di iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese.

Rimangono estranei all'ambito di applicazione degli strumenti i soggetti totalmente e incolpevolmente impossidenti, in quali ultimi, per un verso non hanno nulla da cedere, per altro verso, non posseggono redditi fissi con i quali alimentare un piano solutorio

Nozione di consumatore

Dentro la categoria eterogenea dei debitori viene descritta, al comma 2, la figura del «consumatore», alla stregua di «debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta». La definizione riedita, a ben guardare, quella dell'art. 3 del codice del consumo, il che implica un aspetto pregnante: perché il soggetto sia legittimato ad accedere agli istituti di legge è imprescindibile appurare lo scopo per cui è stato contratto il debito, dovendo quest'ultimo essere avulso dall'attività imprenditoriale, commerciale o professionale (v. Trib. Milano II, 16 maggio 2015: ai fini dell'ammissibilità di una domanda di composizione della crisi da sovraindebitamento ex art. 6 legge n. 3/2012, per consumatore deve intendersi solo il debitore persona fisica il cui indebitamento non sia riconducibile ad un'attività imprenditoriale o libero professionale).

Il d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo) costituisce, dunque, una «bussola» di orientamento interpretativo. Ne deriva anche la necessità di parametrare il concetto di consumatore alle conclusioni sedimentate su di esso nella giurisprudenza

Il rapporto di funzionalità al privato consumo va inteso, perciò, in senso stretto e rigoroso. Se così non fosse, infatti, non si giustificherebbero i benefici procedimentali riconosciuti alla procedura del piano del consumatore.

La qualifica di consumatore è, pertanto, immediata ed esclusiva derivazione della funzione delle obbligazioni che hanno prodotto la situazione di sovraindebitamento. Si noti bene: non rileva il tipo di attività svolta dal debitore, ma la natura dei debiti contratti. L'individuazione del soggetto legittimato ad accedere agli strumenti della legge è ancorata alla finalità da questo perseguita attraverso i suoi comportamenti.

Qualora la proposta di piano provenga da un soggetto il cui indebitamento vada ricondotto, in ipotesi, al rilascio di fideiussioni o alla concessione di ipoteche strumentali all'ottenimento di finanziamenti bancari alla società di sia socio o legale rappresentante il garante, il rapporto di esclusiva funzionalità dell'indebitamento al consumo privato del debitore e della sua famiglia non può, con ogni evidenza, essere riscontrato. Del resto, in siffatte ipotesi viene in rilievo il consolidato avviso giurisprudenziale secondo cui il garante assume la veste di professionista/imprenditore a cagione dell'omologa posizione che sia rivestita dal debitore principale nel rapporto garantito, stante la natura accessoria del rapporto di garanzia rispetto a quest'ultimo (c.d. teoria dell'imprenditore o professionista «di riflesso»: v. Cass. n. 314/2001; Cass. n. 19484/2010).

Si è osservato in una pronuncia della giurisprudenza di merito che non può essere ammesso al beneficio del sovraindebitamento il soggetto gravato da obbligazioni derivanti anche e soprattutto dalla prestazione di garanzie personali (nella specie fideiussioni) nell'interesse di società esercente attività di impresa, posto che l'obbligazione principale attrae quella accessoria (Trib. Foggia I, 23 luglio 2015).

Una pronuncia di merito ha, di recente, affermato che può essere definito consumatore, ai fini dell'accesso alla procedura di sovraindebitamento, colui che abbia prestato garanzia a favore di terzi per consentire l'inizio di un'attività imprenditoriale a lui non riconducibile e che, per l'assenza di indici del futuro insuccesso di tale attività, consentono di escludere profili di negligenza nell'assunzione dell'obbligazione (Trib. Rovigo, 13 dicembre 2016).

In altro arresto giurisprudenziale è dato leggere che il sovraindebitato è consumatore ai sensi dell'art. 6 quando ha sottoscritto un mutuo ipotecario per supportare il coniuge imprenditore individuale nella gestione finanziaria di impresa, senza avere mai partecipato alla gestione della stessa (Trib. Reggio Emilia, 19 novembre 2016).

