Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 52 - Concorso dei creditori.

Angelo Napolitano
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Concorso dei creditori.

 

Il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito.

Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell'articolo 111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge 1.

Le disposizioni del secondo comma si applicano anche ai crediti esentati dal divieto di cui all'articolo 51 2.

[1] Comma sostituito dall'articolo 49 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

Il concorso dei creditori nel fallimento si attua con modalità diverse da quelle di cui all'art. 2741 c.c., in quanto ordinariamente la responsabilità patrimoniale del debitore si attua su impulso dei creditori che siano in possesso di un titolo esecutivo secondo il dettato dell'art. 474 c.p.c., ai quali spetta la scelta dei beni da sottoporre ad espropriazione, e che possono trovarsi a concorrere su quegli stessi beni con i creditori intervenienti parimenti in possesso, salvo eccezioni, di un titolo esecutivo ex art. 499 c.p.c.

Il concorso tra creditori sullo stesso bene del debitore, dunque, è solo eventuale e, una volta che si verifica, la regola di soddisfacimento dei diritti dei creditori concorrenti è quella proporzionale, salve le cause legittime di prelazione (art. 2741, secondo comma, c.c.), (Garbagnati, 533).

Il concorso fallimentare, invece, si caratterizza per la sua universalità, sia in senso soggettivo che in senso oggettivo (Vassalli, 302).

Infatti, tutti i creditori in base ad un titolo anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento hanno diritto di essere soddisfatti dalla liquidazione di tutti i beni del fallito esistenti alla data della dichiarazione di fallimento.

L'art. 92 l.fall. prevede un meccanismo che sollecita la partecipazione di tutti i creditori al procedimento fallimentare, previe le «forche caudine» delle verifica del passivo.

L'articolo 42 l.fall., come visto, tramite lo spossessamento di tutti i beni del fallito attuato dal curatore, fa sì che tutti i creditori che siano stati ammessi al passivo si soddisfino sul ricavato dalla liquidazione di tutti i beni del fallito.

Nell'espropriazione individuale, invece, l'unica disposizione tesa a provocare l'intervento di creditori diversi da quello pignorante la si rinviene nell'art. 498 c.p.c. che prescrive l'avviso ai creditori con un diritto di prelazione iscritto nei pubblici registri.

Che poi il pignoramento con cui si inizia il processo di espropriazione abbia un carattere di specialità e non possa, di regola, «colpire» tutti i beni del debitore lo si argomenta dall'art. 496 c.p.c., sulla riduzione, anche d'ufficio, del pignoramento nel caso di esuberanza del valore dei beni pignorati rispetto all'importo dei crediti e delle spese vantati dal creditore pignorante e da quelli eventualmente intervenuti.

Il concorso dei creditori sui beni del fallito si attua secondo la regola della par condicio, che annovera numerose applicazioni sia nell'ambito della legge fallimentare che al di fuori della stessa: le disposizioni in tema di revocatoria di pagamenti di debiti scaduti ex art. 67 comma 1 n. 2 l.fall. e dei pagamenti dei debiti scaduti eseguiti ex art. 67 comma 2 l.fall.; le disposizioni penali in tema di bancarotta preferenziale che presidiano quella regola (art. 216, comma 3, l.fall.); l'estensione ai titolari di diritti reali sui beni, anche immobili, in possesso del fallito, ed ai titolari del diritto alla restituzione di beni detenuti dal fallito in virtù di contratti costitutivi di diritti personali di godimento, del procedimento di verifica dei crediti.

Il principio della par condicio creditorum, tuttavia, non è assoluto ma conosce significative eccezioni, il cui novero si è ampliato nel corso degli ultimi anni.

Ne sono un esempio sia la più estesa protezione accordata ai crediti da lavoro dipendente e degli altri prestatori d'opera assimilati ai lavoratori subordinati, sia il disposto dell'art. 56 l.fall. che autorizza i creditori a compensare coi «loro debiti scaduti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento» (P.G. Jaeger, 103).

