Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 38 - Responsabilità del curatore.Responsabilità del curatore.
Il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. Egli deve tenere un registro preventivamente vidimato da almeno un componente del comitato dei creditori, e annotarvi giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione 1. Durante il fallimento l'azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, ovvero del comitato dei creditori 2. Il curatore che cessa dal suo ufficio, anche durante il fallimento, deve rendere il conto della gestione a norma dell'art. 116 . [1] Comma sostituito dall'articolo 36, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. [2] Comma integrato dall'articolo 36, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoLa norma è stata modificata con il d.lgs. n. 5/2006. Il testo precedente recitava che il curatore deve adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio, mentre il testo attuale precisa che egli deve adempiere ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. Le modifiche hanno riguardo due aspetti, inerenti il livello di diligenza e le fonti dei doveri del curatore. In primo luogo è venuto meno il riferimento alla generica diligenza, per acquisire rilevanza una diligenza connaturata alla natura dell'incarico, che essendo di carattere professionale e derivante da nomina giudiziaria implica una diligenza adeguata e quindi certamente superiore a quella del bonus pater familias. Da questo punto di vista, i requisiti soggettivi di cui all'art. 28 colorano il metro di diligenza oggettivamente esigibile dal curatore, che non potrà andare esente da responsabilità deducendo una generica assenza di colpa, quando ad esempio era dal medesimo esigibile – in quanto professionista dotato del requisito ordinistico – una verifica di carattere legale o contabile di contenuto non eccessivamente complesso. Il riferimento alla natura dell'incarico, inoltre, allinea, secondo la prevalente dottrina, il modello legale di esigibilità dei comportamenti del curatore a quello rispettivamente previsto per gli amministratori (art. 2392 c.c.) e per i sindaci di società (art. 2407 c.c.), per i quali con la riforma del diritto societario è venuto meno il precedente riferimento ai doveri del mandatario (art. 1710 c.c.). Secondo una parte della dottrina la riforma avrebbe dovuto, così come l'art. 2392 c.c., compiere un duplice riferimento, sia alla natura dell'incarico (requisito obiettivo) sia alle «specifiche competenze» (requisito soggettivo). Ma in realtà, se si pone mente ai requisiti stringenti richiesti per la nomina a curatore, ben si comprende come quest'ultimo riferimento soggettivo non avrebbe affatto avuto l'effetto di «alleviare» la responsabilità dell'ausiliare e come, peraltro, proprio il possesso di tali qualità soggettive rilevi comunque in modo indiretto nel definire la «natura dell'incarico» (un po' come avviene per i sindaci, per i quali proprio la qualifica professionale necessariamente posseduta fa sì che l'art. 2407 c.c., a differenza dell'art. 2392 c.c., faccia esclusivo riferimento all'incarico e non alle competenze, che sono già assicurate attraverso necessari requisiti soggettivi al momento della nomina). Sotto altro profilo, la norma ha precisato che i doveri incombenti sul curatore non sono soltanto quelli che promanano dalla legge, ma altresì quelli che discendono dal programma (il termine «piano» deve ritenersi una variazione lessicale irrilevante) di liquidazione ex art. 104-ter l.fall. approvato. Tale programma, quale fondamentale atto di pianificazione dell'attività liquidatoria, rappresenta una delle scommesse del legislatore della riforma, che ha voluto sottrarre la gestione della procedura e, in particolare, la fase della liquidazione, ad iniziative estemporanee, dilatorie, quando non scarsamente professionali. Il programma, in altri termini, seppur predisposto dallo stesso curatore, una volta approvato vincola la sua discrezionalità e costituisce esso stesso fonte di doveri nello svolgimento del delicato incarico di curatore. Secondo una parte della giurisprudenza l'obbligo di diligenza qualificato incombente sul curatore lascia comunque allo stesso uno spazio per l'adozione di condotte discrezionali. L'affermazione potrebbe sorprendere, ma in qualche misura recupera quanto si afferma tradizionalmente con riguardo alla responsabilità degli amministratori, ex art. 2392 c.c., per la quale il dovere di diligenza deve comunque conciliarsi con l'insindacabilità di alcune scelte gestorie ispirate alla c.d. business judgment rule: in tema di concordato fallimentare, i criteri utilizzati dal curatore per stimare il quantum degli accantonamenti