Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 63 - Vendita di aziende in esercizio.

Lunella Caradonna
Ivana Vassallo

Vendita di aziende in esercizio.

1. Per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione effettuata a norma dell'articolo 62, comma 3, tiene conto della redditività, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo.

2. Ai fini della vendita di aziende o di rami di azienda in esercizio, l'acquirente deve obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita.

3. La scelta dell'acquirente è effettuata tenendo conto, oltre che dell'ammontare del prezzo offerto, dell'affidabilità dell'offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali.

4. Nell'ambito delle consultazioni relative al trasferimento d'azienda previste dall'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, il commissario straordinario, l'acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell'acquirente e ulteriori modifiche delle condizioni di lavoro consentite dalle norme vigenti in materia (1) (2).

5. Salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell'acquirente per i debiti relativi all'esercizio delle aziende cedute, anteriori al trasferimento (3).

(1) Vedi, anche, l'articolo 1 del D.L. 14 febbraio 2003, n. 23.

(2) A norma dell'articolo 1, comma 1157, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 è concessa, in via sperimentale per l’anno 2007, ai datori di lavoro cessionari che si trovino nelle condizioni di esercizio delle facolta` di cui al presente comma, l’applicazione degli sgravi contributivi previsti dall’articolo 8, commi 4 e 4- bis, e dall’articolo 25, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, secondo le procedure ivi previste come integrate dalle previsioni di cui al comma 1158 del medesimo articolo 1 della legge 296/2006.

(3) Per l'interpretazione autentica del presente articolo vedi l'articolo 9, comma 2-bis, del D.L. 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 febbraio 2014, n. 6 , come modificato dall' articolo 11, comma 3-quinquies, del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2014, n. 9 .

Inquadramento

La norma in esame detta la disciplina delle vendite maggiormente problematiche, quella delle aziende in esercizio.

La precedente normativa poneva dei rilievi sull'assenza di specifiche indicazioni sull'autorità preposta alla sorveglianza degli adempimenti, poiché la mancanza di un controllo giurisdizionale sulla congruità del valore aziendale poneva dubbi di legittimità costituzionale.

Con riferimento alla nuova normativa, si è posta la questione se il commissario straordinario debba attenersi al criterio di stima dell'azienda e se possa procedere alla vendita dell'intero complesso o dei singoli beni (De Luca, 288).

È prevista una interlocuzione con le organizzazioni sindacali al fine di salvaguardare le esigenze occupazionali.

Emerge l'aspetto di politica industriale della disciplina in un conflitto che può sorgere nel decidere se far prevalere le esigenze occupazionali o il migliore realizzo economico.

Sono stati sollevati dubbi in ordine alla costituzionalità della normativa, sotto il profilo della compatibilità con l'art. 42 Cost., laddove prende come parametro di riferimento anche il criterio della redditività negativa per l'esproprio delle ragioni creditorie senza alcun indennizzo (Panzani, 1084 e 1085).

Ancora, il criterio della redditività negativa pone un problema di compatibilità della norma con le disposizioni CE sulla concorrenza in quanto favorirebbe le imprese che rilevano le aziende delle imprese in amministrazione straordinaria.

Altro potenziale aiuto di stato potrebbe configurarsi sulla base di quanto previsto dal d.l. 14 febbraio 2003, n. 23, che, in relazione alle agevolazioni per i lavoratori in mobilità, regola la concessione di contributi in favore di aziende con più di mille dipendenti per gli acquirenti in ragione dei dipendenti iscritti nelle liste di mobilità assunti.

La nuova normativa non si occupa del trattamento della CIG, così rispettando il dettato della legge delega che non lo prevedeva.

La materia è stata poi disciplinata da una legge speciale dettata in tema di ordinamento previdenziale ed assistenziale.

È stato affermato che il trattamento della CIG, durante la nuova procedura di amministrazione straordinaria, dovrebbe cessare all'atto dell'emanazione del provvedimento che dispone il ritorno in bonis dell'imprenditore oppure la conversione della procedura in fallimento o quando il tribunale dichiara la cessione dell'esercizio dell'impresa.

La vendita di aziende in esercizio

L'art. 63 d.lgs. n. 270/1999 disciplina specificamente la vendita dell'azienda in esercizio.

