Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 27 - Condizioni per l'ammissione alla procedura.Condizioni per l'ammissione alla procedura. 1. Le imprese dichiarate insolventi a norma dell'articolo 3 sono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria qualora presentino concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali. 2. Tale risultato deve potersi realizzare, in via alternativa: a) tramite la cessione dei complessi aziendali o dei contratti o dei diritti, anche di natura obbligatoria, aventi a oggetto, in tutto o in parte, gli stessi complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno ("programma di cessione dei complessi aziendali")12; b) tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni ("programma di ristrutturazione")3. b-bis) per le societa' operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali anche tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno ("programma di cessione dei complessi di beni e contratti")4. 2-bis. Per le imprese di cui all' articolo 2, comma 2, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 , convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 , la durata dei programmi di cui al comma 2 del presente articolo puo' essere autorizzata dal Ministro dello sviluppo economico fino ad un massimo di quattro anni5. [1] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1-bis, del D.L. 18 gennaio 2024, n. 4, convertito con modificazioni dalla Legge 15 marzo 2024, n. 28. [2] In deroga alla presente lettera vedi gli articoli 4 e 4-bis del D.L. 23 dicembre 2003, n. 347. [3] Vedi , anche, il D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito in legge 18 febbraio 2004, n. 39 e l'articolo 51, comma 1, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77. [4] Lettera inserita dall'articolo 1, comma 1-bis), del D.L. 28 agosto 2008, n. 134, come modificato dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, in sede di conversione. [5] Comma aggiunto dall'articolo 1, comma 841, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208. InquadramentoL'articolo in commento individua le due direttrici da seguire per conseguire il riequilibrio economico delle attività: la cessione e la prosecuzione finalizzata alla ristrutturazione. Rispetto alla passata procedura, che si caratterizzava per una continuazione dell'esercizio d'impresa e l'attuazione di un piano di risanamento aziendale oppure un'attività liquidatoria per soddisfare i creditori, la nuova normativa non si pone come una diversa procedura concorsuale rispetto al fallimento, ma ne costituisce un'alternativa nell'eventualità che possa essere perseguita la finalità conservativa dell'impresa. Si è, inoltre, previsto che il fallimento deve essere dichiarato anche nel corso della procedura recuperatoria laddove le prospettive di recupero dell'equilibrio economico non possano essere realizzate. Ne discende che l'amministrazione straordinaria non elimina affatto le procedure minori e non preclude, quindi, né il concordato preventivo, né l'amministrazione controllata. La prima soluzione comporta che l'impresa non viene più esercitata dall'imprenditore, ma viene ceduta ad un terzo; la seconda invece prevede un percorso di ristrutturazione che viene lasciato all'imprenditore. Un ruolo preminente in questa fase è rivestito dal Commissario giudiziale. Egli, infatti, deve essere in grado di valutare se le possibilità di risanamento siano concrete, il tutto prendendo in considerazione da una parte le direttive del Ministero e, dall'altra, le esigenze del mercato. Diversamente accade per le imprese che operano nel settore dei servizi pubblici essenziali, in relazione alle quali si prevede la cessione dell'impresa previa esecuzione del programma della durata non superiore a un anno, che ha come fine l'alienazione dell'impresa o di rami di essa o l'alienazione di complessi di beni o di contratti. La valutazione relativa all'ammissione o meno di una società alla procedura di amministrazione straordinaria non è ispirata al principio dispositivo di parte, bensì ad interessi di ordine generale e di rilevanza pubblicistica, i quali consentono di travalicare lo specifico interesse della società debitrice e dei suoi creditori (Corte Appello Torino, 20 gennaio 2012). Il presupposto indefettibile affinché possa essere