Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 40 - Nomina del comitato 1.Nomina del comitato 1.
Il comitato dei creditori è nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza di fallimento sulla base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori che, con la domanda di ammissione al passivo o precedentemente, hanno dato la disponibilità ad assumere l'incarico ovvero hanno segnalato altri nominativi aventi i requisiti previsti. Salvo quanto previsto dall'articolo 37-bis, la composizione del comitato può essere modificata dal giudice delegato in relazione alle variazioni dello stato passivo o per altro giustificato motivo. Il comitato è composto di tre o cinque membri scelti tra i creditori, in modo da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei crediti stessi. Il comitato, entro dieci giorni dalla nomina, provvede, su convocazione del curatore, a nominare a maggioranza il proprio presidente. La sostituzione dei membri del comitato avviene secondo le modalità stabilite nel secondo comma. Il comitato dei creditori si considera costituito con l'accettazione, anche per via telematica, della nomina da parte dei suoi componenti, senza necessita' di convocazione dinanzi al curatore ed anche prima della elezione del suo presidente 2. Il componente del comitato che si trova in conflitto di interessi si astiene dalla votazione. Ciascun componente del comitato dei creditori può delegare in tutto o in parte l'espletamento delle proprie funzioni ad uno dei soggetti aventi i requisiti indicati nell'articolo 28 , previa comunicazione al giudice delegato. [1] Articolo sostituito dall'articolo 38 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. [2] Comma aggiunto dall'articolo 6, comma 1, lettera a), del D.L. 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 giugno 2016, n. 119. InquadramentoCostituisce un'affermazione generalmente condivisa che, prima della riforma del 2006 – 2007, il comitato dei creditori era sì previsto, ma con funzioni meramente consultive e di controllo: veniva infatti interpellato nei casi previsti dalla legge od ogni qual volta il tribunale od il g.d. lo avessero ritenuto necessario, ma il parere così reso non era certamente vincolante. L'antecedente storico dell'odierno comitato si ritrova nel codice di commercio del 1882, che contemplava la figura dell'assemblea dei creditori che, fra l'altro, procedeva alla nomina della delegazione di sorveglianza, composta da tre o cinque membri, con funzioni di controllo della procedura nell'interesse della massa dei creditori. A fronte di taluni abusi di questo sistema e di prassi spesso inefficienti, la legge fallimentare del 1942 aveva soppresso la figura dell'assemblea dei creditori e limitato fortemente, come si è detto, il ruolo e la funzione del nuovo comitato dei creditori, di nomina giudiziale e senza effettivi poteri di controllo, anche alla luce di quell'orientamento giurisprudenziale che riteneva che l'omesso parere del comitato non viziasse l'atto di gestione compiuto qualora la consultazione fosse stata almeno richiesta, e comunque il vizio non potesse più farsi valere se non tempestivamente dedotto con il reclamo allora previsto dall'art. 26 l.fall. Si è dovuto così attendere la legge delega n. 80/2005 per vedere affermata l'esigenza di «ampliare le competenze del comitato dei creditori, consentendo una maggiore partecipazione dell'organo alla gestione della crisi d'impresa». L'attuazione della delega ha sicuramente rivitalizzato il ruolo del comitato ed ampliato le sue competenze, ridisegnando in modo complessivo il sistema dei check and balances fra i diversi organi della procedura, in particolare spostando compiti autorizzatori dal g.d. al comitato, al quale spetta senz'altro, salvo quanto si dirà più approfonditamente e in via esemplificativa, il compito di integrare i poteri gestori del curatore in materia di atti di straordinaria amministrazione (art. 35) e di autorizzare in modo concorrente con il g.d. l'esercizio dell'azione di responsabilità verso il precedente curatore. Si legge pertanto nella relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. n. 5/2006 che i ruoli dei diversi organi della procedura fallimentare sono stati completamente ridisegnati, potenziando quello del comitato «con l'assegnazione di poteri di autorizzazione e di controllo dell'operato del curatore, con un'ampia previsione di partecipazione all'attività gestoria laddove le deliberazioni del comitato sono qualificate come vincolanti». La ripartizione di competenze effettuata può a grandi linee riassumersi evidenziando come al g.d. siano stati attribuiti compiti di vigilanza e controllo di legalità sulla procedura, nonché di