Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 53 - Creditori muniti di pegno o privilegio su mobili.Creditori muniti di pegno o privilegio su mobili.
I crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli articoli 2756 e 2761 del codice civile possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione. Per essere autorizzato alla vendita il creditore fa istanza al giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalita' a norma dell'articolo 107 1. Il giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può anche autorizzare il curatore a riprendere le cose sottoposte a pegno o a privilegio, pagando il creditore, o ad eseguire la vendita nei modi stabiliti dal comma precedente. [1] Comma modificato dall'articolo 4, comma 3, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. InquadramentoL'articolo in esame disciplina le modalità di realizzazione dei crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio speciale ex art. 2756 e 2761 c.c. in costanza di procedimento di fallimento del debitore proprietario della cosa sottoposta a pegno o su cui si esercita il privilegio. In particolare, si prevede che «i crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli artt. 2756 e 2761 c.c. possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione». I crediti pignoratizi, quelli assistiti da privilegio relativi alle spese e prestazioni per la conservazione ed il miglioramento dei beni mobili (art. 2756 c.c.) ed i crediti privilegiati del vettore, del mandatario, del depositario e del sequestratario convenzionale (art. 2761 c.c.) sono dunque soddisfatti autorizzando il creditore alla vendita dei beni oggetto della garanzia con le modalità di cui all'art. 107 l.fall. In alternativa, la disposizione in commento prevede che il giudice delegato possa autorizzare il curatore a riprendere i beni oggetto della garanzia pagando il creditore oppure ad eseguire la vendita secondo le modalità stabilite a norma dell'art. 107 l.fall. Nel fallimento, dunque, è confermata l'operatività di quelle regole di autotutela esecutiva che, nell'esecuzione individuale, garantiscono in maniera peculiare la posizione dei creditori pignoratizi o assistiti dal privilegio speciale di cui agli artt. 2756 e 2761 c.c., attribuendo loro il diritto di ritenzione fino al pagamento del loro credito e il diritto di procedere alla vendita dei beni oggetto di garanzia (Vassalli, 323). Tuttavia, il potere di procedere alla vendita da parte del creditore pignoratizio o privilegiato nelle forme dell'autotutela esecutiva attribuita dagli artt. 2756 c.c. e 2761 c.c. è limitato dalla pendenza della procedura fallimentare: il giudice delegato deve comunque autorizzare il creditore alla vendita del bene oggetto della garanzia, così come può autorizzare il curatore a farlo, nelle forme dell'art. 107 l.fall. Dal canto suo, il creditore ha l'onere di fare istanza di ammissione allo stato passivo con prelazione: si deve dunque assoggettare al concorso formale di cui all'art. 52 l.fall. I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per debiti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo in quanto non sono creditori del fallito e non possono proporre domanda di separazione ex art. 103 l. fall. (Cass. I, n. 18790/2019; Cass. n. 18082/2018; Cass. n. 2540/2016). Il creditore pignoratizio cui è stato accordato di provvedere autonomamente alla riscossione dei titoli concessi in pegno alla scadenza e di impiegare gli importi riscossi nell’acquisto di altrettanti titoli della stessa natura, restando gli importi riscossi e i titoli con essi acquistati soggetti all’originale vincolo di pegno regolare, non ha diritto di ottenere dal giudice delegato lo svincolo dei medesimi titoli poiché la facoltà di disporre degli stessi è attribuita al creditore, ex art. 1851 c.c., soltanto nel pegno irregolare (Cass. I, n. 2503/2018). Eccezioni al principio del concorso formaleVi sono dei casi, tuttavia, in cui l'ammissione al passivo del creditore pignoratizio non è necessaria, o meglio, dei casi in cui il creditore pignoratizio non ha interesse all'ammissione al passivo. È il caso del creditore a favore del quale il debitore fallito aveva costituito un pegno