Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 72 - Rapporti pendenti1.

Giuseppe Dongiacomo

Rapporti pendenti1.

 

Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia gia' avvenuto il trasferimento del diritto 2.

Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.

La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto previsto nell'articolo 72-bis.

In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno 3.

L'azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l'efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V.

Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento.

In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento 4.

Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attivita' di impresa dell'acquirente5.

[1] Articolo modificato dall'articolo 3, comma 6, del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669convertito con modificazioni in Legge 28 febbraio 1997, n. 30 e, successivamente, sostituito dall'articolo 57 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

[5] Comma aggiunto dall'articolo 4, comma 6, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007 e, successivamente, modificato dall'articolo 33, comma 1, lettera a-ter), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012.

Inquadramento

Il fallimento è una procedura esecutiva con funzione liquidatoria a carattere universale: in conseguenza della sentenza dichiarativa, infatti, tutti i beni del fallito (che integrano la garanzia patrimoniale prevista dall'art. 2740 c.c.) sono affidati alla custodia e all'amministrazione del curatore con il compito di liquidarli e di distribuire il ricavato tra i creditori ammessi al passivo.

L'organizzazione economica delle imprese, specie di quelle societarie, si caratterizza, però, oltre che per l'esistenza di beni materiali, anche e, forse, soprattutto, per la presenza di un reticolo, più o meno complesso, di rapporti giuridici: l'azienda, infatti, tende a fungere da coacervo di strumenti contrattuali più che di beni di cui l'imprenditore è proprietario.

La funzione liquidatoria della procedura, quindi, può (anzi: deve) realizzarsi non soltanto attraverso la conversione in denaro dei diritti e dei beni (materiali o immateriali) del fallito — se del caso recuperati al patrimonio fallimentare attraverso l'esperimento vittorioso delle azioni giudiziarie cui è legittimato, siano esse di massa (es. revocatoria fallimentare, azione di inefficacia ex art. 44 l.fall., ecc.) ovvero contrattuali (es. di pagamento del prezzo pattuito in un contratto) o di impugnazione negoziale già di spettanza del fallito (es. azione di simulazione, di nullità, di annullamento, di risoluzione, ecc.) — ma anche attraverso la definizione dei rapporti giuridici patrimoniali derivanti da contratti stipulati dal fallito e «pendenti» al momento della dichiarazione di fallimento.

La funzione liquidatoria della procedura concorsuale, in tali ipotesi, si manifesta, però, non in via diretta, e cioè come possibilità offerta agli organi della procedura di liquidare il rapporto contrattuale pendente come tale, ma in via indiretta, e cioè come criterio di orientamento delle scelte compiute dal curatore ovvero quale fondamento degli effetti voluti dalla legge sul singolo rapporto.

Si tratta, a ben vedere, di un effetto connesso all'ablazione dei poteri dispositivi e di amministrazione del fallito disposta dall'art. 42 l.fall. in favore del curatore (cd. spossessamento del patrimonio), nel senso che, come nell'amministrazione dei beni acquisiti alla procedura, così nei rapporti giuridici pendenti al momento del fallimento, si realizza, sul piano giuridico, una forma di «sostituzione» dell'organo concorsuale al fallito che ne amministra i beni ed i contratti, evidentemente per la migliore soddisfazione dei creditori.

I presupposti comuni

I presupposti comuni della disciplina in tema di rapporti pendenti sono:

1) la preesistenza di un contratto: vale a dire una fattispecie bilaterale che, al momento della dichiarazione di fallimento, si è perfezionata sotto il profilo della conclusione del suo iter formativo (Jorio, 491 ss, 492; Patti, 1598, 1599);

2) l'opponibilità del contratto nei confronti dei creditori a norma degli artt. 44 e 45 l.fall., essendo state rispettate le formalità necessarie, in genere, perché l'atto sia efficace verso i terzi, vale a dire, in materia di beni immobili e di beni mobili registrati, con la trascrizione (Ferrara jr.-Borgioli, 374; Patti, 1600; Guglielmucci 1997, 304, 305, 306, dove, peraltro, sottolinea che solo il contraente in bonis non può fondare pretese su contratti preesistenti ma inopponibili: il curatore, invece, ha la facoltà sia di avvalersi che di non avvalersi nei confronti del contraente in bonis dei diritti fondati su contratti preesistenti, ancorché a lui inopponibili; «.. ove l'atto dal quale il rapporto ha avuto origine non sia opponibile alla massa per difetto di formalità, il curatore fallimentare che intenda sottrarsi agli obblighi previsti dal contratto non ha nessuna necessità di provocarne lo scioglimento, ben potendo limitarsi a richiamare quella disposizione; ciò che vale a anche per l'ipotesi di continuazione ex lege del rapporto pendente», fermo restando che «nulla impedisce al curatore fallimentare, che intenda, invece, subentrare nel rapporto pendente, di non avvalersi di quel potere»: Bonfatti-Censoni, 320);

3) la natura sinallagmatica del contratto: deve, cioè, trattarsi (almeno di regola) di contratti che contengono una pluralità di obbligazioni reciproche connesse tra loro da un nesso di interdipendenza, tale per cui la prestazione di una parte rappresenta la causa della prestazione dell'altra.

Sono estranei, quindi, alle norme in materia di rapporti pendenti i contratti unilaterali, e cioè produttivi di obbligazioni a carico di una sola delle parti, ricadendo, piuttosto, nella disciplina, a seconda dei casi, dell'art. 42 l.fall. ovvero dell'art. 52 l.fall. a seconda che si tratti di un diritto del fallito da far valere nei confronti del contraente in bonis secondo le regole ordinarie ovvero di un diritto del contraente in bonis verso il fallito da far valere mediante insinuazione al passivo. Né rileva il fatto che il contratto possa essere impugnato dal curatore con le azioni di inefficacia/revoca ex artt. 64 e ss. l.fall. (Cass. n. 4143/1996).

Sono, inoltre, estranee alla disciplina dei rapporti pendenti tutte le vicende negoziali sorte ed esaurite prima della dichiarazione di fallimento (e, se del caso, recuperabili al sistema concorsuale mediante l'esercizio fruttuoso delle azioni previste dagli artt. 64 ssl.fall. ovvero delle ordinarie azioni di impugnazione negoziale) ovvero instaurate in epoca successiva (e dunque alla base della c.d. prededuzione ex art. 111 l.fall., se riconducibili ad attività degli organi fallimentari, ovvero dell'inopponibilità alla procedura, se imputabili al fallito, a norma degli artt. 44 e 45 l.fall.).

Nello stesso modo, sono estranei alla materia in esame i contratti facenti capo ad esigenze personali del fallito e della sua famiglia ex art. 46, n. 1, l.fall. (es. contratto di somministrazione o di godimento delle c.d. utenze, la locazione della casa di abitazione, ecc.), che continuano tra le parti originarie senza subire o produrre effetti sul piano concorsuale (e quindi sottratti alle facoltà di scelta in favore ovvero a carico della massa), rimanendo disciplinati dal diritto comune anche in caso di patologia funzionale del rapporto (Bonfatti-Censoni, 322, 323).

Il contratto, inoltre, per essere assoggettato alla disciplina sui rapporti pendenti, deve essere rimasto ineseguito, in tutto o in parte, da entrambe le parti: le obbligazioni assunte, cioè, non hanno ricevuto compiuta esecuzione, con l'adempimento completo delle relative prestazioni, da parte sia del contraente fallito, che del contraente in bonis, ciascuno dei quali, pertanto, è (rimasto) titolare non già, semplicemente, (come accade nel caso di inesecuzione del contratto da parte di uno solo dei contraenti) di un credito verso l'altro (e cioè o un credito del fallito ovvero un debito del fallito, suscettibili, rispettivamente, di gestione da parte del curatore ovvero di accertamento in funzione della sua partecipazione al concorso esclusivo della verifica del passivo) ma, più ampiamente, in base al programma negoziale a suo tempo stipulato, di diritti e doveri reciproci.

Se, quindi, le obbligazioni di una delle parti del contratto sono già state compiutamente eseguite prima della dichiarazione di fallimento del contraente insolvente, manca il presupposto di applicazione della disciplina dei rapporti pendenti, per cui, nell'ipotesi in cui la parte adempiente sia quella in bonis, il credito per la prestazione dovutagli costituisce un credito concorsuale, da insinuare al passivo a norma dell'art. 52 l.fall. mentre, nell'ipotesi in cui la parte adempiente è il fallito, il credito alla controprestazione dovuta costituisce una pretesa che il curatore è legittimato a far valere nei modi ordinari (Guglielmucci, 1979, 76 ss., 80; dopo la riforma, Dimundo, 210 ss, 212, 218).

Nei contratti ad effetto reale, tuttavia, il rapporto è ineseguito (ed è, quindi, pendente, ai fini fallimentari) quando non si è verificato, al momento del fallimento, l'effetto traslativo del diritto (arg. ex art. 72, comma 4, vecchio testo, 72-bis, comma 1, nel testo introdotto dal d.lgs. n. 5/2006; art. 72, comma 1, nel testo in vigore, l.fall.), pur se la consegna del bene sia già stata operata. Se, invece, tale effetto si è già prodotto (ed in modo efficace verso i creditori: art. 45 l.fall.), il rapporto deve essere semplicemente adempiuto: il contraente in bonis che ha acquistato deve eseguire in favore del curatore la prestazione dovuta al fallito ma ha il diritto di ricevere dal curatore la consegna della cosa, previa insinuazione al passivo della relativa pretesa restitutoria a norma degli artt. 52 e 103 l.fall. (Ferrara jr.-Borgioli, 374).

Come detto, deve trattarsi di rapporti non eseguiti al momento della dichiarazione di fallimento da entrambe le parti, nel senso che il programma negoziale pattuito non è stato, in tutto o in parte, raggiunto per entrambi i contraenti: sempre, però, che si tratti delle obbligazioni principali, quali, ad es., nel contratto di compravendita, l'obbligazione del compratore di pagare il prezzo (art. 1498 c.c.) e l'obbligazione del venditore di trasferire la proprietà e di consegnare il bene venduto (art. 1476 c.c.), senza che possa rilevare, quindi, la mera inattuazione di obbligazioni accessorie o marginali come, nel caso della vendita, la consegna dei documenti o dei titoli giustificativi (Cass. n. 3708/1983).

Non rileva, invece, che il contratto possa essere impugnato dal curatore con le azioni di inefficacia/revoca ex artt. 64 e ss l.fall. Cass. n. 4143/1996 in motiv., per cui «la circostanza che il curatore subentri nel rapporto di locazione stipulato dal fallito in epoca antecedente la dichiarazione di fallimento, non esclude che, ove ne ricorrano le condizioni, il contratto possa essere revocato, ai sensi dell'art. 67 l.fall.La norma che regola la sorte di un contratto pendente (art. 80l.fall.) fa riferimento alla funzione del curatore come soggetto cui fanno capo rapporti del fallito e quindi le situazioni attive e passive esistenti nel suo patrimonio. L'esercizio dell'azione revocatoria vede il curatore intervenire come terzo, per elidere il pregiudizio recato al patrimonio del fallito da atti determinati da lui compiuti in ben individuate circostanze, anche temporali».

in senso contrario, Jorio, 491 ss, 493, per cui «il contratto nei cui confronti il curatore abbia promosso o intenda promuovere l'azione revocatoria non rientra nella problematica dei rapporti pendenti, poiché non ha senso discutere della sua eseguibilità nel fallimento allorché ne viene contestata la stessa efficacia nei confronti della procedura».

La posizione del curatore

La posizione del curatore di fronte agli impegni negoziali assunti dal fallito e non esauriti per intero non è, peraltro, univoca.

Il curatore, infatti, talvolta agisce quale parte e successore del fallito, altre volte come terzo, nel senso che, in relazione al tipo di rapporto di volta in volta considerato — e non certo per sua scelta discrezionale — si comporta o come avente causa (empiricamente parlando) dal fallito (es., in caso di subingresso nel rapporto, il curatore ne esercita i diritti conseguenti, ricevendo l'adempimento della controparte ovvero, in difetto, agendo, come avrebbe potuto fare il fallito, per l'adempimento o per la risoluzione del contratto pendente nel quale è subentrato) oppure come terzo (es., attivando poteri-doveri che si connettono alla carica ricoperta, ma che il fallito in bonis non avrebbe potuto esercitare, come, ad esempio, lo scioglimento del rapporto).

La natura giuridica degli effetti

Secondo l'opinione più diffusa, gli effetti giuridici previsti dalla normativa in materia di rapporti giuridici pendenti, siano essi il subingresso del curatore nel rapporto ovvero lo scioglimento (ex lege o per scelta del curatore) del rapporto ovvero la sua sospensione, sono di diritto sostanziale (v., con riguardo allo scioglimento ex lege o per scelta del curatore del rapporto, Guglielmucci, 1979, 128, 129; Patti, 1610; con riguardo alla sospensione dell'esecuzione del contratto, Guglielmucci, 1997, 315) e, come tali, destinati a non dissolversi con la chiusura del fallimento o la sua revoca, vincolando le parti pur quando il fallito sia tornato in bonis (Cass. n. 6560/1990).

E così, ad es., si è ritenuto che l'automatico scioglimento del contratto d'appalto rappresenta un effetto di diritto sostanziale conseguente alla dichiarazione di fallimento destinato a perdurare anche dopo la chiusura della procedura concorsuale, ove non intervenga una nuova convenzione tra le parti, dovendo escludersi un'automatica reviviscenza del contratto originario (Cass. n. 7203/1999).

I diversi regimi

Tre sono i criteri che la legge fallimentare prevede per regolare i rapporti in fieri al momento del fallimento: lo scioglimento automatico del rapporto contrattuale, il subingresso automatico del curatore nel rapporto e la sospensione del rapporto con il potere del curatore di subentrarvi o di provocarne lo scioglimento.

Lo scioglimento automatico del contratto in conseguenza del fallimento di una delle parti è previsto per quei rapporti giuridici la cui prosecuzione è ritenuta complessivamente incompatibile con l'instaurazione del processo concorsuale, come l'associazione in partecipazione (in caso di fallimento dell'associante), il conto corrente (in caso di fallimento di una delle parti) o il mandato (in caso di fallimento del mandatario).

Il subingresso automatico nel rapporto da parte del curatore si realizza, invece, nel caso in cui il contratto è neutro rispetto alle finalità liquidatorie della procedura ovvero in caso di prevalente tutela del terzo ovvero ancora in ipotesi di compatibilità e convenienza del subingresso ex lege del curatore nella posizione negoziale del fallito (es. locazione immobiliare, assicurazione contro i danni, ecc.). Si tratta, peraltro, di casi che, in ragione degli effetti prededucibili che conseguono al subingresso del curatore nel rapporto, devono essere considerati come tassativi ed, in ogni caso, da interpretare restrittivamente. Solo in caso di esercizio provvisorio dell'impresa, l'art. 104, comma 8, l.fall., prevede, quale regola generale, che i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l'esecuzione o scioglierli: le norme ordinarie, tuttavia, tornano ad essere applicate con la cessazione dell'esercizio provvisorio (art. 104, comma 10, l.fall.).

La sospensione del rapporto, con facoltà di scelta rimessa al curatore, integra, infine, il terzo regime previsto dalla legge. Si tratta di un regime — per così dire — misto, nel quale l'esercizio delle facoltà discrezionali volte all'estinzione del rapporto ovvero alla sua prosecuzione può dar luogo ad un esito simile a quello proprio degli altri due criteri, nel senso di avvicinarsi al primo in caso di scelta di estinzione o di avvicinarsi al secondo in caso di scelta di prosecuzione.

La sospensione del rapporto pendente è volta a tutelare il contraente in bonis, il quale, infatti, non ha, almeno di regola, interesse ad insinuarsi al passivo ed al contempo eseguire integralmente la prestazione da lui dovuta, sicché, come, al di fuori del fallimento, l'eccezione di inadempimento e la sospensione dell'esecuzione del contratto sono strumenti di autotutela privata diretti a conseguire o l'adempimento esatto della prestazione da parte dell'altro contraente o la risoluzione del rapporto, così, anche nel fallimento, la sospensione prevista dall'art. 72, comma 1, l.fall., può condurre o al subingresso del curatore nel contratto e, quindi, all'adempimento esatto della prestazione da parte di costui o allo scioglimento del rapporto (Bonfatti-Censoni, 325, 326; Dimundo, 210 ss, 219, 220, dove osserva come «il rimedio fallimentare della sospensione dell'esecuzione dei contratti a prestazioni corrispettive ineseguite, apprestato dall'art. 72, comma 1, l.fall. è l'equivalente, in caso di fallimento di uno dei contraenti, dei rimedi civilistici dell'eccezione di inadempimento e della sospensione dell'esecuzione per il sopravvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali dell'altro contraente in bonis che non abbia ancora eseguito la sua prestazione, consentendogli di non adempiere fino a quando l'altro non garantisca la controprestazione. In caso di fallimento, infatti, il curatore può conseguire la prestazione dovuta dal contraente in bonis soltanto scegliendo di subentrare nel contratto ed assumendo a carico della massa la controprestazione dovuta dal fallito; Di Marzio, 2006, 806 ss, 809. Prima della riforma, Guglielmucci, 1979, 76 ss., 78, 79).

La sospensione, però, tutela anche la massa dei creditori, in quanto evita, sia pur solo in via temporanea, tanto il subingresso automatico del curatore nel rapporto contrattuale, con la conseguente assunzione di obbligazioni prededucibili nei confronti dell'altra parte, quanto il suo automatico scioglimento, con la conseguente perdita di rapporti contrattuali che, se proseguiti, possono arrecare vantaggi al patrimonio fallimentare, a protezione, in definitiva, della facoltà del curatore di scegliere tra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto e, quindi, della garanzia costituita dal patrimonio del debitore (Cass. n. 1601/1999; Patti, 1604).

Gli effetti del subingresso

Nel caso in cui opti per il subingresso, così come nel caso di subingresso ex lege, il curatore, fatte salve le eventuali modifiche al regolamento contrattuale apportate dalla legge (ad es., il diritto di recedere entro un certo termine: artt. 79 e 80 l.fall.), assume la stessa posizione contrattuale del fallito, con tutti i relativi diritti ed obblighi.

In tal senso deponeva già l'art. 72, comma 2, vecchio testo, l.fall., secondo cui il curatore, in caso di subingresso, ne assume «tutti gli obblighi relativi», nonché l'art. 72, comma 1, nel testo introdotto dalla riforma, secondo cui, con il subentro nel rapporto pendente, il curatore assume «tutti i relativi obblighi».

In particolare, il curatore assume l'obbligo, in prededuzione, di eseguire l'intera prestazione che avrebbe dovuto eseguire il fallito: nei limiti, tuttavia, delle clausole contrattuali che gli sono opponibili (Guglielmucci, 2008, 144, 145).

L'esercizio della facoltà di scelta concessa al curatore del fallimento di subentrare determina l'effetto che delle obbligazione derivanti dal contratto l'amministrazione fallimentare risponde con tutto il patrimonio acquisito al fallimento, vincolando il fallito per il caso di revoca o chiusura della procedura (Cass. n. 6018/2003, in motiv.). Ad es., nella vendita, in caso di fallimento del compratore, se il curatore subentra nel rapporto, è obbligato a pagare interamente il prezzo, così come, nel caso di fallimento del venditore, se il curatore subentra, deve eseguire il trasferimento in proprietà della cosa all'acquirente.

E non solo: in caso di mancato adempimento alle obbligazioni assunte in conseguenza del subingresso, il curatore soggiace alle eccezioni di inadempimento ed all'eventuale sospensione dell'esecuzione da parte dell'altro contraente (artt. 1460 e 1461 c.c.) nonché all'azione di risoluzione del contratto e di risarcimento dei danni (artt. 1453 e 1455 c.c.).

Naturalmente il curatore, oltre ad assumere i diritti e gli obblighi relativi alla posizione contrattuale del fallito, è legittimato a proporre le relative azioni ed eccezioni, ivi comprese (se ancora possibile) quelle di impugnazione del contratto che spettano alla parte.

Prima della riforma, si discuteva della validità delle clausole volte ad impedire il subingresso del curatore nel rapporto in corso, come quelle che prevedono lo scioglimento del contratto per effetto del fallimento di una delle parti ovvero di quelle incompatibili con le finalità della procedura concorsuale, come quelle in tema di divieti di alienazione ovvero di patti di prelazione ovvero obblighi di garanzia o di riacquisto.

La riforma ha, sul punto, stabilito che sono inefficaci (verso il curatore) le clausole che prevedono il fallimento di una delle parti quali cause di scioglimento del contratto (art. 72, comma 6, l.fall.).

La norma ha per scopo di rendere effettiva la norma generale in tema di sospensione del rapporto pendente per effetto del fallimento e di diritto di scelta in capo al curatore e trova applicazione, oltre che per le clausole che fanno automaticamente discendere la risoluzione del contratto dal fallimento di una delle parti, anche per quelle che attribuiscono ad una delle parti il diritto di recedere ex art. 1373 c.c. in caso di fallimento dell'altra (Vattermoli, 1001).

Efficace, invece, è la clausola che determina lo scioglimento del contratto non in conseguenza del fallimento ma dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento ad opera di una delle parti (clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.) (Cass. n. 376/1998).

Il subingresso nei contratti di durata e l'art. 74 l.fall.

Nel caso in cui il curatore subentri (per scelta o ex lege) in un rapporto contrattuale di durata ad esecuzione continuata o periodica, si è discusso, nella disciplina anteriore, se il curatore fosse obbligato, in prededuzione, al pagamento delle sole prestazioni postfallimentari ovvero anche di quelle ricevute dal fallito prima del fallimento.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 4715/1996, avevano, sul punto, ritenuto che le norme, come l'art. 74, comma 2, nel suo testo originario, che nel caso del contratto di somministrazione prevedevano l'obbligo del curatore subentrante di pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute, non potessero avere generale applicazione a tutti i casi di continuazione del rapporto contrattuale pendente al quale detta disciplina specifica non fosse stata normativamente estesa, dovendosi, piuttosto, considerare espressione di una disciplina a carattere eccezionale.

Il contratto di somministrazione, infatti, — avevano rilevato le Sezioni Unite — non mira ad un risultato contrattuale unico (come si verifica per es. nella vendita a consegne ripartite), ma al riprodursi di un risultato contrattuale completo e definitivo in ogni sua manifestazione, per cui le singole prestazioni sono tra di loro indipendenti e distinte, avendo come unico elemento comune il fondamento giuridico sulla cui base sono dovute, e possono essere rinnovate. Di conseguenza, ogni atto di prestazione e controprestazione non costituisce un adempimento parziale del contratto di durata, ma un adempimento pieno delle obbligazioni da esso sorgenti: ogni consegna appaga, infatti, interessi strutturalmente autonomi del creditore, per cui non è individuabile, per la stessa struttura del contratto di durata, una prestazione unica, ma una pluralità di prestazioni in relazione al ripetersi periodico, o continuativo, nel tempo del bisogno del creditore, ancorché la pluralità delle prestazioni sia collegata dall'unicità del contratto che ne è la fonte obbligatoria.

Così configurata, la natura del contratto di somministrazione non è di per sé incompatibile col fatto che una parte dei crediti sorti dal contratto debba essere pagata in prededuzione ed altra abbia natura concorsuale.

La disciplina dettata dall'art. 74, comma 2, l.fall., non costituisce, dunque, applicazione dell'unità di prestazione derivante dall'unicità del contratto di somministrazione, né è propria del rapporto di somministrazione o conseguenza della natura di detto rapporto, essendo, piuttosto, il frutto del contemperamento, operato equitativamente dalla legge, fra gli interessi della massa e quelli del terzo contraente (conf. Cass. n. 11855/2006; Cass. n. 396/2001, per la quale l'art. 74 l.fall., là dove stabilisce che il curatore che subentra nel contratto di somministrazione deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute, prevedendo la possibilità di pagare in prededuzione anche le prestazioni effettuate prima dell'inizio della procedura concorsuale e ciò in deroga al generale principio della par condicio creditorum di cui all'art. 2741 c.c., costituisce norma di carattere eccezionale e, quindi, inapplicabile oltre i casi in essa considerata).

La riforma del 2006 non aveva risolto il dubbio, rimanendo, in particolare, controverso se, nei contratti di durata, la regola stabilita dagli artt. 74, comma 2, e 82, comma 2, l.fall., relativamente alla somministrazione ed alla vendita a consegne ripartite nonché all'assicurazione contro i danni, vale a dire l'assunzione in prededuzione — a seguito del subingresso (rispettivamente, volontario o legale) del curatore – tanto delle controprestazioni eseguite dopo il fallimento, quanto di quelle anteriormente eseguite, trovasse, o meno, applicazione anche nei rapporti di durata diversi da quelli sopra indicati.

La questione è stata risolta solo con il decreto correttivo.

Il d.lgs. n. 169/2007 ha, infatti, dettato una disposizione di carattere generale (e non più applicabile, come in precedenza, solo ai contratti di somministrazione e di vendita a consegne ripartite), e cioè l'art. 74 l.fall., rubricato, appunto, «contratti ad esecuzione continuata o periodica», il quale, nel testo in vigore, prevede che, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, «se il curatore subentra... deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati».

La norma, quindi, fissa un principio di carattere generale (confermato in materia di contratto di assicurazione contro i danni, per il quale l'art. 82, comma 2, l.fall. dispone che il curatore deve pagare anche i premi scaduti prima del fallimento), il quale – con salvezza delle norme che dettano una disciplina in tutto o in parte diversa (come, ad es., nel caso del mandato ex art. 78, comma 3, l.fall. o della locazione ex art. 80 l.fall.) — trova applicazione non più soltanto nei contratti di somministrazione e di vendita a consegne ripartite, ma a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica (Guglielmucci, 2010, 299; Patti, 1642), come, ad es., la subfornitura industriale prevista dalla l. n. 192/1998 (Santone, 1057; Patti, 1642, 1643).