Che la par condicio creditorum conosca eccezioni sempre più notevoli lo si nota guardando alla disciplina del concordato fallimentare e del concordato preventivo, che consente di suddividere i creditori in classi «secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei» (De Cicco, 2007; Fabiani, II, 724 ss.).

Anche la disciplina attuale di alcuni snodi procedimentali del concordato preventivo con continuità aziendale e dell'accordo di ristrutturazione dei debiti contiene vistose deroghe al principio della par condicio creditorum: dai crediti per finanziamenti effettuati in esecuzione di un concordato preventivo ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (art. 182-quater, primo comma, l.fall.), ai crediti per finanziamenti funzionali alla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo o di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-quater, secondo comma, l.fall.), ai crediti per finanziamenti funzionali all'omologazione autorizzati ed effettuati ex art. 182-quinquies, primo comma, l.fall., alla possibilità, previa autorizzazione del tribunale, di pagare i crediti anteriori alla presentazione, anche ai sensi dell'art. 161 sesto comma l.fall., della domanda di ammissione al concordato preventivo o della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti o della proposta di accordo ai sensi dell'art. 182-bis, sesto comma, l.fall., secondo il disposto dei commi quattro e cinque dell'art. 182-quinquies l.fall., il quale ultimo, peraltro, dispone che i pagamenti di tali crediti non sono soggetti all'azione revocatoria di cui all'art. 67 l.fall.

I crediti per i finanziamenti citati sono espressamente definiti prededucibili, in caso di successivo fallimento, dalle indicate disposizioni di legge (cfr. art. 111, secondo comma, l.fall.), mentre i crediti di cui ai commi quattro e cinque dell'art. 182-quinquies l.fall. possono essere pagati in deroga al generale divieto, per i creditori per titolo o causa anteriore alla data di pubblicazione del ricorso per concordato nel registro delle imprese, di ricevere pagamenti in pendenza di procedimento di concordato preventivo (arg. ex art. 168, primo comma, l.fall.).

Queste vistose deroghe, tuttavia, non valgono a rovesciare il rapporto di regola e eccezione tra il principio della par condicio e le disposizioni che se ne discostano, come risulta dal fatto che, nell'ambito dei crediti prededucibili, la par condicio ritorna a essere il criterio ordinario di soddisfazione (art. 111-bis, secondo e quarto comma, l.fall.).

Si può allora fondatamente sostenere il principio della par condicio conserva ancora la sua portata generale, mentre le eccezioni al principio, seppure notevoli e numerose, sono funzionali al conseguimento di obiettivi ed interessi meritevoli di favorevole considerazione da parte dell'ordinamento, come quello alla continuità dell'attività aziendale e alla conservazione dei relativi assets produttivi (in tema, Vassalli, 307; Celentano, 487).

Nessuna novità sostanziale è contenuta nell’art. 151 d.lgs. n. 14/2019 - Codice della crisi d'impresa e dell’insolvenza (in vigore dal 15 agosto 2020) rispetto al testo dell'articolo in commento.

Concorso formale e concorso sostanziale

In dottrina si parla di due tipologie di concorso: formale e materiale.

Per concorso formale si intende la partecipazione alla procedura fallimentare dei creditori che siano stati «selezionati» attraverso le forme della verifica del passivo; mentre per concorso sostanziale si intende la soddisfazione dei creditori ammessi, nei limiti dell'ammissione, in condizioni paritarie ed in proporzione all'ammontare di ciascun credito, fatte salve le eventuali cause legittime di prelazione.

Non partecipano al concorso sostanziale, dunque, i creditori che non vi siano stati ammessi partecipando al concorso formale.

Coloro che sono legittimati a partecipare al concorso sostanziale attraverso il concorso formale sono i creditori per titolo o causa anteriore alla dichiarazione di fallimento, anche se il loro credito non abbia ad oggetto una somma di denaro (art. 59 l.fall.) ed anche se esso non sia ancora scaduto alla data della dichiarazione di fallimento.

