Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 96 - Reati del commissario giudiziale e del commissario straordinario.

Rosaria Giordano

Reati del commissario giudiziale e del commissario straordinario.

1. Si applicano al commissario giudiziale ed al commissario straordinario le disposizioni degli articoli 228, 229 e 230 della legge fallimentare.

2. Le stesse disposizioni si applicano, altresì, alle persone che coadiuvano il commissario giudiziale o il commissario straordinario nell'amministrazione della procedura.

Inquadramento

La norma in commento estende al commissario giudiziale ed al commissario straordinario (nonché alle persone che li coadiuvano nella procedura: rispetto alle quali cfr. Cass. pen., Sez. VI, 14 giugno 2010, n. 38986) le fattispecie previste e punite dagli artt. 228,229 e 230 l. fall.

Sulla questione la S.C. ha chiarito che il commissario risponde dei reati propri del curatore come pubblico ufficiale, come risulta anche dal d.lg. 8 luglio 1999 n. 279, che all'art. 40 disciplina i relativi poteri, attribuendogli, per quanto attiene alle sue funzioni, la qualifica di pubblico ufficiale, ed all'art. 96 stabilisce l'applicabilità delle sole disposizioni degli art. 228, 229 e 230 l.fall. relative al curatore fallimentare, ad ulteriore conferma dell'equiparabilità della posizione del commissario straordinario a quella del curatore fallimentare (cfr. Cass. pen. V, 4 marzo 2003, n. 20076).

Reato di interesse privato del commissario in atti della procedura

La norma in commento estende al commissario giudiziale ed al commissario straordinario (nonché alle persone che li coadiuvano nella procedura: rispetto alle quali cfr. Cass. pen. VI, n. 38986/2010) innanzitutto la fattispecie prevista e punita dall'art. 228 l.fall. per il quale, salvo che al fatto non siano applicabili gli artt. 315,317,318,319,321,322 e 323 del codice penale, il curatore che prende interesse privato in qualsiasi atto del fallimento direttamente o per interposta persona o con atti simulati è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa non inferiore a euro 206.

Sul punto, è stato precisato che il commissario straordinario di grandi imprese in stato di insolvenza, ammesse all'amministrazione straordinaria ai sensi della l. n. 95/1979, non può essere soggetto attivo dei reati di cui agli artt. 216 e 223 r.d. 267/1942 (bancarotta fraudolenta e bancarotta impropria), che sono reati propri del fallito e degli organi di amministrazione delle società fallite. Il commissario anzidetto risponde, invece, dei reati propri del pubblico ufficiale, come risulta anche dal d.lg. n. 270/1999, che all'art. 40 disciplina i relativi poteri, attribuendogli, per quanto attiene alle sue funzioni, la qualifica di pubblico ufficiale, ed all'art. 96 stabilisce l'applicabilità delle sole disposizioni degli artt. 228,229 e 230 l. fall. relative al curatore fallimentare, ad ulteriore conferma dell'equiparabilità della posizione del commissario straordinario a quella del curatore fallimentare (cfr. Cass. pen. V, n. 20076/2003).

La fattispecie prevista dall'art. 228 R.d. n. 267/1942, risponde all'esigenza di prevenire e punire il comportamento del curatore fallimentare che nello svolgimento del suo complesso compito fiduciario, ponga in essere atti che privilegino interessi privati proprio di terzi in contrasto con le finalità della procedura concorsuale (Cass. pen. V, 12 ottobre 2004, n. 46802, la quale ha ritenuto che, in particolare, viola la norma indicata il curatore che, in contrasto con l'interesse tutelato dalla legge consistente nel recupero della massa attiva nella maggior misura possibile, concede ad un terzo l'uso gratuito di parte dei beni del fallimento, rinunciando alla loro redditività).

In dottrina, quanto al bene giuridico tutelato dal combinato disposto dell'art. 96 del decreto in esame e l'art. 228 l.fall. si è osservato che lo stesso è costituito dal regolare svolgimento della procedura dell'amministrazione straordinaria dalla tutela dei terzi interessati e della salvaguardia del prestigio dell'amministrazione della giustizia (Antolisei 196; Nuvolone 332; Conti 376).

È stato qualificato reato di pericolo presunto in base alla considerazione che l'antigiuridicità permane anche nel caso in cui l'interesse privato coincida con l'interesse dell'ufficio (Antolisei 196).