irregolare di somme o di titoli: in un caso del genere, le somme o i titoli passano, sin dall'inizio, in proprietà del creditore, che al momento della scadenza dell'obbligazione ha solo, a sua volta, l'obbligo di restituire l'eccedenza dei beni o della somma rispetto al credito garantito (art. 1851 c.c.). A ben vedere, dunque, l'unico soggetto obbligato è il creditore, che al momento della scadenza dell'obbligazione deve restituire la somma eccedente il valore dell'obbligazione o la parte di beni o di merci eccedente il detto valore. Dal momento che ai sensi del secondo comma dell'art. 55 l.fall. i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data della dichiarazione di fallimento, è evidente che sarà il curatore ad essere, eventualmente, creditore della differenza tra il valore delle merci e la somma oggetto dell'obbligazione del fallito (Cass., S.U. n. 202/2001, in Dir. Fall., 2001, II, 1168, con nota di Ragusa Maggiore). Un'ulteriore deroga all'onere del creditore di presentare domanda di ammissione al passivo si rinviene nella disciplina dei contratti di garanzia finanziaria contenuta nel d.lgs. n. 170/2004, emanato in attuazione della direttiva 2002/47/CE. L'art. 4 del citato decreto delegato attribuisce al creditore pignoratizio la facoltà, anche in caso di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere, nel rispetto delle previsioni contrattuali: a) alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell'obbligazione finanziaria garantita; b) all'appropriazione delle attività finanziarie oggetto del pegno, diverse dal contante, fino a concorrenza del valore dell'obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione; c) all'utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l'obbligazione finanziaria garantita. Vi è poi l'obbligo, ai sensi del comma 2 della norma in parola, di informare gli organi della procedura «in merito alle modalità di escussione adottate e all'importo ricavato», restituendo così l'eventuale eccedenza. Questa disciplina si applica ai contratti di garanzia finanziaria definiti nell'art. 1, lett. d), con l'indicazione di specifici limiti soggettivi (art. 1, lett. d, nn. 1, 2 e 3). (cfr. Gabrielli, 2007, 300). La peculiare disciplina dell'insolvenza transfrontalieraAncora, l'art. 5 del regolamento del Consiglio dell'Unione Europea n. 1346/2000, relativo alle procedure di insolvenza, fa salvi i diritti dei terzi, ed anche il pegno concesso a favore del creditore, statuendo che «l'apertura della procedura di insolvenza non pregiudica il diritto reale del creditore o del terzo sui beni materiali o immateriali, mobili o immobili, siano essi beni determinati o universalità di beni indeterminati variabili nel tempo di proprietà del debitore che al momento dell'apertura della procedura si trovano nel territorio di un altro Stato membro». A ben vedere, un'attenta interpretazione tesa a tracciare i precisi confini tra la richiamata disposizione del regolamento del Consiglio UE e l'art. 53 l.fall. porta a concludere che la deroga apportata dalla fonte comunitaria alla disposizione domestica non riguarda l'onere di insinuazione al passivo del credito prelatizio, bensì solo il potere del creditore di vendere o far vendere il bene situato all'estero ed oggetto di pegno a suo favore, potere che non soffre le limitazioni previste nell'art. 53 l.fall. costituite dalla possibilità che il curatore del fallimento ha di apprendere il bene per venderlo secondo le indicazioni del giudice delegato e dalla necessità che il creditore sia autorizzato alla vendita del bene dal giudice delegato ai sensi del secondo comma dell'art. 53 l.fall. (sul problema del coordinamento tra le due fonti, comunitaria e domestica, cfr. Lamanna, sub art. 53 l.fall., op. ult. cit.). Infatti, a tal proposito, giova rimarcare che le lettere h) e i) dell'art. 4 del regolamento del Consiglio dell'Unione Europea rimettono alla legge dello Stato in cui è stata aperta la procedura d'insolvenza la disciplina dei presupposti per la partecipazione dei creditori alla procedura fallimentare e del diritto di partecipare al ricavato dalla vendita dei beni del debitore fallito. Modalità di escussione della garanziaInnanzitutto, per