presa la decisione di perseguire l'obiettivo di conservazione dell'impresa è la sussistenza di concrete prospettive di risanamento economico dell'impresa. La decisione se aprire o meno l'amministrazione straordinaria spetta al Tribunale, dopo l'acquisizione di tutti gli elementi necessari per valutare se l'impiego delle risorse necessarie per la continuazione dell'impresa sia in grado di assicurare il recupero dell'equilibrio economico, oppure se ciò abbia risvolti negativi soprattutto per i soggetti che sono coinvolti nella crisi dell'impresa. La strada della cessione o della ristrutturazione ha subito continue modifiche, soprattutto per le vicende Parmalat e Alitalia. Sono state introdotte delle deroghe dagli art. 4 e 4-bis del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con modificazione dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 (cosiddetta «legge Marzano») e ancora dal d.l.. 28 agosto 2008, n. 134, che ha dettato disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione delle grandi imprese in crisi, convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166. Si tratta di interventi normativi dettati dalle esigenze delle singole imprese che hanno creato accanto ad una amministrazione straordinaria comune, delle amministrazioni straordinarie speciali. In dottrina si è a lungo discusso sul significato da attribuire alla locuzione «riequilibrio economico», avendo alcuni autori osservato che trattasi di una espressione non molto tecnica e, in ogni caso, rappresentativa di un fine che è possibile conseguire solo con la ristrutturazione dell'impresa e non anche con la cessione (Lo Cascio, 162 e ss.). È indubbio, invero, che la locuzione mette l'accento sul lato specificamente finanziario del recupero dell'equilibrio economico. La relazione ministeriale al d.lgs. n. 270 del 1999 precisa, al riguardo, che il recupero dell'equilibrio economico si riferisce alle potenzialità del ripristino di un «rapporto non deficitario tra costi e benefici» e non postula il recupero della capacità di produrre utili. Deve affermarsi, quindi, che la finalità della procedura sia quella di superamento dello stato di insolvenza e di conservazione dell'impresa. La cessione del complesso aziendaleLa cessione dei complessi aziendali si ritiene l'ipotesi più semplice da perseguire, non fosse altro perché l'imprenditore in crisi avrà già valutato l'esistenza o meno di soggetti interessati alla cessione o avrà concluso addirittura degli accordi in tal senso. L'interlocuzione con il commissario giudiziale servirà poi a vagliare attentamente la finalità conservativa dell'impresa e la salvaguardia dell'unità economica dell'impresa (La Malfa, 110). Il programma di cessione deve essere realizzato attraverso la prosecuzione dell'impresa che non potrà protrarsi per un periodo di tempo superiore a un anno, fatta salva la possibilità di proroga se la conclusione della cessione è imminente. Durante l'esecuzione del programma, al fine di potere provvedere al fabbisogno finanziario, si può ipotizzare il ricorso all'affitto di azienda o di rami d'azienda. Dal tenore letterale dell'art. 73, secondo cui dopo la cessione si può provvedere alla dismissione dei cespiti residui, discende il corollario che la cessione non deve riguardare necessariamente la totalità degli impianti e dei beni, con la precisazione che deve in ogni caso avere ad oggetto la parte principale dell'attività di impresa (La Malfa, 110; Lo Cascio, 164). I fautori dell'indirizzo sopra richiamato ritengono esperibili le revocatorie e reputano necessaria una fase di ripartizione del ricavato della cessione ai creditori. Inoltre è stato ritenuto possibile ricorrere ad investimenti tramite l'utilizzo parziale delle somme introitate dalla cessione dei beni, purché non si tratti di immobili sui quali esista privilegio. Ed infatti l'esistenza del privilegio immobiliare non consente alcuna distrazione dal fine satisfattivo del ricavato dalla vendita del cespite. Quindi massima tutela per i creditori privilegiati, a differenza di quelli chirografari, che sono titolari soltanto della garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c., a norma del quale il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, con le limitazioni della responsabilità ammesse nei casi stabiliti dalla legge. La ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresaLa scelta della ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa è quella più difficile ed è quella che ha minore applicazione. Il programma di risanamento deve avere una durata non superiore a due anni. Diversi e concorrenti sono gli strumenti che possono portare alla realizzazione di una ristrutturazione economica e finanziaria, primo fra tutti un programma di ricapitalizzazione avente lo scopo di recuperare l'equilibrio economico. Ma tale obiettivo può essere conseguito anche attraverso la dismissione di beni non utili al prosieguo dell'attività imprenditoriale, un migliore utilizzo delle risorse umane e strumentali già esistenti, una politica di riduzione di costi anche del personale, un aumento di capitale che può anche portare a cambiare gli assetti societari. Non si può nemmeno prescindere da un coinvolgimento dei creditori in ordine ai tempi di pagamento e alle possibilità di consolidare alcune posizioni, così come assume un rilievo determinante il comportamento delle banche. La solvibilità dell'impresa quasi sempre viene garantita con l'esdebitazione prevista da un concordato giudiziale che diventa parte del programma. Con questa modalità di riequilibrio economico sono escluse le revocatorie e così una fase di ripartizione dell'attivo. È possibile ipotizzare anche, analogicamente a quanto avviene con il concordato preventivo, il ricorso a procedure miste, in parte liquidatorie e in parte di ristrutturazione. Le azioni revocatorie ed il problema degli aiuti di StatoIn giurisprudenza si è posta la questione se l'azione revocatoria, nell'ambito del d.lgs. n. 270 del 1999, possa costituire un aiuto di Stato e violare i principi della concorrenza. Prima di analizzare la tematica sotto il vigore della disciplina vigente avuto riguardo alle norme di cui agli artt. 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, appare opportuno accennare ai termini del dibattito sotto la disciplina prevista dalla legge Prodi. Infatti, il tema della proponibilità e delle condizioni dell'azione revocatoria fallimentare da parte del Commissario Straordinario ha costituito, almeno su un piano dogmatico, espressione di una intrinseca contraddizione, riassumendo in sé sia l'aspetto conservativo sia l'aspetto liquidatorio della procedura. E ciò in quanto, a differenza di quanto previsto nelle altre procedure concorsuali, in caso di amministrazione straordinaria, il Commissario Straordinario poteva agire in revocatoria non soltanto per recuperare somme da destinare ai creditori ma anche per garantire la continuazione dell'esercizio dell'attività di impresa e l'attuazione del programma (cfr. Colesanti, 726). In giurisprudenza, invece, si era consolidato l'indirizzo interpretativo secondo il quale l'esercizio dell'azione revocatoria doveva ritenersi pienamente compatibile con le finalità della procedura di amministrazione straordinaria, individuandosi il dies a quo ai fini del decorso della prescrizione nel decreto di apertura della procedura (cfr. Cass, n. 3421/1994 secondo cui: «Nel procedimento concorsuale di amministrazione straordinaria gli atti di cui all'art. 67 legge fallimentare sono revocabili dalla data del provvedimento che dispone l'apertura della procedura e la nomina del commissario. Ne consegue che, in aderenza al disposto dell'art. 2935 c.c., il termine di prescrizione per l'esercizio dell'azione revocatoria comincia a decorrere da tale momento, poiché soltanto allora l'azione può in concreto essere esercitata»; nonché Cass. n. 2036/1993; Trib. Milano 8 marzo 1993; Trib. Milano 11 gennaio 1993). Si assiste ad una inversione di tendenza soltanto in un secondo momento, quando la giurisprudenza di legittimità, recependo le critiche promosse dalla dottrina, ha affermato che «L'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, quale disciplinato dal d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, convertito in l. 3 marzo 1979 n. 95, e successive modificazioni e integrazioni, si connota per la sua preordinazione alla riorganizzazione delle strutture produttive delle dette imprese, in vista del loro risanamento, mentre, solo subordinatamente all'eventualità che questi fini risultino non più realizzabili, consente l'apertura di una fase liquidatoria destinata al