intervento giurisdizionale per dirimere eventuali conflitti o reclami, mentre al comitato sono stati affidati compiti valutativi circa l'opportunità e la convenienza degli atti gestori, come si può evincere dall'art. 104-ter in tema di approvazione del programma di liquidazione e dalla stessa disciplina del concordato fallimentare (cfr. art. 125 comma 2). Resta, come si vedrà all'articolo successivo, la valvola di sicurezza dell'art. 41 comma 4, che consente un'ingerenza in tali compiti gestori da parte del g.d., ma solo in caso di mancanza, di inerzia del comitato o di urgenza e, quindi, non in via diretta ma soltanto in chiave surrogatoria e sussidiaria. La Corte costituzionale si è trovata ad affrontare, giudicandola peraltro inammissibile nei termini posti, una questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 41 l.fall. sollevata da Trib. Firenze, 15 dicembre 2007, in tema di riparto di competenze fra organi della procedura fallimentare, poteri del curatore ed omessa previsione di un «diritto di veto» in capo al giudice delegato; infatti nella procedura originante la questione, l'atto adottato doveva in concreto ritenersi non una mera transazione ma un atto di liquidazione dell'attivo ed il g.d. aveva provocato l'intervento del Collegio ai sensi dell'art. 25 comma 1 n. 1 l.fall., così privando di rilevanza concreta — al di là della correttezza di tale opzione — la questione di legittimità poi sollevata (Corte cost. n. 365/2008). Del pari, il nuovo sistema di equilibri fra i diversi organi emerge in tema di concordato fallimentare, essendosi anche recentemente affermato che nel giudizio di omologazione del concordato fallimentare, il controllo del tribunale è limitato alla verifica della regolarità formale della procedura e dell'esito della votazione — salvo che non sia prevista la suddivisione dei creditori in classi ed alcune di esse risultino dissenzienti — restando escluso ogni controllo sul merito, giacché la valutazione del contenuto della proposta concordataria, riguardando il profilo della convenienza, è devoluta ai creditori, sulla base del parere inerente ai presumibili risultati della liquidazione formulato dal curatore e dal comitato dei creditori (Cass. n. 19645/2015). Al fine di favorire comunque la conclusione del procedimento di omologazione del concordato fallimentare, si è precisato che l'intervenuta approvazione da parte dei creditori, ai quali spetta ogni valutazione di convenienza della proposta, determina la sanatoria di ogni irregolarità del parere reso dal comitato dei creditori, ivi compresa la mancanza di una succinta motivazione, che non ne comporta la inesistenza, ma soltanto una nullità relativa (Cass. n. 16738/2011). Composizione e nominaIl comitato dei creditori è un organo collegiale che rappresenta gli interessi della massa dei creditori. La sua nomina spetta al g.d., ma almeno in linea di principio non è totalmente discrezionale in quanto la sua composizione deve rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti, avuto altresì riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei crediti stessi. La norma in esame prevede che la nomina sia effettuata entro 30 giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento. Pur trattandosi di un termine certamente ordinatorio, la ratio di questo breve termine è chiaramente quella di privilegiare una immediata costituzione ed effettiva presenza del comitato, al fine di impedire che, di fatto, le principali scelte strategiche della procedura, che non di rado si collocano proprio nella fase iniziale della stessa, siano nuovamente ad appannaggio del solo curatore con le autorizzazioni del g.d. È stata perciò abbandonata sia la precedente formulazione, che prevedeva la nomina del comitato entro 10 giorni dal decreto di esecutorietà dello stato passivo (quindi a diversi mesi dalla dichiarazione di fallimento), sia la possibilità, per il vero desueta già nella pratica, della nomina di un comitato provvisorio nell'immediatezza dell'apertura della procedura concorsuale. La nomina, quindi, deve essere effettuata dal g.d. in termini ristretti (come detto 30 giorni dalla sentenza di fallimento) e, tenuto conto che in quel momento non vi sarà né la relazione ex art. 33 l.fall., né tantomeno un progetto di stato passivo contenente le conclusioni del curatore sulle istanze di insinuazione tempestive, la stessa va compiuta sulla base delle risultanze contabili. Appare peraltro evidente che anche il curatore possa al riguardo giocare un proprio ruolo non secondario di stimolo (al fine di far emergere disponibilità e candidature) e di segnalazione al g.d. (sia in ordine alle disponibilità già manifestate dai creditori a far