per i crediti fatti valere dopo il deposito della domanda di concordato possono essere oggetto di sindacato da parte del Giudice del reclamo. L'esame del giudice può riguardare la loro palese difformità rispetto ad una corretta amministrazione: in tal caso, infatti, si ha una violazione dell'obbligo di diligenza del curatore previsto ex art. 38 l.fall., ossia una violazione di legge ex art. 36 l.fall. Non possono invece essere oggetto di verifica le singole scelte gestorie e discrezionali in ordine alla concreta misura degli accantonamenti, fondate evidentemente su valutazioni di merito attinenti al rischio effettivo che la Procedura ha inteso correre nel singolo caso (Trib. Milano, 5 maggio 2016). Si è affermato che il livello di diligenza in concreto tenuto può influenzare la stessa liquidazione del compenso: la valutazione del tribunale circa la diligenza e la sollecitudine con cui il curatore fallimentare abbia svolto la propria attività può incidere sulla misura del compenso da liquidarsi in suo favore dopo l'approvazione del conto della gestione, giustificandone la quantificazione tra l'importo minimo e massimo, ma non anche sulla spettanza stessa di qualsivoglia compenso per l'opera prestata, fermo restando che la sua effettiva erogazione può essere impedita dal definitivo accertamento di una responsabilità del curatore medesimo alla stregua dell'art. 38 l.fall. (Cass. n. 13805/2013). Natura della responsabilitàSi è soprattutto in passato sostenuto che la responsabilità gravante sul curatore avrebbe una natura extracontrattuale. In particolare tale tesi tradizionale veniva argomentata esercitando un parallelismo con la responsabilità dell'amministratore verso i creditori sociali, di cui all'art. 2394 c.c., per i danni provocati dal curatore alla massa dei creditori, e fondata sull'applicazione dell'art. 2043 c.c. (neminem laedere) nei confronti del fallito. Tuttavia anche i sostenitori di tale tesi dovevano ridimensionarla, qualificandola invece come contrattuale, nel caso in cui la nomina del curatore avvenisse su richiesta della maggioranza dei creditori, ai sensi dell'art. 37-bis. Si deve pertanto ritenere che la tesi oggi maggioritaria affermi la natura contrattuale della responsabilità del curatore, secondo una prospettiva di elaborazione che negli ultimi anni ha ricondotto a questa forma di responsabilità la maggior parte delle condotte comunque contrarie a doveri non solo nascenti da un contratto vero e proprio, ma anche fondate sul «contatto sociale» (si pensi alla responsabilità delle strutture sanitarie indipendentemente dalla natura pubblica o privata o al caso del danno cagionato a se stesso da un alunno) o sulla legge (da ultimo anche la responsabilità precontrattuale è stata ricondotta ad una species della più ampia responsabilità da contratto o «quasi contratto»: cfr. Cass. n. 14188/2016). La riconduzione della responsabilità in commento ad una matrice contrattuale incide in primo luogo sull'onere della prova, posto che chi agisce facendo valere tale forma di responsabilità può limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento non dovendo provare alcun fatto illecito, mentre spetta al convenuto dimostrare di aver correttamente adempiuto, nonché in tema di termine di prescrizione che è decennale nel caso di responsabilità da contratto e quinquennale nel caso di responsabilità extracontrattuale. In pendenza di fallimento l'unico soggetto legittimato a far valere questa forma di responsabilità è il nuovo curatore subentrato a quello negligente e sostituito o revocato. La responsabilità del curatore secondo questa ottica sussiste, per gli atti di amministrazione, ancorché per il loro compimento sia necessaria l'autorizzazione di altri organi, infatti egli ha dopo la riforma una propria autonomia decisionale e l'autorizzazione si limita a rimuovere un ostacolo giuridico al compimento di un atto che resta imputabile alla volizione del curatore stesso. Sulla natura della responsabilità del curatore si è recentemente osservato che il curatore può essere chiamato a rispondere del danno patrimoniale sofferto dal fallimento a causa delle condotte da lui poste in essere in violazione del dovere di diligenza, da intendere come diligenza di tipo professionale ex art. 1176 comma 2 c.c., inoltre l'incarico conferito dal tribunale al curatore del fallimento dà luogo ad una responsabilità di tipo contrattuale ai sensi dell'art. 1218 c.c., in virtù della natura del rapporto che appare del tutto equiparabile al mandato (Trib. Roma, 7 marzo 2012). La responsabilità contrattuale gravante sul curatore può derivare da condotte omissive (come ad esempio il mancato controllo di propri coadiutori, delegati o