Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 95 - Applicabilità delle disposizioni penali della legge fallimentare.Applicabilità delle disposizioni penali della legge fallimentare. 1. La dichiarazione dello stato di insolvenza a norma degli articoli 3 e 82 è equiparata alla dichiarazione di fallimento ai fini dell'applicazione delle disposizioni dei capi I, II e IV del titolo VI della legge fallimentare. 2. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 220 della legge fallimentare, l'obbligo previsto dall'articolo 16, secondo comma, numero 3), della medesima legge si intende sostituito dall'obbligo previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera c), del presente decreto. InquadramentoCon la disposizione in esame è stato previsto che la dichiarazione di insolvenza è equiparata alla dichiarazione di fallimento ai fini dell'operatività delle norme penali della legge fallimentare e quindi gli artt. 216 e ss. l.fall.: pertanto, se si tratta di fatti penali commessi anteriormente, la dichiarazione di insolvenza opera quale condizione obiettiva di punibilità, mentre, se i fatti sono stati commessi successivamente, costituisce un presupposto per la loro rilevanza penale (La Monica 2000, 283). La disposizione in commento prevede, poi, al comma 2, che, ai fini dell'applicazione dell'articolo 220 della legge fallimentare, l'obbligo previsto dall'articolo 16, comma 2, numero 3), della medesima legge si intende sostituito dall'obbligo previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera c), del presente decreto. Il sistema della legge c.d. ProdiLa legge c.d. Prodi richiamava per i reati commessi nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi le disposizioni penali dettate per la liquidazione coatta amministrativa. Sulla questione, la Corte Costituzionale aveva ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, d.l. n. 26/1979, convertito nella l. n. 95/1979 e succ. modif. con riferimento all'art. 203, comma 1, seconda parte ed agli artt. da 216 a 219 e da 223 a 225 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 per contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo che tale normativa, estendendo le disposizioni previste per la liquidazione coatta amministrativa e, segnatamente, quelle disciplinanti i delitti di bancarotta, all'amministrazione straordinaria, si porrebbero in contrasto con il principio di uguaglianza tra i cittadini, in quanto entrambe le procedure sono accumulate dalla stessa finalità di attuare la responsabilità patrimoniale delle imprese soggette, mediante la soddisfazione dei creditori, senza che rilevi l'eventuale non estinzione dell'impresa (Corte cost. n. 185/1987). In forza del rinvio della l. n. 95/1979, c.d. Prodi, alla disciplina prevista per la liquidazione coatta amministrativa (artt. 203 e 237 l.fall.), si era ritenuto che le disposizioni penali in materia di bancarotta potessero essere applicate ai soci illimitatamente responsabili, agli amministratori, ai direttori generali, ai liquidatori ed ai componenti degli organi di vigilanza delle imprese soggette all'amministrazione straordinaria (Pizzuti I, 471). Secondo alcuni, tale responsabilità, avendo riguardo alla formulazione degli artt. 203 e 211 l.fall., sarebbe stata configurabile nella sola ipotesi dell'omesso pagamento delle somme richieste dal commissario al socio per estinzione delle passività sociali. Per altri, invece, la disposizione di cui all'art. 203 l. fall., nella formulazione applicabile ratione temporis, avrebbe svolto una funzione analoga a quella dettata dal successivo art. 222 l.fall, estendendo la responsabilità predetta ai fatti commessi dai soci sul proprio patrimonio personale. Sotto tale profilo si era anche ritenuto che la diversa regolamentazione che avrebbe potuto derivare per i soci di società soggetta alla procedura di amministrazione straordinaria rispetto a quella dichiarata fallita avrebbe portato inevitabilmente ad una violazione dell'art. 3 Cost. (cfr. La Monica 593-594). Era dibattuta poi l'applicabilità delle sanzioni penali agli imprenditori individuali. Invero, la legge non richiamava anche tali soggetti, ma nella giurisprudenza di legittimità si era osservato che, poiché la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, introdotta con d.l. n. 26/1979, convertito nella l. n. 95/1979, ha