parte del comitato, sia in ordine all'attendibilità delle stesse scritture contabili od alla presenza di creditori con legami economici e parentali con il fallito che ne sconsigliano la nomina). Proprio perché la nomina del comitato dei creditori deve avvenire prima dell'udienza di verifica dello stato passivo (che come noto si tiene generalmente dopo quattro mesi circa dalla dichiarazione di fallimento) è previsto che se il creditore nominato non viene ammesso al passivo, lo stesso dovrà essere sostituito (si dice infatti che la composizione può essere modificata in relazione alle variazioni dello stato passivo). Altri casi di sostituzione possono avvenire per giustificato motivo. Possono così giustificare la sostituzione comportamenti scarsamente collaborativi o addirittura incompatibili ad esempio al violazione del dovere di riservatezza), ma si può pensare anche alla nomina di un creditore ipotecario che si veda integralmente soddisfatto attraverso la liquidazione del bene oggetto della garanzia speciale, per il quale è certamente ipotizzabile un successivo disinteresse alle sorti della procedura; altra ipotesi può attenere, più banalmente, ad una revoca della propria iniziale disponibilità. Più raramente, la modifica della composizione può avvenire attraverso la designazione di membri aggiuntivi da parte della maggioranza dei creditori partecipanti all'adunanza di verifica dello stato passivo, ex art. 37-bis l.fall. In sede di nomina è previsto che il g.d. debba sentire il curatore ed i creditori che hanno dato la propria disponibilità alla nomina ovvero hanno segnalato altri soggetti «non refrattari» all'incaricomma La prassi non prevede normalmente la fissazione di una udienza ad hoc, considerato che il verbo sentire implica la semplice possibilità di interlocuzione, che può avvenire per iscritto ed anche nei confronti del solo curatore, salva la possibilità di convocazione di quest'ultimo da parte del g.d. per ottenere notizie e chiarimenti. Costituzione: le novità del 2016 e le prospettive di riformaLa dottrina prevalente (Vassalli, 307) desume dall'art. 41 comma 4 (che come è noto consente l'esercizio di poteri vicari da parte del g.d. non solo nel caso di mancanza ma anche di semplice indisponibilità dei creditori) la necessità dell'accettazione da parte del creditore nominato membro del comitato dei creditori. Tale accettazione può essere espressa o tacita, ma vale comunque più in generale ad escludere la natura pubblicistica del comitato e dei suoi membri, ai quali non può pertanto riconoscersi la qualità di pubblici ufficiali, né quella di incaricati di pubblico servizio. L'assenza di una norma come l'art. 30, la previsione di pareri ed autorizzazioni attinenti prevalentemente alla gestione ed amministrazione dell'attivo permette infatti di ritenere che il comitato svolga i propri compiti con il fine esclusivo di valutare l'opportunità e la convenienza economica degli stessi in vista del miglior soddisfacimento della massa dei creditori. Le difficoltà ad ottenere la predetta accettazione, nonché l'esigenza di favorire la effettiva costituzione del comitato, anche ai fini della nomina del suo presidente, hanno ispirato la recente modifica introdotta con il d.l. n. 59/2016, convertito con modd. con l. n. 119/2016, che ha inserito un nuovo comma 5 che così oggi prevede: il comitato dei creditori si considera costituito con l'accettazione, anche per via telematica, della nomina da parte dei suoi componenti, senza necessità di convocazione dinanzi al curatore ed anche prima della elezione del suo presidente. La modifica sicuramente vuole recepire una prassi già diffusa che vedeva il funzionamento del comitato sostanzialmente ridotto a scambi telematici di mail, ma ha ribadito l'essenzialità dell'accettazione della carica al fine di perfezionare la nomina. La prassi certamente conosce esempi di videoconferenza, più rispettosa dell'elemento della collegialità, ma come detto l'esigenza di ritenere il comitato costituito anche mediante accettazione telematica significa, in modo indiretto, la validazione di una prassi che vede nello scambio bilaterale fra curatore e ciascuno dei membri del comitato dei creditori la modalità usuale di funzionamento. Ciò si spiega, altresì, con le difficoltà pratiche relative all'individuazione di creditori effettivamente interessati a far parte di questo organo, considerate da un lato le gravose responsabilità connesse (si ricorda che l'art. 41 richiama l'art. 2407 c.c. in tema di responsabilità del collegio sindacale), a fronte dell'assenza di remunerazione. Infatti, di regola, i componenti del comitato hanno diritto ad un solo rimborso spese (cfr. art. 41 comma 6), mentre del