Non è chiaro il riferimento, che la norma contiene, alla erogazione dei servizi: la somministrazione, infatti, a norma dell'art. 1559 c.c., è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, ad eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o continuative di «cose», con la conseguente esclusione, dal suo ambito, delle prestazioni di opere o servizi, che caratterizzano, invece, il contratto di appalto.

In tal senso, del resto, si è espressa la giurisprudenza, secondo la quale, infatti, «ai fini della differenziazione tra il contratto di appalto e di somministrazione... il criterio distintivo da adottare si fonda sul principio secondo cui, nel caso di prestazione continuativa di servizi anziché di cose, si ha contratto di appalto» (Cass. n. 12546/2003).

In dottrina, quindi, si è ritenuto che, se non si vuole dare alla norma una portata modificativa o interpretativa del codice civile, i «servizi», cui la stessa riferimento, sono, in realtà, i servizi di erogazione di acqua o energia ovvero quelli di gestione di mense, nei quali prevale la consegna della cosa prodotta della stesso somministrante e, quindi, il facere è accessorio o strumentale rispetto al dare, dando, così, luogo ad una somministrazione e non ad un appalto (Zanichelli, 178, 179).

Del resto, la giurisprudenza ha evidenziato come si ha somministrazione nel caso in cui le cose da somministrare in via continuativa debbano essere prodotte dal somministrante; inoltre, quando l'attività di fare è strumentale rispetto all'erogazione, si resta nell'ambito della somministrazione, se, invece, è prevalente il lavoro prestato, si ha appalto (Cass. n. 12546/2003).

La norma, secondo i principi in precedenza esposti, presuppone che il contratto ad esecuzione continuata o periodica sia rimasto, al momento del fallimento, ineseguito, in tutto o in parte, da entrambe le parti: vale a dire quando, al momento del fallimento, una parte non abbia adempiuto integralmente la propria obbligazione, eseguendo il servizio o consegnato i beni dedotti in contratto, e l'altra non ha pagato in anticipo l'intero prezzo.

Viceversa, se tali condizioni non sono sussistenti, nel senso che, al momento della sentenza dichiarativa, le obbligazioni assunte hanno già ricevuto, almeno da una delle parti, compiuta esecuzione, la norma non trova applicazione, al più residuando un credito dell'una verso l'altra: e, quindi, o un credito del fallito ovvero un debito del fallito, suscettibili, rispettivamente, di riscossione da parte del curatore ovvero di ammissione al passivo.

La norma, come detto, stabilisce che il curatore, nel caso in cui subentri nel rapporto di durata pendente, assume l'obbligo di pagare integralmente anche il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati.

Non è, tuttavia, chiaro se la norma trovi applicazione in tutti i casi di subingresso del curatore nel rapporto pendente, e, quindi, anche se ciò accade ex lege, ovvero, come sembra preferibile, solo nei casi di subingresso volontario (Guglielmucci, 2010, 300, 301; Patti, 1646). In ogni caso, la norma si applica solo nel caso in cui il contratto di durata pendente abbia ad oggetto consegna di cose mobili o erogazione di servizi e non anche quando abbia ad oggetto prestazioni diverse da queste (Zanichelli, 180, 181).

La norma, quindi, ove così interpretata, da un lato, conferma che, secondo la regola generale stabilita dall'art. 72, comma 1, l.fall., anche l'esecuzione del contratto di durata è sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di subentrare nel contratto in luogo del fallito ovvero di sciogliersi dal medesimo (Zanichelli, 180), e, dall'altra parte, in deroga rispetto agli effetti giuridici che normalmente conseguono al subingresso, dispone che il curatore che subentra nel rapporto ha l'obbligo di pagare, per intero, e, quindi, in prededuzione (art. 111 l.fall.), il prezzo, oltre che delle consegne e dei servizi successivamente erogati, anche delle consegne già eseguite e dei servizi già erogati: vale a dire crediti che, altrimenti, in quanto sorti prima del fallimento, sarebbero stati soggetti al concorso dei creditori (Carinci, 176, 177).

Ne sono, tuttavia, escluse le prestazioni operate nel periodo in cui il rapporto è rimasto in regime di sospensione (Santone, 1060).

La norma, per come è formulata, disciplina solo l'ipotesi in cui il curatore del fallimento del somministrato e, più in generale, del beneficiario delle prestazioni di beni e servizi, subentri nel rapporto pendente: tutte le altre ipotesi, quindi, riguardanti lo scioglimento o il fallimento del somministrante o del prestatore di beni o servizi, sono assoggettate alla disciplina generale previsto dell'art. 72 l.fall., quale norma che trova applicazione in tutte le ipotesi non regolate espressamente (Patti, 1643).

Il subingresso del curatore nel rapporto pendente si distingue rispetto al caso della stipula di un nuovo contratto di somministrazione. Tuttavia, nell'ipotesi in cui, in relazione ad un contratto di somministrazione in corso alla data della dichiarazione di fallimento, il curatore chieda al fornitore la stipulazione di un nuovo contratto in ragione delle mutate esigenze di fornitura della procedura rispetto a quelle della società in bonis, il somministrante, ove ritenga che tale richiesta si debba inquadrare giuridicamente come subentro nel contratto preesistente, ha l'onere di proporre reclamo ex art. 36 l.fall. contro la determinazione contraria del curatore; in mancanza, il comportamento del somministrante, che abbia dato corso alle forniture, integra per fatti concludenti un rapporto di somministrazione nuovo e diverso rispetto a quello precorso, con la conseguenza che i crediti per le forniture anteriori alla dichiarazione di fallimento non possono essere regolati in via di prededuzione (Trib. Torino 7 settembre 2011, in Fall. 2011, 1479).

Gli effetti dello scioglimento

Nel caso in cui il curatore opti per lo scioglimento del contratto, così come nel caso in cui il rapporto è sciolto ex lege, il contraente in bonis rimane liberato dalle relative obbligazioni e recupera la disponibilità dei beni in esso dedotti e la proprietà di quelli alienati: in caso di parziale esecuzione delle prestazioni, ha il diritto di recuperarla in moneta fallimentare (art. 72, comma 4, l.fall.).

Nei contratti ad esecuzione istantanea (ivi compresa la vendita a consegne ripartite che, una volta sottratta all'applicazione dell'art. 74, nel testo in vigore, è tornata ad essere assoggettata, quale contratto ad esecuzione istantanea, sia pur ad effetti ripartiti, alla disciplina comune: Santone, 1057 ss.; Patti, 1642; Zanichelli, 179; Carinci, 179), lo scioglimento è retroattivo, per cui ciascuno dei contraenti ha il diritto alla ripetizione delle prestazioni parziali eventualmente eseguite in favore della controparte (Guglielmucci, 1979, 129; in giurisprudenza v. Cass. 5494/2001, per cui, qualora, dichiarato il fallimento, il curatore fallimentare opti, ex art. 72, comma 4, l.fall., a favore dello scioglimento del contratto, la relativa dichiarazione esplica un'efficacia di caducazione del contratto fin dall'origine, facendola venire meno con effetti retroattivi e definitivi, equiparabili alle ipotesi di nullità o di risoluzione, in cui si verifica il venir meno dell'originario titolo negoziale con effetto ex tunc).

Nei contratti a prestazioni periodiche, dove l'interesse dei contraenti è già soddisfatto dalle prestazioni parziali eseguite, trova, invece, applicazione la normativa di diritto comune per cui, in tali contratti, lo scioglimento non ha effetto retroattivo e non obbliga alla restituzione delle prestazioni già eseguite (cfr. gli artt. 1458, comma 2, 1360, comma 2, 1373, comma 2, 1467 c.c.) (In tal senso, cfr. Guglielmucci, 1979, 131; Patti, 1610; Santone, 1058). In tali contratti, quindi, lo scioglimento ha effetto a partire dalla dichiarazione di fallimento (pur se il curatore abbia dichiarato di far decorrere l'effetto ex nunc: Guglielmucci, 2008, 145, 146) e consente, quindi, al contraente in bonis di insinuare al passivo i crediti maturati nei confronti del fallito per le prestazioni allo stesso rese prima del fallimento (Zanichelli, 180; Patti, 1646).

I crediti restitutori del contraente in bonis verso il fallito sono concorsuali, a meno che si tratti di credito alla restituzione di cose determinate, come tali sottratte alla falcidia fallimentare.

In tal senso, del resto, depone espressamente la riforma, nella parte in cui l'art. 72, comma 4, l.fall., nuovo testo, ha espressamente previsto che, in caso di scioglimento, il contraente ha il diritto di far valere il credito conseguente mediante insinuazione al passivo.

In una particolare fattispecie, tuttavia, Cass. n. 20113/2016 ha ritenuto che il credito per restituzione della caparra versata in relazione ad un preliminare di compravendita immobiliare che, autorizzato dal giudice delegato nel corso del concordato preventivo precedente il fallimento della promittente venditrice, sia stato successivamente sciolto, per volontà del curatore e con efficacia retroattiva, ex art. 72 l.fall., è prededucibile nel suddetto fallimento, non ostandovi l'avvenuto scioglimento di quel contratto, né l'eventuale sua nullità, atteso che l'attività degli organi della procedura genera crediti prededucibili indipendentemente dalla verifica in concreto della loro funzionalità rispetto alle esigenze della stessa.

È escluso, invece, qualunque diritto del terzo al risarcimento dei danni conseguenti allo scioglimento del rapporto stipulato con il fallito, né verso la massa, né verso il fallito, atteso il principio, reputato di applicazione generale, di cui all'art. 72, comma 4, l.fall. (confermato, con la riforma, con norma di carattere generale, dall'art. 72, comma 4, l.fall.). In tal senso, in giurisprudenza, Cass. n. 21411/2013, per la quale lo scioglimento del contratto di appalto in conseguenza del fallimento dell'appaltatore, a norma dell'art. 81 l.fall., costituisce un effetto legale ex nunc della sentenza dichiarativa e non é, quindi, causa di responsabilità della procedura nei confronti del committente.

L'art. 72, comma 4, l.fall., nel testo introdotto dalla riforma del 2006, dispone che, in conseguenza dello scioglimento, il contraente in bonis può insinuare al passivo «il credito conseguente al mancato adempimento».

La norma non ha riprodotto l'espressione contenuta nella norma abrogata secondo la quale il contraente in bonis ha diritto a far valere il suo credito nel passivo ma senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.

Non è chiaro se la norma, limitandosi a stabilire che deve trattarsi del diritto conseguente al mancato adempimento, faccia riferimento al diritto (da insinuare al passivo) del contraente non fallito alla restituzione di quanto prestato.

Tuttavia, se si considera che proprio il mancato adempimento delle obbligazioni contrattuali ad opera dei contraenti rende il contratto suscettibile di sospensione ex art. 72 l.fall. e, quindi, di scioglimento, si può ritenere, come nel passato, che il contraente non fallito, a seguito dello scioglimento determinato dal curatore, è legittimato ad insinuare al passivo il credito che consegue a tale scioglimento, vale a dire, appunto, la pretesa alla restituzione di quanto avesse eventualmente prestato medio tempore al contraente poi fallito (Vattermoli, 997).

La scelta del curatore di sciogliersi dal contratto, effettuata ex art. 72 l.fall., non è, infatti, assimilabile all'esercizio della facoltà di recesso e fa venire meno il vincolo contrattuale con effetto «ex tunc», nel senso che deve essere ripristinata la situazione anteriore alla stipula del contratto (nella specie, un preliminare), così che le restituzioni ed i rimborsi opereranno secondo la disciplina dettata dalle norme dell'indebito, in quanto l'efficacia retroattiva della scelta priva di titolo sin dall'origine le prestazioni eseguite (Cass. n. 17405/2009).

Il credito restitutorio ha natura chirografaria, se non è diversamente stabilito (come, a talune condizioni, in caso di contratto preliminare: art. 72, comma 7 — già comma 5 — l.fall.), e, se ha per oggetto una prestazione pecuniaria, deve essere insinuato al passivo, trattandosi di debito concorsuale e non di massa (Cass. n. 17405/2009, che ha cassato la sentenza impugnata, che aveva pronunciato invece condanna del fallimento alla restituzione della somma versata, quale acconto, dal promittente acquirente).

Se la prestazione indebita riguarda cose determinate, il contraente in bonis ha diritto alla restituzione delle stesse in natura ovvero all'ammissione al passivo per il relativo controvalore: se, però, sono state acquisite dal curatore e non più rinvenute, il contraente in bonis ha diritto al versamento, in prededuzione, di una somma corrispondente al loro valore di mercato.

Il contraente in bonis non ha, invece, il diritto al risarcimento dei danni che subisce in conseguenza dello scioglimento provocato dalla scelta del curatore di risolvere il rapporto (art. 72, comma 4, l.fall., nel testo abrogato e nel testo in vigore, come modificato dal d.lgs. n. 169/2007), che, derivando da un atto legittimo del curatore, non può configurarsi come inadempimento imputabile (prima della riforma, in tal senso: Guglielmucci, 1979, 115, 116, 117; dopo la riforma, Vattermoli, 1000).

In giurisprudenza v. Cass. n. 19219/2009, che ha invocato «il principio generale, desumibile dagli artt. 55 e 72 della l.fall., che, quale riflesso della cristallizzazione di tutti i crediti alla data di apertura della procedura concorsuale, esclude il risarcimento dei danni per qualunque ipotesi di scioglimento del contratto a seguito del fallimento, sia essa o meno dipendente dalla volontà del curatore»; conf. Cass. 2754/2002, per cui dalla disposizione dell'art. 72 l.fall., che, benché dettata in relazione al contratto di compravendita, costituisce espressione di una regola generale, si desume il principio secondo cui lo scioglimento del rapporto contrattuale, determinato dalla dichiarazione di fallimento, non giustifica l'insorgere, in favore del contraente in bonis, del diritto al risarcimento dei danni subiti a causa dell'anticipata interruzione del rapporto, salvo che il danno non sia riconducibile ad inadempimenti verificatisi prima della sentenza dichiarativa del fallimento).

In tal senso, del resto, depongono le norme che, in taluni casi specifici, parimenti dispongono che, in caso di scioglimento da parte del curatore, il contraente in bonis non ha diritto al risarcimento dei danni: si pensi all'ipotesi del promissario acquirente prevista dall'art. 72, comma 7, l.fall..

Il contraente in bonis può, invece, insinuarsi al passivo relativamente al diritto al risarcimento dei danni già maturati prima del fallimento, pur se non abbia proposto, prima del fallimento, la relativa domanda giudiziale, come ad es., i danni conseguenti all'omessa tempestiva consegna della merce venduta e dalla perdita di una lucrosa occasione di rivenderla presentatasi prima del fallimento (Guglielmucci, 1979, 115, 116, 117; dopo la riforma, Vattermoli, 1000).

Ed infatti, dalla disposizione dell'art. 72 l.fall. (che, benché dettata in relazione al contratto di compravendita, costituisce espressione di una regola generale) si desume il principio secondo cui lo scioglimento del rapporto contrattuale, determinato dalla dichiarazione di fallimento, non giustifica l'insorgere, in favore del contraente in bonis, del diritto al risarcimento dei danni subiti a causa dell'anticipata interruzione del rapporto, salvo che il danno non sia riconducibile ad inadempimenti verificatisi prima della sentenza dichiarativa del fallimento.

A tale principio si ricollega l'art. 55 l.fall. il quale, disponendo che i crediti sono conteggiati, agli effetti del concorso, per l'importo esistente alla data di apertura della procedura, esclude la possibilità di riconoscere, agli stessi fini, in favore dei singoli creditori, malgrado ogni intesa contraria, pretese risarcitorie o indennitarie non riconducibili a situazioni determinatesi prima di tale momento (Cass. n. 2754/2002).

Anche qui si discute se, relativamente alle reciproche obbligazioni restitutorie conseguenti allo scioglimento provocato dal curatore, possa o meno trovare applicazione la compensazione prevista dall'art. 56 l.fall.

Secondo una prima ricostruzione, la disciplina della speciale compensazione dettata dall'art. 56 l.fall., sebbene abbia come necessario presupposto l'autonomia dei rapporti dai quali le obbligazioni reciproche delle parti traggono origine, non è incompatibile con la sua applicabilità ad ipotesi nelle quali, trattandosi di obbligazioni derivanti da un unico rapporto giuridico o anche da rapporti fra loro collegati, occorre procedere soltanto ad un accertamento di dare e avere ossia ad un semplice calcolo di contrapposte voci contabili: ciò che si verifica con riferimento all'ipotesi in cui i contrapposti rapporti creditizi collegati derivino rispettivamente da un contratto di compravendita e dallo scioglimento del medesimo ai sensi dell'art. 72 l.fall., operando anche in tale ipotesi la ratio di impedire che il debitore-creditore si trovi a dover soddisfare per intero il proprio debito ed a subìre la tacitazione del suo credito in moneta fallimentare e rispondendo le contrapposte posizioni a rapporti definitivi, nel senso che l'intervenuto scioglimento del contratto — provocato dalla curatela fallimentare — opera anche nei confronti delle parti contraenti e quindi del fallito, che può avvalersene anche dopo il ritorno in bonis (Cass. n. 6560/1990).

In altra prospettiva, invece, nel caso di fallimento del promissario compratore, la dichiarazione del curatore — ai sensi dell'art. 72 l.fall. — di scioglimento dal vincolo contrattuale agisce su di esso caducandolo fin dall'origine, con la conseguenza che il credito restitutorio per le attribuzioni patrimoniali, eventualmente effettuate dal promissario compratore fallito, in forza di quel contratto, non può reputarsi inerente ad un'obbligazione nascente dalla stessa dichiarazione del curatore e nemmeno dalla dichiarazione di fallimento, ma è relativo ad un'obbligazione che trova il suo fatto genetico nel venir meno della giustificazione contrattuale dell'attribuzione patrimoniale fin dal momento della sua esecuzione. Ne consegue che, collocandosi tale momento anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il suddetto credito, in quanto deve considerarsi sorto prima del fallimento stesso, va ritenuto compensabile con il controcredito del promissario venditore sorto anch'esso anteriormente a detta dichiarazione (Cass. S.U., n. 755/1999: nella specie, le Sezioni Unite, enunciando tale principio, hanno corretto — ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c. — la motivazione dell'impugnata sentenza, con cui il giudice d'appello, aveva, invece, affermato quella compensabilità pur nel presupposto che il credito restitutorio — concernente somme versate a titolo di acconto sul prezzo della vendita definitiva — non potesse considerarsi sorto prima del fallimento; in tal senso, Guglielmucci, 1979, 130, 131; Patti, 1610).

Gli effetti della sospensione

In pendenza della sospensione, le parti sono esonerate dall'obbligo di adempiere le prestazioni ineseguite al momento del fallimento.

Il contraente in bonis ha, però, la facoltà di mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine entro cui effettuare l'opzione, trascorso inutilmente il quale il contratto si intende automaticamente sciolto (art. 72, comma 2, l.fall.).

Il termine, che nella disciplina previgente non poteva essere superiore ad otto giorni (art. 72, comma 3, l.fall.), è stato elevato, a seguito della riforma, a sessanta giorni: probabilmente per consentire al curatore di predisporre il programma di liquidazione e di assumere, in base alle determinazioni ivi contenute, la propria scelta.

I rapporti non espressamente previsti

Si discute quale, tra i tre criteri prima indicati, trovi applicazione per i rapporti pendenti non espressamente previsti dalla legge.

Nel vigore della disciplina anteriore alla riforma del 2006, l'opinione più diffusa — argomentando ora dall'art. 1461 c.c., il quale prevede, in generale, nei contratti a prestazioni corrispettive, il mutamento delle condizioni economiche dell'altra parte determina la sospensione del contratto, ora dall'art. 1372 c.c., posto che tanto il subingresso ex lege quanto lo scioglimento automatico costituiscono effetti incompatibili con la prevista efficacia del contratto nei confronti dei soli originari contraenti, ora dalla disciplina concorsuale, che configura come del tutto eccezionali i casi in cui il fallimento produce l'effetto dello scioglimento ovvero quello del subingresso automatico del curatore nel rapporto pendente — era che, in tali ipotesi, trovasse applicazione il principio fissato dall'art. 72, commi 2, 3 e 4, l.fall., nella parte in cui prevedeva la sospensione del contratto di compravendita in conseguenza del fallimento del venditore e l'attribuzione al curatore della facoltà di sciogliersi dal rapporto contrattuale pendente, con i conseguenti obblighi reciproci alle restituzioni di quanto prestato (ma, per il contraente in bonis, mediante l'insinuazione al passivo e senza il diritto al risarcimento dei danni subiti per effetto dello scioglimento), ovvero di subentrarvi, assumendo tutti i relativi diritti ma anche (ed in prededuzione) i corrispondenti obblighi (Guglielmucci, 1979, 4, 5; Cass. n. 10526/2016, con riguardo ad un contratto d'opera professionale).

La Riforma del 2006 ha espressamente confermato quest'indirizzo, dettando, con l'art. 72, comma 1, l.fall., la regola generale secondo la quale — fatte salve le disposizioni diverse contenute nella stessa legge (si pensi, in particolare, alle norme dettate, direttamente o indirettamente, in caso di esercizio provvisorio dell'impresa e di cessazione dello stesso nonché di affitto e retrocessione dell'azienda affittata: artt. 104 e 104-bis l.fall.) e, si ritiene, nelle leggi speciali (Jorio, 499) — l'esecuzione dei contratti stipulati dal fallito, che al momento del fallimento di uno dei contraenti siano ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti (ovvero, come aggiunto con il decreto correttivo del 2007, dei contratti reali che non abbiano ancora determinato l'effetto traslativo del diritto), è sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo.

La norma – che, in conseguenza dell'espresso rinvio operato dall'art. 72, comma 3, l.fall., è applicabile anche al contratto preliminare, indipendentemente dall'oggetto (Patti, 1633, per il quale il rinvio opera con riguardo anche ai commi 2, 4, 5 e 6 dell'art. 72) – è stata considerata costituzionalmente legittima (Cass. n. 1601/1999, la quale, infatti, ha ritenuto che «è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 72 della l.fall. per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui attribuisce al solo curatore la facoltà di scegliere tra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto, in quanto non possono essere collocate sullo stesso piano le posizioni del singolo contraente e quelle dell'ufficio fallimentare, il quale mira a conservare, nell'interesse della massa dei creditori, la garanzia costituita dal patrimonio del debitore fallito ed a realizzare la «par condicio», che potrebbe essere alterata qualora il fallimento fosse costretto a subire un'azione esecutiva individuale qual è quella disciplinata dall'art. 2932 c.c.». Conf. Cass. n. 3521/1999).

A tale regola generale fa, tuttavia, eccezione l'art. 104, comma 8, l.fall., il quale, per l'ipotesi in cui il tribunale abbia autorizzato l'esercizio provvisorio dell'impresa, prevede che «durante l'esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l'esecuzione o scioglierli», aggiungendo, al comma 10, per i contratti la cui esecuzione sia proseguita in virtù della predetta norma (e senza che il curatore abbia esercitato la facoltà di sospensione o scioglimento), che «al momento della cessazione dell'esercizio provvisorio si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del capo III del titolo II»: quindi, al termine dell'esercizio provvisorio «rivive» la regola generale di cui all'art 72 e la relativa disciplina.

L'art. 104, comma 8, prevede, infine, che «i crediti sorti nel corso dell'esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi dell'art. 111, comma 1, n. 1)», come, del resto, confermato dalla Relazione illustrativa, nella parte in cui afferma che «le norme in materia di effetti dal fallimento sui rapporti giuridici pendenti trovano impregiudicata applicazione anche al momento della cessazione dell'esercizio provvisorio dell'impresa per quei contratti ancora pendenti alla medesima data» e che «al fine di dirimere possibili contrasti, è espressamente previsto che i crediti sorti durante l'esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione nel fallimento».

I profili procedurali e processuali

Nella disciplina previgente, si riteneva che la scelta del curatore di subentrare potesse essere esercitata attraverso una dichiarazione unilaterale e recettizia, manifestabile oltre che verbis, anche per facta concludentia, poiché non richiedeva particolari formalità (Cass. n. 25876/2011; Cass. n. 787/2013, con riferimento alla proposizione, ad opera del curatore, di un atto di appello avverso la pronuncia di primo grado che invece pronuncia il trasferimento coattivo ai sensi dell'art. 2932 c.c., poiché involge il conferimento di un mandato alle liti «ad hoc», costituisce idonea manifestazione, anche in assenza di una sua specifica sottoscrizione sull'atto con cui il gravame è concretamente formulato, della sua volontà di sciogliersi dal menzionato contratto).

Inoltre, per opinione diffusa, tanto la scelta di subentrare quanto quella di sciogliere il contratto dovevano essere autorizzate dal giudice delegato, se non altro per l'assunzione di obbligazioni in prededuzione conseguenti al subingresso (Cass. n. 4109/1982; in senso contrario, invece, Cass. n. 25876/2011; Cass. n. 787/2013; Cass. n. 12462/2016).