soddisfacimento delle ragioni dei creditori. Ne consegue che l'azione revocatoria fallimentare, avendo come presupposto il compimento, da parte del debitore, di atti di dispersione patrimoniale lesivi della «par condicio creditorum», è ispirata a finalità recuperatorie estranee alla fase conservativa dell'amministrazione straordinaria e coerenti soltanto con quelle dell'eventuale fase liquidatoria, con il corollario che la medesima azione, non esperibile in relazione alla prima, lo diviene, invece, al verificarsi di siffatta eventualità, con un ambito operativo da riferirsi necessariamente al momento in cui inizia la liquidazione dei beni». (cfr. Cass. n. 11519/1996). Con l'emanazione della legge delega, 30 luglio 1998, n. 274, «per il riordino della disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza», sono stati indicati espressamente i criteri direttivi ai quali doveva informarsi la disciplina della menzionata procedura, avente come obiettivo principale la conservazione delle attività aziendali, mediante la prosecuzione, la riattivazione o la riconversione dell'esercizio dell'attività di impresa, ed avendo come presupposto la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività aziendali; finalità conservativa da attuare mediante la cessione a terzi dei complessi aziendali oppure mediante la ristrutturazione economico-finanziaria dell'impresa da eseguire mediante l'attuazione di un programma della durata di due anni. Con l'emanazione della legge delega, quindi, in dottrina si è ritenuta l'incompatibilità dell'azione revocatoria fallimentare con le nuove finalità della procedura di amministrazione straordinaria, alla stessa stregua dell'amministrazione controllata e del concordato preventivo, descrivendo il rapporto tra le due procedure (azione revocatoria e amministrazione straordinaria) in termini di alternatività ed esclusione durante l'amministrazione straordinaria, dovendosi mutuare la disciplina prevista in caso di fallimento in caso di conversione nella procedura liquidatoria (cfr. Tarzia, 948). Sorgeva, tuttavia, anche se la questione era posta in questi termini, il problema di individuare il «periodo sospetto» ai sensi dell'art. 67 l.fall. Secondo un primo indirizzo interpretativo, le revocatorie sarebbero stato improponibili durante la procedura di amministrazione straordinaria e proponibili in caso di conversione in fallimento con riferimento alle operazioni compiute nei due anni precedenti la dichiarazione dello stato di insolvenza. Secondo un'ulteriore opzione ermeneutica, in caso di conversione, i due anni avrebbero iniziato a decorrere dalla sentenza dichiarativa di fallimento. In realtà, se gli effetti della dichiarazione dello stato di insolvenza sono equiparati agli effetti del concordato preventivo e se devono essere garantiti i crediti sorti durante l'esercizio dell'attività di impresa, deve ritenersi incoerente una interpretazione che faccia decorrere i due anni durante la procedura conservativa. La nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria, dettata col d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 si è decisamente allontanata dalle direttive della legge delega. Effettivamente, la procedura è subordinata alla sussistenza di «concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali» ed è stato coerentemente indicato che tale risultato deve potersi realizzare, in via alternativa, o tramite la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno, o tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni. Tuttavia, ai sensi dell'art. 49, in materia di revocatoria, si è scelta una soluzione mediana, dichiarando proponibili le azioni revocatorie soltanto se è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, salvo il caso di conversione della procedura in fallimento. Dunque, ai fini della proponibilità dell'azione revocatoria, il «programma di cessione dei complessi aziendali» non rappresenta più uno strumento per realizzare il recupero dell'equilibrio economico e finanziario dell'impresa, ma costituisce uno strumento di liquidazione volto al soddisfacimento delle esigenze dei creditori. Stante il contrasto con le direttrici indicate nella legge delega, ci si è chiesti se tale previsione non sia viziata da illegittimità costituzionale, per eccesso di delega. Un altro interrogativo riguarda la compatibilità del sistema delle azioni revocatorie, così come regolato dalla Prodi bis, con il mercato comune. La disciplina relativa agli aiuti di Stato è adesso contenuta negli artt. 