tutto residuale è l'ipotesi che la maggioranza dei creditori deliberi ex art. 37-bis di riconoscere un compenso effettivo, il cui limite è comunque rappresentato (deve ritenersi per ciascun membro e non per il comitato nel suo complesso) nel 10% del compenso liquidato al curatore. Da ricordare che il recente disegno di legge di riforma della materia (c.d. riforma Rordorf) contiene fra i principi di delega la distinzione fra procedure di una certa complessità, nella quale il comitato continua a mantenere il ruolo ed i compiti attuali, e procedure minori. Per queste ultime, al fine di semplificare la gestione delle procedure meno complesse, le funzioni del comitato dei creditori possono essere sostituite con forme di consultazione telematica del ceto creditorio, anche nelle modalità del silenzio-assenso. In altri termini, per le procedure più semplici (e sarà al riguardo interessante verificare i criteri discretivi individuati in sede di successva attuazione della delega) si assiste alla possibile soprressione di un organo chiave della procedente riforma degli anni 2006-2007 e la sua sostituzione, con una sorta di assemblea dei creditori da attivare mediante forme di consultazione telematica. Nomina del presidenteLa designazione del presidente del comitato spetta ai membri che lo compongono. Si può quindi osservare che mentre la nomina dei componenti del comitato spetta al g.d., quest'ultimo organo non ha nessun ruolo nella designazione del presidente. L'individuazione del presidente deve avvenire entro 10 giorni dalla nomina ed è previsto che il comitato provveda a maggioranza, previa convocazione del curatore. Tale disposizione sembra così imporre una riunione collegiale ed effettiva, almeno iniziale ed ai fini della nomina del presidente, da parte del comitato. Ma si è visto che nel 2016 il legislatore ha inserito un nuovo comma 5 che considera costituito il comitato mediante la semplice accettazione telematica ed anche in mancanza di nomina del suo presidente. Si può perciò ritenere che, indirettamente, tale novità abbia indirettamente consentito che – così come il comitato può funzionare anche senza essersi riunito effettivamente – così lo stesso possa anche soltanto per via telematica procedere alla nomina del presidente. Tale nomina deve avvenire a maggioranza e secondo l'opinione prevalente si tratta della maggioranza dei membri e non della maggioranza dei votanti (come invece richiede l'art. 41 comma 3 ai fini della espressione dei pareri e delle autorizzazioni del comitato stesso, con una formulazione letterale diversa da quella dell'art. 40 comma 3). Il presidente ha il potere di convocare il comitato e di sollecitare i suoi membri ad adottare una decisione. L'art. 41 comma 2 prevede che tale potere di convocazione sia esercitato in autonomia o su richiesta di un terzo dei suoi componenti. Inoltre si deve ricordare che sia il tribunale che il g.d. hanno la possibilità di convocare il comitato e di interpellarlo relativamente alle decisioni da adottare inerenti l'andamento della procedura. Ancora, l'art. 41 comma 3 prevede che il presidente sia il terminale delle richieste di parere da parte dei soggetti interessati (generalmente il curatore) posto che il comitato deve decidere a maggioranza dei votanti entro 15 giorni da quando il suo presidente ha ricevuto l'istanza. Si tratta come è evidente di un termine acceleratorio ma non perentorio, il cui superamento non comporta l'invalidità della deliberazione successiva. Peraltro, nella prassi, accade sovente che l'istanza sia contemporaneamente avanzata dal curatore, per via telematica, a ciascuno dei componenti il comitato, con buona pace per il principio di collegialità effettiva. Quasi sempre, anzi, il funzionamento mediante consultazione telematica o telefax viene decisa nel corso della prima (e spesso unica) riunione collegiale del comitato. Deve tuttavia non ritenersi più accettabile, almeno nell'attuale quadro normativo ed anche in relazione a quanto prevede l'art. 41 comma 4 l.fall., l'espressione di pareri mediante il c.d. silenzio-assenso, tenuto inoltre conto che l'art. 41, al suo primo comma, prevede altresì che la deliberazione sia succintamente motivata. Delega di funzioniAl fine di scongiurare le possibili remore dei creditori a far parte del comitato, magari protestando la propria scarsa capacità di comprensione di questioni contabili o giuridiche, l'ultimo comma dell'art. 40 prevede che ciascuno dei componenti possa delegare in tutto od in parte l'espletamento delle proprie funzioni ad un terzo, in possesso dei requisiti previsti dall'art. 28, previa comunicazione al giudice delegato. La delega, come precisa la norma, può essere generale e