quanto riguarda il tempo della realizzazione dei crediti pignoratizi o privilegiati ai sensi degli artt. 2756 e 2761 c.c., il primo comma dell'art. 53 l.fall. dispone che essi «possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione». Un primo presupposto temporale, dunque, è che il credito privilegiato o pignoratizio sia stato ammesso al passivo con provvedimento definitivo (Ragusa Maggiore, 122; Inzitari, 92) Il creditore può procedere alla vendita se autorizzato dal g.d. il quale deve sentire il curatore e il comitato dei creditori, se costituito. Deve notarsi una discrasia tra il secondo comma dell'articolo in commento e l'art. 107 l.fall.: in base a quest'ultimo articolo, infatti, non è il g.d. che determina le modalità della vendita, bensì il curatore, con il programma di liquidazione approvato dal g.d.; invece, per il secondo comma dell'art. 53, modificato dal d.lgs. n. 169/2007, art. 4 comma 3, è il g.d. che a norma dell'art. 107 determina le modalità della vendita. Ci si deve sforzare di sanare l'apparente antinomia ritenendo che, se prima dell'istanza del creditore prelatizio non sia stato già approvato il programma di liquidazione, il g.d. che autorizza il creditore alla vendita determina le modalità della vendita tra quelle disciplinate nell'art. 107 l.fall.; viceversa, se già sia stato approvato il programma di liquidazione predisposto dal curatore che preveda le modalità di vendita del bene, la successiva autorizzazione del g.d. data al creditore prelatizio avrà gli effetti di modificare in parte qua il programma di liquidazione, espungendo da esso il bene oggetto della garanzia e lasciandolo al creditore affinché lo possa liquidare nei modi e nelle forme, tra quelle disciplinate nell'art. 107 l.fall., determinate con il decreto autorizzativo del giudice delegato. Si discute, inoltre, se, dopo che il creditore abbia proceduto alla vendita del bene oggetto della garanzia, possa trattenere il ricavato soddisfacendosi del proprio credito o debba, invece, consegnarlo al curatore ed attendere il riparto. Il tenore letterale del primo comma dell'articolo in commento sembra deporre nel primo senso, che parla della possibilità che i crediti prelatizi in questione siano «realizzati» anche durante il fallimento. Sembra, cioè che, fermo restando l'onere del concorso formale, l'autorizzazione alla vendita del bene data al creditore prelatizio costituisca una deroga al concorso sostanziale, con il connesso potere del creditore di soddisfarsi senza attendere il riparto. Se è così, allora le somme trattenute dal creditore in soddisfazione del suo credito saranno solo «virtualmente» oggetto di riparto: il creditore darà comunicazione al curatore dell'avvenuta vendita in conformità con quanto stabilito dal g.d. e della somma ricavata e trattenuta, che il curatore dovrà comunque considerare con la predisposizione del progetto di riparto delle somme rivenienti dalla liquidazione fallimentare, dando poi atto di quanto si sia ricavato da quella vendita e del fatto che il creditore le abbia già incassate. Tuttavia, la consegna al curatore della somma dovuta non determina il venir meno della prelazione sulla somma (Tedeschi, 242). La Suprema Corte, tuttavia, con sentenza n. 27044/2006 ha opinato diversamente, statuendo che il ricavato della vendita, quand'anche il bene oggetto di garanzia sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via autosatisfattiva dal medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell'ordine delle cause di prelazione. Occorre però rimarcare che l'arresto è precedente all'aggiunta, ad opera del correttivo del 2007, dell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 110 l.fall., a norma del quale: «nel progetto (di riparto) sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all'art. 51 l.fall». Orbene, al netto del testuale riferimento al solo articolo 51 l.fall., non può revocarsi in dubbio che anche la vendita diretta del creditore rappresenta una forma di procedura esecutiva sul bene oggetto di garanzia alla quale non si applica automaticamente il divieto di cui all'art. 51 l.fall., sicché la norma testé citata sul riparto delle somme ricavate dal creditore a seguito di processo