Nella disciplina introdotta con la riforma, la scelta del curatore di subentrare o sciogliersi deve essere, invece, espressamente «dichiarata» (v. art. 72, comma 1, l.fall.), e non può, quindi, essere manifestata con un mero comportamento concludente (in senso contrario, però, Dimundo, 221, per cui «la dichiarazione di subentro deve essere emessa con un atto positivo, sia esso espresso che per fatti concludenti, come l'esecuzione spontanea del contratto sospeso») e richiede l'autorizzazione (almeno per il subingresso) del comitato dei creditori, espressa secondo le forme previste per le relative deliberazioni.

Si discute se l'autorizzazione sia necessaria solo per il subingresso (Patti, 1607) ovvero anche per lo scioglimento (in senso favorevole, Bonfatti-Censoni, 326; Dimundo, 221. In senso contrario, Vattermoli, 994, 995).

L'autorizzazione del comitato dei creditori è reclamabile al giudice delegato ex artt. 25, n. 5, e 36 l.fall.. In caso di urgenza o di mancata costituzione o di inerzia, provvede il giudice delegato (art. 41, comma 4, l.fall.).

L'autorizzazione non è necessaria se la scelta è contenuta nel programma di liquidazione regolarmente approvato (Bonfatti-Censoni, 326).

La scelta di subentrare (che, in quanto espressione di una facoltà del curatore, non è reclamabile ex art. 36 l.fall., né da parte del fallito, né del contraente in bonis né dal comitato dei creditori, per mancanza di violazione di legge, salva, ovviamente, la revoca o la sostituzione: Vattermoli, 996), ha natura negoziale e recettizia (Cass. n. 8686/2013), e si perfeziona, quindi, con la mera comunicazione — eventualmente anche mediante l'atto introduttivo di un giudizio — della volontà del suo titolare la controparte, e non può essere desunta dai documenti interni alla procedura e non diretti al promissario (Cass. n. 4109/1982).

La scelta del curatore di subentrare, ove non è autorizzata, è annullabile (Patti, 1607) o, in altra prospettiva, inopponibile (Vattermoli, 996).

Sul piano processuale, le azioni conseguenti all'applicazione delle norme in tema di rapporti pendenti sono di competenza del tribunale che ha dichiarato il fallimento ex art. 24 l.fall. ove abbiano subito una deviazione rispetto al loro schema legale tipico (Cass. n. 6560/1990: Alla vis attractiva prevista dall'art. 24 l.fall. — il quale attribuisce al tribunale che ha dichiarato il fallimento la competenza a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, con la sola eccezione di quelle reali immobiliari —, mentre si sottraggono le azioni che sono già nel patrimonio del fallito e cioè corrispondenti a diritti già esistenti prima del fallimento e che si trovano con questo in rapporto di mera occasionalità, soggiacciono tutte le controversie, ancorché relative a rapporti preesistenti, che, a causa del fallimento, abbiano subito deviazioni dal loro schema legale tipico, ivi comprese quelle aventi ad oggetto azioni cui dà vita la disciplina degli effetti del fallimento medesimo su detti rapporti, come l'azione promossa dal curatore, che abbia esercitato il potere di sciogliersi dal contratto di vendita (quando il compratore sia stato dichiarato fallito ed il contratto non sia stato ancora eseguito da entrambi i contraenti): e ciò senza che all'origine endofallimentare dell'azione sia di ostacolo il carattere definitivo delle conseguenze dalla medesima prodotte sul relativo rapporto, destinate a sopravvivere alla procedura fallimentare e ad imporsi alla parte pur dopo che il fallito sia ritornato in bonis).

In particolare, deriva dal fallimento ed appartiene, quindi, alla competenza del tribunale che lo ha dichiarato ex art. 24 l.fall. l'azione di restituzione delle prestazioni compiute in esecuzione del contratto poi sciolto in conseguenza dell'esercizio da parte del curatore del potere previsto dall'art. 72 l.fall.: ed infatti, se elemento costitutivo di una dichiarazione di scioglimento ai sensi dell'art. 72 è la pregressa esistenza della dichiarazione di fallimento, in mancanza della quale un siffatto scioglimento non potrebbe esservi secondo la normale disciplina dei contratti, l'atteggiarsi del fallimento come elemento costitutivo necessario della fattispecie di scioglimento e, quindi, dell'azione restitutoria che su di essa si basa, ponendosi come elemento che sul piano giuridico è necessario per la sua verificazione, certamente determina che l'azione nascente dallo scioglimento è un'azione che «deriva» dal fallimento (Cass. n. 27304/2013).

La risoluzione del contratto per inadempimento del fallito

Strettamente connessa alla disciplina dei rapporti pendenti è la problematica relativa alla risoluzione del contratto per inadempimento del fallito.

In linea di principio, l'inadempimento che consegue al fallimento di una delle parti non è idoneo, dopo la dichiarazione di fallimento della parte inadempiente, a provocare la risoluzione del contratto a norma dell'art. 1453 c.c.

In effetti, in deroga rispetto ai comuni canoni civilistici — che, invece, consentono, in caso di inadempimento (di non scarsa rilevanza ex art. 1455 c.c.), alla parte adempiente o che è pronta ad adempiere di agire in giudizio per l'adempimento ovvero, in alternativa, per ottenere una pronuncia che provoca lo scioglimento del contratto, normalmente con effetto retroattivo, oltre al risarcimento dei danni (artt. 1453 e 1458 c.c.) — il contraente in bonis, in caso di fallimento (e di conseguente inadempimento del contratto ad opera della parte fallita, che è giuridicamente impossibilitata ad eseguire la prestazione: art. 44, comma 1, l.fall.), non può agire né per l'adempimento né per la risoluzione del contratto (Cass. n. 3728/2011; Zanarone, 145; in senso contrario, Cass. n. 1648/1994, per la quale, invece, la domanda di risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell'acquirente e di restituzione della cosa già consegnata a quest'ultimo non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto, tenuto conto che essa non incide sulla par condicio creditorum, in conseguenza della retroattività tra le parti della risoluzione del contratto, che si traduce nell'obbligo di restituzione della cosa acquisita dal contraente ancora in bonis prima della dichiarazione di fallimento, da considerarsi, pertanto, come mai entrata a far parte della massa attiva fallimentare) e neppure per il risarcimento dei danni subiti per effetto del fallimento medesimo, che di per sé non è fatto attributivo di responsabilità a carico del fallito (Vattermoli, 99).

Il fondamento di tale orientamento sta, secondo alcuni, nel vincolo di indisponibilità che sui beni del fallito si determina in conseguenza del fallimento in funzione della soddisfazione paritaria di tutti i creditori i quali, pertanto, se di fronte al già verificatosi inadempimento del debitore, non si sono avvalsi del diritto potestativo di chiedere la risoluzione del rapporto, non possono esercitarlo dopo la dichiarazione di fallimento con l'effetto di modificare, a proprio favore e verso la massa, la posizione di cui sono titolari. La stessa ratio ostativa della proponibilità della domanda di risoluzione contrattuale contro il fallimento dell'inadempiente, impedisce che dopo la dichiarazione di fallimento di quest'ultimo possa il contraente in bonis fare accertare, con riferimento ad un inadempimento anteriore, il pregresso avveramento di una condizione risolutiva, se non abbia proposto prima del fallimento la relativa domanda (Cass. n. 3728/2011; Cass. n. 4365/2001).

In altra prospettiva, invece, l'improponibilità, dopo il fallimento, dell'azione di risoluzione trae il suo fondamento nella convinzione che, una volta dichiarato il fallimento, una pronuncia di risoluzione nei confronti del curatore, con i conseguenti effetti restitutori e risarcitori a danno della massa, violerebbe, in generale, la disciplina dettata per i rapporti pendenti, che, invece, come detto, rimette alle scelte di volta in volta della legge o del curatore la prosecuzione ovvero lo scioglimento dei rapporti pendenti (Jorio, 498, 499).

Questa regola vale, però, solo a favore della massa dei creditori, nel senso che il curatore, invece, di fronte all'inadempimento della controparte, può ben attivare gli ordinari rimedi a tutela dei diritti conseguenti al contratto in cui è subentrato, e cioè agire per l'adempimento ovvero per la risoluzione, assumendosene – naturalmente – tutti gli oneri. Così, ad es., nel caso in cui il fallito aveva venduto un bene (al di fuori del periodo sospetto) ed aveva ricevuto una parte del prezzo, se il curatore agisce per la risoluzione del contratto per inadempimento del compratore in ordine al completo pagamento del prezzo, ha il diritto di ottenere la restituzione del bene a suo tempo venduto ma è obbligato, in prededuzione, a restituire al compratore la parte di prezzo a suo tempo ricevuta dal fallito in bonis (arg. ex art. 71 l.fall., che, nel disciplinare la medesima situazione nel caso dell'azione costitutiva di revocatoria fallimentare, e cioè il diritto del terzo alla restituzione di quanto prestato al fallito, degrada espressamente tale diritto a concorsuale: rimanendo, invece, ferme le regole generali al di fuori di tali ipotesi, ivi compresa, quindi, quella dell'azione costitutiva di risoluzione per inadempimento).

Diversamente è a dirsi, invece, per il caso in cui il contraente in bonis abbia già esperito l'azione di risoluzione, con sentenza passata in giudicato prima del fallimento: in tale ipotesi, infatti, i diritti (così conseguiti) alla restituzione di quanto prestato ed al risarcimento dei danni, in quanto già acquisisti (in senso negativo) al patrimonio fallimentare, sono opponibili al curatore: da far valere, naturalmente, secondo le regole ordinarie, e cioè mediante l'insinuazione al passivo del credito (pecuniario o riducibile ad una somma di denaro ex artt. 52 e 59 l.fall.) ovvero la domanda di restituzione del bene (ex art. 103 l.fall.).

Se la domanda di risoluzione del contratto è stata, invece, solo proposta dal contraente in bonis prima del fallimento (ed, in caso di immobili o mobili registrati, la domanda di risoluzione sia stata trascritta prima del fallimento ex art. 2652, n. 1, c.c.), il giudizio è opponibile ai creditori (comb. disp. artt. 45 l.fall., 2652, n. 1, e 2915, comma 2, c.c.) e prosegue, in sede ordinaria, nei confronti del curatore (art. 43 l.fall.), con la conseguenza che la sentenza di risoluzione del contratto, sebbene successiva al fallimento, è efficace nei confronti dei creditori concorsuali.

Il conseguente diritto restitutorio del contraente in bonis nei confronti del fallito va fatto valere, però, nelle forme del giudizio di verificazione del passivo, se si tratta di credito pecuniario o riducibile ad una somma di denaro ex art. 59 l.fall., ovvero con la restituzione del bene in natura, se trattasi di cosa determinata infungibile, oltre al risarcimento dei danni già maturati e giudizialmente richiesti, da far valere del pari mediante l'insinuazione al passivo (Andrioli, 1967, 417, 418; Cass. n. 12396/1998; Cass. n. 10780/2003, in materia di beni mobili).

La domanda di risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell'acquirente non trova, quindi, ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto qualora essa risulti «quesita», prima della sentenza dichiarativa del fallimento stesso, attraverso la trascrizione della relativa domanda giudiziale, non potendosi essa legittimamente iscrivere, ex art. 24 l.fall., nel novero della «azioni derivanti dal fallimento» assoggettate alla vis attractiva della relativa procedura.

L'eventuale (e connessa) domanda di accertamento del diritto al risarcimento del danno, avendo ad oggetto una pretesa necessariamente assoggettata alla regola del concorso, non può, per converso, sopravvivere, in sede ordinaria, alla dichiarazione di fallimento, e deve essere fatta valere, previa separazione delle cause, nelle forme di cui agli artt. 93 seguenti della legge fallimentare, mentre la domanda principale di risoluzione prosegue, del tutto legittimamente, con il rito ordinario per la relativa decisione nel merito.

La riforma della legge fallimentare ha espressamente confermato tali principi.

L'art. 72, comma 5, l.fall., nel testo introdotto nel 2006, infatti, ha stabilito che l'azione di risoluzione del contratto promossa nei confronti della parte inadempiente, (solo se) promossa (e, nei casi in cui è prevista, trascritta) prima del suo fallimento (o meglio: della sua iscrizione nel registro delle imprese: artt. 16 e 45 l.fall., in relazione al principio generale stabilito dall'art, 2915 c.c.) spiega i suoi effetti nei confronti del curatore: il relativo giudizio, quindi, riassunto nei suoi confronti (art. 43 l.fall.), prosegue in sede ordinaria, fino alla decisione sul merito della domanda (Cass. n. 3953/2016).

Gli effetti restitutori che conseguono alla risoluzione, però, sia che abbiano ad oggetto una somma di denaro o un bene fungibile, sia che riguardino un bene determinato (mobile o immobile), devono essere fatti valere, al pari del risarcimento del danno, non in sede ordinaria, ma (se del caso in via condizionata all'accoglimento della domanda di risoluzione ex art. 55 l.fall., e quindi con riserva) con l'insinuazione al passivo (Cass. n. 3953/2016; Dimundo, 223, 224; Patti, 1618; sul rito applicabile, Di Marzio, 2009, 1183). In altra prospettiva, invece, tanto la domanda di risoluzione, quanto la domanda di restituzione e di risarcimento del danno, devono essere proposte nel giudizio di verificazione del passivo (Zanichelli, 2008, 162, 163).

La norma, per il resto, conferma che il contraente in bonis non può proporre, dopo il fallimento, la domanda di risoluzione del contratto per effetto dell'inadempimento del fallito, pur se questo è anteriore all'inizio della procedura (Vattermoli, 999).

La proposizione, prima del fallimento, della domanda di risoluzione nei confronti del contraente poi fallito, se ed in quanto opponibile al curatore, impedisce a quest'ultimo, a norma dell'art. 1453, comma 3, c.c., di scegliere il subingresso nel contratto per ottenere l'adempimento della prestazione, così come impedisce al contraente in bonis di richiedere, a norma dell'art. 1453, comma 2, c.c., l'adempimento della prestazione (Andrioli, 1967, 417, 418. Vattermoli, 999).

Il contraente in bonis che ha chiesto l'adempimento può, invece, chiedere la risoluzione del contratto, con effetti opponibili al curatore, purché la mutatio sia formalmente intervenuta prima del fallimento (Vattermoli, 999).

Rimane fermo (quale che sia la sorte del rapporto in conseguenza del fallimento: continuazione ovvero cessazione, per volontà della legge o del curatore) il diritto del contraente in bonis, a fronte di un pregresso inadempimento del fallito, di far valere (non la risoluzione del contratto ma), con l'insinuazione al passivo, il risarcimento dei danni (se e nella misura in cui siano effettivamente) già subiti prima del fallimento (artt. 1218 c.c. e 52 l.fall.), se del caso nella misura stabilita in sede di stipula di clausola penale (salva la riduzione ad equità) (Dopo la Riforma, Vattermoli, 1001 1002; Bonfatti-Censoni, 324, 325).

Nella disciplina anteriore alla Riforma, si è ritenuto che, dopo il fallimento del compratore, il venditore non può proporre domanda di risoluzione del contratto ancorché con riguardo a pregresso inadempimento del compratore, stante l'indisponibilità dei beni già acquisiti al fallimento, a tutela della par condicio e che tale principio trova applicazione anche nell'ipotesi di domanda diretta a far accertare, sempre con riferimento ad un inadempimento anteriore, l'avveramento di una condizione risolutoria del contratto con la conseguenza che, anche in tal caso, la domanda è esperibile soltanto prima della dichiarazione di fallimento. Infatti la pronuncia di risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, produrrebbe effetti restitutori lesivi del principio del paritario soddisfacimento di tutti i creditori e di cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche (Cass. n. 4365/2001).

Nella disciplina successiva alla riforma, invece, il riferimento espresso, contenuto nella norma dell'art. 72, comma 5, l.fall., all'azione di risoluzione, induce a ritenere che la relativa disciplina non trovi applicazione nei casi di risoluzione di diritto (Guglielmucci, 2008, 131, 12; in senso contrario, Patti, 1618, nt. 75).

In tale prospettiva, il contraente in bonis, a seguito dell'inadempimento del contraente, poi fallito, ha acquisito il diritto alla risoluzione di diritto (con i relativi effetti restitutori) che consegue alla diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) ovvero alla scadenza di termine essenziale (art. 1457 c.c.) ovvero alla dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), purché la fattispecie che produce la risoluzione si è integralmente verificato prima del fallimento e risulti da atti aventi data certa anteriore al fallimento (Jorio, 501; Vattermoli, 998), senza che, a tal fine, sia necessario che abbia proposto, prima del fallimento, la relativa domanda giudiziale (e l'abbia trascritta, se si tratta di beni immobili o beni mobili registrati).

Pertanto, ove l'inadempimento del contraente poi fallito si è verificato prima del fallimento, il contraente in bonis può proporre, nei confronti del curatore, la domanda di accertamento della risoluzione di diritto per effetto di:

a) diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., se il termine assegnato è scaduto prima della dichiarazione di fallimento (e, per l'effetto, tendenzialmente sospeso ex art. 72, comma 1, l.fall. in conseguenza della sentenza dichiarativa, salvo lo scioglimento per effetto della messa in mora ex art. 72, comma 2, l.fall.);

b) clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., se la dichiarazione di volersene avvalere è stata comunicata prima del fallimento (Cass. n. 7178/2002);

c) scadenza del termine essenziale, ove anteriore al fallimento (Vattermoli, 999, 1000; Cass. n. 9488/2013).

Il contratto di compravendita

Il contratto di compravendita, al pari di tutti i contratti corrispettivi, si configura come un rapporto pendente solo se, al momento della sentenza dichiarativa di fallimento di una delle parti, sia rimasto ineseguito o non ancora compiutamente eseguito da entrambe le parti.

Se fosse compiutamente eseguito, infatti, anche da una sola parte, non sarebbe più un rapporto pendente ai fini concorsuali, rimanendo da regolare solo gli eventuali diritti e doveri residui delle parti (al pagamento del prezzo ovvero alla consegna del bene venduto) autonomamente considerati.

A fini in esame, però, il contratto di compravendita, quale contratto da effetti reali, si considera eseguito quando, prima del fallimento, il venditore ha procurato il trasferimento della proprietà del bene: arg. ex art. 72, comma 1, l.fall., nel testo in vigore; art. 72, comma 4, vecchio testo, 72-bis, comma 1, l.fall., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 5/2006, ed è, viceversa, pendente quando il contratto non abbia determinato, al momento della dichiarazione di fallimento, il trasferimento del diritto (Cass. S.U., n. 12505/2004, per cui «il dato rilevante, in caso di fallimento del venditore, per l'esercizio del potere di scioglimento del contratto da parte del curatore fallimentare, è costituito (non dalla mancata esecuzione, totale o parziale, del contratto «da entrambe le parti», ma) dal mancato trasferimento della proprietà della cosa venduta al compratore»).

La consegna materiale della cosa, quindi, al pari dell'intervenuto pagamento del prezzo, non rilevano per stabilire se il contratto è o meno pendente, importando unicamente l'intervenuto trasferimento, al momento del fallimento, della cosa venduta al compratore (Maffei Alberti, 1985, I, 621), così come non rileva che non siano stati consegnati i titoli e documenti relativi al diritto trasferito (Bonfatti-Censoni, 320; in giurisprudenza, Cass. n. 3708/1983, per cui, ai fini dell'art. 72 legge fallimentare, per stabilire se al momento della dichiarazione di fallimento il contratto non sia stato eseguito da entrambe le parti, occorre avere riguardo alle obbligazioni fondamentali che a ciascuna di esse derivano dal negozio e non anche alle prestazioni accessorie; pertanto, in caso di vendita, la prestazione del venditore deve ritenersi eseguita quando prima del fallimento sia intervenuto il trasferimento della proprietà e la cosa sia stata consegnata all'acquirente) o che non si sia provveduto alla riproduzione del negozio nella forma idonea alla trascrizione, fermo restando, naturalmente, che, in quest'ultima ipotesi, l'acquirente abbia trascritto la domanda di accertamento dell'autenticità della sottoscrizione prima del fallimento (Guglielmucci, 1979, 153 e nt. 5: «in tal caso la vendita ha sicuramente efficacia traslativa e diviene opponibile al fallimento con la trascrizione della domanda giudiziale di accertamento dell'autenticità della sottoscrizione», escludendo, peraltro, che, a tal fine, sia necessaria, oltre alla trascrizione della domanda giudiziale, anche una scrittura di data certa anteriore al fallimento).

Il trasferimento della proprietà si verifica, come è noto, per effetto della formazione del consenso tra le parti legittimamente manifestato (art. 1376 c.c.): ma solo se si tratta di cose determinate (Andrioli, 1967, 418, Bonfatti-Censoni, 320).

Tale consenso non basta, invece, se si tratta di: vendita di cose di genere, perché occorre la specificazione (art. 1378 c.c.); vendita di cose altrui, perché è necessario che il venditore le acquisti o ne procuri l'acquisto all'acquirente (art. 1478 c.c.); vendita di cose future, essendo necessario che le cose vengano ad esistenza (art. 1472 c.c.); vendita sottoposta a condizione sospensiva, poiché deve verificarsi l'evento futuro ed incerto dedotto in contratto (artt. 1353 ss c.c.).

Il contratto, naturalmente, deve essere opponibile ai creditori a norma degli artt. 44 e 45 l.fall. (Andrioli, 1967, 419; Colesanti, 1972, 253).

Sotto questo profilo, la norma dell'art. 45 l.fall. si sovrappone alla disciplina dell'art. 72, comma 4, l.fall. nel senso che, in caso di mancata trascrizione prima della dichiarazione di fallimento, è inopponibile alla massa anche il contratto di vendita che abbia già prodotto effetto traslativo.

Solo qualora la trascrizione sia stata curata prima del fallimento, il contratto è opponibile alla massa, per cui l'eventuale effetto traslativo diviene rilevante in caso di fallimento del venditore: diversamente, il bene è considerato come mai uscito dal patrimonio del fallito (Maltoni, 1998, 51).

L'art. 72 l.fall., nel testo originariamente in vigore, disciplinava distintamente il caso del fallimento del venditore ed il caso del fallimento del compratore.

In caso di fallimento del compratore, la norma riconosceva al venditore il diritto (potestativo) di compiere la sua prestazione, cioè di eseguire il contratto, facendo valere nel passivo del fallimento il suo credito per il prezzo, in collocazione chirografaria, salve le prelazioni derivanti dalla natura della prestazione ovvero dalle qualità soggettive del titolare.

Nel caso in cui il venditore non esercitava il potere di adempiere, il contratto non si estingueva, ma rimaneva sospeso e la sospensione durava fino a quando il curatore del fallimento del compratore non avesse deciso di esercitare eventualmente il suo potere di subentrare in luogo del fallito nel contratto, assumendone gli obblighi relativi, con la conseguenza di obbligarsi a pagare in prededuzione il prezzo al venditore in bonis.

Nel caso in cui venditore non intendeva adempiere ed il curatore non si decideva a dichiarare se subentrare nel contratto o di sciogliersi, il terzo comma dell'art. 72 disponeva che il venditore potesse chiedere al giudice delegato di fissare al curatore un termine non superiore a otto giorni, decorso inutilmente il quale il contratto si intendeva sciolto di diritto.

In conseguenza dello scioglimento, le parti erano obbligate a restituire le attribuzioni patrimoniali anticipate, divenute prive di causa, per cui il curatore del fallimento del compratore aveva l'obbligo di restituire, se del caso a seguito di domanda di restituzione ex art. 103 l.fall., la cosa inventariata presso il fallito mentre il venditore doveva restituire al curatore la caparra e gli acconti eventualmente ricevuti dal compratore poi fallito.

La Riforma della legge fallimentare non ha riprodotto la disposizione, già contenuta nel primo comma dell'art. 72, comma 1, l.fall., che, in caso di fallimento del compratore, consentiva al venditore in bonis di eseguire la prestazione, facendo valere nel passivo del fallimento il credito per la controprestazione dovuta dal compratore fallito (Vattermoli, 997).

Trova, quindi, applicazione la norma generale dettata dall'art. 72, comma 1, l.fall.: del resto, al pari del caso del fallimento del venditore (Bonfatti-Censoni, 321, 322; Dimundo, 235; tuttavia, in deroga rispetto a tale regola generale, in caso di vendita di beni mobili, l'art. 75 l.fall. riconosce come opponibile al fallimento il potere di autotutela previsto dall'art. 1519 c.c. in favore del venditore, nei limiti in cui le cose non siano state consegnate all'acquirente poi fallito: Di Marzio, 810).

In caso di fallimento del venditore, se il bene è già stato trasferito in proprietà al compratore prima del fallimento, il curatore non ha la facoltà di sciogliersi dal contratto (art. 72, comma 4, l.fall., vecchio testo; art. 72-bis, comma 1, l.fall., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 5/2006; art. 72, comma 1, in fine, nel testo in vigore, l.fall), che, in effetti, è tenuto a rispettare: può solo proporre le azioni di impugnazione del contratto stesso per invalidità e/o inefficacia (Guglielmucci, 1979, 152 e 154. RUISI, 646 ss.; Jorio, 506, 507; Dimundo, 235; Di Marzio, 809, 810, 815).

Il compratore, quindi, se non ha pagato il prezzo, è obbligato a farlo in favore del curatore ma ha il diritto alla piena ed integrale consegna del bene ovvero, in caso di perdita del bene già al momento della dichiarazione di fallimento, al suo controvalore, mediante insinuazione al passivo, ovvero ancora, in caso di perdita del bene per cause imputabili alla procedura, al valore del bene in prededuzione (art. 103 l.fall.) (Cass. n. 13136/1997; conf. Cass. n. 12868/2002).