Tuttavia, in giurisprudenza si è osservato che la nozione di interesse privato in atti del fallimento, rilevante ai sensi dell'art. 228 l.fall., non comprende solo l'ipotesi della mera coincidenza tra i vantaggi privati e gli interessi dell'ufficio ovvero il caso in cui l'interesse privato del curatore non risulti in concreto rivolto a perseguire un beneficio personale o di terzi, contrastante con le finalità della procedura concorsuale (Cass. pen. V, n. 19818/2003, in Cass. pen., 2004, 1046).

Resta fermo che la «presa d'interesse privato» da parte del curatore negli atti del fallimento, prevista come reato dall'art. 228 della l.fall. e configurabile anche con riguardo agli atti di gestione imprenditoriale compiuti nell'ambito della procedura concorsuale, non deve essere necessariamente finalizzata al perseguimento esclusivo di un interesse privato confliggente con quello della procedura stessa, essendo, al contrario, sufficiente che essa comporti, in relazione al detto ultimo interesse, un risultato di minore consistenza (in senso qualitativo o quantitativo) rispetto a quello che si sarebbe ottenuto in mancanza dell'ingerenza profittatrice (Cass. pen. V, n. 4043/2000).

Più in generale, la S.C. ha evidenziato che, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 228 l.fall., che sanziona la condotta del curatore il quale — avvantaggiando consapevolmente se stesso o un terzo — privilegia interessi privati contrastanti con la finalità della procedura, è sufficiente che si determini tale situazione di conflitto, indipendentemente dal fatto che si verifichino anche effetti in concreto pregiudizievoli per i creditori (Cass. pen., V, n. 46802/2004).

Come per la revoca del fallimento (Conti 40) l'eventuale revoca della dichiarazione di insolvenza non determina il venir meno dell'antigiuridicità del fatto.

Il reato è punibile a titolo di dolo e questo richiede la coscienza e volontà di realizzare il privato interesse (Antolisei 198; La Monica 1999, 516). Il reato si consuma nel momento in cui l'agente attua il privato interesse; secondo il tradizionale orientamento non ha rilievo il conseguimento o meno di un utile o la realizzazione del danno o del pericolo per il fallimento.

In sede applicativa si è ritenuto che integra il reato di cui all'art. 228 l.fall. (interesse privato del curatore negli atti del fallimento) la condotta del commissario giudiziale che, in contrasto con l'interesse tutelato dalla legge, consistente nel recupero della massa attiva nella maggior misura possibile, venda un bene del fallimento ricevendo un corrispettivo sul ricavato, sottraendo, per mero tornaconto personale, risorse da destinare al soddisfacimento dei creditori (Trib. Ancona, n. 1381/2006).

Accettazione di retribuzione non dovuta

La disposizione in esame estende, poi, al commissario giudiziale ed al commissario straordinario (nonché alle persone che li coadiuvano nella procedura) la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 229 l.fall. per la quale il curatore del fallimento che riceve o pattuisce una retribuzione, in danaro o in altra forma, in aggiunta di quella liquidata in suo favore dal tribunale o dal giudice delegato, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da euro 103 a euro 516.

Nella giurisprudenza di legittimità, nel delineare gli elementi del reato, si è evidenziato che la condotta criminosa prevista dall'art. 229 l.fall. è quella del curatore che riceve o pattuisce una retribuzione, in danaro o in altra forma, in aggiunta all'altra liquidata in suo favore dal tribunale o dal giudice delegato, e la statuizione, strettamente collegata a quella dell'art. 39 comma 3 della stessa legge, è ispirata allo scopo di sottrarre il curatore alle suggestioni economiche ed ai contratti di natura patrimoniale con le parti private, per assicurarne la natura di organo processuale indipendente nelle sue determinazioni; sicché nella qualificazione dell'ipotesi criminosa come reato di pericolo, la cui oggettività giuridica è da ravvisare nella «venalità del curatore» ed il cui elemento soggettivo si sostanzia nella consapevolezza dell'agente della mancata osservanza delle forme previste per la liquidazione del compenso, è agevole coglierne la differenza con le diverse ipotesi della concussione, nella quale la dazione o la promessa, quale realizzazione di una pretesa illecita, presuppongono, altresì, l'abuso della qualità o dei poteri del pubblico ufficiale e l'esercizio di una pressione psichica, prevaricatrice della volontà del privato (Cass. pen., VI, 2 novembre 1994, in una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto corretta la definizione del fatto operata dal giudice di merito il quale aveva affermato l'esistenza della concussione nel comportamento del custode fallimentare che attraverso costrizione e induzione aveva determinato le parti a corrispondere la utilità richiesta al fine di destinarla a scopo ben diverso dalla integrazione del compenso, dovutogli, peraltro, all'esito della procedura fallimentare).

