Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 76 - Contratto di borsa a termine.

Alessandro Farolfi

Contratto di borsa a termine.

 

Il contratto di borsa a termine, se il termine scade dopo la dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, si scioglie alla data della dichiarazione di fallimento. La differenza fra il prezzo contrattuale e il valore delle cose o dei titoli alla data di dichiarazione di fallimento è versata nel fallimento se il fallito risulta in credito, o è ammessa al passivo del fallimento nel caso contrario 1.

[1] Comma modificato dall'articolo 62 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

L'art. 76 è stato solo marginalmente toccato dalla riforma del 2006, sostituendo le parole «è risolto» con l'espressione, «si scioglie», sicuramente più adatta a descrivere gli effetti giuridici disciplinati. Di scioglimento infatti si occupa la norma, parlando di contratti di borsa a termine, l'archetipo civilistico dei quali è certamente il contratto di riporto. Si definisce riporto quel contratto di borsa costituito da un acquisto a pronto pagamento di titoli di credito, circolanti o quotati, e dalla contemporanea rivendita a certo termine e ad un prezzo stabilito, alla stessa persona, di altrettanti titoli della stessa specie. Si tratta di un meccanismo largamente applicato nel mercato bancario, fra banche e banche, nei contratti di borsa a termine. Se da un punto di vista giuridico esso si manifesta in un acquisto a pronti di titoli di credito, accompagnato dalla contemporanea rivendita a termine di titoli della stessa specie, considerato sotto il profilo economico, esso riveste il carattere di un investimento a breve scadenza di capitali, effettuato da chi acquista i titoli medesimi (riportatore) a beneficio di chi cede i titoli (riportato). Tradizionalmente il riporto è considerato un contratto reale (cfr. art. 1549 c.c.), ma le esigenze del commercio elettronico ne hanno creato figure atipiche che si concludono secondo il principio consensualistico. Nel contratto di borsa a termine può farsi rientrare, in una nozione allargata, la negoziazione in strumenti derivati, se si considera che in entrambe tali figure la regolamentazione economica dell'accordo è data da un differenziale. Ma nel contratto di borsa a termine il differenziale è un effetto del contratto, che ha ad oggetto la compravendita di un titolo a un tempo dato e ad un prezzo prefissato. Nel contratto su derivati invece l'oggetto del contratto è proprio il differenziale dato dalla comparazione di due prezzi\valori: le parti quindi comprano non un bene ma un differenziale di valore. Secondo l'opinione prevalente l'art. 76 non si applica al solo riporto ed ai contratti di borsa a termine che hanno ad oggetto titoli, ma anche ai contratti di vendita a termine di merci quotate in borsa, ai contratti di cambio a premio ed ai contratti su derivati (Bonfatti – Censoni, 339).

La norma non ha trovato applicazioni pratiche numerose. Si può comunque ricordare come la tendenza ad un'applicazione più ampia della norma, trovi conferma nella scarsa giurisprudenza edita. Si è infatti osservato che data la natura del contratto di riporto quale negozio giuridico complesso, comprendente una vendita a pronti di titoli di credito dal riportato al riportatore ed una retrovendita a termine di altrettanti titoli della stessa specie, l'art. 76 della legge fallimentare, che disciplina gli effetti della dichiarazione di fallimento sui contratti di borsa a termine, si applica anche al contratto di riporto, e, più analiticamente, alla vendita a termine che di esso fa parte, con la conseguenza che l'eventuale eccedenza del valore dei titoli, nel momento della dichiarazione di fallimento del riportato, rispetto al prezzo contrattuale, dev'essere versata dal riportatore al fallimento. L'art. 76 l.fall., disponendo la risoluzione (rectius: liquidazione anticipata degli effetti), al momento della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, dei contratti di borsa a termine scadenti dopo la dichiarazione stessa, ed il conseguente versamento nel fallimento della eventuale eccedenza del valore delle cose e dei titoli, sempre al momento di detta dichiarazione, rispetto al prezzo contrattuale, non dispone il sorgere di un credito del fallimento, in novazione del precedente credito del fallito, ma solo l'immediata liquidazione di quest'ultimo, ed il debitore può compensare con tale credito eventuali suoi crediti verso il fallito, ai sensi dell'art. 56 della legge fallimentare (Cass. n. 2127/1975).