Il contratto, però, oltre ad aver già prodotto il trasferimento della proprietà, deve essere opponibile alla massa, nel senso che, trattandosi di immobili o di beni mobili registrati, è stato trascritto prima del fallimento ovvero, trattandosi di beni mobili non consegnati prima del fallimento o di universalità di mobili, abbia data certa, oppure, trattandosi di crediti, siano state esperite la notifica o vi sia stata l'accettazione del debitore ceduto (Guglielmucci, 1979, 152, 153).

In ipotesi di vendita non opponibile, la cosa venduta si considera come se non fosse mai uscita dal patrimonio del venditore fallito. Non deve tuttavia trascurarsi che, nonostante il fallimento, la vendita esiste con i suoi effetti reali fra le parti; anche in tale ipotesi pertanto la massa, se lo riterrà utile, potrà sostituirsi al fallito e subentrare nel contratto per esercitare le stesse facoltà che a quello sarebbero spettate (Ruisi, 649, 650).

Non rileva, ai fini in esame, la data di stipulazione del contratto ma solo che, prima del fallimento, si sia verificato l'effetto reale della vendita (Ruisi, 647).

Diversa è, invece, la disciplina applicabile nel caso in cui la vendita (sempre che sia opponibile ex artt. 44 e 45 l.fall.: e cioè, in caso di immobili e di beni mobili registrati, sia trascritto, come, in effetti, è possibile in caso di vendita di beni futuri, di cose generiche e di cosa altrui) non ha già determinato, al momento del fallimento, il trasferimento della proprietà (cd. vendita obbligatoria).

Si tratta, come è noto, dei casi di: vendita di cosa generica, se anteriormente al fallimento non è intervenuta la specificazione (art. 1378 c.c.); vendita di cosa futura, se la cosa al momento della sentenza dichiarativa non è ancora venuta ad esistenza (art. 1472 c.c.); vendita di cosa altrui se il venditore, al momento del suo fallimento, non aveva ancora acquistato la proprietà ovvero non l'aveva procurata all'acquirente (art. 1478 c.c.) (Andrioli, 1967, 418; Guglielmucci, 1997, 320, 321).

A tali ipotesi possono aggiungersi i casi della vendita alternativa, per i quali occorre la scelta (art. 1285 ss.), e della vendita sottoposta a termine iniziale, perché occorre la sopravvenienza dell'evento certo dedotto in contratto.

Si discute, invece, per la vendita sottoposta a condizione sospensiva se all'apertura del concorso la condizione non si è ancora verificata posto che, da un lato, la pendenza della condizione impedisce di ritenere eseguita la condizione e, dall'altro, la verificazione della condizione ha effetto retroattivo ex art. 1360 c.c..

Secondo una autorevole ricostruzione, per la vendita sottoposta a condizione sospensiva, ritiene che «... anche nell'ipotesi dell'art. 2659, comma 2, c.c., relativa alla trascrizione anteriore al fallimento di una compravendita immobiliare sottoposta a condizione sospensiva, verificatasi dopo la dichiarazione di fallimento, non trova applicazione l'art. 72, comma 4, legge fallim.», non potendosi, a sostegno della posizione del curatore del fallimento del venditore, invocare il principio della cristallizzazione della situazione patrimoniale del fallito, che non lascerebbe spazio ad un'evoluzione in senso sfavorevole della composizione e della consistenza della massa se non per atto dell'amministrazione fallimentare, posto che si tratterebbe di una petizione di principio perché s'invoca l'intangibilità della massa attiva proprio per risolvere problemi inerenti alla determinazione della massa attiva stessa (Bonsignori, 175, 176; Ruisi, 648, esclude che, ai fini in esame, la vendita condizionata sia obbligatoria).

In siffatte ipotesi, l'art. 72, comma 4, l.fall., nel testo originario, disponeva espressamente che, in caso di fallimento del venditore, l'esecuzione del contatto rimane sospesa fino a quando il curatore non scelga tra il subingresso ovvero lo scioglimento dal rapporto: «se la cosa venduta non è passata in proprietà del compratore, il curatore ha la scelta fra l'esecuzione e lo scioglimento» (Ferrara jr.-Borgioli, 384; Satta, 201, 202).

Se il curatore decideva di sciogliersi, sorgevano le reciproche obbligazioni di restituzione. Il compratore, in particolare, aveva l'obbligo di restituire al curatore la cosa eventualmente già consegnatagli (salvo, in mancanza, l'obbligo di risarcire i danni corrispondenti), oltre ai frutti maturati e, in caso di immobili, un'indennità di occupazione per l'utilizzo intercorso, ma vantava un credito prededucibile per i miglioramenti e le addizioni apportate alla cosa (Ruisi, 651, 652, 653; Guglielmucci, 1979, 156).

Il compratore in bonis aveva, poi, il diritto di insinuarsi al passivo per il prezzo eventualmente versato al venditore poi fallito (art. 72, comma 4, l.fall.), oltre ai danni già maturati, in collocazione chirografaria (Cass. n. 1047/1980).

Era, infine, espressamente escluso che il compratore possa vantare un diritto ai danni conseguenti alla scelta del curatore (art. 72, comma 4, l.fall.) (Satta, 202; Ferrara jr.-Borgioli, 384.).

Se, invece, il curatore decideva di subentrare nel rapporto contrattuale, aveva il dovere di adempierne, in prededuzione, tutte le relative obbligazioni (Jorio, 508), con esclusione, però, delle clausole incompatibili con le finalità istituzionali della procedura, come quelle che impongono al venditore fallito l'obbligo di riacquisto (Jorio, 508, 509).

L'inadempimento da parte del curatore, in caso di subingresso, consentiva al contraente in bonis di agire per la risoluzione del contratto e di ottenere, in prededuzione, il risarcimento dei danni subiti (Jorio, 509).

Con la Riforma del 2006, l'art. 72 l.fall. non regola più il contratto di compravendita che è rimasto, quindi, privo di specifica disciplina.

Trovano, pertanto, applicazione, come detto, le norme generali dettate dall'art. 72 l.fall. (Dimundo, 236).

Ciò vuol dire che: 1) il contratto di compravendita pendente al momento del fallimento, che sia rimasto ancora ineseguito o non completamente eseguito da entrambe le parti (e tale non è, come già osservato, quello che ha già determinato l'effetto traslativo del diritto: art. 72, comma 1, in fine, l.fall., nel testo in vigore; art. 72-bis, comma 1, l.fall., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 5/2006), è sospeso fino a che il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, non dichiara di subentrare ovvero di sciogliersi dal rapporto; 2) in caso di subingresso, il curatore assume, in prededuzione, tutti i relativi obblighi; 3) in caso di scioglimento, il contraente in bonis può far insinuare al passivo il credito alla restituzione delle prestazioni eventualmente già eseguite ed al risarcimento dei danni se e nella misura in cui siano stati cagionati prima del fallimento; 4) in caso di scioglimento, il contraente in bonis non può far valere il diritto al risarcimento dei danni conseguenti alla scelta del curatore.

La vendita con riserva di proprietà

L'unica ipotesi di vendita che la legge fallimentare continua a regolare è la vendita con riserva di proprietà (e non più anche la mera vendita a termine o a rate, ritenuta incompatibile – ove non sia assistita dal patto di riservato dominio — con la normativa sui rapporti pendenti: se, infatti, come rileva la Relazione, la proprietà è già stata trasferita al momento del fallimento, come accade in tali fattispecie, il contratto deve ritenersi eseguito e non è, quindi, pendente).

L'art. 73, comma 1, l.fall. prevede, in caso di fallimento del compratore, che:

se il prezzo deve essere pagato a termine (e cioè in modo unitario ma in un momento successivo rispetto alla stipula del contratto) ovvero a rate (e cioè in modo frazionato ed entro determinati termini), il curatore può subentrare nel contratto con l'autorizzazione del comitato dei creditori;

il venditore può chiedere cauzione, a meno che il curatore paghi immediatamente il prezzo con lo sconto dell'interesse legale;

se il curatore si scioglie dal contratto, il venditore deve restituire le rate di prezzo già riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l'uso della cosa.

Il comma 2 aggiunge che il fallimento del venditore non è causa di scioglimento del contratto.

La norma, al comma 1, regola il caso in cui il fallimento del compratore sia dichiarato quando il termine pattuito per il pagamento delle rate del prezzo non è ancora scaduto e le rate sono state pagate solo in parte (il completo pagamento delle rate del prezzo, infatti, come rileva Patti, 1627, determina, a norma dell'art. 1523 c.c., il trasferimento della proprietà: ed è noto che, in caso di vendita, la prestazione del venditore deve ritenersi eseguita, con la conseguente esclusione del contratto dalla disciplina dei rapporti pendenti, quando prima del fallimento sia intervenuto il trasferimento della proprietà, tant'è che, nell'ipotesi di vendita a rate e di successivo fallimento del compratore, l'operatività del meccanismo di cui all'art. 73 deve escludersi quando, in tale momento, il venditore abbia già trasferito la proprietà: Cass. n. 6952/2000) e rinvia, implicitamente, al principio fissato dall'art. 72, per cui l'esecuzione del rapporto è sospesa fino a che il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal contratto.

Se il curatore sceglie di subentrare nel rapporto, assume l'obbligo, in prededuzione, di versare il residuo prezzo (Barba, 1052), anche per le rate maturate prima del fallimento (Patti, 1627): il venditore ha, in tal caso, il diritto di chiedere una cauzione a garanzia di tale pagamento, a meno che il curatore non paghi immediatamente il prezzo residuo.

Riproducendo, poi, la previsione legale dell'art. 1526 c.c., in tema di vendita con riserva di proprietà, la norma ha ribadito che, nel caso in cui il curatore scelga lo scioglimento del contratto, il venditore deve restituire le rate del prezzo già riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l'uso della cosa: l'applicazione delle regole comuni dettate dall'art. 1526 c.c., nel caso in cui l'efficacia del contratto di vendita a rate con patto di riservato dominio è venuta meno in conseguenza della decisione del curatore di non proseguire il rapporto ancora in corso al momento del fallimento, comporta, quindi, il diritto del venditore di trattenere le rate già riscosse nei limiti dell'equo compenso spettantegli per l'uso ed il deterioramento della cosa venduta (Trib. Roma 22 settembre 2016).

L'obbligo del venditore di restituzione ed il suo diritto all'equo compenso sono suscettibili di compensazione (Patti, 1628; Barba, 1053, 1054).

Il patto di riservato dominio, per essere opponibile al fallimento del compratore (art. 1524 c.c.), deve, naturalmente, risultare da documento con data certa anteriore al fallimento, a norma dell'art. 2704 c.c. (Patti, 1627).

Nel caso in cui il curatore subentri nel rapporto, il venditore non può chiedere la risoluzione dello stesso — ancorché fondata su clausola risolutiva espressa — per il pregresso inadempimento del fallito, perché il fallimento determina la destinazione del patrimonio di quest'ultimo al soddisfacimento paritario di tutti i creditori, con l'effetto che la pronunzia di risoluzione non può produrre gli effetti restitutori e risarcitori suoi propri, i quali sarebbero lesivi della «par condicio» (Cass. n. 21388/2013).

I pagamenti eseguiti dal compratore, poi fallito, prima del fallimento, non sono revocabili in quanto riconducibili all'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. (Barba, 1053).

Infine, la norma in commento prevede che il fallimento del venditore non è causa di scioglimento del contratto di vendita con riserva di proprietà, residuando, in tal caso, solo un diritto del curatore alla riscossione del residuo prezzo (Cass. n. 28480/2005, la quale rileva che, nella vendita a rate con riserva di proprietà, l'effetto traslativo, pur rinviato nel tempo e subordinato all'integrale pagamento del prezzo, è già vincolante tra le parti, al punto che con la conclusione del contratto il venditore è obbligato alla consegna del bene al compratore, il quale dal momento della consegna assume su di sé i rischi relativi al bene acquistato).

Ne consegue che il bene venduto, nonostante al momento del fallimento sia ancora di proprietà del fallito, è sottratto, in attesa di essere definitivamente trasferito all'acquirente con l'integrale pagamento del prezzo, è sottratto alla liquidazione concorsuale, che riguarda unicamente il credito al prezzo residuo (Barba, 1054).

Il contratto preliminare di compravendita

La legge fallimentare, nella sua stesura originaria, non si occupava della disciplina degli effetti del fallimento sul contratto preliminare (di compravendita).

In tale testo normativo, l'unico accenno al contratto preliminare riguardava, infatti, l'ipotesi del preliminare trascritto ex art. 2645-bis c.c.: l'art. 72, comma 5, l.fall., introdotto con la legge 28 febbraio 1997, n. 30, prevedeva, infatti, che «qualora l'immobile sia stato oggetto di preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile e il curatore... scelga lo scioglimento del contratto, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento dei danno e gode del privilegio di cui all'art. 2775-bis del codice civile, a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento».

L'art. 72 l.fall., così come riformulato con il d.lgs. n. 5/2006, prevedeva espressamente che la norma dettata dal primo comma (che, come detto, dispone il principio della sospensione del contratto fino a quando il curatore non dichiari di subentrare nel rapporto pendente ovvero di sciogliersi dal medesimo) trovasse applicazione anche al contratto preliminare, con salvezza, però, di quanto stabilito dall'art. 72-bis l.fall., il quale, a sua volta, prevedeva, al comma 2, che, nel caso in cui il curatore optasse per lo scioglimento, il (promissario) acquirente avesse il diritto di insinuare al passivo il suo (eventuale) credito alla restituzione di quanto prestato, con il privilegio previsto dall'art. 2775-bis c.c., a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento a norma dell'art. 2645-bis c.c., ma senza poter far valere i diritto ai danni, ed, al comma 3°, disciplinava l'ipotesi (particolare) dei contratti (anche preliminari) relativi ad immobili da costruire con espresso riferimento alla legge-delega n. 210/2004 (attuata con il d.lgs. n. 122/2005, sul quale v. infra).

Il cd. decreto correttivo ha ulteriormente modificato la normativa in materia, non solo raccogliendo nell'art. 72 l.fall. l'intera disciplina dettata per il contratto preliminare di compravendita (che non abbia ad oggetto immobili da costruire: art. 72-bis l.fall. e artt. 1, lett. a), b) e d), 5 e 6 d.lgs. n. 122/2005-), con l'aggiunta del comma 7, ma anche prevedendo, con l'introduzione del comma 8, la norma (applicabile ai procedimenti aperti dal 1 gennaio 2008: art. 22 d.lgs. n. 169 cit.) per cui la disposizione del primo comma dell'art. 72 (che riconosce al curatore il potere di scelta tra subingresso e scioglimento del rapporto) non si applica «al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado» ovvero, come aggiunto dal d.l. n. 83/2012, conv. con la l. n. 134/2012, «un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire destinato a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente».

In effetti, già nel regime in vigore prima della Riforma, la tesi più diffusa riteneva che, in caso di fallimento del promittente venditore, trovasse applicazione la norma prevista dall'art. 72, comma 4, testo originario, l.fall., per la vendita che non avesse determinato al momento del fallimento il trasferimento della proprietà, riconoscendo, quindi, al curatore la facoltà di scegliere tra il subentro nel rapporto pendente (con il conseguente obbligo del contraente in bonis di stipulare il contratto definitivo ed il diritto del curatore, in difetto, di agire in giudizio a norma dell'art. 2932 c.c.) e lo scioglimento dello stesso, con le conseguenti obbligazioni restitutorie delle eventuali prestazioni eseguite, come in precedenza descritte (in dottrina, Andrioli, 1961, 553 ss, 565; Ferrara jr.-Borgioli, 384; Ruisi, 696, 697; Guglielmucci, 1979, 140; Guglielmucci, 1997, 321; Jorio, 510, 511): nei limiti in cui, ovviamente, il contratto non fosse stato, al momento del fallimento, già eseguito con la stipulazione del contratto definitivo (ovvero con il passaggio in giudicato della sentenza di esecuzione in forma specifica a norma dell'art. 2932 c.c.) ed il conseguente trasferimento della proprietà (Cass. n. 4105/1997; Cass. S.U. n. 239/1999; Cass. n. 4747/1999; Cass. n. 7070/2004; Cass. n. 33/2008; Cass. n. 3728/2011; Cass. n. 9076/2014), a prescindere, invece, dalla circostanza che il contratto abbia avuto anticipata esecuzione con la consegna del bene ed il pagamento, parziale o integrale, del prezzo pattuito, trattandosi di effetti meramente anticipatori dell'assetto finale di interessi che trova nel solo contratto definitivo il suo titolo giuridico (cd. preliminare di vendita ad effetti anticipati) (Maltoni, 53 ss; Cass. n. 4747/1999: in tema di contratto preliminare di compravendita, «... l'esercizio della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore... non può trovare ostacolo né nella circostanza che sia già avvenuto il pagamento del prezzo e l'immissione del promissario acquirente nel possesso del bene, trattandosi di effetti soltanto prodromici ed anticipatori dell'assetto di interessi che, con riferimento all'effetto del passaggio di proprietà al compratore, può trovare attuazione soltanto nel contratto definitivo o nella sentenza che di essa tenga luogo...»; Cass. n. 20456/2005: con riferimento alla norma dell'art. 72 l.fall., l'esecuzione del contratto preliminare di compravendita, idonea ad impedire l'esercizio della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore del fallimento del promittente venditore, non sussiste nel caso in cui, benché il bene sia stato consegnato al promittente acquirente e questi abbia pagato il prezzo, le parti abbiano differito il prodursi dell'effetto traslativo alla stipulazione del contratto definitivo).

Ed infatti, l'esecuzione del contratto preliminare di compravendita, idonea ad impedire l'esercizio della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore, si deve identificare o in quella che deriva dalla volontaria stipulazione del contratto definitivo, o nella statuizione giudiziale passata in cosa giudicata che tenga luogo di quella stipulazione, poiché soltanto in uno di tali modi si può verificare l'effetto traslativo della proprietà della cosa e l'esaurimento della situazione giuridica obbligatoria scaturente dal contratto preliminare, nella pendenza della quale può, invece, legittimamente inserirsi l'iniziativa di scioglimento del vincolo del curatore.

Tale iniziativa, per conseguenza, non può trovare ostacolo nella circostanza che sia già avvenuto il pagamento del prezzo, con l'immissione del promissario acquirente nel possesso del bene, in quanto tali clausole, aventi carattere accessorio e non incompatibili con la natura obbligatoria del contratto, non determinano effetti traslativi, essendo all'uopo necessaria la prestazione di un ulteriore consenso ad opera delle parti (Cass. n. 284890/2005).

Lo stesso regime operava in caso di fallimento del promissario acquirente: l'art. 72 l.fall. (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma di cui al d.lgs. n. 5/2006) prevede la sospensione dell'esecuzione del contratto fino a quando quest'ultimo non dichiari di subentrare in luogo del fallito ovvero di sciogliersi dal contratto, alla controparte essendo attribuito unicamente il potere sollecitatorio di chiedere la fissazione di un termine per l'effettuazione di tale scelta; e, tale principio vale anche qualora il promittente venditore abbia già promosso, prima del fallimento, l'azione di risoluzione del preliminare di vendita (Cass. n. 6653/2013). Si è, tuttavia, ritenuto (Cass. n. 5298/2013) che, laddove il curatore del sopravvenuto fallimento del promissario acquirente, scioltosi dal menzionato contratto ex art. 72 l.fall., agisca nei confronti del promittente venditore per ottenerne la condanna alla restituzione delle somme da lui incassate a titolo di caparra ed al risarcimento di asseriti danni, il venditore convenuto, quale mero fatto impeditivo delle avverse domande ed estintivo della descritta obbligazione di restituzione, e quindi al solo fine di conseguirne il loro rigetto, è legittimato alla proposizione dell'eccezione tesa all'accertamento, «incidenter tantum», della già avvenuta risoluzione del predetto preliminare, in via automatica ed anteriormente al fallimento del promittente acquirente, per non avere quest'ultimo rispettato un termine essenziale previsto nel contratto né adempiuto ad una successiva diffida intimatagli ex art. 1454 c.c..

La l. n. 30/1997, ha, in sostanza, confermato tali assunti, introducendo, nell'art. 72 l.fall., il comma 5 (divenuto, con la riforma del 2006, comma 7 dell'art. 72 l.fall. e comma 2 dell'art. 72-bis l.fall.), secondo cui «qualora l'immobile sia stato oggetto di preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis del codice civile e il curatore, ai sensi del precedente comma, scelga lo scioglimento del contratto, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'art. 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento» (Cass. n. 4747/1999, la quale ha anche precisato che l'esclusione di qualsiasi valenza ostativa alla scelta del curatore della trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c., trova ora conferma anche nella disciplina del nuovo ultimo comma dell'art. 72 — aggiunto dal d.l. n. 669/1996, conv. nella l. n. 30/1997 — con riguardo alla trascrizione dello stesso contratto preliminare ai sensi del nuovo art. 2645-bis c.c., posto che il suddetto ultimo comma disciplina proprio le conseguenze per il promissario acquirente della scelta del curatore a favore dello scioglimento del contratto; Cass. n. 1063/2002; in dottrina, Bettazzi, 1121 ss., 1126; Gabrielli, 455 ss, 457; in senso contrario, Colesanti, 2005, 329 ss., 339 ss, 341, 342, dove rileva che «... non è dato comprendere come si possa seguitare a far leva sul disposto dell'invocato art. 72 al comma 4 quante volte di tale norma manchi il presupposto stesso di applicazione: che si sia cioè dinanzi a una vicenda preordinata a effetti traslativi ma che sia «pendente» da ambo i lati dei soggetti interessati, in cui nessuna delle parti abbia già compiuto tutto quanto da essa esigibile in base al rapporto posto in essere», non potendosi affermare, come rileva alla nt. 22, che, ai fini in esame, rilevi il trasferimento della cosa venduta in proprietà del compratore: «è esatto dire che ai fini dell'applicazione dell'art. 72 al comma 4 quel che rileva è che sia o già avvenuto l'effetto traslativo; ma ciò pur sempre nella prospettiva dell'applicabilità della norma indicata, e cioè della pendenza del rapporto da entrambi i contraenti, perché questo (e solo questo) è l'ambito in cui la norma è chiamata a operare», per cui «... si è al di fuori della previsione della... norma quante volte manchi l'inesecuzione di entrambi i contraenti, perché uno di essi ha già compiuto tutto quel che era tenuto a compiere». «Nessuno contesta che l'esercizio del potere di scioglimento, nell'ambito coperto dall'art. 72, incontri il suo limite solo a fronte del già verificato effetto traslativo; ma...«nell'ambito coperto» dall'indicata norma, mentre quando se ne è al di fuori, mancando quel che della norma stessa regge l'applicabilità, è vano seguitare ad invocarla, incorrendo altrimenti in una mera petizione di principio...», e nt. 23 e 351: e ciò, come rileva a 346, 347, anche nel caso di trascrizione del preliminare).

La norma (che è stata, nella sostanza, confermata anche con il decreto correttivo n. 169/2007, che, dopo averla rimossa dall'art. 72-bis l.fall., ha stabilito, al comma 7 dell'art. 72 l.fall., che «in caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'art. 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del preliminare non sino cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento»), in effetti, regolando gli effetti restitutori che conseguono allo scioglimento del contratto preliminare da parte del curatore, inequivocamente ammette che il curatore, in caso di fallimento del promittente venditore, ha il potere, appunto, di scegliere se subentrare nel rapporto pendente (ed opponibile: Maltoni, 52, dove rileva che «... l'ammessa trascrivibilità determina il sorgere... di un problema di opponibilità–inopponibilità del preliminare al fallimento ai sensi dell'art. 45 l.fall., alla stregua di quanto accade rispetto ai contratti di vendita definitivi... Ne consegue che, se il preliminare è trascritto, il curatore può essere posto nell'alternativa fra assumere il contratto, dando vita ad un debito della massa, o sciogliere il contratto, insinuando il promissario acquirente al passivo con privilegio.... All'opposto, ed in armonia con la soluzione accolta rispetto al definitivo di vendita, la mancanza di un'efficace trascrizione consente al curatore di ignorare il preliminare...») ovvero di provocarne lo scioglimento.

E così, in effetti, si è pronunciata la Corte di cassazione che, a sezioni unite, nella sentenza n. 12505/2004, ha espressamente affermato come «l'applicabilità dell'art. 72 l.fall., ai contratti preliminari non è stata mai posta in dubbio e trova oggi una testuale conferma nell'art. 3, sesto comma, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 (convertito nella l. 28 febbraio 1997, n. 30) che ha aggiunto a tale articolo un comma ulteriore, specificamente riferito proprio al contratto in esame».

La Riforma della legge fallimentare ha, come detto, confermato tale disciplina.

Il nuovo testo dell'art. 72, comma 3, l.fall. (sia pur facendo salva la norma dettata dall'art. 72-bis l.fall., in tema di contratti preliminari relativi ad immobili da costruire) ha, infatti, esteso al contratto preliminare (e, quindi, anche preliminare di compravendita) il principio stabilito al comma 1, vale a dire la sospensione del rapporto fino a che il curatore non dichiari di subentrare nel rapporto o di sciogliersi dal medesimo (Dimundo, 227; Bonfatti-Censoni, 336; Jorio, 2010).

Nello stesso senso, del resto, depone, con riguardo al fallimento del promittente venditore, il comma 7 dell'art. 72 l.fall., prima citato, così come introdotto dal d.lgs. n. 5 del 2006, per cui «... qualora l'immobile sia stato l'oggetto di preliminare di vendita trascritta ai sensi dell'articolo 2645-bis codice civile e il curatore... scelga lo scioglimento del contratto, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento», nonché (sia pur meno chiaramente) lo stesso comma 7 dell'art. 72 l.fall., anch'esso citato, così come riformulato dal d.lgs. n. 169 del 2007 (c.d. decreto correttivo), a norma del quale «in caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare (evidentemente a norma del comma 3) trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'art. 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del preliminare non sino cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento».