Il secondo comma prevede che, ai fini della vendita di aziende o di rami di aziende in esercizio, l'acquirente dovrà obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali ed a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita.

Non si tratta di una disposizione del tutto innovativa rispetto a quanto previsto dalla disciplina previgente contenuta nella legge Prodi.

Tuttavia, vi è una importante distinzione.

Nell'art. 2 del d.l. 9 aprile 1984, n. 62 il duplice obbligo del cessionario (di proseguire le attività imprenditoriali per almeno due anni e di mantenere i livelli di occupazione) sussisteva soltanto laddove il prezzo di vendita fosse stato determinato prendendo i considerazione la redditività negativa dell'azienda in esercizio.

Per contro, nella nuova disciplina il suddetto obbligo deve essere sempre rispettato.

La ratio è evidente, costituendo la continuità produttiva un obiettivo essenziale della procedura.

Se il programma prevede la cessione dei complessi aziendali la prosecuzione dell'impresa è possibile attraverso il trasferimento della titolarità dei suddetti complessi ai terzi acquirenti: non può concepirsi un acquisto del complesso aziendale seguito da una successiva dismissione.

Se il programma prevede la ristrutturazione, la cessione di aziende o rami d'azienda può essere effettuata con riguardo a «beni non funzionali all'esercizio dell'impresa» (art. 56 lett. b) e, anche in questo caso, l'art. 63, secondo comma, fa obbligo di vendere a chi sia in grado di proseguire l'attività di impresa e di mantenere i livelli occupazionali.

Se non è possibile trovare un acquirente disposto a proseguire l'attività, l'azienda potrà essere venduta alla stessa stregua di un'azienda non in esercizio.

Sotto la vigenza della legge Prodi, se il complesso aziendale veniva venduto dopo l'intervento di risanamento del commissario straordinario, il prezzo della vendita era pari al valore di mercato del complesso risanato; se, invece, il complesso aziendale veniva venduto prima dell'intervento di risanamento del commissario straordinario, incombendo l'onere di risanamento sull'acquirente, quest'ultimo avrebbe potuto beneficiare di un prezzo «scontato».

Con la nuova disciplina anche se il risanamento dell'impresa avviene tramite l'intervento del commissario straordinario, l'acquirente del complesso aziendale può usufruire di un prezzo di vendita che tenga conto (per espressa previsione dell'art. 63 comma primo) pure della redditività negativa.

Ciò in quanto il vincolo a proseguire l'attività per almeno un biennio e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazioni stabiliti all'atto della vendita è previsto in ogni caso, costituendo la prosecuzione dell'attività ed il mantenimento dei posti di lavoro un obiettivo primario della disciplina.

Il valore delle aziende e dei rami di azienda in esercizio, sulla base del combinato disposto dagli artt. 62 e 63 del d.lgs. n. 270/1999, deve tenere conto della redditività, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo.

Da ciò consegue che il prezzo di vendita non può tenere conto soltanto del valore di mercato dell'azienda, ma deve prendere in considerazione anche la redditività della stessa (all'epoca della vendita e per i due anni successivi).

La redditività è negativa nell'ipotesi in cui devono calcolarsi anche i costi di risanamento del complesso aziendale.

Anche quando la redditività non risulti negativa, può accadere che il valore del complesso aziendale sia inferiore rispetto al valore di mercato, ad esempio quando si reputa maggiormente conveniente conferire all'attività di impresa una direzione diversa.

In tal caso non può parlarsi di risanamento nel senso sopra precisato, ma sussistono i presupposti per non addossare all'acquirente i costi della ristrutturazione economica.

Questa scelta ha ricevuto molte critiche in dottrina (cfr. Balestri, 309).

Come sopra evidenziato, sono stati sollevati dei dubbi di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 42 Cost., che prevede l'esproprio della proprietà privata salvo indennizzo, mentre il disagio che subiscono i creditori, pur trovando giustificazione nell'interesse pubblico di garantire i livelli occupazionali, non trova ristoro in alcun indennizzo (cfr. Panzani, 1078).

Altri dubbi di compatibilità costituzionale, in relazione all'art. 3 Cost., sono stati evidenziati con riguardo alla disparità di trattamento tra i creditori di un'impresa in amministrazione straordinaria e i creditori di un'impresa in liquidazione (cfr. Rescigno, 567).