Dai crediti concorsuali si differenziano concettualmente i crediti di massa, che sono i crediti che la legge chiama prededucibili (artt. 111 e 111-bis l.fall.).

Essi devono essere accertati secondo le forme della verifica del passivo (Capo V del titolo I della l.fall.), esattamente alla stregua dei crediti concorsuali, fatte salve le disposizioni eccettuative di cui al primo comma dell'art. 111-bis l.fall. (art. 52, comma 2, ultima parte, l.fall.); sono soddisfatti con precedenza rispetto ai crediti concorsuali e, in caso di attivo insufficiente, la loro soddisfazione segue la regola della par condicio, secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge.

L'attuazione delle pretese dei creditori nel procedimento fallimentare

L'art. 52 l.fall. sottopone alla regola del concorso formale tutti i crediti pecuniari, compresi quelli muniti di una causa legittima di prelazione e quelli trattati ai sensi del primo comma, n. 1, dell'art. 111 l.fall., che sono i crediti prededucibili di cui parla l'ultimo comma dell'appena richiamato articolo, nonché tutti i crediti aventi ad oggetto la restituzione di beni mobili e immobili, derivanti da diritti personali o reali.

Il terzo comma dell'art. 52 l.fall. si fa carico di precisare espressamente che la regola del concorso formale si applica anche ai crediti «esentati dal divieto di cui all'art. 51» (il terzo comma è stato inserito dal decreto correttivo d.lgs. n. 169/2007, art. 4 comma 2).

La regola tendenzialmente «universalistica» dell'accertamento dello stato passivo è stata più volte ribadita anche in giurisprudenza e se ne è affermata l'applicazione anche con riguardo all'ipotesi il cui il creditore proponga una domanda in via riconvenzionale nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito. Va, sul punto, operata una essenziale distinzione derivante dal principio che la giurisprudenza ha enucleato dalla decisione di una fattispecie esaminata. Cass. I, ord. n. 16939/2022, ha affermato che i titolari del diritto di ritenzione su beni mobili compresi nel fallimento, posto a garanzia di crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono avvalersi del procedimento di verificazione di cui all'art. 52 l.fall., anche dopo la novella introdotta dal d.lgs. n. 5 del 2006, che non sottopone a concorso i crediti di coloro che non vantano il relativo diritto nei confronti del fallito; né è possibile configurare un'ammissione atipica al passivo, che sia circoscritta ai beni oggetto della garanzia, valendo per la realizzazione di quest'ultima l'intervento nella ripartizione dell'attivo, che consente la soddisfazione sul ricavato della liquidazione dei beni sui quali insiste la prelazione.

Pertanto, nel caso sia proposta una domanda riconvenzionale avente ad oggetto un credito pecuniario nei confronti del debitore fallito o un credito restitutorio di un bene mobile o immobile avente causa in un diritto reale o personale di godimento, essa deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore (Cass. S.U., n. 23077/2004; Cass. S.U., n. 21499/2004).

Anche le azioni contro il fallimento sono devolute alla competenza del giudice delegato (artt. 52 e 93 l. fall.), con la conseguenza per cui, se la relativa azione è proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, l'inammissibilità – se il fallimento è stato dichiarato prima della proposizione della domanda – o l'improcedibilità – se la domanda è stata proposta nel corso del giudizio (Cass. III, n. 24156/2018). I titolari di diritti di ipoteca su immobili compresi nel fallimento e già costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito devono avvalersi (art. 52 , comma 2, l. fall.) del procedimento di verificazione dello stato passivo e a tal scopo l'art. 92 l. fall. impone che la facoltà di partecipare al concorso sia comunicata non solo ai creditori ma anche ai titolari di diritti reali o personali su beni in proprietà o in possesso del fallito (Cass. I, n. 2657/2019).