Il decreto correttivo ha, tuttavia, ha disposto, ma con esclusivo riguardo alle procedure concorsuali aperte da far data dall'1 gennaio 2008, che la norma prevista dall'art. 72, comma 1, legge fall., vale a dire la sospensione del rapporto ed il connesso diritto del curatore di scelta tra subingresso e scioglimento, non trova applicazione in caso di contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis c.c., che abbia ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado, a condizione, però, che gli effetti della trascrizione non siano cessati anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento (art. 72, comma 8, l.fall.).

La stessa tutela è stata estesa, con il d.l. n. 83/2012, convertito con la l. n. 134/2012, anche ai contratti preliminari aventi ad oggetto un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente.

In presenza delle indicate condizioni (che non sono applicabili retroattivamente: Cass. n. 19035/2010), quindi, e cioè la trascrizione del preliminare (e la sua perdurante efficacia al momento della sentenza dichiarativa) e la destinazione dell'immobile ad uso abitativo ad abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero la destinazione dell'immobile ad uso non abitativo a sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente, il curatore perde il diritto di sciogliersi dal contratto preliminare e resta, come tale, soggetto alla eventuale richiesta del contraente in bonis di stipulare il contratto definitivo, che, pertanto, in caso di inadempimento, può azionare il rimedio previsto dall'art. 2932 c.c..

In dottrina, Sandulli, 2009, 115, 116; Finardi, 771; Vattermoli, 337, 338; Jorio, 2010; Patti, 1636).

L'art. 72 comma 3, l.fall., rinvia, come detto, per il contratto preliminare, al solo comma primo dello stesso articolo ma sono ritenute applicabili anche:

1) la norma prevista dall'art. 72, comma 2, l.fall., vale a dire la possibilità per il contraente in bonis di mettere in mora il curatore;

2) la norma prevista dall'art. 72, comma 4, l.fall.: se, come spesso accade, il preliminare prevede una parziale anticipazione degli effetti del definitivo e il contraente in bonis, prima della dichiarazione di fallimento, ha adempiuto parzialmente la sua prestazione, il diritto alla restituzione, in caso di scioglimento del contratto, può essere azionato mediante insinuazione al passivo: in tal senso, del resto, depone la norma dell'art. 72, comma 7 (già comma 5) ma solo in caso di preliminare di compravendita immobiliare trascritto a norma dell'art. 2645-bis c.c. e gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento del fallimento;

3) la norma dell'art. 72, comma 5, l.fall. in ordine agli effetti della domanda di risoluzione proposta (e, se richiesto dalla legge, trascritta) prima del fallimento;

4) la norma dell'art. 72, comma 6, l.fall. in tema di inefficacia nei confronti del curatore, in caso di subingresso, delle clausole che determinano lo scioglimento del contratto in caso di fallimento di una delle parti (Vattermoli, 1003; Dimundo, 227, 228).

L'art. 72, comma 3, prevede, come visto, che, in caso di fallimento di una delle parti (e, quindi, tanto del promittente venditore, quanto del promissario acquirente), il rapporto è sospeso fino a che il curatore non dichiari di subentrarvi o di sciogliersi.

In caso di fallimento del promissario acquirente, se il curatore subentra nel rapporto, ha l'obbligo di prestare il consenso alla stipula del contratto definitivo, secondo quanto previsto nel preliminare, e quello di pagare il prezzo, in prededuzione. Il subingresso del curatore nel contratto preliminare pendente e la stipulazione del contratto definitivo si configura, tuttavia, come una vendita fallimentare la quale — non importa se attuata in forma contrattuale, e non tramite esecuzione coattiva – comporta l'applicazione l'art. 108, comma 2, l.fall., con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione iscritti sull'immobile ed ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato sull'intero prezzo pagato, incluso l'acconto versato al venditore in bonis (Cass. n. 3310/2017).

In ipotesi di scioglimento, il curatore ha il diritto alla restituzione degli acconti eventualmente versati dal fallito, al pari della caparra, che il contraente in bonis non può pretendere di ritenere, ma ha l'obbligo di restituire il bene, ove rinvenuto: in mancanza, il curatore ha l'obbligo risarcire il danno determinato dall'impossibilità della restituzione, che è concorsuale se la perdita del possesso sia anteriore al fallimento, o è prededucibile se è successiva al fallimento (art. 103 l.fall.).

In caso, invece, di fallimento del promittente venditore, se il curatore subentra nel rapporto, ha l'obbligo di prestare il consenso alla stipula del contratto definitivo, secondo quanto previsto nel preliminare, e di consegnare, ove non sia stato fatto prima del fallimento, il bene venduto, ove rinvenuto: in mancanza, il curatore ha l'obbligo risarcire il danno determinato dall'impossibilità della consegna, che è concorsuale, se la perdita del possesso sia anteriore al fallimento, oppure è prededucibile, se è successiva al fallimento (art. 103 l.fall.).

In ipotesi di scioglimento, il promissario acquirente ha – come già visto — il diritto di insinuarsi a passivo per il suo credito alla restituzione degli acconti sul prezzo eventualmente versati: tale credito, a norma dell'art. 72, comma 7, l.fall., gode del privilegio previsto dall'art. 2775-bis c.c., ma solo se si tratta di «... contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile» ed «... a condizione che gli effetti della trascrizione del preliminare non sino cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento».

Il privilegio speciale sul bene immobile, che assiste (ai sensi dell'art. 2775-bis c.c.) i crediti del promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis c.c., siccome subordinato ad una particolare forma di pubblicità costitutiva (come previsto dall'ultima parte dell'art. 2745 c.c.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull'ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dal secondo comma dell'art. 2748 c.c., e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti.

Ne consegue che, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell'immobile scelga lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell'art. 72 l.fall.), il conseguente credito del promissario acquirente — nella specie, avente ad oggetto la restituzione della caparra versata contestualmente alla stipula del contratto preliminare — benché assistito da privilegio speciale, deve essere collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell'istituto di credito che, precedentemente alla trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull'immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice (Cass. S.U., n. 21045/2009; Cass. n. 342/2013).

Il curatore, che ha l'obbligo prededucibile di versare al contraente in bonis le indennità per i miglioramenti e le addizioni apportate al bene, ha, a sua volta, il diritto alla restituzione dello stesso, ove mai fosse stato anticipatamente consegnato, oltre ai frutti e l'indennità di occupazione sine titulo, a partire secondo alcuni dal fallimento, secondo altri dalla domanda.

In caso di subingresso, nell'uno e nell'altro caso, trovano, infine, applicazione i rimedi ordinari previsti dalla legge per l'inadempimento contrattuale.

I problemi più delicati si sono posti in caso di fallimento del promittente venditore quando, prima della sentenza dichiarativa, il promissario compratore abbia proposto, a norma dell'art. 2932 c.c., la domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di stipulare un contratto di compravendita immobiliare.

Le ipotesi configurabili sono, in sostanza, due:

1. il promissario acquirente ha proposto, prima del fallimento, la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare a norma degli artt. 2932 c.c. ma non l'ha trascritta affatto ovvero l'ha trascritta, a norma dell'art. 2652, n. 2, c.c., ma dopo il fallimento del promittente venditore;

2. il promissario acquirente ha proposto la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare a norma dell'art. 2932 c.c. e l'ha trascritta a norma dell'art. 2652, n. 2, c.c. prima del fallimento del promittente venditore.

Nel primo caso, quando, cioè, il promissario acquirente ha proposto la domanda che mira a conseguire una sentenza che produca «gli effetti del contratto non concluso» (art. 2932 c.c.) ma non l'ha trascritta ovvero l'ha trascritta ma dopo la sentenza dichiarativa del fallimento del promittente venditore (salvo, in quest'ultimo caso, il possibile rilievo alla trascrizione prima del fallimento del contratto preliminare ex art. 2645-bis, comma 3, in fine, c.c., sul quale v. infra), non vi sono dubbi particolari.

Il curatore, pur se il giudizio sia stato riassunto nei suoi confronti (art. 43 l.fall.) e fino a quando, in tal caso, non sia stato definito con il passaggio in giudicato della sentenza (a lui, quindi, opponibile ex artt. 2908 e 2909 c.c.), può, in ogni momento (purché, ovviamente, risulti nel giudizio), efficacemente avvalersi della facoltà, di ordine sostanziale, di scegliere se subentrare ovvero di provocare lo scioglimento del rapporto a norma dell'art. 72 l.fall. (Cass. S.U. n. 239/1999; in dottrina, FABIANI, 3041; Dimundo, 230; Colesanti, 1972, 240 ss.).

In definitiva, in caso di pendenza del giudizio ex art. 2932 c.c., il curatore fallimentare conserva la facoltà di scelta tra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto preliminare, con cui il fallito aveva promesso in vendita un bene, fino al passaggio in giudicato della sentenza traslativa della proprietà pronunciata ai sensi di detta norma, poiché l'art. 72 comma 4 considera come evento preclusivo di tale facoltà di scelta il passaggio della cosa in proprietà al compratore ed a tale evento non può essere assimilato l'effetto processuale che produce la sentenza di trasferimento, ove sia stata pronunciata e non sia ancora passata in cosa giudicata (Cass. S.U., n. 239/1999).

Molto più complesso è il caso in cui il promissario acquirente abbia non solo proposto la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare ma l'abbia anche trascritta prima del fallimento del promittente venditore.

Si tratta, in tal caso, di stabilire se, sul piano sostanziale, il curatore conservi o meno il potere di dichiarare lo scioglimento del contratto preliminare ed, in caso positivo, con quali effetti sulla domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c..

L'opinione che, per lungo tempo, ha largamente prevalso ha ritenuto che, nell'ipotesi in esame, il curatore del fallimento del promittente venditore rimane titolare del potere di provocare lo scioglimento del contratto preliminare: la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto, a norma degli artt. 2932 e 2652, n. 2, c.c., in data anteriore alla sentenza dichiarativa, infatti, ha, in questa prospettiva, il solo effetto di rendere opponibile (a norma del comb. disp. artt. 45 l.fall., 2652, n. 2, e 2915, comma 2, c.c.) la domanda giudiziale (e, per l'effetto, il processo) al curatore.

In caso di fallimento del promittente venditore, quindi, «... l'azione ex art. 2932 non è inammissibile, né diviene improcedibile..., ma diviene infondata, sol a seguito dell'esercizio, da parte del curatore, del diritto potestativo di scioglimento del contratto, che assume, nel processo, la forma della eccezione in senso sostanziale. È proprio perché tale diritto incide non sull'ammissibilità, ma sulla fondatezza della domanda del promissario in bonis, il giudice non può pronunciare d'ufficio la reiezione della domanda e le combinate norme degli artt. 2652 n. 2 e 2915, comma 2, inquadrate nel sistema dell'art. 45, sono fuori gioco: perché l'attore sia preferito al creditore del convenuto, pignorante o intervenuto, e al curatore del fallimento, non basta che la domanda sia trascritta prima del pignoramento o della dichiarazione di fallimento, ma è necessario che la domanda sia fondata, e la domanda del promissario in bonis cessa di esserlo se il curatore eccepisca (e sol se eccepisca) lo scioglimento del contratto.

Se il curatore rimane contumace ovvero, se comparendo, non eccepisce lo scioglimento del contratto, il giudice non può non accogliere la domanda del promissario con sentenza, che estende i suoi effetti in pregiudizio della curatela, se la domanda fu trascritta prima della dichiarazione di fallimento, laddove, se la domanda fu successivamente trascritta, il curatore può limitarsi ad eccepire che la sentenza gli sarà inopponibile e deve essere respinta»: Andrioli, 1961, 553 ss, 565, 566; Colesanti, 1972, 240 ss e nt. 111, Bonsignori, 168 ss, 172; Auletta, 706 ss., 716-718. Ristori, 298 ss, 299, 300. Dopo la Riforma, Meoli, Sica, 428).

Il curatore, quindi, una volta che il processo sia stato riassunto nei suoi confronti (artt. 43 l.fall. e 299 c.p.c.), ha l'onere, se vuole evitare l'accoglimento della domanda, di (costituirsi e di) eccepirvi (ove ancora possibile: altrimenti, in sede stragiudiziale: Cass. S.U., n. 239/1999, per la quale, nel caso di pendenza del giudizio ex art. 2932 c.c., l'esercizio della facoltà di scelta del curatore non richiede forme particolari e può avvenire anche per facta concludentia e, qualora si indirizzi per lo scioglimento del contratto non si caratterizza come espressione di un'azione di impugnativa negoziale da esercitarsi esclusivamente nel processo, con la conseguenza che la volontà di scioglimento del contratto ben può essere manifestata dal curatore fuori del processo, in via stragiudiziale, specie allorquando non sia possibile la sua manifestazione nel processo, come nel caso di pendenza del giudizio ex art. 2932 c.c. in sede di legittimità, in ragione dei limiti propri del giudizio in quella sede) — purché prima del passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c. (Cass. n. 10436/2005; Cass. n. 33/2008; Cass. n. 17405/2009; Cass. n. 9076/2014), che coprirebbe, come è noto, il dedotto e il deducibile — lo scioglimento del contratto preliminare ex art. 72, comma 4, l.fall., provocando, in tal modo, a fronte del venire meno del titolo contrattuale invocato a suo fondamento, il rigetto della domanda proposta (in dottrina Jorio, 510, 511; Guglielmucci, 1997, 321; Rocchio, 1457 ss.; Andrioli, 1967, 418, nt. 365: «la domanda, prevista dall'art. 2932 c.c., non è inammissibile, né diviene improcedibile a seguito della dichiarazione di fallimento del promittente obbligato, ma diviene infondata solo a seguito dell'esercizio, da parte del curatore, del diritto potestativo di scioglimento del contratto che assume nel processo, la forma dell'eccezione in senso sostanziale e, proprio perché tale diritto incide non sull'ammissibilità, ma sulla fondatezza della domanda del promissario in bonis, il giudice non può pronunciare d'ufficio la reiezione». Dopo la Riforma, Bonfatti-Censoni, 336).

In altri termini il promissario acquirente che abbia trascritto la domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. anteriormente al pignoramento prevale, ai sensi dell'art. 2652 n. 2 c.c., sul creditore pignorante e sui creditori intervenienti nel procedimento esecutivo; nel fallimento, invece, la trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. anteriormente al fallimento non preclude l'acquisizione al patrimonio fallimentare dell'immobile dedotto nella promessa di vendita.

La dichiarazione di fallimento, però, non determina l'improcedibilità della domanda ex art. 51 l.fall. ma determina unicamente l'inaccoglibilità della domanda se il curatore si avvale di quella facoltà di sciogliersi dal contratto che gli spetta ex art. 72, comma 4, l.fall., non avendo il preliminare di vendita efficacia traslativa.

La domanda ex art. 2932 c.c. non diviene improcedibile per effetto della dichiarazione di fallimento, ma risulta infondata per effetto della scelta, operata dal curatore, di sciogliersi dal contratto, e ciò rileva sotto diversi profili: «... in primo luogo... se si trattasse di mera improcedibilità, il promissario acquirente, cessata la procedura fallimentare, ove l'immobile non fosse stato coattivamente venduto, conserverebbe la sua pretesa alla stipulazione del contratto definitivo, che potrebbe far valere riassumendo il procedimento ex art. 2932 c.c. contro il fallito tornato in bonis; mentre la dissoluzione del contratto conseguente all'esercizio, da parte del curatore, della facoltà di scioglimento, per il suo carattere definitivo, preclude la facoltà di richiedere la stipulazione del definitivo anche dopo la chiusura del fallimento.

Occorre, poi, considerare che se la domanda non è improcedibile e il procedimento è stato riassunto contro il curatore, può essere pronunciata contro il fallimento sentenza ex art. 2932 c.c., ove il curatore non si costituisca in giudizio e non faccia constare la sua volontà di sciogliersi dal contratto: volontà che può essere manifestata anche in modo implicito ed anche in grado di appello, ma nel procedimento ex art. 2932 c.c. contro il curatore deve risultare (Guglielmucci, 1997, 321, 322).

Così, in particolare, ha opinato la Corte di cassazione con la sentenza n. 3001/1982 che — dopo aver escluso la fondatezza della tesi più radicale, secondo la quale l'opponibilità della trascrizione della domanda ex art. 2932 al fallimento va negata perché, «ai fini di suddetta opponibilità, dovrebbe farsi riferimento non già alla trascrizione della domanda, sibbene a quella della sentenza che produce gli effetti del contratto definitivo ex art. 2932 c.c.», osservando al riguardo che «... a favore dell'aggancio alla domanda sta la valutazione di interesse che traspare dagli artt. 2643 n. 14, 2644, 2652 n. 2 c.c. in collegamento con l'art. 43 l.fall., nonché l'inserzione dell'art. 45 della medesima legge nella sfera coperta dall'art. 43» – ha osservato che, sin dalla sentenza n. 1542/1958, è affiorata nella giurisprudenza della Corte di cassazione «la tendenza ad affermare che il sopravvenire del fallimento si riflette sulla stessa procedibilità dell'azione, bloccando l'evoluzione della fattispecie traslativa per l'esigenza di salvaguardare l'intangibilità della massa attiva e la par condicio creditorum, non potendo più essere pronunciata la sentenza di accoglimento ex art. 2932 c.c. dopo il fallimento del promittente», posto che «la prevalenza accordata all'art. 2652 n. 2 c.c. postula... la pronuncia di una sentenza siffatta, esclusa dal sopravvenire del fallimento» che, pertanto, costituisce fatto produttivo dell'improcedibilità del giudizio pendente ex art. 2932 c.c.: la Corte ha, invece, ritenuto che «a proposito della vicenda del sopravvenire del fallimento in pendenza del processo volta all'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto, per paralizzare l'espansione dell'operata trascrizione della domanda ex art. 2652 n. 2 si debba riallacciare all'applicabilità dell'art. 72 comma 4, l.fall. ed alla scelta che vi si riconnette e che opera non già sul piano della procedibilità, ma su quello del merito...».

Il problema – continua la sentenza – è, allora, di stabilire il modus operandi di tale scelta nel processo in corso «...siccome impeditiva, nel merito, di dar sbocco alla domanda di esecuzione specifica... e che si realizza sfociando in una pronuncia di rigetto nel merito della domanda medesima, cui il giudice deve addivenire, senza arrestarsi a constatare, per effetto dell'intervenuto fallimento, l'improcedibilità della domanda. Si pone qui un problema di interferenza della normativa statica, dettata dall'art. 72 l.fall., nella dinamica del processo in corso, per verificare come la norma sostanziale si atteggi una volta calata nel processo in cui il curatore, subentrato al fallito, è chiamato ad esercitare la facoltà di scelta attribuitagli, nelle più accorte forme processuali».

Ora, relativamente ai contratti opponibili alla massa, il cui effetto traslativo non si sia ancora verificato al momento della sentenza dichiarativa, il potere del curatore di optare per lo scioglimento si presenta quale strumento diretto ad evitare che il trasferimento della proprietà, non ancora attuato, si realizzi.

Ne consegue che, nella sua proiezione processuale, quando cioè la controparte si sia attivata per ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c., la quale soltanto in relazione agli effetti da conseguire va considerata come un equipollente del contratto definitivo, e rispetto alla cui emanazione l'attore, che ha trascritto la domanda, gode di un'aspettativa precisa (non valendo obiettare che la parte fallita non può più, come tale, prestare il consenso alla stipula del contratto definitivo, perché non si tratta di operare sul piano della volontà, ma degli effetti che alla manifestazione di tale volontà sarebbero conseguiti, e che si realizzano ope legis), la facoltà di scelta del curatore si presenta come un diritto potestativo, che si contrappone al diritto della controparte di acquistare la proprietà attraverso la sostituzione degli effetti della sentenza al mancato consenso alla stipula definitiva.

Pertanto ogni qual volta il fallimento del promittente sopraggiunga nel corso del giudizio diretto all'esecuzione dell'obbligo di concludere il contratto, e non possa invocarsi de plano l'inopponibilità ex art. 45 l.fall., perché la domanda giudiziale è stata resa tempestivamente pubblica ex art. 2652 n. 2 c.c., non si verifica la paralisi ope legis della potestas iudicandi del giudice adito, riflettendosi sull'esito del giudizio la relativa facoltà di scioglimento che si presenta come contro diritto del curatore medesimo subentrato nel processo, nel processo che il fallimento trova pendente, al fallito (ai sensi dell'art. 43 l.fall., correlato all'art. 299 c.p.c.) mirante ad impedire l'accoglimento della domanda.

Ne consegue, altresì, che, nonostante la sopravvenienza del fallimento, quel processo prosegue e apporterebbe alla emanazione di una sentenza di merito di accoglimento della domanda dell'attore se il curatore medesimo non provvedesse ad esercitare il potere che gli è attribuito dalla norma dell'art. 72 l.fall. da qualificare, come eccezione in senso stretto, assoggettata alle regole all'uopo dettate dalle norme procedurali.

Ciò comporta che «la domanda di esecuzione in forma specifica, la quale a prescindere dalla deduzione del contro diritto del curatore avrebbe dovuto essere accolta (non rilevando in senso contrario la sopravvenienza del fallimento), risulta infondata se ed in quanto il curatore si avvalga concretamente in giudizio del relativo potere, proponendo l'eccezione che viene giudicata fondata dal giudice, previo riscontro della ricorrenza in concreto degli estremi di cui all'art. 72 comma 4 l.fall. cit. Non quindi la mera circostanza che il fallimento sia intervenuto, ma l'effettivo esercizio in giudizio dell'eccezione da parte del curatore viene a spezzare il nesso di prenotazione dipendente dalla tempestiva trascrizione della domanda, rendendo impossibile l'emanazione della sentenza di accoglimento che farebbe scattare il relativo meccanismo di opponibilità, imponendo al giudice... di mettere la sentenza di rigetto, rendendo inoperante l'effetto di prenotazione che si sarebbe potuto ricollegare esclusivamente alla pronuncia di accoglimento. Per converso se l'eccezione non viene tempestivamente formulata il giudice, il quale... non può certo pronunciare d'ufficio il rigetto della domanda del promissario se il curatore resta contumace, oppure, comparendo, si astiene dal far valere, in via di eccezione, il potere processuale che la legge gli attribuisce, consentendogli di paralizzare la esecuzione, così evidenziando il proposito di non avvalersi della opzione di opposto segno a favore dello scioglimento, non deve dichiarare improponibile... la domanda, ma è tenuto, nel rispetto della legge, a portare avanti il processo su stimolo del promissario medesimo, emanando una sentenza di accoglimento destinata ad avere effetti anche in pregiudizio della stessa».

In definitiva, conclude la sentenza, il curatore che trova pendente la domanda giudiziale del promissario debitamente trascritta ex art. 2652 n. 2 c.c. prima della dichiarazione di fallimento, non si può limitare, dal punto di vista formale ad invocare la pendenza del fallimento per paralizzare l'ulteriore corso; né per evitare l'opponibilità della emananda sentenza può semplicemente richiamarsi al difetto della formalità necessaria ex art. 45 l.fall. rapportandola alla sentenza, anziché alla domanda, perché in tale situazione operano le regole generali sugli effetti della trascrizione le quali comporterebbero, a seguito della emanazione della sentenza di accoglimento, la prevalenza del promissario, che ha reso pubblica tempestivamente la propria domanda, sulla massa.

Piuttosto, «la vicenda processuale risulta... correttamente centrata nella disposizione dell'art. 72 comma 4 l.fall. considerato nel dinamismo del suo innestarsi nel processo pendente sub specie di eccezione in senso stretto. Poiché l'effetto di prenotazione in tanto scatta in quanto alla domanda trascritta su venga a saldare una sentenza di accoglimento, ogni qualvolta l'ordinamento offra alla parte un contraddittorio che impedisca di giungere ad una pronuncia siffatta, il meccanismo di salvaguardia a suo tempo innestato resta paralizzato se ed in quanto il curatore eserciti nel processo il potere di scioglimento, che impedisce al giudice di pronunciare una sentenza siffatta e gli impone di dichiarare lo scioglimento del vincolo scaturente dal contratto preliminare invocato in giudizio per conseguire in via giurisdizionale gli effetti del trasferimento correlato alla mancata stipula di quello definitivo, e quindi rigettare la domanda di esecuzione in forma specifica...».

In definitiva, nel contratto preliminare di compravendita immobiliare, qualora il promissario abbia instaurato giudizio per l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, ed abbia provveduto a trascrivere la relativa domanda, la sopravvenienza del fallimento del promittente non determina una situazione di improcedibilità, né legittima il curatore a contestare la opponibilità dell'emananda sentenza per il solo fatto della sua posteriorità rispetto al fallimento, tenuto conto degli effetti della suddetta trascrizione in caso di accoglimento della domanda (art. 2652 c.c.), ma il curatore medesimo può conseguire il rigetto di tale domanda avvalendosi — in via di eccezione in senso stretto — della facoltà di scioglimento del contratto conferitagli dall'art. 72, comma 4, l.fall., il quale trova applicazione non soltanto con riguardo alla vendita definitiva con effetti obbligatori non ancora eseguita, ma anche con riguardo al preliminare di vendita non ancora seguito dalla stipulazione del definitivo, ancorché il promissario abbia già provveduto al pagamento del prezzo.