riguardare tutte le funzioni cui il singolo componente è chiamato quale membro del comitato, ovvero può essere parziale e riguardare una specifica riunione (nella quale ad esempio sarà trattata una questione di particolare rilevanza o difficoltà) od un singolo affare, ovvero ancora tutti gli affari relativi ad una certa categoria di atti (essi autorizzazioni di atti superiori ad un certo importo, azioni giudiziarie, ecc...). Si discute se le spese per tale mandato siano rimborsabili ai sensi dell'art. 41 comma 6, prevalendo al riguardo la tesi negativa, trattandosi di spesa non necessaria o tantomeno indispensabile. L'elezione di domicilio ed il conferimento del mandato alle liti senza ulteriore specificazione non vale di per sé a porre in essere la delega del componente del comitato dei creditori all'espletamento delle proprie funzioni (Trib. Monza, 10 dicembre 2015). Conflitto di interessiLa norma afferma che il componente del comitato che si trova in conflitto di interessi si astiene dalla votazione. La disposizione non contiene la definizione del concetto di conflitto di interessi e neppure delinea le conseguenze nel caso in cui, in violazione della norma, il componente in conflitto non si astenga ma partecipi alla deliberazione. Quanto al primo profilo si discute se vi possa essere una posizione di conflitto sol perché il membro del comitato, contemporaneamente creditore della procedura, possa perseguire un interesse proprio o della categoria di appartenenza, ovvero se occorra che tale posizione determini un pregiudizio per la massa. Questa seconda posizione appare quella più condivisibile. Infatti, è ben vero che la norma richiede che la nomina riguardi componenti tali da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti, ma tale affermazione non significa affatto che ciascuno di essi non possa essere al contempo portatore di interessi particolari, purché il loro perseguimento non porti ad un pregiudizio di quello generale della procedura al più efficiente e rapido andamento della liquidazione e successiva soddisfazione. In altri termini, il conflitto di interessi rilevante si determina soltanto quando il componente sia posto nella situazione di poter perseguire il proprio tornaconto sacrificando l'interesse più generale della massa, non quando i due interessi possano coincidere. È allora ben possibile ricostruire il concetto di conflitto di interessi sulla scorta dell'art. 2391 c.c., ma tenendo presente che in questa sede l'unico rimedio può essere soltanto endofallimentare. Ciò significa che l'eventuale vizio deliberativo deve essere fatto valere nelle forme del reclamo ex art. 36 l.fall., con impugnativa al g.d. da parte del fallito o di qualunque interessato (e in questa sede potrà rilevare la posizione del curatore che ad esempio si sia visto illegittimamente rifiutato un atto gestorio che intendeva porre intessere nell'interesse della procedura). È tuttavia necessaria la c.d. prova di resistenza, ossia la dimostrazione che il voto del componente in posizione di conflitto di interesse è stato determinante ai fini dell'esito della votazione (in concreto in un comitato composto da tre membri solo le deliberazioni a maggioranza e mai quelle all'unanimità, ancorché prese con il concorso del componente infedele, sono impugnabili). Il conflitto d'interesse di un membro del comitato dei creditori deve essere identificato nell'interesse esterno riconducibile allo stesso, in guisa che egli non possa perseguire l'interesse comune nello specifico affare devoluto alla competenza dell'organo di cui fa parte senza sacrificare il proprio tornaconto (Trib. Monza, 10 dicembre 2015). La S.C. ha precisato che alla materia del conflitto di interessi del componente del comitato dei creditori, per il quale l'articolo 40, legge fallimentare prevede l'obbligo di astensione, può essere applicato il principio generale vigente in materia societaria, e quindi in tema di conflitti di natura privatistica, secondo il quale la violazione del dovere di informazione sul conflitto e dell'obbligo di astensione rilevano unicamente se le deliberazioni assunte con la partecipazione del soggetto in conflitto possono arrecare un danno e che (in materia di concordato fallimentare) il vizio derivante da una situazione di conflitto di interessi di un componente del comitato dei creditori non si ripercuote sulle fasi successive del procedimento qualora non sia stata formulata richiesta di sostituzione del membro del comitato ritenuto in conflitto di interessi o la delibera del comitato non sia stata tempestivamente reclamata ai sensi dell'art. 36, legge fallimentare (Cass. n. 3274/2011). 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