funzione essenzialmente satisfattiva essendo la continuazione dell'impresa solo facoltativa e la stessa procedura, inoltre, è disciplinata dagli artt. 195 e ss. l.fall. e, a tutti gli effetti stabiliti da questa legge, il provvedimento che la dispone è equiparato al decreto che ordina la liquidazione coatta amministrativa, ne deriva che alla procedura di amministrazione straordinaria è applicabile altresì la norma dell'art. 203 l. fall., che dispone l'estensione delle norme penali dettate per il fallimento alle persone preposte alla gestione ed al controllo delle imprese assoggettate a liquidazione coatta amministrativa (Cass. pen. V, 19 novembre 1982, n. 1975, in Giur. comm. 1983, II, 856, con nota di SGUBBI). Tale orientamento era stato tuttavia criticato dalla dottrina dominante la quale aveva sottolineato che le norme incriminatrici non possono essere estese a casi non espressamente contemplati dalla legge (v., tra gli altri, Bonsignori 159; Sgubbi 856 ss.; Trocchio II, 1 70). La disciplina dettata dal decreto in esameCon la disposizione in esame è stato previsto che la dichiarazione di insolvenza è equiparata alla dichiarazione di fallimento ai fini dell'operatività delle norme penali della legge fallimentare e quindi gli artt. 216 e ss. l.fall. Pertanto, se si tratta di fatti penali commessi anteriormente, la dichiarazione di insolvenza opera quale condizione obiettiva di punibilità, mentre, se i fatti sono stati commessi successivamente, costituisce un presupposto per la loro rilevanza penale (La Monica 2000, 283). Con la norma in commento sono venuti meno i pregressi dubbi, espressi specialmente dalla dottrina, in ordine alla punibilità dell'imprenditore individuale e dell'institore che abbiano commesso i reati di cui agli artt. 216, 217 e 227 l. fall. (Grilli 313). Peraltro, l'art. 2 del decreto in esame prevede che possono essere ammesse all'amministrazione straordinaria anche le imprese individuali. La responsabilità penale può essere, quindi, affermata sia in ordine ai fatti commessi sul patrimonio sociale, sia su quello personale, limitatamente ai casi di assoggettamento a procedura delle società di persone. Nella giurisprudenza di legittimità è stato peraltro chiarito che, in tema di bancarotta, il fatto che l'art. 95 d.lg. n. 270/1999, recante «nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza», preveda espressamente l'equiparazione della dichiarazione di insolvenza a quella di fallimento e la conseguente applicazione delle disposizioni penali di cui al titolo VI, capi I, II e IV R.d. n. 267/1942, non comporta l'inapplicabilità di tali disposizioni relativamente ai fatti commessi da amministratori di grandi imprese in crisi sotto la vigenza dell'abrogata l. n. 95/1979, in cui non esisteva analoga previsione, atteso che con il citato art. 95 d.lg. n. 270/1999 il legislatore non ha inteso innovare rispetto alla situazione precedente ma ha voluto soltanto, mediante l'introduzione di una norma sostanzialmente interpretativa, porre fine a taluni contrasti interpretativi manifestatisi nella dottrina e nella giurisprudenza di merito, ribadendo l'orientamento già espresso dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui, pur in assenza di espresso richiamo, le norme penali in materia fallimentare erano applicabili anche con riguardo all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese (Cass. pen. V, n. 27513/2004). Inosservanza dell'obbligo previsto dall'art. 9, comma 1, lett. c)La disposizione in commento prevede, poi, al comma 2, che, ai fini dell'applicazione dell'articolo 220 della legge fallimentare, l'obbligo previsto dall'articolo 16, comma 2, numero 3), della medesima legge si intende sostituito dall'obbligo previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera c), del presente decreto. L'art. 220 l. fall. (v., infra, Comm.) riguarda l'ipotesi nella quale il fallito, al di fuori dei casi di cui all'art. 216 l. fall., denunci creditori inesistenti od ometta di dichiarare l'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario oppure non osservi gli obblighi previsti dall'art. 16, n. 3, l. fall. (deposito del bilancio e delle scritture contabili) e dall'art. 49 l. fall. Con la disposizione in esame, il legislatore si è, innanzitutto, preoccupato di coordinare la sanzione dettata dall'art. 220 l. fall., in relazione alla