di espropriazione iniziato o continuato dopo la sentenza di fallimento potrebbe applicarsi, per eadem ratio, anche all'ipotesi in cui il creditore pignoratizio o privilegiato si sia soddisfatto del suo credito in seguito alla vendita alla quale sia stato autorizzato dal giudice delegato. La Suprema Corte, poi, ha affermato che la vendita da parte del creditore antecedente all'ammissione al passivo non fa venir meno ex se il diritto di prelazione che potrà ancora essere riconosciuto in sede di verifica dello stato passivo (Cass. n. 651/1989). Prelazione e crediti prededucibiliAltro problema pratico che pone l'articolo in commento è il rapporto tra i crediti garantiti da pegno o da privilegio speciale e i crediti in prededuzione. Sul punto, però, soccorre la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 111-ter l.fall., dalla quale si ricava che anche il ricavato dei beni oggetto di pegno o di privilegio speciale concorre non solo alle spese specifiche imputabili all'amministrazione di ciascun bene o gruppo di beni mobili oggetto di pegno o di privilegio speciale (come è quello degli artt. 2756 e 2761 c.c.), ma anche alle spese di carattere generale, con un criterio proporzionale. Ne consegue che, anche dopo che vi sia stato l'esercizio del diritto di riscatto da parte del curatore su autorizzazione del g.d. ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 53 l.fall., il creditore è tenuto a rimborsare alla massa le spese di amministrazione e di liquidazione del bene oggetto di pegno o di privilegio speciale nonché una quota delle spese generali secondo un criterio proporzionale. Il nuovo "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza"Con riferimento all'art. 152 del d.lgs. n. 14/2019 (in vigore dal 15 agosto 2020), il testo scaturito dalla riforma risulta più articolato del testo dell'art. 53 l.f.: il nuovo articolo consta di quattro commi, a differenza del vecchio articolo che era composto di tre commi. Le differenze sostanziali consistono nel fatto che nel nuovo articolo sono stati aggiunti due periodi in coda al secondo comma, oltre che un terzo comma. I “nuovi” periodi del secondo comma sono, in realtà, una specificazione di quanto già poteva evincersi dalla disciplina sostanziale del privilegio speciale mobiliare e del pegno nell'ambito del codice civile. Già l'ultimo comma dell'art. 2756 c.c., richiamato dall'ultimo comma dell'art. 2761 c.c., dispone che il creditore, oltre al diritto di ritenzione sul bene oggetto di privilegio, “può anche venderlo secondo le norme stabilite per la vendita del pegno”. Tali norme sono dettate dagli artt. 2796 e 2797 c.c., rispetto ai quali l'art. 2798 c.c. si atteggia come vera e propria clausola di riserva: “il creditore può sempre domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento fino a concorrenza del debito, secondo la stima da farsi con perizia o secondo il prezzo corrente, se la cosa ha un prezzo di mercato”. Anche il terzo comma dell'art. 152 del Codice della crisi e dell'insolvenza (in vigore dal 15 agosto 2020) costituisce l'espressione di un principio cardine in tema di assegnazione satisfattiva: se, in caso di domanda di assegnazione del creditore pignoratizio o privilegiato, il valore di stima del bene supera il credito ammesso al passivo con prelazione, il creditore versa l'eccedenza al curatore. Così anche nel caso in cui il creditore sia stato autorizzato dal giudice delegato alla vendita del bene, secondo il comma 2 dell'articolo in commento: se il ricavato è superiore all'importo del credito ammesso al passivo con prelazione, al netto delle spese occorse per la liquidazione, la differenza in eccesso deve essere versata al curatore. BibliografiaGabrielli, Contratti di garanzia finanziaria, in Dig. civ., Torino, 2007; Inzitari, sub art. 53, in Commentario della legge fallimentare Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1989; Lamanna, sub art. 53, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario a cura di Jorio, coordinato da Fabiani, Bologna, 2007; Ragusa Maggiore, Il sistema dei privilegi nel fallimento, Milano, 1973; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006; Vassalli, Diritto fallimentare, Torino, 1994. |