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (e prima dagli artt. 87 e 88 del Trattato CE), nonché nel regolamento del Consiglio CE del 22 marzo 1999, 659/99, recante le modalità di applicazione dell'articolo 93 del Trattato CE (modificato dal Regolamento CE n. 1791/2006 del Consiglio del 20 novembre 2006). In sintesi, dalle regole contenute nella normativa sopra indicata, si desume che un atto nazionale può essere qualificato alla stregua di un «aiuto» di Stato laddove: 1) comporta un vantaggio gratuito per il soggetto destinatario dell'atto e, al contempo, un onere per il bilancio dello Stato; 2) è imputabile ad un potere pubblico, ovvero allo Stato membro, sia direttamente sia indirettamente; 3) favorisce soltanto determinate imprese; 4) incide sugli scambi tra gli Stati; 5) crea effetti distorsivi sulla concorrenza. Sulla base di quanto previsto dall'art. 107 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, sono, invece, compatibili con il mercato interno: «a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera». Possono considerarsi compatibili con il mercato interno: «a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione». Ai sensi del successivo art. 108, la Commissione è competente ad esaminare il regime degli aiuti di Stato, proponendo agli Stati membri le misure che reputa opportune al fine di garantire lo sviluppo e il funzionamento del mercato interno. Qualora la Commissione, dopo avere interloquito con lo Stato interessato, che ha la facoltà di presentare osservazioni, ritenga che determinate risorse statali costituiscano un aiuto di Stato incompatibile col diritto dell'Unione Europea, stabilisce se lo Stato debba far cessare la destinazione di tali risorse oppure modificarla. Se lo Stato non si conforma alla decisione della Commissione, nei termini da quest'ultima indicati, in deroga a quanto previsto dagli artt. 258 e 259, la Commissione o lo Stato interessato può adire la Corte di Giustizia. Inoltre, a richiesta di uno Stato membro, il Consiglio, deliberando all'unanimità, può decidere che un aiuto, istituito (o da istituirsi) da parte dello Stato stesso, deve considerarsi compatibile con il mercato interno, in deroga alle disposizioni dell'articolo 107 o ai regolamenti di cui all'articolo 109, quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione. Se la Commissione ha già iniziato la procedura sopra descritta, la richiesta dello Stato al Consiglio farà sospendere la suddetta procedura fino a quando il Consiglio non avrà provveduto in merito. La Commissione, comunque, delibera laddove il Consiglio non si pronunci entro tre mesi dalla data della richiesta. Ancora, sempre sulla base della disposizione da ultimo citata, alla Commissione devono essere comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Se la Commissione reputa un progetto incompatibile col mercato interno in quanto sussumibile nella nozione di aiuto di Stato, inizia la procedura prima descritta ed allo Stato membro è preclusa la possibilità di attuare il suddetto progetto. Il Regolamento n. 659/1999 divide gli aiuti di Stato in diverse categorie: a) «aiuti» (sono qualsiasi misura che risponda a tutti i criteri stabiliti all'articolo 92, paragrafo 1, del trattato); b) «aiuti esistenti» (ossia, tra l'altro, tutte le misure di aiuto esistenti in uno Stato membro prima dell'entrata in vigore del trattato, tutti i regimi di aiuti e gli aiuti individuali ai quali è stata data esecuzione prima dell'entrata in vigore del trattato e che sono ancora applicabili dopo tale entrata in vigore; gli aiuti autorizzati, ossia i regimi di aiuti e gli aiuti individuali che sono stati autorizzati dalla Commissione o dal Consiglio; gli aiuti che si suppongono autorizzati; gli aiuti considerati aiuti esistenti in quanto può essere dimostrato che al momento della loro attuazione non costituivano aiuti, ma lo sono diventati successivamente a causa dell'evoluzione del mercato comune e senza aver subito modifiche da parte dello Stato membro»; c) «nuovi aiuti» (ossia tutti gli aiuti, ossia regimi di aiuti e aiuti individuali, che non siano aiuti