collaboratori) e può concorrere con la responsabilità extracontrattuale del terzo: in tema di responsabilità del cessato curatore fallimentare, costituiscono illecito sia la violazione dei doveri specifici di intrasmissibilità delle proprie funzioni, ai sensi degli art. 32 e 34 l.fall., ove manchi un'apposita autorizzazione giudiziale, sia la inosservanza del dovere di diligenza, ex art. 38 l.fall., ove il professionista si sia avvalso di collaboratori non autorizzati né poi dal medesimo controllati, non abbia riferito mensilmente al giudice delegato sull'amministrazione ed abbia omesso di custodire personalmente il libretto bancario del fallimento, a lui intestato. Alla stregua del principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto la sussistenza dell'autonomo illecito extracontrattuale in un caso di concorso di colpa e di responsabilità solidale ex art. 1292 e 2055 c.c. del curatore con la banca cui erano imputabili le operazioni di sottrazione della provvista destinata al fallimento, non ricorrendo in tale circostanza un avvenimento estraneo alla sfera di prevedibilità e prevenibilità del soggetto su cui gravava l'obbligo di custodia (Cass. n. 15668/2007). Del pari, l'omissione può sussistere in ordine alla mancata verifica della corretta situazione giuridica di beni appartenenti all'attivo fallimentare: così si è ritenuto che in caso di acquisto di un bene immobile all'asta da un soggetto fallito, bene poi rivelatosi in comproprietà col coniuge e sul quale i creditori hanno avanzato proprie pretese, l'acquirente ha diritto ad essere risarcito dal curatore fallimentare in quanto: una condotta alternativa avrebbe evitato l'esposizione ad una azione esecutiva, inoltre, non ha ottemperato con diligenza all'incarico professionale affidatogli, in quanto non ha accertato l'esatta consistenza dei beni del fallito (Trib. Roma, 7 giugno 2007). La responsabilità non può estendersi tuttavia a condotte rientranti nella sfera di soggetti terzi, correttamente attivati dal curatore: si è pertanto affermato, con riferimento all'obbligo del curatore fallimentare, ai sensi dell'art. 88, comma 2, l.fall., di notificare un estratto della sentenza dichiarativa di fallimento ai competenti uffici per l'annotazione nei pubblici registri, che va esclusa ogni responsabilità del curatore qualora la Conservatoria abbia omesso di dar corso alla sua richiesta, non sussistendo a suo carico alcun obbligo di verificare l'adempimento dei doveri incombenti su altro ufficio, dalla violazione dei quali discende la eventuale responsabilità di quest'ultimo. Né rileva l'eventuale instaurarsi di una illegittima prassi delle Conservatorie che richiedano la presentazione di una nota di trascrizione da parte del curatore, sul quale incombe soltanto l'obbligo di cui alla disposizione sopraindicata, senza che il dovere di diligenza di cui all'art 38 l.fall. si estenda fino all'obbligo di attivarsi a tutela dei terzi in relazione non alla condotta propria, ma a quella di altri soggetti (Cass. n. 23264/2006). In tema di copertura assicurativa per l'attività di curatore si è recentemente affermato che qualora il curatore fallimentare, commercialista, sia responsabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma primo, legge fallimentare, ed art. 2043 c.c., del risarcimento di un danno ingiusto cagionato nell'espletamento della sua attività di ausiliare di giustizia, l'assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne (salvo che il rischio sia espressamente escluso dal contratto), atteso che l'attività di curatore fallimentare rientra tra le possibili attività professionali specificamente previste per i commercialisti dalla legge, in quanto il professionista intellettuale non esaurisce la sua attività professionale nell'ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche (art. 2227 — 2230 c.c.) relative al contratto di prestazione d'opera intellettuale, ma continua a restare un professionista privato anche quando nell'ambito di tale attività espleta un incarico giudiziario in relazione al quale svolge pubblici poteri (Cass. n. 12872/2015). Rendiconto (rinvio)Il curatore è tenuto a rendere il conto della propria gestione in ogni caso nel quale cessa dalle proprie funzioni. Si tratta della sede elettiva nella quale possono emergere delle responsabilità, posto che il rendiconto non riguarda unicamente poste contabili, ma anche i fatti ed i comportamenti tenuti dal curatore che le hanno determinate. Finché il fallimento è aperto l'azione di responsabilità può essere esercitata unicamente dal nuovo curatore, a ciò autorizzato sia dal g.d. oppure, eccezionalmente, anche dal comitato dei creditori. Dopo la chiusura del fallimento l'azione di