Può accludersi nell'alveo esteso della nozione anche l'imprenditore il quale, pur sempre non assoggettabile ad altre procedure concorsuali, risulti sovraindebitato con riguardo ad obbligazioni assunte al di fuori dell'ambito della propria attività d'impresa (v. supra). Anche l'imprenditore o il libero professionista possono, in particolare, avere qualifica di «consumatore» a condizione che le obbligazioni scadute e non adempiute, e che abbiano determinato il «sovraindebitamento», non siano riferibili in alcun modo all'attività d'impresa o professionale svolta. Nel caso quindi in cui l'assunzione delle obbligazioni del cui inadempimento si tratta risulti legata all'attività imprenditoriale o professionale del debitore proponente, il ricorso alla procedura del piano del consumatore non è ammissibile per difetto del necessario rapporto di funzionalità del contratto rimasto inadempiuto al privato consumo del soggetto proponente o della sua famiglia (Trib. Bergamo, 16 dicembre 2014).

La Corte di Cassazione ha evidenziato, dal canto suo, che il consumatore debitore preso in considerazione dalla legge in commento può anche essere un professionista ovvero esercitare attività d'impresa; quel che rileva è che i debiti che egli intende ristrutturare attraverso il piano siano certamente non scaturenti dalle suddette attività oppure non finalizzati al raggiungimento di obiettivi alle suddette attività legati (Cass. n. 1869/2016). Segnatamente rientra nella nozione di «consumatore abilitato al piano» di cui all'art. 6, comma 2, ai fini della presente disciplina, solo la persona fisica che risulti aver contratto obbligazioni, non soddisfatte al momento della proposta del piano, per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni legati allo sviluppo della propria personalità sociale ma senza effetti diretti in un'attività d'impresa o professionale propria, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell'UE. In altri termini, la nozione di consumatore che può accedere al piano, come modalità di ristrutturazione del passivo e per le altre prerogative ivi previste, non concerne in sé e pe sé ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni d'impresa o professionali, invero compatibili se pregresse ovvero attuali, purché non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, potendo il soggetto anche svolgere l'attività di professionista o imprenditore. L'art. 6 comma 2, lett. b), concerne una specifica qualità della sua insolvenza finale, in essa cioè non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più risultare attuali, essendo consumatore solo il debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni — non soddisfatte al momento della proposta di piano — per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favori di terzi, ma senza riflessi diretti in un'attività d'impresa o professionale propria.

La Suprema Corte ha, dunque, ritenuto che la volontà legislativa sia stata certamente quella di escludere dal novero dei debiti candidabili al piano quelli contratti per obiettivi connessi alla attività imprenditoriale o professionale svolta dal richiedente, ma non anche quella di postulare la totale estraneità del richiedente a relazioni d'impresa o professionali.

Nozione di sovraindebitamento

Secondo la composita descrizione di cui al comma 2 della norma in esame, il sovraindebitamento consiste «in una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte dal debitore e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente». Con questa duplice definizione il legislatore accomuna la nozione di insolvenza civilistica (intesa come insufficienza di beni aggredibili esecutivamente ovvero come rischio per i creditori di perdere la propria garanzia patrimoniale) e quella dell'imprenditore commerciale (quale impossibilità del debitore di adempiere regolarmente le obbligazioni assunte). In altri termini, la definizione tenta di riversare entro un compendio descrittivo unitario situazioni che appaiono all'evidenza oggettivamente distanti: quella dell'imprenditore o del professionista che, continuando la propria attività, non sia in condizione di onorare le obbligazioni assunte nei tempi pattuiti; quella della persona fisica che disponga di un patrimonio liquidabile sottodimensionato rispetto all'ammontare complessivo dei debiti contratti in funzione delle proprie esigenze di vita.

In buona sostanza, le due situazioni alternative, rappresentate, per un verso, dalla «rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni», per altro verso, dalla «definitiva incapacità di adempierle regolarmente» evocano, rispettivamente, le figure dello «stato di crisi» e dello «stato di insolvenza», quali presupposti oggettivi di cui agli artt. 160 e 5, l.fall. Il richiamo alla definitiva incapacità collima, del resto, proprio con la tradizionale enunciazione dell'insolvenza di cui a quest'ultima norma.