esistenti, comprese le modifiche degli aiuti esistenti); d) «regime di aiuti» (atto in base al quale, senza che siano necessarie ulteriori misure di attuazione, possono essere adottate singole misure di aiuto a favore di imprese definite nell'atto in linea generale e astratta e qualsiasi atto in base al quale l'aiuto, che non è legato a uno specifico progetto, può essere concesso a una o più imprese per un periodo di tempo indefinito e/o per un ammontare indefinito; e) «aiuti individuali»: gli aiuti non concessi nel quadro di un regime di aiuti e gli aiuti soggetti a notifica concessi nel quadro di un regime; f) «aiuti illegali»: i nuovi aiuti attuati in violazione dell'articolo 93, paragrafo 3, del trattato; g) «aiuti attuati in modo abusivo»: gli aiuti utilizzati dal beneficiario in violazione di una decisione adottata conformemente al regolamento. Gli artt. 2 e seguenti del Regolamento prevedono che qualsiasi progetto di concessione di nuovo aiuto deve essere notificato alla Commissione, alla quale devono essere fornite tutte le informazioni (salva anche la possibilità di quest'ultima di chiedere integrazioni) necessarie per potere emettere una decisione (sulla compatibilità del progetto con il mercato comune). Agli aiuti soggetti a notifica non può essere data esecuzione prima che la Commissione abbia deliberato di autorizzare l'aiuto. La Commissione, se dopo un esame preliminare constata che la misura non costituisce aiuto, lo dichiara mediante una decisione; se invece ritiene che non sussistano dubbi sulla compatibilità della misura con l'ordinamento, la dichiara compatibile con il mercato comune; per contro, se ritiene che sussistano dubbi sulla compatibilità, decide di avviare un procedimento di indagine formale. In ogni caso, la decisione va assunta entro due mesi (che decorrono dal giorno successivo a quello di ricezione della notifica completa e quindi dalla notifica della misura ovvero dei documenti prodotti ad integrazione). Il termine può essere prorogato. Se la Commissione non adotta alcuna decisione nei termini stabiliti, si ritiene che l'aiuto sia stato autorizzato e lo Stato membro può attuare la misure di cui si tratta. Dopo aver dato allo Stato membro interessato l'opportunità di presentare le proprie osservazioni, la Commissione può adottare una decisione, con la quale ordina a detto Stato membro di sospendere l'erogazione di ogni aiuto concesso illegalmente, fino a che non abbia deciso in merito alla compatibilità dell'aiuto con il mercato comune (ingiunzione di sospensione) ovvero di recuperare a titolo provvisorio lo stesso (ingiunzione di recupero), se, in base a una pratica consolidata non sussistono dubbi circa il carattere di aiuto della misura in questione; ovvero se occorre affrontare una situazione di emergenza; o ancora, se esiste un grave rischio di danno consistente e irreparabile ad un concorrente. Ai sensi del successivo art. 14, la Commissione non può imporre il recupero «qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario», ossia col principio di proporzionalità, di certezza del diritto e del legittimo affidamento. Tra le disposizioni legislative che sono state oggetto di indagine da parte della Commissione in relazione alla disciplina degli aiuti di Stato sopra descritta (ovvero in relazione alla disciplina di cui agli artt. 87 e 88 del Trattato CE, ratione temporis applicabile) si annoverano quelle relative all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. Il problema si è posto originariamente con la legge Prodi, oggetto di una procedura di infrazione ai sensi dell'art. 93, par. 2 del Trattato CE in quanto ritenuta uno strumento per realizzare aiuti di Stato (cfr. Biscaretti di Ruffia, 485) e, da ultimo, si pone (soprattutto tra la giurisprudenza di merito) in relazione alle azioni revocatorie (cfr. Tarzia, 948). Con la legge Prodi bis in commento, il problema sorto con la legge Prodi (autorizzazione alla continuazione dell'attività economica in circostanze in cui ciò non sarebbe consentito dalle regole normalmente vigenti in materia di fallimento ovvero concessione di garanzie di stato, di aliquote fiscali ridotte) deve considerarsi superato, ma rimane quello relativo alla riconducibilità delle azioni revocatorie nella nozione di aiuto di stato (nella misura in cui favorirebbero alcuni