Il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è il regolare svolgimento della procedura. La ratio della tutela penale è, inoltre, la difesa dell'interesse ed il prestigio di chi è chiamato dall'autorità giudiziaria o amministrativa a disporre di beni e di interessi altrui, è vincolato ad un comportamento di cristallina correttezza (v., tra gli altri, Nuvolone 337; Cadoppi 176; Sandrelli 110).

Il reato si consuma con l'accettazione della promessa, la pattuizione o in assenza di previa promessa o pattuizione con la ricezione della retribuzione (Conti 381; La Monica 1999, 518; Sandrelli 217).

In dottrina è discusso se trattasi di reato plurisoggettivo (v., infra, Commento art. 229 l.fall.).

Omessa consegna o deposito di cose della procedura

La norma in commento estende, infine, al commissario giudiziale ed al commissario straordinario (nonché alle persone che li coadiuvano nella procedura) la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 230 l.fall. per la quale il curatore che non ottempera all'ordine del giudice di consegnare o depositare somme o altra cosa del fallimento, che egli detiene a causa del suo ufficio, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 1.032.

Il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è il regolare svolgimento della procedura (Antolisei 203; Nuvolone 321). La ratio incriminatrice è nell'esigenza di estendere ed anticipare la tutela penale a situazioni di fatto che sono premessa di sottrazioni (Antolisei 204). Si tratta di reato di pericolo.

Il fatto delittuoso consiste nel mancato adempimento dell'ordine di consegnare o depositare somme o altre cose. Presupposto della condotta omissiva è che il commissario abbia la detenzione delle somme o cose appertenenti alla procedura. L'atto il cui mancato compimento è sanzionato è alternativamente ed indifferentemente il mancato deposito o la mancata consegna.

Il reato di omessa consegna o deposito di cose del fallimento, di cui all'art. 230 l.fall., ha natura di reato istantaneo e si consuma con la scadenza del termine, assegnato al curatore dal giudice delegato, per ottemperare alla consegna (Cass. Pen. V, n. 22534/2016).

Peraltro, la configurabilità del reato di cui all'art. 230 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, richiede che vi sia un ordine espresso dal giudice per il deposito o la consegna di somme o di cose del fallimento (Cass. pen. V, 13 dicembre 1979).

In dottrina, appare prevalente la tesi per la quale è irrilevante ai fini della configurabilità del reato la forma dell'ordine, eventualmente anche orale, purché lo stesso sia idoneo a giungere a conoscenza del commissario. È invece dibattuta la necessità che il giudice indichi un termine ai fini sia dell'integrazione del reato sia dell'individuazione del momento consumativo. La fissazione del termine per l'adempimento dell'ordine sarebbe per alcuni indispensabile (Nuvolone 322; Cadoppi 203), mentre secondo altri esso si perfezionerebbe anche in difetto della precisazione del termine, come nel caso in cui il curatore (Conti 383; Punzo 293; Sandrelli 145).

Nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte precisato che la differenza tra il reato di peculato (art. 314 c.p.), che è una particolare ipotesi di appropriazione indebita di somme o cose possedute dal pubblico ufficiale (nella specie, il curatore fallimentare), e quello di omessa consegna o deposito di cose del fallimento (art. 230 l.fall.), sta nel fatto che nel secondo caso elemento costitutivo del reato è il ritardo nel versare le somme o altra cosa del fallimento a seguito di ordine del giudice, senza che le somme o le cose siano entrate a far parte del patrimonio del curatore; nel primo caso, invece, le somme o le cose sono entrate a far parte del patrimonio di tale soggetto (v., tra le molte, Cass. pen. V, n. 40673/2006).

È stato ritenuto che integra il reato di cui all'art. 230 l. fall. la condotta del curatore che non ottemperi, nei termini prescritti, all'ordine del giudice delegato di depositare nella cancelleria del tribunale fallimentare il registro previsto dall'art. 38 legge citata ed i libri IVA afferenti la procedura fallimentare (Cass. pen. V, n. 37459/2005).

Bibliografia

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