responsabilità potrà essere esercitata dal fallito o dai terzi, anche creditori, purché questi abbiano risentito di un danno direttamente collegato alla violazione dei doveri posta in essere dal curatore ormai cessato. Per ulteriori precisazioni si rinvia al commento all'art. 116 l.fall. Si è ritenuto che in tema fallimentare, il giudizio per l'approvazione del rendiconto ha ad oggetto non solo la verifica contabile, ma anche l'effettivo controllo di gestione, ossia la valutazione della correttezza dell'operato del curatore, della sua corrispondenza a precetti legali e ai canoni di diligenza professionale richiesta per l'esercizio della carica (Trib. Milano, 5 luglio 2012). Nello stesso senso si è ritenuto che in tema di fallimento, il curatore è tenuto a presentare, oltre ad una relazione strettamente contabile sul proprio operato — in cui vengono inserite una serie di entrate ed uscite — una relazione che indichi gli eventi storici che hanno generato tali effetti, illustrando anche le motivazioni e le ragioni che hanno supportato il proprio «modus operandi», soprattutto alla luce dell'impatto che gli atti di gestione e conservazione hanno avuto sugli interessi di tutti i creditori. Il curatore, pertanto, deve dettagliare tutta la propria attività, compresa quella di natura amministrativa; infatti, essendo la procedura concorsuale protratta per molto tempo, il curatore non si limita solo a liquidare l'eventuale attivo disponibile, ma compie tutta una serie di atti, a ciò prodromici, di gestione e conservazione del patrimonio dell'imprenditore fallito; quindi, l'oggetto del giudizio di rendiconto ai sensi dell'art. 116 l. Fall., è rappresentato, non solo dagli eventuali errori materiali, dalle omissioni e dai criteri di conteggio, ma anche dalla gestione del curatore e dall'accertamento delle sue responsabilità personali per atti che abbiano arrecato pregiudizio a tutti o a singoli creditori (Trib. Roma, 20 settembre 2016). Nel giudizio sul rendiconto fallimentare, ex art 116, comma 4, l.fall.all., il soggetto passivamente legittimato resta sempre il curatore in proprio, tenuto conto che l'oggetto del giudizio attiene comunque al controllo della gestione, fonte di eventuale responsabilità personale, del patrimonio del fallito da parte del curatore stesso (Cass. n. 10111/2014). Il libro giornaleLa norma ha mantenuto in essere un adempimento tradizionale come la tenuta del libro giornale o registro del fallimento, cioè di un registro tenuto in modo ordinato e continuo nel quale vengono annotate cronologicamente tutte le operazioni che hanno una conseguenza finanziaria (entrata o uscita) per la procedura, secondo un criterio per cassa. Il registro deve essere preventivamente vidimato da un componente del comitato dei creditori o in via surrogatoria dal g.d. (ad esempio se il comitato non è ancora stato costituito). Il registro rappresenta una fonte di controllo circa l'operato del curatore, che è tenuto ad annotare in esso ogni entrata ed uscita per poi tradurre il risultato della propria gestione nel rendiconto (periodico in sede di relazioni semestrali di cui all'art. 33 ult. comma e finale, ai sensi dell'art. 116 l.fall. e della presente disposizione). Si può anzi ritenere che il registro rappresenti il primo elemento di verifica circa i risultati finanziari della gestione e le cause delle entrate ed uscite, nonché documento di confronto con il rendiconto finale. Il registro deve essere esibito a richiesta del g.d., del tribunale o del comitato dei creditori ed il curatore può essere richiesto di dare specificamente conto di ogni importo in uscita, ad esempio quando formuli una istanza di rimborso di spese anticipate nell'interesse della procedura. Il registro ha altresì la funzione di determinare l'andamento economico della gestione e quantificare alla fine della procedura il residuo attivo e, quindi, l'eventuale reddito del c.d. maxi periodo fallimentare. BibliografiaAbete, Sub art. 38, in Il nuovo diritto fallimentare, Jorio – Fabiani (a cura di), I, Bologna, 2006; Abete, Il curatore, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Panzani (a cura di), III, Torino, 2012; Bonfatti – Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011; Cataldo, Carattere personale dell'incarico di curatore e regime di responsabilità, in Fall., 2008, 1393; Cavalli, Gli organi del fallimento, in Tratt. Diritto commerciale, Cottino (diretto da), XI, Padova, 2009; D'Aquino – Delladio – Fontana – Mammone, Guida alla legge fallimentare, Milano, 2016; Fabiani, Fallimento (tutela giurisdizionale), in Dig. Disc. Priv., Torino, 2009, 240; Ghedini, Sub art. 35, in La legge fallimentare. 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