soggetti del mercato comune con l'effetto di falsare la concorrenza). I giudici di legittimità (cfr. Cass. n 21823/2005), hanno affermato che «Il d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, conv., con modif., in l. 3 aprile 1979, n. 95, sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, è incompatibile con le norme comunitarie — in base alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee 1 dicembre 1998, C-200/97, e 17 giugno 1999, C-295/97, e alla decisione della Commissione 16 maggio 2000, 2001/212/CE — non nella sua totalità, ma esclusivamente in relazione alle disposizioni che prevedono aiuti di Stato non consentiti ai sensi dell'art. 87 (già art. 92) del Trattato CE, tra i quali non può farsi rientrare l'esercizio dell'azione revocatoria, che è di applicazione estesa a tutte le procedure concorsuali che presuppongono l'insolvenza. Né, al riguardo, può distinguersi tra la fase conservativa e quella liquidatoria della procedura, onde ricavarne che l'azione revocatoria non comporta aiuti alle imprese, sotto il profilo di un «finanziamento forzoso», unicamente ove esercitata nella seconda fase: e ciò in quanto la revocatoria non favorisce altri che la generalità dei creditori. Posto, infatti, che, alla luce delle indicazioni della Corte di giustizia, l'aiuto di Stato è configurabile nel caso in cui l'impresa sia stata autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui tale eventualità sarebbe esclusa nell'ambito della applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, tale condizione non sussiste nella specie, dal momento che come nel fallimento è consentito, in chiave palesemente liquidatoria, l'esercizio provvisorio dell'impresa ai sensi dell'art. 90 l.fall., nella amministrazione straordinaria regolata dalla l. n. 95 del 1979 la continuazione dell'attività era consentita «tenendo anche conto dell'interesse dei creditori», e dunque in una prospettiva non estranea alle esigenze liquidatorie; e tanto nell'una quanto nell'altra procedura il realizzo conseguibile attraverso l'esercizio delle azioni revocatorie non è esclusivamente destinato alla massa concorsuale, ma anche a far fronte alle spese di amministrazione. (Nell'enunciare il principio in massima la S.C. ha altresì precisato che ogni questione relativa alla compatibilità dell'azione con la fase conservativa risulta ormai normativamente superata alla luce della nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria, di cui al d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, come modificata dal d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv., con modif., in l.18 febbraio 2004, n. 39, e dalle successive disposizioni correttive ed integrative, in forza della quale il commissario straordinario può proporre le azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 d.lgs. n. 270 del 1999 anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione, purché si traducano in un vantaggio per i creditori)». L'azione revocatoria, invero, ha evidenziato la Cass. n. 2534/2005, nell'ambito dell'Amministrazione Straordinaria, esperita nella fase di liquidazione, non ha alcun carattere selettivo e discrezionale (requisiti che invece devono sussistere perché la destinazione di risorse vengano qualificate alla stregua di aiuti di Stato secondo le pronunce interpretative rese al riguardo dalla Corte di Giustizia), in quanto omogenea rispetto a quella prevista in seno ad ogni procedura fondata sul presupposto dell'insolvenza — come il fallimento o la liquidazione coatta amministrativa – ed avente la medesima finalità di tutelare la massa dei creditori nel rispetto della par condicio. «Nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, disciplinata dal d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in l. 3 aprile 1979, n. 95 (applicabile «ratione temporis»), l'azione revocatoria — esercitabile soltanto dopo la cessazione della fase conservativa dell'impresa e l'inizio di quella liquidatoria — non può essere qualificata come aiuto di Stato, vietato dall'art. 87 (già art. 92) del Trattato CE, trattandosi di istituto privo del requisito della specificità, sotto i due profili della selettività e della discrezionalità, che, alla stregua delle sentenze della Corte di giustizia 1 dicembre 1998, in causa C-200/97, e 17 giugno 1999, in