In particolare, la Suprema Corte ha stabilito che qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto — ovvero quando, in un processo promosso da soggetto «in bonis» per ottenere il pagamento di un proprio credito, il convenuto si costituisca e proponga domanda riconvenzionale per il pagamento di un credito nascente dal medesimo rapporto contrattuale e, a seguito di suo fallimento, il curatore si costituisca per coltivare la riconvenzionale stessa —, la suddetta domanda del creditore «in bonis», per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della legge fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Se dopo l'esaurimento della fase sommaria della verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva di credito ed anche la causa promossa dal curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell'art. 274 c.p.c., ove ne ricorrano gli estremi; possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione se non si siano verificate preclusioni e sempre che il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della competenza per ragioni di competenza inderogabile, dovendo la «translatio» comunque aver luogo nella sede fallimentare. Qualora non si possa giungere a questo risultato, va verificata la sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'art. 295 c.p.c., fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria (così, Cass. S.U., n. 23077/2004).

La possibilità del simultaneus processus, tuttavia, deve essere riconsiderata in quanto, dopo la riforma della legge fallimentare, il procedimento di opposizione allo stato passivo si svolge con un rito camerale-sommario ed è destinato a chiudersi con un decreto impugnabile per cassazione (cfr. sul punto Marelli, 774-775; Di Corrado, 364; Maffei Alberti, 260-261).

Oltre, dunque, alla domanda di condanna del debitore fallito per crediti pecuniari o per crediti restitutori di beni mobili o immobili derivanti da diritti reali o personali di godimento vantati da un soggetto che si professa creditore, che diviene improcedibile a causa della sopravvenuta dichiarazione di fallimento dell'imprenditore, è improcedibile anche il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento dell'ingiunto.

In questo caso, il decreto ingiuntivo è inidoneo a fondare ex se la prova del credito in esso portato, in quanto inopponibile al fallimento.

L'inopponibilità del decreto ingiuntivo renderà inopponibile anche l'eventuale iscrizione ipotecaria presa in base al decreto ingiuntivo stesso (cfr. Cass. n. 21565/2008). E' stato, però, precisato è opponibile alla procedura fallimentare il decreto ingiuntivo della dichiarazione di esecutorietà exart. 647 c.p.c. perché solo in questo caso il decreto passa in giudicato; e non anche se è stata concessa la provvisoria esecuzione di cui all'art. 642 o se non è stata proposta la tempestiva opposizione al fallimento (Cass. VI, n. 21583/2018). Nei casi di inefficacia del decreto ingiuntivo a causa della dichiarazione di fallimento il pagamento ricevuto dal creditore in fora della provvisoria esecuzione del provvedimento è ripetibile, non trovando più giustificazione alcuna né nel titolo, divenuto inefficace, né nel credito, contestato e non accertato (Cass. I, n. 377/2018).

In tema di rapporti tra decreto ingiuntivo e sopravvenuto fallimento del debitore si è ritenuto che ancorché la dichiarazione di fallimento (o del provvedimento di messa in l.c.a.), intervenuta nelle more del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso a carico del debitore fallito, determini l'inopponibilità alla massa dell'ingiunzione e l'improcedibilità del giudizio di opposizione, il curatore fallimentare (o il commissario della l.c.a.) non ha diritto di ripetere dal creditore la somma da questo incassata a seguito del pagamento eseguito dal debitore ingiunto, prima del fallimento, per effetto del titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo, potendo solo, eventualmente, proporre azione revocatoria dell'atto solutorio (Cass. I, n. 6918/2016).

Sull'equiparazione, ai fini che qui interessano, dell'opponibilità del decreto ingiuntivo non opposto dal debitore fallito, e per il quale sia scaduto il termine dell'opposizione, ad una sentenza passata in giudicato, si è espressa recentemente, confermando il suo indirizzo, la Suprema Corte, stabilendo che il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale, idoneo a costituire titolo inoppugnabile per l'ammissione al passivo, solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la ritualità della notificazione, lo dichiari, in mancanza di opposizione o di costituzione dell'opponente, esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c., laddove, in caso di opposizione, come si evince dal coordinato disposto degli artt. 653 e 308 c.p.c., basta che il relativo giudizio si sia estinto e che, al momento della sentenza di fallimento, sia decorso il termine di dieci giorni per proporre reclamo avverso l'ordinanza di estinzione (Cass. n. 3987/2016).