Ambito di applicazione ed effetti

La funzione della norma è quello di evitare il rischio collegato all'alea della fluttuazione del valore di titoli ed altri strumenti finanziari (o rappresentativi di merci), se il fallimento interviene prima che l'intervallo temporale di efficacia non sia ancora spirato. L'effetto giuridico a tal fine previsto è quello di produrre lo scioglimento automatico dei contratti di borsa a termine (e più in generale dei contratti di contenuto finanziario e mobiliare la cui attitudine speculativa sia collegata al decorso di un certo tempo) in coincidenza con la dichiarazione di fallimento. Da questo punto di vista la norma può vedersi collegata al principio di cristallizzazione che opera la pronuncia di fallimento rispetto alle obbligazioni non ancora scadute ed alla produzione di interessi (art. 55). Afferma infatti l'art. 76 che il contratto di borsa a termine, se questo scade dopo la dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, si scioglie alla data della dichiarazione di fallimento. La differenza fra il prezzo contrattuale e il valore delle cose o dei titoli alla data di dichiarazione di fallimento è versata nel fallimento se il fallito risulta in credito, o è ammessa al passivo del fallimento nel caso contrario. Il meccanismo di funzionamento della norma può essere illustrato con un esempio: A si obbliga a trasferire a B 100 azioni della società X al prezzo di 100 con termine a mesi 6; medio tempore fallisce B ed a quella data le azioni valgono 80; il contratto si scioglie, non vi è trasferimento del titolo che rimane a A, ma la regolamentazione economica voluta dal Legislatore comporta che la procedura concorsuale di B deve versare la differenza di 20 (ovviamente A ha diritto di insinuarsi al passivo in chirografo per 20); se invece alla stessa data il titolo vale 120, è il Fallimento a risultare a credito di 20, che A è tenuto a versare a richiesta del curatore. Va ribadito che, opportunamente, il legislatore della riforma è intervenuto limitatamente sulla disposizione, stabilendo che i contratti in parola a seguito del fallimento non si risolvono (come previsto della formulazione originaria), ma più correttamente si sciolgono. L'allargamento dell'ambito di operatività della presente disposizione a tutti i contratti speculativi a termine aventi ad oggetto strumenti finanziari, già operata dalla giurisprudenza, risulta affermata dall'art. 203 d.lgs. n. 58/1998-TUF che stabilisce, infatti, che «l'art. 76 l.fall. si applica agli strumenti finanziari derivati e a quelli analoghi individuati (con regolamento adottato dal MEF)... alle operazioni a termine su valute, nonché alle operazioni di prestito titoli, di pronti contro termine e di riporto. Ai fini del presente articolo sono ricompresi tutti i contratti conclusi, ancorché non ancora eseguiti in tutto o in parte, entro la data di dichiarazione del fallimento. Per l'applicazione dell'art. 76 agli strumenti finanziari di cui al comma 1, può farsi riferimento anche al costo di sostituzione dei medesimi, calcolato secondo i valori di mercato alla data di dichiarazione di fallimento». Da notare che l'art. 9 del d.lgs. n. 170/2004, al comma 3 prevede che (salvo patto contrario) ai contratti di garanzia finanziaria e alle garanzie finanziarie prestate in conformità al presente decreto legislativo non si applicano l'art. 203 del TUF, né l'art. 76.

Si è rilevato che il contratto di riporto è un negozio giuridico complesso, comprendente una vendita a pronti di titoli di credito dal riportato al riportatore ed una retrovendita a termine di altrettanti titoli della stessa specie. Da questo punto di vista il meccanismo di funzionamento è stato avvicinato a quello della compensazione (Cass. n. 1634/1982). Con riferimento alle garanzie finanziarie di cui al citato d.lgs. n. 170/2004 si è recentemente affermato che in tema di contratti di garanzia finanziaria, l'art. 4, commi 1, lett. a), e 2, del d.lgs. n. 170/2004 (attuativo della direttiva 2002/47/CE), nello stabilire che, al verificarsi di un evento determinante l'escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche nel caso di apertura di una procedura di risanamento (concordato preventivo e amministrazione controllata) o di liquidazione (fallimento e liquidazione coatta amministrativa), di procedere alla vendita delle attività finanziarie oggetto di pegno nel rispetto delle formalità contrattualmente previste, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza del valore dell'obbligazione finanziaria garantita, informando per iscritto gli organi della procedura sulle modalità di escussione adottate e sull'importo ricavato, nonché restituendo contestualmente l'eccedenza, attiene alla facoltà di esecuzione coattiva del credito in autotutela e, dunque, si applica anche alle garanzie pignoratizie costituite in data antecedente alla sua entrata in vigore, sia per il generale criterio procedimentale del «tempus regit actum», sia in ragione del-l'espressa previsione dell'art. 11 del menzionato decreto, che ritiene applicabili le sole disposizioni dell'art. 3 alle garanzie costituite in epoca successiva (Cass. n. 6760/2016).

Bibliografia

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