causa C-295/97, caratterizzano gli aiuti di Stato, avuto riguardo all'identità funzionale di detta azione con quella esercitata in sede fallimentare, di generale applicazione, e tenuto conto, altresì, della mancanza del requisito ulteriore dell'impiego di risorse pubbliche, non potendo lo Stato e gli enti pubblici essere considerati naturali soggetti passivi dell'azione revocatoria. Né, d'altro canto, con riferimento all'esperimento di tale azione, potrebbe essere considerata come aiuto di Stato la stessa apertura della procedura di amministrazione straordinaria, giacché i vantaggi a carico di risorse pubbliche, individuati dalla Corte di giustizia con la citata sentenza 17 settembre 1999, possono bene essere disapplicati senza incidere sulla possibilità di una gestione liquidatoria della procedura, gestione che di per sé stessa esclude una prosecuzione dell'attività di impresa con effetti distorsivi della concorrenza» (cfr. Cass. n. 4206/2006). La Corte di Cassazione ha precisato, inoltre, che va adottata un'interpretazione della disciplina conforme al dettato costituzionale, tenuto conto che le norme non consentono l'acquisizione del parere del comitato dei creditori sull'utilizzo delle somme che si ricavano dalle revocatorie. Società operanti nel settore dei servizi pubblici essenzialiL'obiettivo di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali si realizza diversamente per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. Ed infatti il d.lgs. n. 134 del 2008, cosiddetto «decreto Alitalia», che ha inserito nell'art. 27 la lettera b-bis), prevede per tale tipo di società che l'obiettivo di recupero dell'equilibrio economico avvenga, oltre che secondo il programma di cessione e il programma di ristrutturazione, anche tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno, il cosiddetto programma di cessione dei complessi di beni e contratti. Il programma, in questo caso, deve essere diretto ad attuare una cessione di beni e di contratti che assicura la continuazione dell'attività in un periodo medio pari ad almeno 5 anni. BibliografiaAlessi, L'amministrazione delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 50 e 59; Biscaretti Di Ruffia, Compatibilità dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza con l'ordinamento comunitario, in Dir. un. eur., 2005, 03, 0485; Cavallo Borgia, Continuazione dell'esercizio dell'impresa nell'amministrazione straordinaria e nelle procedure concorsuali: profili funzionali, in Giur. comm. 1982, I, 737 e ss.; Fall. 1997, 269; Censoni, Gli effetti sostanziali del cd periodo di osservazione e della nuova amministrazione straordinaria, in Giur. comm., 2001, 05, 0548; Censoni, Gli effetti sostanziali del cd. periodo di osservazione e della nuova amministrazione straordinaria, in Giur. comm. 2001, 05, 548; Cultrera, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Potere od obbligo del Tribunale di aprire la procedura? (nota a sentenza), in Giust. civ. 2005, 693; Filippi, Amministrazione straordinaria, prospettive di salvataggio dell'impresa, prognosi del giudice ed alternativa del fallimento, in Fall. 2010, 25, 32 e ss.; La Malfa, L'apertura della procedura, in AA.VV., la riforma dell'amministrazione straordinaria, Roma, 2000, 110; Lo Cascio, Commentario alla legge sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 162 e ss.; Luisi, I limiti di sindacato del giudice ai fini dell'ammissione alle procedure di amministrazione straordinaria ex d.lgs. 270/1999, in Fall. 2003, 442; Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2000, 1071; Pacchi Pesucci, Effetti dell'amministrazione straordinaria nei confronti dei creditori, in Atti del Convegno di Lanciano 12 – 13 novembre 1999; Rossomando, Conversione del fallimento e impugnazione del decreto di rigetto (nota a sentenza), in Fall. 1998, 166; Sansone, Brevi riflessioni sulla nuova amministrazione straordinaria, in Fall. 2000, 281; Simonati, Aspetti di costituzionalità della nuova normativa sull'amministrazione straordinaria delle imprese insolventi, in Atti del Convegno di Verona, 29 – 30 ottobre 1999 sul tema «Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle imprese insolventi», in Fall. 2000, 242 e ss; Tarzia, Sulla revocatoria fallimentare nell'amministrazione straordinaria, in Riv. dir. proc. 2000, 4, 948. |