La giurisprudenza della Corte di cassazione, in seguito, ha, in netta prevalenza, ribadito l'orientamento espresso nella sentenza sopra esposta, affermando, appunto, che la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c. prima del fallimento del promittente venditore non impedisce al curatore di scegliere tra il subingresso e lo scioglimento del rapporto contrattuale pendente (indipendentemente dal fatto che il promittente acquirente abbia per parte sua interamente eseguito la prestazione, pagando interamente il prezzo o facendone offerta nei modi di legge) ma con l'onere, onde evitare l'accoglimento della domanda (a lui, come detto, opponibile), di esercitare tale potere fino a quando, con effetti a lui opponibili, non sia stato stipulato il contratto definitivo ovvero sia passata in giudicato la sentenza pronunciata a norma dell'art. 2932 c.c. (Cass. n. 239/1999; Cass. n. 7070/2004; Cass. n. 10436/2005; Cass. n. 4888/2007; Cass. n. 14763/2009; Cass. n. 24396/2010; Cass. n. 27111/2013; Cass. n. 9076/2014).

Gli argomenti addotti a sostegno di tale conclusione sono, in sostanza, per un verso, che la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica prevista dall'art. 2932 c.c. prima del fallimento del promittente venditore è opponibile al curatore a norma degli artt. 45 l.fall., 2652, n. 2 e 2915, comma 2, c.c., con la conseguenza che il processo può validamente proseguire nei suoi confronti (previa riassunzione: artt. 43 l.fall. e 299 c.p.c.) e che la sentenza di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c., pur se pronunciata dopo il fallimento, è senz'altro efficace nei confronti dei creditori, e, per altro verso, che il curatore può dichiarare, purché risulti nel processo, la propria scelta di sciogliere il rapporto contrattuale, così determinando il rigetto della domanda.

La scelta del curatore di recedere dal contratto determina, infatti, lo scioglimento ex tunc del rapporto contrattuale (pur se in tutto o in parte adempiuto sul piano fattuale) dando così luogo ad un fatto impeditivo, sul piano sostanziale, all'accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica proposta (che deve essere, per l'effetto, respinta), a nulla sul punto potendo rilevare la sua previa trascrizione, il cui effetto prenotativo, in effetti, presuppone, come si evince dall'art. 2652, n. 2, c.c., il suo accoglimento (a mezzo di una sentenza che a norma dell'art. 2643, n. 14, c.c., deve essere a sua volta trascritta).

In tale prospettiva, quindi, «la domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre del promissario acquirente, trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 2652, n. 2, c.c. – poiché l'adempimento di tale formalità non incide sulla facoltà del curatore di recedere ex art. 72 l.fall. ma determina soltanto (ai sensi dell'art. 45 l.fall.) l'opponibilità alla massa dei creditori della domanda stessa e della eventuale sentenza di accoglimento, sempre che il curatore abbia scelto l'esecuzione del contratto, invece che il suo scioglimento – può essere paralizzata dalla scelta del curatore di optare per lo scioglimento del contratto, scelta che si configura come elemento ostativo all'accoglimento di quella domanda»: Fabiani, 3040; Andrioli, 1967, 418, nt. 365: «la domanda, prevista dall'art. 2932 c.c., non è inammissibile, né diviene improcedibile a seguito della dichiarazione di fallimento del promittente obbligato, ma diviene infondata solo a seguito dell'esercizio, da parte del curatore, del diritto potestativo di scioglimento del contratto che assume nel processo, la forma dell'eccezione in senso sostanziale e, proprio perché tale diritto incide non sull'ammissibilità, ma sulla fondatezza della domanda del promissario in bonis, il giudice non può pronunciare d'ufficio la reiezione»; dopo la riforma, Bonfatti-Censoni, 336, per cui «... allorché il promissario acquirente in bonis abbia agito nei confronti del fallito, prima della dichiarazione di fallimento, a norma dell'art. 2932 c.c. (esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto), al fine di ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso e sottragga all'esproprio fallimentare il bene che è oggetto del preliminare, le regole relative alla pendenza del rapporto vanno coordinate con quelle relative alla pendenza del processo e, se si tratta di beni immobili, anche con quelle relative alla trascrizione della domanda giudiziale. Poiché la sentenza di cui all'art. 2932 c.c. la natura costitutiva e non produce effetti se non dal momento del suo passaggio in giudicato, si ritiene prevalentemente che, interrotto il processo a seguito del fallimento del promittente venditore e successivamente riassunto lo stesso nei confronti del curatore fallimentare subentrato al fallito a norma dell'art. 43 l.fall., il curatore, che intende opporsi alla pretesa del promissario acquirente, debba esercitare il potere di scioglimento nel processo, eventualmente anche in grado di appello, sotto forma di eccezione di merito diretta a paralizzare la domanda avversaria. Questa conclusione vale anche per il preliminare di vendita avente ad oggetto un bene immobile, sempre che la domanda giudiziale del promissario acquirente in bonis sia stata trascritta a norma dell'art. 2652, n. 2, c.c. (in caso di mancata trascrizione, infatti, il curatore fallimentare potrebbe limitarsi ad eccepirne l'inopponibilità alla massa in base all'art. 45 l.fall.). Ove il curatore eserciti tempestivamente il potere di scioglimento, il promissario acquirente che abbia già anticipato, in tutto o in parte, il prezzo pattuito (come spesso accade in concreto) vede trasformarsi il suo diritto al trasferimento della proprietà dell'immobile in un semplice credito concorsuale alla restituzione delle somme pagate...»).

Quella descritta costituisce senz'altro la soluzione più evoluta e raffinata, risultando, per contro, superati altri argomenti che pure, nel corso del tempo, sono stati addotti a sostegno della prevalenza della scelta del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare rispetto al promissario acquirente che avesse trascritto la domanda di esecuzione in forma specifica prima della dichiarazione di fallimento, e cioè:

l'art. 51 l.fall. e la conseguente improcedibilità, a seguito della dichiarazione di fallimento, delle azioni esecutive individuali sui beni del fallito, ivi compresa l'azione di esecuzione in forma specifica prevista dall'art. 2932 c.c.: la domanda in questione, infatti, in assenza di titolo esecutivo, non si configura come un'azione esecutiva in senso proprio assumendo, piuttosto, la natura di azione costitutiva, per cui – come rilevato da Cass. n. 3001/1982 cit. — qualora il promissario abbia instaurato giudizio per l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo ed abbia provveduto a trascrivere la relativa domanda, la sopravvenienza del fallimento del promittente non determina una situazione di improcedibilità del giudizio; conf. Cass. S.U., n. 12505/2004, lì dove ha evidenziato che la domanda diretta ad ottenere, in costanza di fallimento, l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto è estranea alle previsioni dell'art. 51 l.fall. poiché l'art. 2932 c.c. mette capo ad un provvedimento di natura cognitiva che ha la caratteristica di produrre direttamente l'effetto giuridico richiesto;

il principio della par condicio creditorum, nel senso che, in conseguenza del fallimento, si apre, tra tutti i creditori del fallito, il concorso sui beni che costituiscono, in quel momento, il patrimonio del debitore, con la conseguenza che i creditori del fallito hanno l'onere di far accertare le rispettive pretese a mezzo del giudizio di verificazione, se del caso previa conversione in denaro di quelle che non hanno ad oggetto una prestazione pecuniaria (art. 59 l.fall.) e non possono conseguire la soddisfazione in forma specifica delle proprie pretese, ivi comprese, evidentemente, le pretese dirette (e non quale effetto di una sentenza pronunciata nei confronti del curatore, come nel caso della risoluzione ex art. 72, comma 5, l.fall.) al conseguimento della proprietà di un bene, come, appunto, quella conseguente ad un contratto preliminare, la cui esecuzione, quindi, anche se chiesta prima del fallimento, non può più, una volta dichiarato il fallimento, essere conseguita, neppure in forma giudiziale ex art. 2932 c.c.: in realtà, come evidenziato da Andrioli, 1967, 398, la parità di trattamento dei creditori è un principio direttivo, variamente applicato nelle singole disposizioni di legge, alle quali, e non al non meglio identificato principio, deve farsi capo per enunciare ragioni positivamente ostative dell'applicabilità dell'art. 2915 alla materia fallimentare; in giurisprudenza, in tal senso Cass. SU n. 12505/2004, cit., la quale ha rilevato come la portata del principio della «parità di trattamento» dei creditori fallimentari, che certo rappresenta uno degli aspetti caratterizzanti della disciplina del fallimento, deve essere determinata (non già in modo aprioristico, ma) tenendo conto del contenuto di (tutte) le disposizioni che regolano il concorso dei creditori e, quindi, anche dell'art. 45 l.fall.;

l'intangibilità della massa attiva ex art. 42 ss. l.fall., nel senso che, in conseguenza del fallimento, i beni che in quel momento costituiscono il patrimonio del debitore non possono più essere sottratti, se non per decisione dell'amministrazione fallimentare, alla loro destinazione tipica, vale a dire la liquidazione da parte del curatore per la soddisfazione di tutti i creditori secondo la graduazione stabilita dalla legge, per cui, una volta dichiarato il fallimento, non può essere pronunciata alcuna sentenza (ivi compresa quella prevista dall'art. 2932 c.c.) che abbia l'effetto di sottrarre un bene alla massa fallimentare: già Andrioli, 1967, 398, aveva, in effetti, rilevato che indisponibile è il bene pignorato non meno della massa attiva del debitore fallito e, pertanto, si deve spiegare perché l'indisponibilità, consequenziale al pignoramento, la quale cede di fronte a talune domande, se anteriormente trascritte, sia meno tenace dell'indisponibilità, determinata dalla dichiarazione di fallimento. Del resto, aveva aggiunto Bonsignori,, 172, 173, il richiamo del principio di indisponibilità dei beni sottoposti al fallimento cela una petizione di principio, in quanto s'invoca l'intangibilità della massa attiva proprio per risolvere problemi che concernono la determinazione della massa stessa. Del resto, l'art. 42 l.fall. deve essere coordinato con l'art. 45 l.fall., il quale, rendendo opponibili alcuni atti alla procedura, disciplina proprio la possibilità che la consistenza della massa fallimentare sia intaccata e ridotta da negozi efficaci nei confronti dei creditori, alla stessa stregua dell'art. 2915 c.c. relativamente ai beni pignorati: Coltraro, 33.

In giurisprudenza, Cass. S.U., n. 12505/2004, in motiv., ha rilevato che l'individuazione dei beni ricompresi nel patrimonio fallimentare non può prescindere dalla considerazione di quanto stabilito dall'art. 45 l.fall., essendo evidente che l'atto, se «opponibile», è idoneo ad incidere negativamente sulla consistenza della massa attiva fallimentare e a ridurre, quindi, la consistenza dei beni sui quali i creditori fallimentare possono soddisfarsi, non diversamente da quanto previsto per i beni pignorati (art. 2915, comma 2, c.c.);

la natura del contratto preliminare quale fattispecie a formazione progressiva, come ritenuto da Cass. S.U., n. 23918/1999, per la quale la dichiarazione di fallimento immobilizza la situazione patrimoniale quale era alla data in cui fu pronunziata ed impedisce perciò che possa integrarsi una fattispecie suscettibile di produrre un mutamento della situazione stessa e soprattutto una diminuzione della massa attiva esistente ai sensi dell'art. 42 l.fall.: in realtà, come rilevato dal Cass. S.U., n. 12505/2004, il contratto preliminare si inserisce nel processo di formazione del contratto, ma è individuato dalla conclusione di un accordo; accordo che, pur essendo strumentale alla conclusione di un futuro contratto, è caratterizzato dall'efficacia vincolante sancita dall'art. 1372 c.c., dalla quale le parti possono sciogliersi solo «per mutuo consenso» o «nei casi previsti dalla legge».

Il vincolo che da esso deriva non è quindi meno intenso di quello proprio degli altri contratti c.d. definitivi;

l'efficacia ex nunc della sentenza costitutiva di accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre, con la conseguente impossibilità di far retroagire, tra le parti, l'effetto traslativo al momento della trascrizione della domanda e, quindi, ad un momento anteriore alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore (come sostenuto da Zanichelli, 160, sul presupposto, evidentemente, che il curatore assuma, relativamente al contratto pendente, la medesima posizione del fallito ed acquisti, quindi, la qualità di parte): in realtà, il curatore, relativamente al rapporto preesistente, diventa parte solo se vi subentra e non anche quando, in alternativa, dichiara di scioglierlo; inoltre, assumendo (inevitabilmente) lo status di terzo e di portatore degli interessi dei creditori del convenuto, il curatore subisce gli effetti che, appunto, la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c. produce (non tra le parti, per le quali varrà solo la sentenza, ma) nei confronti dei terzi acquirenti ed (a norma dell'art. 2915, comma 2, c.c.) dei creditori del contraente convenuto i giudizio, facendo decorrere l'effetto traslativo determinato dall'accoglimento della domanda non dalla sentenza ma dalla pubblicità dell'atto introduttivo ex art. 2652, n. 2, c.c. (cfr. sul punto Bianca, 552, 553, nt. 35, dove rileva come la disposizione di cui all'art. 2652, n. 2, c.c. in ordine alla retroattività degli effetti della decisione alla data della trascrizione della domanda introduttiva del giudizio non opera nei rapporti tra le parti del negozio oggetto del giudizio stesso ma solamente nei confronti dei terzi, fissando un ordine di precedenza tra i diritti in conflitto che agli stessi spettano nei confronti della medesima persona.

In giurisprudenza, Cass. n. 19341/2011 ha evidenziato che le domande ex art. 2932 c.c. hanno natura costitutiva e operano ex nunc e le relative trascrizioni, ex art. 2652, comma 1, n. 2 c.c., hanno l'unica funzione di risolvere il conflitto tra l'attore e tutti gli aventi causa dal convenuto che abbiano effettuato trascrizioni o iscrizioni nei suoi confronti dopo la trascrizione della domanda, ma non si tratta di regola che vale ad anticipare gli effetti della sentenza costitutiva nei rapporti fra le parti già al momento della proposizione della domanda di esecuzione specifica (Conf. Cass. n. 10600/2005; Cass. n. 7553/1996).

L'esclusione della trascrizione delle domande giudiziali dall'ambito di applicazione dell'art. 45 l.fall., laddove, al contrario, tale norma estende al fallimento gli effetti che conseguono non solo alla trascrizione degli atti ma anche alla trascrizione delle domande giudiziali, le quali, pertanto, se non hanno effetto in pregiudizio dei creditori se compiute dopo il fallimento, sono, evidentemente, opponibili alla massa se eseguite prima del fallimento (o meglio, a seguito della riforma, dopo che la sentenza di fallimento sia stata iscritta nel registro delle imprese), per cui, in definitiva, la tempestiva trascrizione della domanda giudiziale relativa ad immobili o mobili registrati, effettuata in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, rende opponibile alla massa la sentenza che l'abbia accolta: Genoviva, 459; Caccavale, 652; prima della riforma, Jaeger-Sacchi, 1 ss, 6. De Ferra, 70 ss; Rocchio, 1460, 1461; Andrioli, 1967, 397 ss, 399, 400, per il quale «... a favore dell'inserzione dell'art. 2915 comma 3 nel quadro dell'art. 45, sta non solo l'origine di questa norma, basata sull'identificazione della massa dei creditori con i terzi acquirenti, ma anche la considerazione che i termini del conflitto tra l'attore e i creditori del convenuto, pignorante e intervenuti (e dietro di questi l'aggiudicatario e l'assegnatario), sono rappresentati non già dalla trascrizione della sentenza di accoglimento (art. 2643 n. 14) e dalla trascrizione dell'aggiudicazione, ma, rispettivamente, dalla trascrizione della domanda e dal pignoramento (trascritto). Essendo rilevanti non la trascrizione della sentenza, ma la trascrizione della domanda, non la trascrizione dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, ma il pignoramento e la dichiarazione di fallimento, la «formalità» che assume rilievo decisivo nell'ambiente degli art. 2915 comma 2 c.c. e 45 l.fall., è la trascrizione della domanda e non della sentenza. Che poi la sentenza segua e sia di accoglimento e venga trascritta (o, se si tratti di sentenze diverse da quelle indicate nel n. 14 dell'art. 2643, annotata: art. 2655), non influisce sulla statuizione degli art. 2915 e 45, che risolvono il conflitto tra la dichiarazione di fallimento e le formalità, necessarie a rendere opponibili certi atti ai terzi. In altre e più concise parole: poiché per rendere opponibili le sentenze, di cui agli art. 2652 e 2653, ai terzi acquirenti dal convenuto e, per forza estrinseca dell'articolo 2915 comma 2, ai creditori di quest'ultimo, occorre che la domanda sia trascritta prima della pubblicazione della titolo dell'acquirente o del pignoramento, sono inefficaci al fine di provocare l'estensione della sentenza alla massa dei creditori quelle sole trascrizioni di domande, che siano successive alla dichiarazione di fallimento...». In definitiva, conclude l'insigne A., se «la trascrizione della domanda sia anteriore alla dichiarazione di fallimento (il che ovviamente significa che la domanda è stata proposta prima della dichiarazione di fallimento)... la sentenza di accoglimento della domanda produce gli effetti che, nel quadro degli artt. 2652 e 2653, le sono propri».

Non sono, però, mancate autorevoli opinioni contrarie.

In una prima prospettiva, se il promissario acquirente ha proposto e trascritto la domanda ex art. 2932 c.c. ed ha integralmente pagato (od offerto di pagare il prezzo), il contratto è, da parte sua, interamente eseguito, con la conseguente sottrazione dello stesso alla disciplina dei rapporti pendenti ed al potere del curatore di provocarne lo scioglimento: in tale situazione, infatti, si è al di là della sfera coperta dall'art. 72 l.fall., perché non può qualificarsi come rapporto pendente, con prestazioni non ancora eseguite da entrambi i contraenti, quelli in cui una delle parti che abbia compiuto tutto quanto la legge richiede ai fini della sua liberazione.

In tale ipotesi, non potendo trovare applicazione la regola di cui all'art. 72, se la domanda è fondata essa non può divenire infondata, ma deve trovare accoglimento e condurre alla soddisfazione del promissario: Colesanti, 1972, 260 ss, 264 ss.; Colesanti, 2005, 329 ss., 335, 336; Bonsignori, 168 ss, 174, Jaeger-Sacchi, 6. Dopo la Riforma, Colesanti, 2009, 93 ss; Gaboardi, 989 ss.

La giurisprudenza, tuttavia, non ha mai condiviso tale impostazione.

La Corte di cassazione, a sezioni unite, nella sentenza n. 12505/2004, ha, infatti, osservato che l'art. 72 l.fall., il cui contenuto precettivo si sostanzia nell'attribuzione al curatore del contraente fallito del potere di sciogliersi dal contratto di vendita stipulato prima della dichiarazione di fallimento, non è di agevole lettura.

Stando alla rubrica, che fa riferimento alla vendita «non ancora eseguita da entrambe le parti», dovrebbe ritenersi che i contratti presi in considerazione, sono (soltanto) quelli non eseguiti o non compiutamente eseguiti sia dall'uno che dall'altro contraente, così come si afferma nella Relazione ministeriale, osservandosi che «la semplice esecuzione unilaterale si risolve in un credito della parte che ha eseguito verso l'altra, e i crediti si fanno valere secondo le norme proprie del fallimento..., vale a dire secondo le regole del concorso.

Nei primi tre commi, che hanno riferimento al fallimento del compratore, si afferma chiaramente che la possibilità, per il curatore, di optare per lo scioglimento del contratto, presuppone, innanzi tutto, che la vendita sia ancora ineseguita o «non compiutamente eseguita» da entrambe le parti«: ne deriva, come è del resto chiarito esplicitamente dal primo comma della norma in esame, che l'integrale esecuzione della prestazione, da parte del venditore o da parte dell'acquirente, preclude al curatore di optare per lo scioglimento del contratto.

Il contenuto della disposizione è quindi, sotto tale riguardo, pienamente in linea con le indicazioni che possono trarsi dalla rubrica e dalla Relazione.

Nel quarto comma dello stesso art. 72 l.fall., relativo al fallimento del venditore, si dispone che, se la cosa venduta «è già passata in proprietà del compratore», il contratto «non si scioglie».

Ci si può chiedere, allora, se lo stesso effetto non si determini anche per il solo fatto che il compratore abbia eseguito la propria prestazione.

Ma il dubbio, ancorché comprensibile (l'adempimento di tale prestazione impedisce, infatti, di considerare il contratto «non compiutamente» eseguito «da entrambe le parti»), è infondato: il legislatore ha precisato, infatti, che «se la cosa venduta non è passata in proprietà del compratore, il curatore ha la scelta fra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto».

Appare quindi evidente che nell'ipotesi inversa tale possibilità di scelta non è concessa e che il dato rilevante, in caso di fallimento del venditore, per l'esercizio del potere di scioglimento del contratto da parte del curatore fallimentare, è costituito (non dalla mancata esecuzione, totale o parziale, del contratto «da entrambe le parti», ma) dal mancato trasferimento della proprietà della cosa venduta al compratore».

In altra prospettiva, invece, si è ritenuto che, una volta che la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare sia stata trascritta, a norma degli artt. 2932 e 2652, n. 2, c.c., prima del fallimento, non solo il giudizio è opponibile al curatore, al pari della sentenza di accoglimento, ma anche che quest'ultima, retroagendo (ed escludendo, quindi, il bene immobile dal patrimonio del promittente venditore, poi fallito, sin dal) momento della trascrizione della domanda, impedisce al curatore di avvalersi del potere previsto dall'art. 72 l.fall. di provocare lo scioglimento del rapporto.

Tale soluzione è stata adottata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 12505/2004, secondo la quale, quando la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l'accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l'apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall'art. 72 l.fall..

La sentenza, in particolare, censura l'idea per cui la trascrizione della domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, eseguita dal contraente in bonis prima della dichiarazione di fallimento, non precludebbe al curatore la possibilità di sciogliersi dal contratto preliminare stipulato con il fallito ai sensi del citato art. 72 l.fall.

In realtà – ha osservato la sentenza – il «meccanismo pubblicitario» previsto dall'art. 2652, n. 2, c.c. si articola in due momenti: quello iniziale, costituito dalla trascrizione della domanda giudiziale, e quello finale, rappresentato dalla trascrizione della sentenza di accoglimento.

È indubbio che la particolare efficacia della trascrizione della domanda resta subordinata alla trascrizione della sentenza e può, pertanto, manifestarsi solo se tale adempimento viene effettuato. Ma è non meno certo che gli effetti della sentenza di accoglimento, quando sia trascritta, retroagiscono alla data della trascrizione della domanda.

Non può, quindi, esservi dubbio – continua la sentenza — che sia la trascrizione della domanda (e non della sentenza) ad assumere rilievo decisivo ai fini dell'opponibilità ai terzi del trasferimento attuato con la pronuncia, ai sensi dell'art. 2932 c.c., della sentenza che produce gli effetti del contratto «non concluso», e che l'adempimento di tale formalità sia sufficiente a far prevalere il diritto acquistato dall'attore, una volta trascritta la sentenza, sui diritti contrari o incompatibili venutisi nel frattempo a creare in capo al terzo.

Il sistema del codice civile circa gli effetti della trascrizione delle domande giudiziali trova il suo completamento nell'art. 2915, comma 2, c.c., che risolve il conflitto tra il creditore pignorante (e i creditori che intervengono nel processo di espropriazione) e i terzi, i cui diritti siano accertati con sentenza in epoca successiva al pignoramento, in base alla data della trascrizione della domanda e, quindi, adottando lo stesso criterio accolto dall'art. 2652 c.c. e dall'art. 2653 c.c.

Anche in questo caso, pertanto, la trascrizione della domanda introduttiva del giudizio ha l'effetto di «prenotare» gli effetti della futura sentenza di accoglimento, che saranno pertanto opponibili ai creditori procedenti se la trascrizione della domanda è stata effettuata prima del pignoramento.

L'art. 45 l.fall., non si pone in antitesi con la disciplina appena illustrata, ma la integra.

Con tale disposizione si è statuito, infatti, che «le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi», (solo) se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento «sono senza effetto rispetto ai creditori» con la conseguenza che, nel caso opposto, tali formalità sono invece opponibili.

L'unica particolarità è data dalla circostanza che, non essendo la sentenza dichiarativa di fallimento oggetto di trascrizione o di iscrizione, l'anteriorità dell'atto dovrà essere verificata, come del resto risulta in modo inequivoco dalla formulazione della disposizione in esame, in relazione alla data di deposito della sentenza dichiarativa di fallimento e non a quella della sua annotazione nei pubblici registri ai sensi dell'art. 88, comma 2, l.fall., essendo tale adempimento previsto per finalità di mera pubblicità notizia.

L'art. 45 l.fall. dev'essere, quindi, coordinato (non solo con gli artt. 2652 e 2653 c.c., ma anche) con l'art. 2915, comma 2, c.c. per cui sono opponibili ai creditori fallimentari (non solo gli atti posti in essere e trascritti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento, ma anche) le sentenze pronunciate dopo tale data, se le relative domande sono state in precedenza trascritte.

Né rileva il fatto che l'art. 72 l.fall. riconosca al curatore del contraente fallito, in relazione ad alcune ipotesi, il potere di sciogliersi dal contratto: tale disposizione, infatti, rileva la sentenza, dev'essere coordinata con quanto stabilito dal citato art. 45 l.fall..

Ne deriva che, quando la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l'accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l'apprensione del bene da parte del curatore, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall'art. 72 l.fall..