Con riferimento, ancora, al rapporto tra giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal fallito in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento e dichiarazione di fallimento, la Suprema Corte ha di recente ribadito che nel caso in cui il debitore sia dichiarato fallito nelle more dell'opposizione da lui proposta contro il decreto ingiuntivo e venga conseguentemente dichiarata l'interruzione del processo, il creditore opposto ha interesse alla riassunzione allo scopo di farne dichiarare l'estinzione, onde munire il decreto di efficacia esecutiva e renderlo opponibile al debitore una volta tornato in bonis (Cass. I, n. 23394/2015).

Questo orientamento, benché consolidato (cfr. tra le altre Cass. n. 5727/2004), dovrebbe essere sottoposto ad una attenta riconsiderazione in seguito all'introduzione, con la riforma recata con d.lgs. n. 5/2006, del terzo comma dell'art. 43l.fall., a norma del quale «l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo».

In vero, questa norma pare essere stata introdotta per consentire «il passaggio di consegne» tra il fallito e il curatore nei giudizi attivi per il fallimento, nei quali cioè si controverte su di un credito vantato dall'imprenditore fallito.

Del resto, l'interruzione del processo è il corollario processuale della perdita in capo al fallito della legitimatio ad processum con riferimento ai rapporti di diritto patrimoniale rientranti nel fallimento.

Non avrebbe, infatti, senso che, dopo l'interruzione del processo determinata dalla dichiarazione di fallimento, il fallito fosse costretto a riassumere il giudizio per evitare che, con l'estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, quest'ultimo divenisse irrevocabile e potesse fare stato nei rapporti tra il creditore opposto e il debitore opponente quando quest'ultimo torni in bonis.

Se così fosse, l'interruzione del processo avrebbe la sua ratio nel consentire al debitore fallito uno spatium deliberandi per decidere la opportunità o meno di una riassunzione al solo scopo di evitare l'estinzione del giudizio di opposizione e l'irrevocabilità «a futura memoria» del decreto ingiuntivo opposto; né avrebbe avuto senso l'introduzione del terzo comma dell'art. 43 l.fall., in quanto, invece del meccanismo fondato sulla interruzione e successiva riassunzione del giudizio, al fallito sarebbe bastato consentirgli di continuare il giudizio di opposizione per evitare che il decreto ingiuntivo, divenendo irrevocabile, potesse essere fatto valere dal creditore contro il debitore tornato in bonis.

Ne consegue che, sopravvenuto il fallimento del debitore opponente, il giudizio di opposizione dovrebbe essere dichiarato improcedibile, non interrotto.

Le eccezioni alla regola del concorso formale

Il secondo comma dell'articolo in commento prevede alcune eccezioni alla regola del concorso formale. La prima è stabilita tramite il rinvio formale a «diverse disposizioni di legge».

Un'altra eccezione è prevista dall'art. 111-bis l.fall.: sono esclusi dall'onere del concorso formale, e dunque dall'onere dell'accertamento attraverso le forme della verifica del passivo, i crediti prededucibili non contestati per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l'esercizio provvisorio, e quelli, sempre prededucibili, sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti nominati ai sensi dell'art. 25, che se contestati sono accertati tramite il procedimento di reclamo ex art. 26 l.fall.

Anche la disposizione di cui all'art. 96, comma 2, n. 3 l.fall. costituisce una eccezione alla regola del concorso formale: «sono ammessi con riserva al passivo i crediti accertati con sentenza dal giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento», salva la possibilità per il curatore di proporre o proseguire il giudizio di impugnazione (sul fatto che la disposizione costituisca una eccezione alla regola del concorso formale, nel regime precedente alla riforma, concordava la dottrina più autorevole, come Ragusa Maggiore, 1982, p. 208).