Il «perdurante squilibrio» è aspetto teso a valorizzare un'incapacità necessariamente non transitoria di soddisfare con regolarità le obbligazioni assunte.

La correlazione introdotta dalla norma tra lo «squilibrio» patrimoniale e le «obbligazioni assunte» presuppone la riferibilità del «sovraindebitamento» ad una complessiva situazione del debitore rispetto alla massa dei creditori, differenziandone la nozione rispetto all'insolvenza considerata in numerose disposizioni del codice civile, specie nel Libro IV (ad esempio nell'art. 1186 c.c.), laddove è connessa al singolo rapporto obbligatorio.

Tra l'insolvenza «civile» e quella «imprenditoriale» vi è una profonda diversità strutturale, manifestando la prima un carattere essenzialmente patrimoniale, laddove la seconda assume connotati prettamente finanziari. In altri termini, la crisi del debitore civile ha natura «statica», quando invece quella dell'imprenditore è, nella sua essenza, «dinamica».

Un dato certo è che il riferimento al patrimonio non prontamente liquidabile implica l'insufficienza dell'attivo monetizzabile nel breve periodo rispetto all'esigenza di fronteggiare i debiti scaduti ed esigibili.

La circostanza che nella previsione si sia ritenuto imprescindibile affiancare alla classica nozione di insolvenza (e a quella di crisi) l'aspetto descrittivo costituito dallo squilibrio tra obbligazioni e patrimonio liquidabile riporta ad una concezione patrimonialistica che nel fallimento è adoperata in riferimento alle società in liquidazione. Invero, con i soggetti non imprenditori è d'uopo valorizzare proprio il profilo statico rappresentato dal rapporto fra ammontare dei debiti e consistenza del patrimonio.

Del resto, se la nozione di insolvenza (e quella di crisi) imperniata sull'organizzazione dell'attività di impresa ben si adatta alla categoria dei «piccoli imprenditori», non altrettanto è a dirsi per le persone fisiche che imprenditori non siano e per i professionisti. Il patrimonio di costoro è tendenzialmente scevro dal dato assorbente dell'organizzazione, anche di tipo finanziario, proprio del contesto imprenditoriale, nel quale si innesta un'attività dinamica, complessa, proiettata nel tempo, idonea a generare proventi e quasi sempre alimentata dal ricorso al credito. Nei confronti dei soggetti non imprenditori, il ceto creditorio fa naturale affidamento sulle retribuzioni mensili, sui redditi periodicamente attesi e, in ultima analisi, sul patrimonio esistente e su eventuali garanzie reali e personali. In tal senso, i concetti di «perdurante squilibrio» e di «patrimonio prontamente liquidabile» sono elementi utili a schematizzare, quindi pure ad appurare, l'indisponibilità, in capo al debitore civile, per un segmento di tempo che dev'essere non momentaneo ma apprezzabile (e che in tal senso è «perdurante»), di un complesso di beni idoneo ad essere celermente tradotto in denaro («prontamente liquidabile»), dunque in grado di colmare a sufficienza le esposizioni passive. Bisogna acclarare se le disponibilità liquide e i flussi finanziari che la corrente attività d'impresa o professionale determinano siano bastevoli ad estinguere alle scadenze i singoli rapporti obbligatori.

Non rilevano, viceversa, le capacità reddituali, prospettiche dell'impresa, valutate in ragione di piani strategici e programmi gestionali futuri.

Patrimonio «prontamente liquidabile» è certamente quello costituito da titoli e strumenti finanziari negoziabili in borsa. Non altrettanto ovviamente può dirsi avuto riguardo al patrimonio composto da immobili, perlomeno in un contesto attualmente pervaso dalla stagnazione del relativo mercato. La disponibilità di cespiti pure astrattamente di valore e di pregio tali da comportare l'eccedenza complessiva dell'attivo sul passivo, non esclude, in tal senso, una situazione di crisi o di insolvenza idonea ad «abilitare» il debitore a far ricorso ai rimedi della legge.

Lo «squilibrio» seguita ad essere rilevante anche laddove il debitore civile conservi l'opportunità di soddisfare alla scadenza le obbligazioni assunte, ma soltanto dismettendo beni di prima necessità, quali la casa o l'automobile.

Bibliografia

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