In realtà, la diversità di trattamento trova giustificazione nell'esigenza di bilanciare i diversi interessi coinvolti nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi e nelle procedure concorsuali minori.

La disciplina appena descritta è stata oggetto di censure anche sotto l'ulteriore profilo della mancanza di forme di controllo sia amministrativo, che giurisdizionale in caso di inadempimento degli obblighi assunti dall'acquirente (cfr. Cavalaglio, 713).

Una soluzione potrebbe essere costituita dall'introduzione, nel contratto di vendita, di una clausola risolutiva espressa.

La suddetta clausola, infatti, avrebbe il vantaggio di evitare un accertamento giurisdizionale sulla gravità dell'inadempimento; tuttavia, il commissario straordinario sarebbe onerato di continuare la gestione dell'azienda dopo che quest'ultima sia stata modificata.

Altra soluzione potrebbe essere costituita dall'esecuzione coattiva dell'obbligo di continuare l'esercizio dell'attività di impresa.

Ma si porrebbe il dubbio della legittimazione processuale nell'ipotesi in cui l'imprenditore abbia superato lo stato di insolvenza oppure, in caso di cessione dei complessi aziendali, sia stata effettuata la ripartizione dell'attivo.

La dottrina ha evidenziato che in realtà gli strumenti di tutela più efficaci possono essere azionati da altri soggetti.

In particolare, l'art. 63, quarto comma, d.lgs. n. 270/1999 richiama le procedure di cui all'art. 47 l. n. 428/1990.

L'obbligo di comunicare preventivamente il trasferimento dell'azienda alle organizzazioni sindacali e l'esame congiunto hanno come obiettivo il raggiungimento di un accordo per individuare i lavoratori in esubero ed i lavoratori per i quali il rapporto di lavoro continuerà con l'acquirente (nei confronti dei quali non troverà applicazione l'art. 2112 c.c.). La norma da ultimo citata prevede che il mancato rispetto dell'obbligo di esame congiunto costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori (l. 20 maggio 1970 n. 300).

Attese le identità di rationes sottese alle due ipotesi, deve considerarsi plausibile considerare come condotta antisindacale anche l'inadempimento dell'obbligo di mantenere i livelli occupazionali, in presenza degli altri presupposti previsti dalla normativa giuslavoristica.

Per quanto riguarda i criteri di scelta dell'acquirente nell'ipotesi di azienda in esercizio, sulla base di quanto previsto dall'art. 63, comma 3, d.lgs. n. 270/99, oltre che dell'ammontare del prezzo offerto anche dell'affidabilità dell'offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali.

Non essendo previsti dalla legge requisiti di onorabilità e professionalità, le uniche limitazioni sotto il profilo delle condizioni soggettive attengono alle condanne a pene accessorie, come ad esempio l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

Potranno essere richieste delle garanzie (reali o personali).

Saranno utilmente prese in considerazione, oltre che la stabilità delle condizioni patrimoniali e finanziarie dell'offerente, anche la serietà del piano di prosecuzione dell'attività e la compatibilità dello stesso con l'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali.

In ogni caso, la scelta di un offerente piuttosto che di un altro, pur espressione della discrezionalità amministrativa, dovrà trovare giustificazione nel rispetto della imparzialità e della trasparenza.

L' art. 63 d.lgs. 270/1999 disciplina, al comma 4, il trasferimento dei lavoratori dipendenti all'acquirente dell'azienda.

La norma riproduce essenzialmente la disciplina contenuta nell'art. 3 della l. 6 febbraio 1987, n. 19, a norma del quale, in caso di cessioni di aziende o di rami di aziende effettuate in attuazione di programmi di imprese in amministrazione straordinaria non si applicano le disposizioni dell'articolo 2560, secondo comma, c.c. (secondo cui nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori) e dell'articolo 2112, primo comma, del codice civile (secondo cui in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano) limitatamente al personale non contestualmente trasferito, con l'obbligo per il cessionario alla continuazione dell'esercizio dell'attività produttiva per almeno due anni dalla cessione e al mantenimento dei livelli occupazionali entro il limite stabilito nell'autorizzazione dell'autorità vigilante; inoltre, le procedure di amministrazione straordinaria sono esonerate dal pagamento delle penali e sanzioni amministrative per i contributi previdenziali obbligatori non versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto; i pagamenti effettuati sono irripetibili.