Nel caso in cui prima della dichiarazione di fallimento sia stata pronunciata sentenza di rigetto di una domanda di condanna al pagamento di un credito pecuniario spiegata da un creditore contro il debitore poi fallito, il suo passaggio in giudicato vincola anche il Giudice delegato in sede di verifica, che dovrà rigettare la domanda di ammissione al passivo, a meno che il creditore soccombente non abbia proposto impugnazione, nel qual caso il giudizio proseguirà previa riassunzione del creditore nei confronti del curatore, legittimato passivamente a subire l'impugnazione oltre che a proporla.

La Suprema Corte ha recentemente stabilito, con riferimento al vecchio regime, che in tema di rapporti tra accertamento del passivo e giudizi pendenti innanzi ad altro giudice, la norma dettata dall'art. 95, comma terzo, l.fall. (nel testo applicabile «ratione temporis»), secondo cui è necessaria l'impugnazione se non si vuole ammettere il credito risultante da sentenza non passata in giudicato, va interpretata estensivamente, trovando applicazione anche nel caso in cui il fallimento sopravvenga alla sentenza, di accoglimento o di rigetto, anche parziale, della pretesa del creditore della parte dichiarata fallita, con conseguente illegittimità dell'ordinanza di sospensione ex art. 295 c.p.c. del procedimento di ammissione al passivo, nelle more della definizione del giudizio di appello» (Cass. ord. n. 17834/2013 cfr. anche Cass. I, n. 26041/2010; Cass. sez. lav. n. 18088/2007).

L'orientamento testé riportato della Suprema Corte, estensivo sia con riferimento al vecchio art. 95 comma 3 l.fall., sia con riferimento al nuovo art. 96 comma 2 n. 3 l.fall., si fonda su considerazioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo, ma non sembra pienamente coerente con l'istituto dell'ammissione con riserva disciplinato compiutamente nell'art. 96 oggi vigente l.fall.

Non è disciplinato, infatti, il regime della domanda di ammissione al passivo presentata dal creditore che si sia visto rigettata con sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento la domanda di condanna contro il debitore poi fallito, ed il cui giudizio di impugnazione sia stato proseguito contro il curatore.

In altri termini, non è chiaro se, in una fattispecie simile, il giudice delegato, nelle more della definizione dei giudizi di impugnazione, debba ammettere o meno la domanda del creditore che nel frattempo abbia proseguito il giudizio di impugnazione contro il curatore, e non è chiaro se il provvedimento di ammissione o rigetto in sede di verifica debba essere condizionato all'esito del giudizio di impugnazione proseguito dal creditore; né è chiaro se il creditore che abbia proseguito il giudizio di impugnazione contro il curatore abbia o meno il diritto di partecipare, seppure con diritto all'accantonamento, ai riparti parziali, così come dispone l'art. 113 comma 1 n. 1) l.fall. con riferimento ai creditori ammessi con riserva.

Da rimarcare è anche il disposto dell'art. 72, comma 5, l.fall., che prevede che l'azione di risoluzione per inadempimento promossa prima della dichiarazione di fallimento spiega i suoi effetti nei confronti del curatore e può proseguire anche dopo l'apertura del fallimento, sempre che il creditore non intenda ottenere la restituzione di una somma di denaro o di un bene o il risarcimento del danno, nel qual caso deve proporre domanda di ammissione al passivo.

A tale proposito, è consolidata la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale l'istanza di risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell'acquirente non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto qualora essa risulti «quesita», prima della sentenza dichiarativa del fallimento stesso, attraverso la trascrizione della relativa domanda giudiziale, non potendosi essa legittimamente iscrivere, ex art. 24 legge fallimentare, nel novero delle «azioni derivanti dal fallimento» assoggettate alla «vis attractiva» della relativa procedura. L'eventuale (e connessa) domanda di accertamento del diritto al risarcimento del danno, avendo ad oggetto una pretesa necessariamente assoggettata alla regola del concorso, non può, per converso, sopravvivere, in sede ordinaria, alla dichiarazione di fallimento, e deve essere fatta valere, previa separazione delle cause, nelle forme di cui agli artt. 93 seguenti della legge fallimentare, mentre la domanda principale di risoluzione prosegue, del tutto legittimamente, con il rito ordinario per la relativa decisione nel merito» (Cass. I, n. 12396/1998).