fattispecie fallimentare del deposito dei bilanci e delle scritture contabili ai sensi dell'art. 16, n. 3, l. fall., con quella prevista dalla normativa sull'amministrazione straordinaria in merito al deposito di tale documentazione a seguito della dichiarazione dello stato d'insolvenza, sancita dall'art. 8, primo comma, lettera c). Invero, quest'ultima previsione normativa stabilisce che la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza contiene l'ordine all'imprenditore di depositare entro due giorni in cancelleria le scritture contabili e i bilanci, se non vi si è provveduto a norma dell'art. 5, secondo comma. Il termine iniziale dal quale decorrono i due giorni è quello della comunicazione della sentenza. In difetto di comunicazione dell'estratto si ritiene che valga come equipollente la pubblicazione, salvo che il fallito dimostri di non averne avuto conoscenza (Antolisei 186). Il reato di omissione o di esecuzione tardiva del deposito del bilancio e delle scritture contabili è un reato omissivo proprio a carattere permanente, la cui consumazione si protrae fino al tardivo adempimento dell'obbligo di legge (Cass. pen. V, n. 9395/1998). Il reato si consuma con la mancata ottemperanza all'ordine del tribunale di depositare i bilanci e le scritture contabili entro il termine di due giorni decorrente dalla comunicazione della sentenza dichiarativa dell'insolvenza. Secondo la giurisprudenza di legittimità, pertanto, risulta essenziale l'accertamento dell'avvenuta rituale comunicazione, senza che si possa far luogo ad equipollenti (Cass. pen. V, 30 n. 40816/2015). È stato escluso che per la configurabilità del reato sia necessaria una espressa richiesta ovvero un invito al deposito da parte degli organi della procedura concorsuale (Cass. pen. V, n. 42618/2004). La S.C. ha chiarito che l'inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, ex artt. 16, n. 3, 220 l.fall., deve ritenersi assorbita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, commessa mediante sottrazione del compendio contabile, posto che, a fronte dell'omogeneità della struttura e dell'interesse sotteso ad entrambe le figure di reato, la seconda è più specifica, in ragione dell'elemento soggettivo (Cass. pen. V, n. 2809/2014). Diversamente, Il reato di inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, previsto dagli articoli 220 e 16 n. 3, l.fall., concorre con quelli di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all'art. 216, comma primo, n. 2), l.fall. e di bancarotta semplice documentale, di cui all'art. 217, comma secondo, l.fall., tutte le volte in cui la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione ovvero nella mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta irregolare o incompleta delle stesse ovvero in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Cass. pen. V, n. 49789/2013). La denuncia di crediti inesistenti è la prima delle ipotesi delittuose previste dall'art. 220 l.fall. Essa, nell'ambito della procedura dell'amministrazione straordinaria, si realizza quando dall'elenco nominativo dei creditori — redatto dal debitore ai sensi dell'art. 5, d.lgs. 270/1999, nel caso in cui la dichiarazione di insolvenza sia stata richiesta da quest'ultimo, o ai sensi dell'art. 28, d.lgs. 270/1999, dal commissario con l'aiuto del debitore — risulti indicato un creditore inesistente o ugualmente un nominativo inesistente (Nuvolone 55, 285; Conti 382). Ai fini della configurabilità del reato occorre che il creditore sia inesistente; il reato dunque non sussisterebbe nell'ipotesi in cui il creditore esista, ma vanti credito inferiore a quello denunciato. È stato ritenuto non configurabile il reato nell'ipotesi di indicazione di nominativo errato o di prestanome quando sia evidente la riferibilità ad un creditore reale, e neppure se si tratti di portatore di un credito fondato su atto revocabile o annullabile (Conti 364). Ai fini della configurabilità del reato è sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà di denunciare creditori nella piena consapevolezza che non esistono in quanto tali o la colpa che ricorre in ipotesi di negligente tenuta della contabilità (Antolisei 184). L'errore sull'esistenza del creditore esclude il dolo ed esclude la colpa se inescusabile ai sensi dell'art. 47 c.p. (Conti 360). Il reato si consuma con la presentazione