Secondo la vecchia disciplina, quindi per i lavoratori non trasferiti il rapporto di lavoro non proseguiva con il cessionario e quest'ultimo non rispondeva delle obbligazioni preesistenti.

La nuova disciplina rinvia all'art. 47 della l. n. 428/1990 e dunque alla consultazione delle organizzazioni sindacali ed all'esame congiunto che ha come obiettivo il raggiungimento di un accordo per l'individuazione dei lavoratori da trasferire e dei lavoratori in esubero; inoltre, il commissario straordinario, l'acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell'acquirente e ulteriori modifiche delle condizioni di lavoro consentite dalle norme vigenti in materia.

Pertanto non possono costituire oggetto di trattative i diritti indisponibili dei lavoratori, con particolare riguardo alle mansioni espletate, a meno che non si tratti di modifiche in peius delle mansioni in alternativa al licenziamento (cfr. Cass. n.19686/2005).

Non è più possibile derogare tout court al principio della prosecuzione del rapporto di lavoro con l'acquirente ed alla conservazione dei diritti che ne derivano, stante il mancato richiamo alla non applicazione delle disposizioni di cui all'art. 2112 c.c.

Pur non essendo previsto il richiamo alla non applicazione dell'art. 2560 comma 2, c.c., l'art. 63, comma 5, d.lgs. n. 270/1999 espressamente prevede che, salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell'acquirente per i debiti relativi all'esercizio delle aziende cedute, anteriori al trasferimento.

La ratio della norma è chiara: la responsabilità dell'acquirente per i debiti anteriori al trasferimento si porrebbe in contrasto con la par condicio in quanto i creditori coinvolti nella cessione d'azienda avrebbero un trattamento preferenziale rispetto agli altri creditori poiché potrebbero trovare integrale soddisfacimento delle proprie ragioni di credito presso il cessionario.

È comunque fatta salva la possibilità, per le parti, di stipulare un patto con il quale il cessionario si impegna a pagare i debiti anteriori al trasferimento d'azienda.

L'art. 63, quinto comma, del d.lgs. n. 270/1999 esclude la responsabilità del cessionario non soltanto in caso di debiti relativi ai lavoratori in esubero ma anche nell'ipotesi di debiti riguardanti i lavoratori ceduti.

Concludendo, la vendita di un'azienda in esercizio deve essere effettuata tenendo conto non solo della valutazione patrimoniale ma anche delle capacità reddituali, quindi si deve tener presente non solo il valore attuale, ma anche quello prospettico del futuro.

Il prezzo di cessione è determinato sulla base di una perizia che può considerare, ove sussista, anche la redditività negativa dell'azienda al momento della cessione e nei due anni successivi, abbassando quindi il valore assoluto dell'azienda.

Questo al fine di calcolare il valore effettivo dell'azienda e di porre sul mercato l'azienda ad un prezzo valido e concorrenziale.

L'acquirente deve obbligarsi a proseguire per almeno un anno le attività imprenditoriali e a mantenere nello stesso periodo i medesimi livelli occupazionali.

È un vero e proprio obbligo che sussiste a prescindere dai valori dell'azienda e dalla determinazione del prezzo che viene effettuata anche in base alla redditività negativa.

Una parte della dottrina, invece, afferma la non coercibilità del risanamento ad opera del terzo e suggerisce di sottoporre alla condizione della prosecuzione biennale la definitività del prezzo di acquisto, prevedendone il lievitare al prezzo effettivo, in caso di cessazione anticipata o mancato mantenimento dei livelli occupazionali (Alesi, 139).

I giudici di legittimità hanno affermato che in caso di trasferimento di aziende in stato di insolvenza non si applica ai dirigenti l'art. 47, comma 5, della l. 29 dicembre 1990, n. 428, il quale deroga all'art. 2112, comma 1, secondo cui il rapporto di lavoro continua con l'acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano (Cass. n. 1097/2007).

È importante perciò, nello scegliere gli acquirenti, il loro grado di affidabilità.