Concorso formale e Giudici speciali

Con riferimento al rapporto tra verifica del passivo e crediti oggetto di cognizione di giudici speciali, Cass. I n. 789/1999 ha stabilito che in tema di fallimento, nella ipotesi in cui venga chiesta l'ammissione al passivo di un credito contestato nella sua esistenza, liquidità ed esigibilità, e le relative questioni siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (come nel caso di diritti ed obblighi derivanti da convenzioni di lottizzazione edilizia tra comune e privati), gli organi fallimentari sono tenuti a considerare il credito come condizionale, ai fini di ammissione con riserva, da sciogliersi all'esito della definizione del giudizio amministrativo, e ciò anche nel caso in cui, della questione di giurisdizione, vengano «medio tempore» investite le sezioni unite della Corte di Cassazione.

Con precipuo riferimento ai crediti oggetto della cognizione della Corte dei Conti, Cass. S.U., n. 12371/2008 ha stabilito un principio analogo, che cioè in tema di fallimento, nelle ipotesi in cui venga chiesta l'ammissione al passivo di un credito il cui accertamento è devoluto alla giurisdizione della Corte dei conti, e l'ammissione sia contestata, non viene meno il potere del giudice fallimentare di ammettere il credito con riserva, essendo gli organi fallimentari tenuti a considerare il credito come condizionale ed a sciogliere la riserva in relazione all'esito del processo dinanzi al giudice competente, sì da consentire al creditore la partecipazione al riparto mediante accantonamento.

Implicitamente si ricava da queste pronunce il principio secondo il quale il credito oggetto della cognizione del giudice speciale deve essere considerato come credito oggetto di un'ammissione con riserva, da sciogliersi positivamente nel caso in cui sopravvenga la sentenza favorevole del giudice speciale.

Con riferimento ai crediti tributari, il rapporto tra la cognizione del giudice delegato e quella esclusiva delle commissioni tributarie è risolto nel senso che il primo si limita all'accertamento dei presupposti dell'ammissione del credito al passivo, che l'art. 87 del d.lgs. n. 602/1973 individua nell'iscrizione a ruolo dell'imposta. Nel caso di contestazioni sulle somme mosse dal curatore, queste sono ammesse al passivo con riserva, ai sensi dell'art. 88 d.lgs. n. 602/1973, in attesa che le contestazioni siano risolte dal giudice tributario.

A tal proposito, la recente giurisprudenza della Suprema Corte è ormai consolidata nel ritenere che l'ammissione al passivo dei crediti tributari è richiesta dalle società concessionarie per la riscossione, come stabilito dall'art. 87, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dal d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, sulla base del semplice ruolo, senza che occorra, in difetto di espressa previsione normativa, anche la previa notifica della cartella esattoriale, salva la necessità, in presenza di contestazioni del curatore, dell'ammissione con riserva, da sciogliere poi ai sensi dell'art. 88, secondo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973, allorché sia stata definita la sorte dell'impugnazione esperibile davanti al giudice tributario (Cass., I, n. 6126/2014).

Bibliografia

Celentano, Effetti del fallimento per i creditori, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino 2009; De Cicco, Le classi di creditori nel concordato preventivo. Appunti sulla par condicio creditorum, Napoli, 2007; Fabiani, La giustificazione delle classi nei concordati e il superamento della par condicio creditorum, in Riv. dir. civ. 2009; Garbagnati, Concorso dei creditori, in Enc. dir., Milano, 1961; Jaeger, Par condicio creditorum, in Giur. comm. 1984; Maffei Alberti, sub art. 51, in Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013; Marelli, sub art. 51 in Il nuovo diritto fallimentare, in Comm. Jorio - Fabiani, Bologna 2007; Ragusa Maggiore, Passivo – Accertamento, in Enc. dir., Milano, 1982; F. Vassalli, Diritto fallimentare, Torino 1994.

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