in cancelleria dell'elenco o con la denuncia dei creditori inesistenti. Agli effetti dell'integrazione della fattispecie delittuosa in esame, il reato non si realizza ove venga indicata, in capo ad un creditore effettivo, una somma di maggior importo rispetto al credito realmente esistente (Antolisei 186-187). Soggetto attivo del reato è la persona fisica o l'amministratore di impresa ammessa all'amministrazione straordinaria e, per effetto dell'estensione operata dagli artt. artt. 226, 227, 237 l.fall., richiamati dall'art. 95, anche gli amministratori, i liquidatori, i direttori generali e gli institori qualora interpellati dal commissario e nei limiti della gestione. Va tuttavia precisato che, in analogia a quanto affermato in materia fallimentare, i direttori generali non amministratori o gli institori saranno responsabili solo limitatamente alle scritture in loro possesso o relative alla gestione loro affidata e non potranno essere chiamati a rispondere dell'omesso deposito del bilancio non essendo tale atto di loro competenza (Antolisei 184). La previsione incriminatrice di cui all'art. 220 l.fall. non si applica all'imprenditore soggetto a liquidazione coatta amministrativa, sia che si abbia riguardo alla disciplina previgente alla novella introdotta con d.lgs. 270/1999, sia che si abbia riguardo alla nuova regolamentazione della materia introdotta con il nuovo testo dell'art. 237 l.fall. (Cass. pen. V, n. 9724/2004). Ai fini della configurabilità del reato occorre il dolo generico consistente nella volontà di non ottemperare all'ordine del tribunale pur nella consapevolezza dell'intervenuta dichiarazione di fallimento o la colpa che si verifica quando al soggetto va mosso un rimprovero di leggerezza, secondo le regole generali. Le ipotesi delittuose di cui all'art. 220 l.fall. sono autonome e concettualmente compatibili poiché presentano diversa natura e diverso oggetto è dunque ipotizzabile il concorso. È ammesso il concorso con la bancarotta semplice (Conti 322). Il dato testuale secondo cui le disposizioni di cui all'art. 220 l.fall. si applicano al di fuori dei casi preveduti dall'art. 216 l.fall. ha indotto invece alcuni autori ad escludere il concorso con la bancarotta fraudolenta (Pagliaro 17). L'ulteriore ipotesi di reato contenuta nella disposizione di cui all'art. 220 l.fall. riguarda l'omessa dichiarazione dell'esistenza di beni da comprendere nell'inventario. Trattasi di ipotesi delittuosa che non sembra estensibile all'amministrazione straordinaria non essendo previsto che venga redatto un inventario dei beni dal debitore. Allo stesso modo, non è configurabile a carico degli amministratori di società in amministrazione straordinaria l'ultima ipotesi contemplata dall'art. 220 l.fall. concernente la violazione dell'art. 49 l.fall. BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale. 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Jorio-Fabiani (a cura di), Bologna, 2007, II; Conti, I reati fallimentari, Torino, 1991; Del Vecchio, La liquidazione coatta amministrativa, Milano, 1998; Filippi, commento sub artt. 216 e ss., Commentario alla legge fallimentare Ferro (a cura di), Padova, 2010; Formaggia Terni de' Gregorj, I reati fallimentari, Milano, 1994; Grilli, Disposizioni penali in materia di amministrazione straordinaria, La riforma dell'amministrazione straordinaria Bonfatti-Falcone (a cura di), Roma, 2000; La Monica, Aspetti penali della nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria, Il fallimento 2000; La Monica, I reati fallimentari, con aggiornamento di Maccari, Milano, 1999; Lanzi, Riflessi penali delle procedure concorsuali vecchie e nuove, Indice penale 1982; Nuvolone, Il diritto penale fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1955; Pagliaro, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957; Pajardi, Commentario fallimentare, Milano, 2013; Sandrelli, Le disposizioni penali e l'art. 99 del d.lgs. 8-7-1999 n. 270, in AA.VV. Il Fallimento e le altre procedure concorsuali Panzani (a cura di), Torino, 2002; Sgubbi, I reati fallimentari e la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, nota a Cass. pen. 19 novembre 1982, in Giur. comm. 1983, II; Trocchio, Sulla configurabilità dei reati di bancarotta in rapporto alla procedura di amministrazione straordinaria, in Giur. it. 1983, II, 1, 70. |