E difatti il commissario e le autorità amministrative oltre a tenere in considerazione il piano di prosecuzione dell'attività, devono tenere conto dell'affidabilità dell'offerente in ragione della garanzia offerta per il mantenimento dei livelli occupazionali e questo non significa svuotare di contenuto gli interessi dei creditori i quali possono comunque tutelare le proprie ragioni creditori dinanzi al giudice (Patti, 263).

È necessario dare avviso alle organizzazioni sindacali almeno 25 giorni prima del trasferimento anche al fine di valutare il trasferimento di tutti o di una sola parte di lavoratori.

L'art. 63, comma 2, vuole evitare che il cessionario, dopo l'acquisto, distrugga il bene azienda essendo interessato a realizzare soltanto una speculazione immobiliare.

La tutela dei livelli occupazionali, realizzata mantenendo l'unità produttiva, viene conseguita con il considerare migliore l'offerta di chi intende proseguire l'attività.

In assenza di questo tipo di offerta, l'azienda potrà essere venduta ai sensi dell'art. 62.

L'acquirente non è responsabile dei debiti relativi all'esercizio delle aziende cedute, anteriori al trasferimento, salvo patto contrario in caso di contratti pendenti o di accordi sindacali.

Non si verifica alcuna violazione della direttiva CE 1997/50 perché il fondo copre il rischio di insoddisfazione dei lavoratori Didone, 246).

Si discute se a seguito delle modifiche apportate con la l. 28 gennaio 2009 di conversione del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, all'art. 56 d.lgs. n. 270/1999, l'art. 63, comma 4, debba intendersi abrogato implicitamente.

Una parte della dottrina ha osservato che il nuovo art. 56, comma 3-bis) sembra rendere del tutto inapplicabile il disposto di cui all'art. 47, legge n. 428 del 1990, che prevede l'obbligo di informazione sindacale limitatamente all'ipotesi di trasferimento d'azienda o di un ramo della stessa, venendo a mancare lo stesso presupposto oggettivo per la sua applicazione.

E ciò precisando che, agli effetti dell'art. 2112 c.c., non costituiscono trasferimento d'azienda, di rami o parti della stessa, le alienazioni effettuate in esecuzione del programma di cessione di complessi aziendali ovvero di complessi di beni e contratti.

La conclusione è nel senso che va esclusa l'applicabilità dell'art. 63, comma 4, con riguardo ai programma di cui al n. 1) e lett. a-bis) dell'art. 27, d.lgs. n. 270/1999 e va limitata la sua operatività alle sole ipotesi di dismissione di «rami secchi» che vengano effettuate nell'ambito di esecuzione di un programma di ristrutturazione Marraffa, 108).

Casistica

In tema di liquidazione dei complessi produttivi nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza, qualora il Ministero dello Sviluppo Economico abbia autorizzato la cessione di un complesso con le modalità di cui all'art. 63 del d.lgs. n. 270/1999, dettate per le aziende in esercizio, ed esso risulti invece non più in funzione, restano travalicati i limiti del potere discrezionale spettante alla P.A., con la conseguenza che l'atto posto in essere è viziato per violazione di legge, e le relative autorizzazioni vanno disapplicate ex art. 5 della l. n. 2248/1865, All. E, restando escluso che i diritti soggettivi lesi dall'atto di liquidazione (nella specie, il diritto del creditore avente ipoteca sul bene immobile facente parte del complesso liquidato) possano ritenersi degradati ad interessi legittimi. (In applicazione del superiore principio la S.C. ha dichiarato nulla la vendita del complesso aziendale, ordinando al competente conservatore dei registri immobiliari di procedere alle conseguenti rettifiche ed integrazioni). (Cass. S.U., n. 12247/2009).

L'art. 63, primo comma, d.lgs. n. 270/1999, il quale prevede che per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione da parte dell'esperto nominato dal commissario straordinario, a norma dell'art. 62, comma 3, debba tenere conto della redditività, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo, fissa un limite temporale massimo di due anni di esercizio sulla cui base calcolare il badwill da portare a deconto del prezzo di cessione determinato sul valore di stima; trattandosi di norma imperativa, la vendita effettuata ad un prezzo ridotto in virtù di un badwill calcolato per un periodo superiore al massimo consentito (nella specie, per un periodo di quattro anni di esercizio), è nulla ai sensi dell'art. 1418 c.c.(cfr. Trib. di Ancona 20 settembre 2013).

Bibliografia

v. sub art. 54.

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