Ed infatti, conclude la sentenza, gli effetti derivanti dalla sentenza di accoglimento della domanda trascritta, pronunciata ai sensi dell'art. 2932 c.c., retroagiscono alla data di trascrizione della domanda: se, quindi, la trascrizione è stata eseguita prima della dichiarazione di fallimento, deve ritenersi che il trasferimento della proprietà del bene promesso in vendita sia avvenuto prima di tale momento, integrando gli estremi della situazione considerata dallo stesso art. 72, comma 4, l. fall., come ostativa all'esercizio della facoltà di recesso da parte del curatore.

La soluzione esposta dalla sentenza esaminata è stata, in seguito, dichiaratamente condivisa da Cass. n. 15218/2010, per la quale, in effetti, in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, se la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere detto contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento del promittente venditore, la sentenza che l'accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l'apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall'art. 72 l.fall. Infatti, gli effetti della anzidetta sentenza di accoglimento retroagiscono alla data della trascrizione della domanda (così da rendere la situazione controversa insensibile agli eventi successivi incidenti sulla titolarità e sulla disponibilità del bene oggetto della pretesa) ed altresì, alla luce dei principi del giusto processo e della sua durata ragionevole, le posizioni delle parti ed i diritti da esse inizialmente fatti valere non possono subire conseguenze pregiudizievoli a causa del tempo di trattazione necessario per la definizione del giudizio. Conf. Cass. n. 27093/2011; Cass. n. 16160/2010, per la quale, quando la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto é stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l'accoglie, anche se trascritta successivamente, é opponibile alla massa dei creditori e impedisce l'apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall'art. 72l.fall..

Le argomentazioni utilizzate dalla citata sentenza (come ricostruire da Cass. n. 27111/2013) sono, quindi, le seguenti:

«1) ai sensi dell'art. 2652 n. 2 c.c., gli effetti della pronuncia di accoglimento ex art. 2932 c.c., pur essendo subordinati alla trascrizione della sentenza, retroagiscono alla data di trascrizione della domanda, sicché è l'adempimento di tale formalità ad assumere rilievo decisivo ai fini «dell'opponibilità ai terzi» del trasferimento attuato con la pronuncia medesima ed a far prevalere il diritto acquistato dall'attore, una volta trascritta la sentenza, sui diritti contrari o incompatibili venutisi nel frattempo a creare «in capo al terzo»;

2) il sistema del codice civile circa gli effetti della trascrizione delle domande giudiziali trova il suo completamento nell'art. 2915 secondo comma c.c., che risolve il conflitto fra creditore pignorante e i terzi, i cui diritti siano accertati in epoca successiva al pignoramento, in base alla data della trascrizione della domanda, che ha l'effetto di «prenotare» gli effetti della futura sentenza di accoglimento;

3) l'art. 45 l.fall. non si pone in antitesi con la predetta disciplina, ma la integra, dovendo essere interpretato nel senso che le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi hanno effetto rispetto ai creditori concorsuali se compiute in data anteriore alla sentenza dichiarativa del fallimento;

4) la S.C. ha sempre ritenuto opponibili ai creditori concorsuali le sentenze pronunciate in data successiva alla dichiarazione di fallimento se le relative domande sono state in precedenza trascritte, fuorché nell'ipotesi di accoglimento della domanda svolta ai sensi dell'art. 2932 c.c.;

5) gli argomenti adoperati per sostenere tale ultimo orientamento non appaiono persuasivi;

6) in particolare, non appare convincente l'argomento tratto dall'art. 72 l.fall., che riconosce al curatore il potere di sciogliersi dal contratto preliminare, in quanto anche tale disposizione deve essere coordinata con l'art. 45 l.fall., sicché quando la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l'accoglie, anche se trascritta in data successiva, è opponibile alla massa dei creditori».

In dottrina, la tesi esposta dalla sentenza esaminata è stata commentata favorevolmente da Coltraro, 30. Favorevole, ma con diversa motivazione, Ticozzi, 785 ss, 800, 801.

Sulla opponibilità delle domande trascritte a norma dell'art. 2652 c.c. al fallimento della parte convenuta a norma dell'art. 45 l.fall., v. Cass. n. 4915/1987, per la quale «la sentenza, che accolga la domanda di revocatoria ordinaria della vendita di bene immobile o bene mobile iscritto in pubblico registro, è inopponibile non solo al terzo acquirente in base ad atto trascritto prima della data di trascrizione della domanda stesa (art. 2652 c.c.), ma anche al creditore che abbia promosso esecuzione in danno del convenuto compratore (ed al creditore intervenuto nell'esecuzione) in base a pignoramento anteriore alla suddetta data, stante l'espressa equiparazione di tale creditore al terzo acquirente, contemplata, al fine indicato, dall'art. 2915 secondo comma c.c.. Parimenti, in caso di fallimento di quel convenuto, la predetta sentenza resta inopponibile alla massa quando la relativa domanda sia stata trascritta dopo la dichiarazione di fallimento, dato che l'art. 45 della legge fallimentare, facendo applicazione delle indicate regole in sede di esecuzione concorsuale, sancisce l'inefficacia rispetto ai creditori delle formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo detta dichiarazione»; Cass. civ. n. 2439/2006, per la quale «qualora la domanda diretta a ottenere la risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell'acquirente e di restituzione delle cose in base ad esso consegnate sia stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento del convenuto, la sentenza che l'accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori in conseguenza della retroattività tra le parti della risoluzione del contratto, che si traduce nell'obbligo di restituzione della cosa acquisita dal contraente ancora «in bonis» prima della dichiarazione di fallimento, da considerarsi, pertanto, come mai entrata a far parte della massa attiva fallimentare.

Sulla rilevanza generale della trascrizione della domanda ex artt. 2932 e 2652, n. 2, c.c. per risolvere il conflitto tra promissario acquirente e creditori del promittente venditore convenuto in giudizio, v. Punzi, 290 – 293, per cui, in caso di conflitto tra colui che agisce per l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre e i creditori del promittente, che procedano in executivis sul bene oggetto del promesso trasferimento, «la prevalenza della pretesa dell'uno o di quella degli altri è condizionata al fatto che la domanda del terzo promissario manifesti o meno la sua efficacia nei confronti dei creditori in conseguenza di che il bene promesso sarà appunto assoggettabile all'esecuzione intrapresa dai creditori del promittente, o potrà essere sottratto ad essa» e, precisamente, in caso di beni immobili, «la soluzione deriva dal coordinamento degli artt. 2932 e 2652, n. 2, con l'art. 2915 comma 2 c.c. sicché la prevalenza della pretesa del promissario si avrà ogni qual colta la sua domanda sia stata trascritta in epoca anteriore alla trascrizione del pignoramento». Proto Pisani, 362, per cui «... il coordinamento fra gli artt. 2652-2653 e l'art. 2915 comma 2 induce a ritenere che... le sentenze... dirette ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre (art. 2652 n. 2)... sono opponibili (cioè esplicano efficacia riflessa) nei confronti del creditore pignorante e degli intervenuti (e dell'aggiudicatario od assegnatario), se la domanda relativa sia stata trascritta prima della trascrizione del pignoramento». Verde,, 811, per il quale «il codice non si è limitato a evitare che, in pendenza di esecuzione, l'esecutato compia atti di disposizione dei beni pignorati opponibili ai creditori, ma ha anche cercato di «retrodatare» gli effetti della vendita e dell'assegnazione forzate al tempo del pignoramento. Per fare ciò, ha dovuto non solo modellare la posizione di chi acquista il bene espropriato sulla posizione dei creditori (art. 2919), ma ha dovuto anche costruire la posizione dei creditori su quella del terzo che verrà ad acquistare il bene pignorato. Sotto questo profilo vi è una tendenziale equiparazione del creditore al terzo acquirente, quale emerge in particolare dagli art. 2914 e 2915 comma 2.... In particolare, si deve ritenere che l'articolo in esame vada integrato con gli art. 2652 e 2653, che disciplinano gli effetti della trascrizione delle domande giudiziali>>. Ferri, 260: «colla trascrizione della domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, l'attore viene infatti ad afferrare la cosa in contesa con la stessa forza con cui potrebbe farlo un titolare di un vero diritto reale sulla medesima»: infatti, tutte le trascrizioni ed iscrizioni sulla cosa contesa successive alla trascrizione della domanda sono inefficaci di fronte all'attore e, di conseguenza, «sono a lui in opponibili tutti i mutamenti giuridici resi pubblici con successive trascrizioni o iscrizioni». Micheli, 92, 93; Trentini, 46 ss, 47, per cui, con riguardo all'art. 2915 c.c., rileva che «... il disposto dell'art. 45 della legge fallimentare finisce per costituire applicazione in sede concorsuale della disposizione codicistica e del principio generale nella stessa affermato, secondo cui condizione per l'opponibilità al creditore pignorante (e, nel caso della dichiarazione di fallimento, alla massa dei creditori) delle formalità relative all'immobile oggetto di espropriazione è che tali formalità siano compiute antecedentemente alla trascrizione del pignoramento e, in caso di procedura concorsuale maggiore, alla data della dichiarazione di fallimento».

Le opzioni teoriche, come sopra esposte, non divergono, a ben vedere, in ordine all'effetto (e cioè l'opponibilità nei confronti dei creditori del promittente venditore) che consegue alla trascrizione, in data anteriore rispetto alla sentenza dichiarativa, della domanda di esecuzione in forma specifica promossa, a norma dell'art. 2932 c.c., dal promissario venditore.

Tanto nell'una (Cass. n. 3001/1982), quanto nell'altra ricostruzione (Cass. n. 12505/2004), infatti, ad onta (talvolta) degli argomenti talora utilizzati, si ritiene che, a seguito del comb. disp. artt. 45 l.fall., 2932, 2652, n. 2, e 2915, comma 2, c.c., la trascrizione della domanda eseguita prima del fallimento comporta l'opponibilità del relativo giudizio al curatore, e, per l'effetto, la sua idoneità a essere definito con una sentenza di accoglimento efficace nei suoi confronti.

Le due teorie divergono, nella sostanza, solo su un punto, vale a dire il potere (sostanziale) del curatore di dichiarare, nel giudizio, lo scioglimento del rapporto: che la prima ammette, configurandolo come un fatto impeditivo per l'accoglimento della domanda, e che la seconda, invece, nega, ritenendo che se la domanda di esecuzione in forma specifica è stata trascritta, il curatore perde il potere di determinare lo scioglimento del contratto.

Solo che tanto l'una, quanto l'altra ricostruzione non sembrano pienamente soddisfacenti.

La prima, in quanto, riconoscendo al curatore il potere di sciogliere il rapporto pur a fronte della trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica prima del fallimento del promittente venditore, finisce, di fatto, per rendere inoperante l'effetto di opponibilità che pure, in astratto, attribuisce alla stessa, relegandolo alle sole (e residue) ipotesi in cui il curatore, per un motivo o per l'altro, non si costituisca nel giudizio ovvero, costituendosi, si astenga dall'eccepire lo scioglimento del contratto.

La seconda, in quanto, a fronte della trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica prima del fallimento del promittente venditore, esclude che il curatore possa esercitare il potere di sciogliere il rapporto, senza, tuttavia, dar conto di una norma, come l'art. 72 l.fall., che, al contrario, senza distinguere a seconda che la domanda sia stata trascritta prima del fallimento o meno, lo prevede in modo espresso.

Ed, in effetti, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 18131/2015 (conf. Cass. n. 17627/2016; Cass. n. 2906/2016, Cass. civ. n. 25799/2015), hanno adottato una soluzione in qualche modo intermedia, affermando che, nel caso in cui il promissario acquirente abbia proposto la domanda che mira a conseguire una sentenza che produca «gli effetti del contratto non concluso» a norma dell'art. 2932 c.c., il curatore, pur se il giudizio sia stato riassunto nei suoi confronti (art. 43 l.fall.) e fino a quando, in tal caso, non sia stato definito con il passaggio in giudicato della sentenza, può, in ogni momento (purché, ovviamente, risulti nel giudizio), efficacemente avvalersi della facoltà, di ordine sostanziale, di scegliere se subentrare ovvero di provocare lo scioglimento del rapporto a norma dell'art. 72: se, però, la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare è stata trascritta, a norma dell'art. 2652, n. 2, c.c., prima dell'iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese, l'esercizio di tale facoltà è inopponibile all'attore promissario acquirente e, quindi, non impedisce al giudice di pronunciarsi, nel merito, sulla domanda medesima, fermo restando, però, che il bene immobile è definitivamente sottratto alla massa attiva solo se la domanda è successivamente accolta e la relativa sentenza sia trascritta.

La norma dell'art. 2652, n. 2, c.c. stabilisce, infatti, che la trascrizione della sentenza che accolga la domanda diretta a ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre «prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda», ivi compresa l'iscrizione nel registro delle imprese della sentenza di fallimento a norma degli artt. 16, ult. comma, e 17 l.fall.

A seguito della riforma del 2006, infatti, tale pubblicità non assolve più, come nel regime previgente, ad una mera funzione di pubblicità notizia, avendo, piuttosto, assunto, a norma dell'art. 16, ult. comma, l.fall. (secondo cui la sentenza di fallimento produce effetti «nei riguardi dei terzi» solo dalla data della sua iscrizione nel registro delle imprese), la natura di pubblicità dichiarativa (come tale dovendosi qualificare ogni pubblicità dalla quale dipende l'efficacia dell'atto pubblicato nei confronti dei terzi, e cioè la sua opponibilità) e rileva, come tale, oltre che a fini di cui all'art. 44 l.fall., anche ai fini della efficacia ex art. 45 l.fall. (Caccavale, 609 ss.) e, per l'effetto, dei conflitti che tale norma, come detto, risolve, a partire da quelli relativi alla trascrizione delle domande giudiziali.

Né, del resto, può rilevare il fatto che l'iscrizione della sentenza di fallimento non riguardi i registri immobiliari, essendo noto come sia ben possibile che taluni conflitti siano risolti sulla base della priorità temporale di adempimenti pubblicitari tra di loro differenti, come nel caso delle convenzioni matrimoniali (Cass. n. 27854/2013).

In caso di domanda di esecuzione in forma specifica proposta prima del fallimento del promittente venditore e riassunta nei confronti del curatore, quest'ultimo (parte del giudizio ex art. 43 l.fall. ma terzo rispetto al rapporto controverso) rimane, come tale, senz'altro titolare del potere di scioglimento del contratto (anche se non trascritto) che l'art. 72 gli attribuisce e può (anzi: deve) esercitarlo nel relativo giudizio: solo che, ove la domanda sia stata trascritta prima del fallimento, l'eccezione di recesso proposta dal curatore, in quanto formulata nel contesto di una procedura conseguente ad una sentenza successiva (e, come tale, inopponibile all'attore a norma dell'art. 2652, n. 2, c.c.), non è efficace nei confronti di quest'ultimo, nello stesso modo in cui, fuori del fallimento, al promissario compratore che abbia trascritto la domanda di esecuzione in forma specifica prima della trascrizione del pignoramento non sono opponibili le scelte di diritto sostanziali compiute dal relativo custode, quale, ad es., la domanda ex art. 560 c.p.c. volta ad ottenere la restituzione del bene che gli fosse stato già consegnato in detenzione.

Ciò comporta che, al pari della sentenza di fallimento iscritta nel registro delle imprese dopo la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica, così gli atti compiuti nel contesto di tale procedura (a lui inopponibile) sono, a loro volta, inopponibili al promissario compratore.

La trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c. prima del fallimento (rectius: dopo la sua iscrizione nel registro delle imprese), quindi, non impedisce al curatore di recedere dal contratto preliminare: gli impedisce, piuttosto, di recedere con effetti nei confronti del promissario compratore che ha agito in giudizio.

Il giudice, pertanto (ove non la rigetti per ragioni che non siano il recesso del curatore), può senz'altro accogliere la domanda, pur a fronte della scelta del curatore di recedere dal contratto: con una sentenza che, a norma dell'art. 2652, n. 2, c.c., se trascritta, retroagisce alla trascrizione della domanda stessa e sottrae, in modo opponibile al curatore, il bene dalla massa attiva del fallimento.

Naturalmente, se la domanda trascritta non viene accolta, quale che ne sia la ragione, la caducazione dell'effetto prenotativo della trascrizione della domanda comporta, ad ogni possibile effetto, l'opponibilità all'attore della sentenza di fallimento e, quindi, l'efficacia nei suoi confronti della scelta del curatore di sciogliere il rapporto.

In particolare, la domanda di esecuzione in forma specifica può essere rigettata, oltre che per ragioni riguardanti il contratto preliminare dedotto ed il relativo rapporto, con i correlativi fatti estintivi, modificati ed impeditivi (es., risoluzione, simulazione, ecc.), anche per le eccezioni che il curatore può, (solo) come tale, invocare, come, in particolare, quelle di revoca, ai sensi degli artt. 66 ss. l.fall., del contratto stesso (Singiovanni, 1241 ss, nt. 24).

Il curatore, infatti, dichiarando (sia pur, limitatamente a questo solo effetto, in modo inopponibile all'attore) di sciogliersi dal contratto, può sollevare in giudizio le eccezioni che nei confronti del preliminare gli spettano come terzo: simulazione, nullità, revoca ordinaria, inefficacia ex artt. 64 ss l.fall., oltre proporre o coltivare, quale «gestore» della posizione processuale del fallito, le eccezioni o le domande di tipo contrattuali spettanti (ed acquisite al patrimonio di) quest'ultimo, come l'inadempimento, la risoluzione del contratto, ecc..

Le stesse conclusioni, peraltro, sembrano utilizzabili anche per il caso in cui il contratto preliminare sia stato trascritto prima del fallimento pur se la domanda di esecuzione in forma specifica sia stata trascritta dopo.

È noto, infatti, che la l. n. 30/1997 ha previsto la trascrizione dei contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 dell'art. 2643 c.c. (art. 2645-bis, comma 1, c.c.), sempre che siano stati stipulati nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata. L'aspetto più importante riguarda senz'altro l'effetto prenotativo che è stato attribuito alla trascrizione del preliminare, in precedenza limitato solo alla trascrizione della domanda giudiziale (art. 2645-bis, comma 2, c.c.): esso consiste nella retrodatazione degli effetti dell'atto finale del procedimento al momento in cui vengono esperite le formalità iniziale, per cui, in caso di preliminare trascritto — nei limiti dei termini di decadenza previsti dall'art. 2645-bis, comma 3, c.c. (nei tre anni dalla trascrizione del preliminare occorre trascrivere il contratto definitivo ovvero della domanda ex art. 2932 c.c.) — sono inopponibili al promissario acquirente le trascrizioni e le iscrizioni eseguite nei confronti del (promittente) alienante prima della trascrizione degli atti che costituiscono esecuzione del preliminare o della sentenza che accoglie la domanda ex art. 2932 c.c. ma successivamente alla trascrizione del preliminare (Cian, 377 ss, 383, 384).

Applicando tali principi all'esecuzione concorsuale, si può ritenere che, in caso di fallimento del promissario alienante, la trascrizione del preliminare anteriormente alla dichiarazione di fallimento (o meglio: alla sua iscrizione nel registro delle imprese) consente, ove siano rispettati i termini di decadenza previsti dall'art. 2645-bis c.c., la utile proposizione della domanda ex art. 2932 c.c. anche dopo la sentenza dichiarativa, impedendo (rectius: rendendo inopponibile al trascrivente) il potere del curatore di scioglimento del rapporto) (Salamone, 377 ss., 382, 383).

La prospettata soluzione non sembra, peraltro, mutare il regime processuale che la giurisprudenza ha delineato.

L'eccezione di scioglimento da parte del curatore, infatti, sia pur inopponibile al promissario acquirente che abbia trascritto la domanda in forma specifica prima del fallimento del promittente venditore, costituisce, pur sempre, nell'eventualità che la domanda ex art. 2932 c.c. sia (per ragioni diverse dallo scioglimento) respinta, espressione di un potere sostanziale, esercitabile fino al passaggio in giudicato della sentenza (Cass. n. 14763/2009).

Intanto, può ribadirsi il principio per cui il curatore fallimentare conserva la facoltà di scelta tra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto preliminare, con cui il fallito aveva promesso in vendita un bene, fino al passaggio in giudicato della sentenza traslativa della proprietà pronunciata ai sensi di detta norma e, quindi, anche in pendenza del relativo giudizio: l'evento preclusivo di tale facoltà di scelta è, infatti, costituito dal passaggio della cosa in proprietà al compratore ed a tale evento non può essere assimilato l'effetto processuale che produce la sentenza di trasferimento, ove sia stata pronunciata e non sia ancora passata in cosa giudicata (Cass. S.U., n. 239/1999).

Il fatto che il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dal promissario acquirente e dal medesimo trascritta abbia pronunciato sentenza traslativa della proprietà ai sensi dell'art. 2932 c.c., non esclude, quindi, fino al passaggio in giudicato di questa, che il curatore del fallimento conservi la facoltà di scelta tra l'esecuzione del contratto ed il suo scioglimento.

La pronuncia adottata, ex art. 2932 c.c., nella ipotesi di inadempimento di contratto preliminare di vendita, ha, infatti, valore costitutivo, con la conseguenza che l'effetto traslativo — preclusivo della facoltà, riconosciuta al curatore fallimentare dall'art. 72, comma 4, l.fall., di scelta tra la esecuzione e lo scioglimento del contratto stesso, si produce solo con il passaggio in giudicato della sentenza.

Altra questione che la giurisprudenza ha dovuto affrontare sul piano processuale riguarda il rapporto tra l'esercizio del potere di «recesso» del curatore e le preclusioni connesse alle diverse fasi in cui si articola il giudizio introdotto dal promissario compratore, affermando, in generale, che, in pendenza di domanda ex art. 2932 c.c., trascritta in data anteriore al fallimento, il curatore può manifestare la scelta per lo scioglimento proponendo in giudizio la relativa eccezione, che ha natura di eccezione in senso proprio, se lo stadio in cui si trova il giudizio stesso lo consente: altrimenti, la scelta può essere dichiarata in sede stragiudiziale, purché risulti in giudizio e prima del passaggio in giudicato della sentenza che segna in via definitiva l'effetto traslativo del diritto, ferma restando l'inammissibilità della domanda riconvenzionale se introdotta oltre i termini preclusivi previsti, in generale, per la loro proposizione (Cass. n. 1063/2002).

In particolare, la giurisprudenza ha affermato che la facoltà di scelta del curatore rimane fino al passaggio in giudicato della sentenza e non costituisce mera eccezione processuale né è soggetta ai limiti dei nova in appello (Cass. n. 9076/2014). Ed infatti, il limite alla proponibilità delle eccezioni in senso proprio, previsto dall'art. 345 c.p.c., non assume infatti rilevanza rispetto al compimento del predetto atto, il quale costituisce esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale e manifestazione di una scelta discrezionale spettante al curatore (Cass. n. 21251/2016), che opera direttamente sul contratto e può essere effettuata mediante dichiarazione nella comparsa di costituzione o in altro scritto difensivo, come la comparsa conclusionale o atto del procuratore, anche non sottoscritto dal curatore e la cui sussistenza è rilevabile d'ufficio ai fini della decisione (Cass. n. 33/2008; conf. Cass. n. 18149/2015).

Al riguardo, di particolare interesse è Cass. n. 7522/1994, che, in motiv., rileva come «con l'apertura della procedura concorsuale il curatore subentra (art. 43, primo comma, l.fall.) nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito. Se è concepibile che egli in certe situazioni rimanga inerte — omettendo di agire o di resistere in giudizio per il disinteresse del fallimento rispetto a rapporti pur suscettibili di essere compresi nella procedura — non sarebbe, invece, giustificabile una sua inerzia, quando sussiste il suo interesse a rimuovere gli effetti processuali e sostanziali di una pronuncia (emessa nei confronti del debitore prima del fallimento, e notificata al curatore, come organo della procedura), contenente statuizioni direttamente afferenti beni e diritti compresi nel fallimento. In questo contesto sarebbe illogico considerare irrilevante (tamquam non esset) per il curatore la notifica a lui effettuata della decisione che abbia accolto la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, avendo egli l'onere di impedirne, con l'impugnazione, il passaggio in giudicato, per far valere nell'ambito del rapporto processuale non ancora esaurito, l'eccezione di scioglimento del contratto, a norma dell'art. 72, ult. comma, l.fall., proponibile anche in appello. E non è dubbio che, in tale situazione, l'accertamento contenuto nella sentenza che sia divenuta, invece, irrevocabile per la sua mancata impugnazione, se opponibile alla massa in virtù della trascrizione della domanda giudiziale anteriore alla declaratoria di fallimento, estende i suoi effetti diretti al curatore (subentrato. ex lege, al fallito, parte originaria del processo), effettivo «destinatario» della statuizione, che egli era legittimato ad impugnare, ai sensi dell'art. 111, ult. comma c.p.c., ed aveva anche interesse a rimuovere, per modificare una situazione ritenuta pregiudizievole per la procedura concorsuale».

L'esercizio della facoltà, attribuita al curatore fallimentare dall'art. 72, ultimo comma, l.fall., di sciogliere il contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito e non ancora eseguito, è, quindi, proponibile, anche per la prima volta, in grado di appello (Cass. n. 3871/2000).

Se, però, la formulazione dell'eccezione di scioglimento del contratto non si renda possibile nell'ambito del processo, per ragioni di ordine generale quali quelle attinenti ai limiti propri del giudizio di legittimità, il curatore ben ha il potere di esercitare una tale volontà in via stragiudiziale: la facoltà di optare per lo scioglimento non si caratterizza nel senso di un'azione di impugnazione negoziale, in quanto tale, da esercitarsi esclusivamente nel processo (Cass. n. 4358/1997; Cass. S.U., n. 239/1999).

L'opponibilità al fallimento della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare presuppone la trascrizione della domanda medesima in data antecedente alla dichiarazione di fallimento, la cui prova può essere fornita esclusivamente a mezzo della produzione in giudizio — in originale o in copia conforme — della nota di trascrizione, in quanto solo le indicazioni in essa riportate consentono di individuare, senza possibilità di equivoci ed incertezze, gli elementi essenziali del negozio, i beni ai quali esso si riferisce ed il soggetto al quale la domanda sia rivolta, senza potersi attingere elementi dai titoli presentati e depositati con la nota stessa; né tale produzione, tenuto conto dei contenuti specifici che la nota è destinata a provare, è surrogabile mediante la confessione della controparte (Cass. n. 28668/2013).

Infine, va esaminato il caso in cui il fallimento sia dichiarato dopo la sentenza di accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica.

Al riguardo, sembra potersi distinguere.

Se, al momento del fallimento del promittente venditore, la sentenza di accoglimento della domanda proposta a norma dell'art. 2932 c.c. è già passata in giudicato, la pronuncia traslativa è opponibile al curatore se è stata trascritta (art. 2643, n. 14, c.c.) prima della sentenza dichiarativa (art. 45 l.fall.) ovvero, in mancanza, se prima del fallimento sia stata trascritta la relativa domanda (artt. 45 l.fall. e 2652, n. 2, c.c.).

Se, invece, la sentenza di accoglimento della domanda sia stata pronunciata e trascritta prima del fallimento (art. 2643, n. 14, c.c.) ma, al momento della sentenza dichiarativa, non è ancora passata in giudicato, la pronuncia è opponibile al curatore (art. 45 l.fall.) che, pertanto, se vuole evitarne il passaggio in giudicato, ha l'onere di impugnarla per impedirne il passaggio in giudicato e, se del caso, far valere nell'ambito del processo non ancora esaurito la eccezione di scioglimento del contratto, a norma dell'art. 72, ult. comma, legge fallimentare, che è proponibile anche in appello (Cass. n. 7522/1994).

Se, infine, prima del fallimento, la sentenza è stata pronunciata ma non è diventata definitiva né è stata trascritta, essa (a meno che non sia stata trascritta la relativa domanda ex art. 2652, n. 2, c.c.) non è opponibile al curatore, il quale, però, se gli è stata notificata, ha l'onere di impugnarla se vuole evitare che la stessa, con effetti nei suoi confronti, passi in giudicato.

Ed infatti, con l'apertura della procedura concorsuale il curatore subentra (art. 43, comma 1, l.fall.) nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito. Se è concepibile che egli in certe situazioni rimanga inerte — omettendo di agire o di resistere in giudizio per il disinteresse del fallimento rispetto a rapporti pur suscettibili di essere compresi nella procedura — non sarebbe, invece, giustificabile una sua inerzia, quando sussiste il suo interesse a rimuovere gli effetti processuali e sostanziali di una pronuncia (emessa nei confronti del debitore prima del fallimento, e notificata al curatore, come organo della procedura), contenente statuizioni direttamente afferenti beni e diritti compresi nel fallimento. In questo contesto sarebbe illogico considerare irrilevante (tamquam non esset) per il curatore la notifica a lui effettuata della decisione che abbia accolto la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, avendo egli l'onere di impedirne, con l'impugnazione, il passaggio in giudicato, per far valere nell'ambito del rapporto processuale non ancora esaurito, l'eccezione di scioglimento del contratto, a norma dell'art. 72, ult. comma, l.fall., proponibile anche in appello.

E non è dubbio che, in tale situazione, l'accertamento contenuto nella sentenza che sia divenuta, invece, irrevocabile per la sua mancata impugnazione, se opponibile alla massa in virtù della trascrizione della domanda giudiziale anteriore alla declaratoria di fallimento, estende i suoi effetti diretti al curatore (subentrato, ex lege, al fallito, parte originaria del processo), effettivo «destinatario» della statuizione, che egli era legittimato ad impugnare, ai sensi dell'art. 111, ult. comma c.p.c., ed aveva anche interesse a rimuovere, per modificare una situazione ritenuta pregiudizievole per la procedura concorsuale (Cass. n. 7522/1994).

La facoltà del curatore di sciogliersi dal rapporto pendente è stata ritenuta costituzionalmente legittima (Cass. n. 28480/2005).

La disciplina prevista in materia di contratto preliminare è stata estesa all'acquisto da cooperativa edilizia: Cass. n. 23514/2016 ha, infatti, ritenuto che, in tali società, il trasferimento dell'immobile prevede una fattispecie a formazione progressiva, la cui prima fase, presupponente l'acquisizione dello status di socio da parte dell'assegnatario e la prenotazione dell'alloggio, deve qualificarsi come contratto preliminare, perché con l'individuazione del bene e del corrispettivo nasce l'obbligo per la società di prestare il proprio consenso al trasferimento, e la cui seconda fase, consistente nella successiva assegnazione dell'alloggio, si identifica con il contratto definitivo, con la conseguenza che, in caso di fallimento della cooperativa, è in facoltà del curatore, prima dell'assegnazione, di sciogliersi dal contratto preliminare, ai sensi dell'art. 72, comma 4, l.fall..

I contratti relativi ad immobili da costruire

La disciplina descritta (nella quale, come detto, il rapporto contrattuale, in caso di fallimento del promittente venditore, è sospeso, fino a che il curatore non abbia scelto tra il subingresso e lo scioglimento) trova applicazione solo nel caso in cui il contratto (di compravendita o preliminare di compravendita) abbia avuto ad oggetto un immobile già edificato.

Se, invece, l'immobile che ne è stato l'oggetto era, in quel momento, da costruire o in corso di costruzione, trova applicazione, quale norma speciale rispetto alla disciplina generale (cfr. l'art. 72, comma 3, l.fall.), l'art. 72-bis l.fall..

Tale norma – allo scopo di tutelare gli acquirenti di immobili da costruire, a fronte del rischio che, nel lasso di tempo intercorrente tra la stipula di un contratto e l'acquisto della proprietà, il fallimento del venditore possa impedire l'acquisto della proprietà da parte dell'acquirente e, al contempo, fargli perdere le somme già versate in anticipo – prevede che, in caso di fallimento del promittente venditore, il curatore ha la scelta tra l'esecuzione e lo scioglimento del rapporto ma l'acquirente, fino a che il curatore comunichi la sua scelta di subentrare, può provocare lo scioglimento del rapporto, escutendo la fideiussione stipulata a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore e dandone comunicazione al curatore.

La norma, tuttavia, trova applicazione solo in presenza di alcuni presupposti, tanto di carattere soggettivo, quanto di tipo oggettivo: vale a dire, in sintesi, solo se «un costruttore», prima del suo fallimento, abbia stipulato, con l'«acquirente», un contratto non immediatamente traslativo del diritto di proprietà (o di altro diritto reale di godimento) relativo ad «immobili da costruire».

Si tratta, quindi, di stabilire il significato di tali locuzioni, che va rivenuto negli artt. 1 e 5 del d.lgs. n. 122 cit. (Pozzi, 367)

Il contratto, quindi, deve essere stato stipulato tra un «costruttore» ed un «acquirente».

Il «costruttore», a norma dell'art. 1, lett. b, del. d.lgs. n. 122 cit., è «l'imprenditore o la cooperativa edilizia che promettano in vendita o che vendano un immobile da costruire, ovvero che abbiano stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto la cessione o il trasferimento non immediato in favore di un acquirente della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire, sia nel caso in cui lo stesso venga edificato direttamente dai medesimi, sia nel caso in cui la realizzazione della costruzione sia data in appalto o comunque eseguita da terzi».

La legge dispone che il costruttore dev'essere un imprenditore o una cooperativa edilizia.

Non è, tuttavia, necessario che il costruttore edifichi direttamente l'edificio: è sufficiente l'imprenditore abbia affidato a terzi, con appalto o altro contratto, la realizzazione della costruzione.

La norma, quindi, trova applicazione tanto nel caso in cui il «costruttore» (che è sempre un imprenditore) ponga in vendita un immobile che egli stesso sta costruendo, quanto nel caso in cui il venditore, senza costruirlo direttamente, ponga in vendita, ma quale «imprenditore», un immobile edificato da terzi.

Quel che rileva è, in altri termini, non che l'immobile sia stato costruito dal venditore ma che il venditore eserciti un'impresa che ha per oggetto la vendita degli immobili da costruire, a prescindere dal fatto che ne curi egli stesso l'edificazione o l'affidi a terzi (Di Marzio, 1144).

La norma non richiede che il costruttore sia una persona fisica: può trattarsi, quindi, anche di un imprenditore collettivo, a carattere societario o meno.

Non è chiaro se le regole a tutela dell'acquirente si applichino anche agli intermediari immobiliari (in tal senso, D'Arrigo, 911 ss., 912) o, più in generale, a colui che, per conto del costruttore, provveda alla vendita o alla stipula del preliminare di immobili da costruire (in tal senso, Aprile, 1123 ss., 1127, onde evitare l'elusione della normativa in esame laddove l'impresa di costruzioni demandasse a una società a latere, a un'agenzia o ad un mandatario senza rappresentanza la commercializzazione dell'immobile da costruire)

Quanto all'acquirente, l'art, 1, lett. a), del. d.lgs. n. 122 cit. stabilisce che si tratta della «persona fisica che sia promissaria acquirente o che acquisti un immobile da costruire, ovvero che abbia stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto l'acquisto o comunque il trasferimento non immediato, a sé o ad un proprio parente in primo grado, della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire, ovvero colui il quale, ancorché non socio di una cooperativa edilizia, abbia assunto obbligazioni con la cooperativa medesima per ottenere l'assegnazione in proprietà o l'acquisto della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire per iniziativa della stessa».

La legge richiede, quindi, che l'acquirente sia una persona fisica.

Non è chiaro, tuttavia, se la scelta di designare l'acquirente con il mero riferimento alla «persona fisica», senza l'ulteriore precisazione che deve trattarsi di attività compiuta per scopi estranei all'attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta, consenta, o meno, un'interpretazione restrittiva della norma in esame.

Secondo una prima interpretazione, la legge, facendo riferimento alla persona fisica, ha inteso riferirsi esclusivamente al consumatore, vale a dire a chi abbia acquistato al di fuori dell'esercizio dell'impresa o della professione eventualmente svolta (cfr. in tal senso, Di Marzio, 1141 ss.), come, tra l'altro, confermato anche dal fatto che l'acquirente è identificato come colui che stipula un contratto che deve avere per effetto il trasferimento non immediato della proprietà in favore suo o di un parente di primo grado.

In altra impostazione, invece, poiché l'intento del legislatore è quello di tutelare il «contraente debole», a prescindere dalla sua qualifica di «consumatore», l'acquirente non deve necessariamente agire per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta: ai fini della norma, pertanto, dev'essere considerato «acquirente» anche la persona fisica che agisca nell'esercizio dell'impresa o della professione (Barba, 1014; Aprile, 1124), come confermato dal fatto che la norma fa espresso riferimento al leasing, vale a dire ad un contratto per lo più utilizzato dagli imprenditori e dai professionisti.

Il riferimento, quale acquirente, alla persona fisica esclude l'applicabilità della norma ai soggetti collettivi, come le associazioni e le società, siano esse di persone o di capitali (D'Arrigo, 911 ss).

La norma, in ogni caso, estende la tutela non solo a chi abbia acquistato o promesso di acquistare l'immobile da costruire, in proprio suo, ma anche di chi l'abbia fatto in favore di un proprio parente in primo grado, ovvero a colui il quale, ancorché non socio di una cooperativa edilizia, abbia assunto obbligazioni con la cooperativa medesima per ottenere l'assegnazione in proprietà o l'acquisto della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire per iniziativa della stessa.

La norma, inoltre, richiede che si tratti di 1) contratti che abbiano per effetto il trasferimento (non immediato) della proprietà (o di un diritto reale di godimento); 2) su un immobile da costruire.

Si è discusso se la norma, facendo riferimento ai contratti che abbiano per effetto il trasferimento (non immediato) della proprietà (o di un diritto reale di godimento), abbia inteso riferirsi ai soli contratti traslativi della proprietà, sia pur con effetto differito ad un momento successivo rispetto alla conclusione (come nei casi di vendita di cosa futura, di vendita di bene altrui, di vendita sottoposta a condizione sospensiva o a termine iniziale, di vendita con riserva di proprietà, di opzione di vendita, ecc.) ovvero se, al contrario, come può argomentarsi dall'art. 72, comma 3, l.fall., abbia inteso fare riferimento anche ai contratti ad effetti obbligatori, quali, in particolare, il contratto preliminare di vendita (in tal senso, Barba, 1011 ss).

La norma, in ogni caso, trova applicazione a tutti i contratti che abbiano comunque la finalità di far acquisire all'acquirente (sia pur con effetto differito) la proprietà di un fabbricato da costruire, quali, ad es., la transazione, la datio in solutum, la permuta nonché, e più ampiamente, i contratti, tipici o atipici, comunque nominati dalle parti, che abbiano come effetto concreto il trasferimento non immediato della proprietà o di un altro diritto reale di godimento (Aprile, 1123 ss., 1125; Di Marzio, 1145).

La norma, invece, non trova applicazione in caso di atti di liberalità poiché, in tale ipotesi, non v'è l'esigenza di tutelare l'acquirente dal rischio del mancato trasferimento del bene e della perdita del prezzo versato (Pozzi, 372).

Non è chiaro se la norma, facendo riferimento ai contratti, trovi applicazione anche a fronte di rapporti contrattuali conseguenti al passaggio in giudicato, prima del fallimento, della sentenza di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto preliminare di compravendita, nei quali il pagamento del prezzo ancora dovuto dal promittente compratore, pur conservando la sua originaria natura di prestazione essenziale del compratore, assume anche il valore e la funzione di una condizione sospensiva dell'effetto traslativo, destinata ad avverarsi, nel caso di adempimento, o a divenire irrealizzabile, precludendo l'effetto condizionato, nel caso di omesso pagamento nel termine fissato dalla sentenza (Cass. n. 11195/1994).

I contratti devono avere ad oggetto il trasferimento della proprietà (o di un diritto reale di godimento) di immobili da costruire, vale a dire «gli immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità» (art. 1, lett. d, d.lgs. n. 122 cit.).

La norma, quindi, si applica non solo gli immobili che siano ancora da edificare, ma per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire, ma – a differenza dell'originaria previsione della norma (così Barba, 1013) – anche gli immobili già costruiti ma non ultimati, versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità.

Ne sono, quindi, esclusi non solo gli immobili già edificati (Di Marzio, 1144, il quale ravvisa la ratio del regime protettivo proprio nell'incertezza che discende dalla inesistenza o dalla mancata ultimazione del bene al momento della stipulazione del contratto e la conseguente necessità che l'attività di costruzione deve svolgersi successivamente alla stipula, con i relativi rischi) ma anche gli immobili esistenti solo «sulla carta», per i quali, cioè, esiste un progetto ma non sia stato richiesto il permesso di costruire o un titolo equipollente (Pozzi, 371)

Il d.lgs. n. 122 cit. detta una disciplina di tutela dell'acquirente o del promissario acquirente di immobili da costruire in ragione dell'elevato rischio di inadempienze della parte alienante ovvero del pericolo di sottoposizione del costruttore ad esecuzione immobiliare o a procedura concorsuale, trovando però applicazione, in forza del contenuto definitorio di cui all'art. 1, comma 1, lett. d), soltanto riguardo agli immobili per i quali, da un lato, sia stato già richiesto il permesso di costruire (o, se del caso, sia già stata presentata la denuncia di inizio attività, a norma dell'art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, e che, dall'altro lato, non siano stati oggetto di completamento e, dunque, non sia stato ancora richiesto il relativo certificato di agibilità.

Ne consegue che i contratti preliminari di compravendita di immobili esistenti soltanto «sulla carta», ossia per i quali sussista un progetto, ma non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire o un titolo equipollente, si collocano fuori dell'ambito applicativo della speciale disciplina recata dal citato d.lgs. n. 122 cit. e la chiara lettera della legge non consente di pervenire, a tutela dell'acquirente o promissario acquirente di immobile esistente «sulla carta», ad una interpretazione adeguatrice che ne permetta invece l'applicazione (Cass. n. 5749/2011).

La norma, infine, trova applicazione, per espressa previsione normativa, in caso di leasing, quale contratto idoneo a determinare il trasferimento non immediato della proprietà, se relativo ad immobili da costruire, prevalendo, per la sua specialità, rispetto alla norma generale stabilita, per il caso di fallimento del concedente (venditore), dall'art. 72-quater, comma 4, l.fall. (Di Marzio 1153), e consentendo, quindi, all'utilizzatore (acquirente), oltre che di acquistare il bene, anche di sciogliersi dal rapporto escutendo la fideiussione.

Non è necessario, ai fini dell'applicazione della norma in esame, che l'immobile sia destinato ad uso abitativo: vi rientrano, quindi, anche gli immobili destinati ad uso non abitativo, quali esercizi commerciali, uffici, ecc. (Aprile, 1130).

Non è chiaro, invece, se per immobili da costruire debbano intendersi solo gli interventi edilizi di nuova costruzione ex art. 3, lett. e), d.P.R. n. 380 cit. ovvero anche gli edifici che abbiano subito interventi di ristrutturazione ex art. 3, lett. d), d.P.R. n. 380 cit.. Il riferimento legislativo al permesso di costruire — che l'art. 10 t.u. edilizio riserva a entrambi gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio – ha indotto taluni a propendere per la soluzione interpretativa di più ampia portata (Aprile, 1130; Pozzi, 371).

La norma presuppone che, al momento del fallimento del costruttore, il rapporto sia pendente e non si sia, quindi, ancora verificato l'effetto traslativo.

Non rileva, invece, che gli immobili, che, al momento del contratto, erano da costruire o in costruzioni, siano stati, al momento del fallimento, ultimati. In realtà, l'ultimazione dell'immobile, al momento del fallimento, impedisce l'applicazione della norma solo nel caso in cui, in conseguenza, si sia realizzato l'effetto traslativo della proprietà (come nel caso della vendita dell'immobile da costruire quale cosa futura).

Può, infatti, accadere che, nonostante l'ultimazione dell'immobile, l'effetto traslativo, per un motivo o per l'altro, non si sia realizzato (si pensi al caso del preliminare di vendita di un immobile da costruire cui non abbia fatto seguito, al momento del fallimento, la stipula del definitivo).

In siffatte ipotesi, la norma trova senz'altro applicazione.

In caso di fallimento del costruttore, l'art. 72-bis l.fall. prevede che il curatore ha il potere di scegliere tra il subingresso nel rapporto e lo scioglimento dello stesso: l'esecuzione del rapporto, quindi, rimane sospesa (Nardo, 536).

La norma, tuttavia, consente anche all'acquirente di provocare lo scioglimento del rapporto, escutendo la fideiussione prevista a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore e dandone comunicazione al curatore, in tal modo derogando rispetto alla disciplina ordinaria in caso di sospensione del rapporto pendente: mentre quest'ultima consente al contraente in bonis solo di far assegnare al curatore un termine, trascorso inutilmente il quale il rapporto si intende sciolto, dovendo per il resto assoggettarsi alla decisione del curatore, l'art. 72-bis l.fall. consente all'acquirente di sciogliersi dal contratto, sempre che il curatore non abbia già scelto di darvi esecuzione (Pozzi, 373).

Il sistema, quindi, pone in competizione il curatore e l'acquirente: da una parte, il curatore ha il potere di decidere se sciogliere o subentrare nel rapporto ma perde tale potere se l'acquirente decide di sciogliersi escutendo la fideiussione; dall'altra parte, l'acquirente ha il potere di sciogliersi dal rapporto fino a che il curatore non decida di subentrare nel rapporto dandovi esecuzione.

In definitiva, quando una delle parti abbia manifestato la propria decisione, all'altra è precluso di seguire una via diversa, sia nel senso che la decisione sia orientata nel senso della continuazione del rapporto (anche se tale scelta possa essere espressamente compiuta solo dal curatore: Di Marzio, 1151), sia, ed a maggior ragione, che la decisione sia orientata nel senso dello scioglimento del rapporto (Barba, 1016).

La specialità della norma in esame rispetto alla disciplina generale ha indotto a ritenere che il curatore possa sciogliersi dal rapporto pendente relativo ai rapporti in corso di esecuzione anche a fronte dei presupposti previsti dall'art 72, comma 8, l.fall. (Trib. Brescia 23/5/2014, in Fall. 2014, 951: l'art. 72-bis l.fall. prevede una disciplina speciale per i contratti pendenti relativi ad immobili da costruire che accorda al promissario acquirente strumenti di tutela che consistono principalmente nella fideiussione prevista dall'art. 2 d.lgs. n. 122 cit. e nel diritto di prelazione contemplato dall'art. 9 del suddetto decreto; tale disciplina è di carattere speciale e derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 72 l.fall., con la conseguenza che ai preliminari di compravendita di immobili da costruire non si applica l'art. 72, comma 8, l.fall.).

La volontà dell'acquirente di sciogliersi dal rapporto deve manifestarsi mediante l'escussione della fideiussione.

Non basta, quindi, la dichiarazione di sciogliersi dal vincolo contrattuale (Barba, 1018; in senso contrario, sembra, Zanichelli, 166).

Si discute sul momento in cui si determina lo scioglimento del rapporto.

Secondo alcuni, il rapporto si scioglie nel momento in cui l'acquirente trasmette al fideiussione la richiesta di pagamento, senza che rilevi l'omessa o tardiva comunicazione dell'escussione al curatore, salvo, in quest'ultimo caso, l'obbligo di risarcire i danni arrecati alla massa (Vattermoli, 436).

Altri, invece, ritengono che la comunicazione al curatore sia essenziale per la produzione dell'effetto risolutivo del rapporto (Barba, 1018; Dimundo, 232; Patti, 1624, 1625). In tale prospettiva, la mera escussione della fideiussione non è sufficiente a paralizzare l'iniziativa del curatore, il quale, pertanto, può sia provocare lo scioglimento del contratto ma anche decidere di subentrarvi e darvi esecuzione.

Nel caso in cui il curatore decida di subentrare nel rapporto, assume tutti gli obblighi contrattualmente assunti dal fallito, compreso quello di ultimare l'immobile, ma acquisisce il diritto al corrispettivo pattuito.

In tal caso, l'acquirente perde il diritto di escutere la fideiussione, a meno che il curatore, dopo il subingresso, si sciolga per l'impossibilità di dare esecuzione al contratto per l'insufficienza delle risorse (Di Marzio, 1153).

La fideiussione continua, comunque, a produrre effetti fino al trasferimento della proprietà (o del diritto reale di godimento) sull'immobile (art. 3, comma 7, d.lgs. n. 122 cit.).

Nel caso in cui il rapporto si scioglie, tanto per decisione del curatore, quanto per scelta dell'acquirente, le parti hanno il diritto alla restituzione delle prestazioni già eseguite (Gualandi, 315 ss).

Il curatore, in particolare, ha il diritto alla restituzione dell'immobile, che è definitivamente acquisito all'attivo del fallimento. L'acquirente, dal suo canto, ha il diritto alla restituzione di quanto pagato al venditore: tale diritto è, tuttavia, garantito dalla possibilità di escutere la fideiussione.

Nel caso di escussione della fideiussione, il garante, che abbia pagato, può surrogarsi nel credito che l'acquirente aveva verso il fallito (art. 1949 c.c.), che può, quindi, insinuare al passivo, con il privilegio speciale, sul bene immobile oggetto del contratto, previsto dall'art. 2775-bis c.c., quando ve ne siano i presupposti, vale a dire la mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis c.c. e la mancata cessazione degli effetti della trascrizione al momento della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa (Aprile, 1131).

L'acquirente, infine, anche nel caso di scioglimento conseguente alla escussione della fideiussione, ha, ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. n. 122 cit., il diritto di prelazione nell'acquisto dell'immobile al prezzo definitivo raggiunto nell'incanto, anche in esito alle eventuali offerte ai sensi dell'art. 584 c.p.c., a condizione, però, che ne abbia il possesso e lo abbia adibito ad abitazione principale (e non necessariamente a residenza), per sé o per un suo parente entro in primo grado.

La norma – che, per come è formulata, appare applicabile a favore degli acquirenti non solo di immobili da costruire, ma anche di immobili già costruiti e abitabili e che siano già nella disponibilità del compratore, come accade nel caso di cd. preliminare a effetti anticipati con immissione del promissario acquirente nel possesso dell'immobile (Aprile, 1130) — è letteralmente riconosciuta solo in caso di vendita con incanto.

Secondo l'interpretazione che appare preferibile, però, la norma trova applicazione in ogni forma di vendita immobiliare (Di Marzio, 1158).

La prelazione può essere esercitata anche dall'acquirente che abbia escusso la fideiussione, la quale, infatti, rimane efficace fino a che non sia avvenuto il trasferimento della proprietà (o del diritto reale di godimento) (Di Marzio, 1158)

Ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione, il giudice delegato provvede a comunicare all'acquirente la definitiva determinazione del prezzo entro dieci giorni dall'adozione del relativo provvedimento, con indicazione di tutte le condizioni alle quali la vendita dovrà essere conclusa e l'invito a esercitare la prelazione, a pena di decadenza, entro il termine di dieci giorni dalla ricezione della predetta comunicazione.

È escluso in ogni caso il diritto di riscatto nei confronti dell'aggiudicatario, che, al più, potrà agire in via risarcitoria, anche contro la curatela fallimentare (Aprile, 1130).

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