Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 79 - Contratto di affitto d'azienda 1.

Alessandro Farolfi

Contratto di affitto d'azienda 1.

 

Il fallimento non e' causa di scioglimento del contratto di affitto d'azienda, ma entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, e' determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. L'indennizzo dovuto dalla curatela e' regolato dall'articolo 111, n. 1.

Inquadramento

Prima della riforma operata con il d.lgs. n. 169/2007 la norma aveva un altro contenuto e funzione, mirando a disciplinare il possesso a titolo precario da parte della curatela di beni di terzi. Mancava una disciplina specifica riguardante il contratto di affitto d'azienda inteso come rapporto contrattuale pendente al momento della dichiarazione di fallimento. La dottrina e la giurisprudenza si erano conseguentemente impegnate a colmare detta lacuna, richiamando analogicamente, nel caso di fallimento del concedente, la disciplina contenuta nell'art. 80, in tema di locazione di immobili. Si era pertanto sostenuta la tesi del subingresso del curatore nel rapporto di affitto e, in particolare, nella posizione del concedente fallito. Tale conclusione veniva argomentata anche sulla scorta della disciplina di diritto comune; infatti l'art. 1626 c.c., nel prevedere lo scioglimento dell'affitto in caso di insolvenza del conduttore, lascia intendere a contrario che nell'ipotesi di insolvenza del concedente tale interruzione del rapporto non si verifichi, anche perché è indifferente per il conduttore il soggetto a cui paga, tutelando la disposizione l'aggravamento del rischio che si produce per il creditore, che nello stipulare il contratto ha fatto affidamento sulla solvibilità della controparte. Non mancava, tuttavia, un altro orientamento che ipotizzava come il fallimento provocasse la sospensione del contratto di affitto d'azienda pendente, lasciando al curatore la scelta se subentrare o meno nel rapporto. Anche per il caso del fallimento del conduttore esisteva un contrasto: accanto alla tesi maggioritaria che ipotizzava lo scioglimento del rapporto, sulla scorta del dato testuale dell'art. 1626 cit., non mancava infatti altro indirizzo che richiamava, anche in questo caso, la disciplina generale dell'art. 72 l.fall. Al fine di colmare tale lacuna, pertanto, opportunamente il legislatore della riforma ha inteso dettare una disciplina ad hoc, dapprima con il d.lgs. n. 5/2006 inserendo l'art. 80-bis l.fall., poi con il decreto correttivo dell'anno successivo abrogando il citato art. 80-bis e spostando la relativa disciplina nell'attuale formulazione dell'articolo in commento.

In termini generali, può verificarsi la circostanza che il contratto di affitto d'azienda antecedente al fallimento sia concluso durante la fase di concordato (poi sfociato in fallimento, per quanto qui interessa). Al riguardo si è osservato che sono atti di ordinaria amministrazione, e possono essere compiuti dal debitore senza autorizzazione del tribunale, dopo il deposito dell'istanza di concordato in bianco, ex art. 161, comma 7, l.fall., quegli atti di comune gestione dell'azienda, ossia quelli strettamente aderenti alle finalità e alle dimensioni del patrimonio aziendale, ovvero quelli che migliorino o comunque conservino il patrimonio; l'affitto d'azienda, così come la cessione del contratto d'affitto, la stipula del contratto di locazione o la vendita di attrezzature, devono invece essere qualificati come atti di straordinaria amministrazione e devono pertanto essere autorizzati dal tribunale (Trib. Crotone, 17 luglio 2014). A seguito delle modifiche intervenute nell'agosto 2015, la conclusione dell'affitto d'azienda durante il concordato, ma anche in fase preconcordataria, deve essere accompagnata da una procedura competitiva, secondo quanto prevede il nuovo art. 163-bis l.fall. La stipula del contratto d'affitto d'azienda da parte dell'imprenditore in crisi, se può avere una funzione di salvaguardia dell'occupazione e dei valori aziendali, può, nondimeno, originare gravi responsabilità penali, come si evince dalla decisione secondo cui integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale l'affitto di azienda al quale non consegua l'incasso dei canoni pattuiti da parte della società fallita, senza che sia addotta alcuna giustificazione in proposito (Cass. pen. n. 16989/2014). Con riferimento alla spettanza della prelazione, si è ritenuto che in tema di affitto di azienda, presupposto necessario perché l'affittuario eserciti il diritto di prelazione nell'acquisto dell'azienda, previsto dall'art. 3, comma 4, l. n. 223/1991, nel caso in cui il concedente sia assoggettato a procedura concorsuale, è la sussistenza della sua qualità di affittuario de iure al momento della definitiva determinazione del prezzo di vendita, dovendosi escludere, quando il contratto di affitto sia cessato, in favore dell'affittuario che sia rimasto nella materiale detenzione dell'azienda, il diritto di proroga ex lege del contratto scaduto sino al momento summenzionato (Cass. n. 14546/2009).

Facoltà di recesso

Afferma l'art. 79 che il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d'azienda, né se la vicenda concorsuale riguardi la posizione del concedente (così come sostenuto anche in passato), né se l'insolvenza riguardi la stessa posizione del conduttore. La scelta della naturale prosecuzione del rapporto di affitto si può collegare ad una nuova attenzione per la possibile rapida valorizzazione e liquidazione dell'azienda in esercizio, in un'ottica di difesa del going concern e di valori (si pensi all'avviamento) che l'interruzione dell'attività e lo scioglimento di molteplici rapporti contrattuali comprometterebbero irrimediabilmente. Si consideri, da questo punto di vista, anche alla previsione più ampia del ricorso all'esercizio provvisorio, come pure alla norma dell'art. 104-bis sull'affitto d'azienda c.d. endo concorsuale (cioè concluso direttamente dal curatore) ed alla sostituzione dell'art. 104 l.fall., il cui testo previgente scandiva in modo fisso ed anacronistico la fase della liquidazione, stabilendo che essa avvenisse sotto la direzione del g.d. e solo dopo il decreto di dichiarazione dell'esecutorietà dello stato passivo previsto dall'art. 97 l.fall. Se il fallimento non scioglie il rapporto d'affitto d'azienda pendente, tuttavia ad entrambe le parti è data la possibilità di recedere dal rapporto entro 60 giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo che, in caso di dissenso, viene determinato dal g.d. Il recesso è una dichiarazione recettizia, che cioè produce i propri effetti quando giunge a destinazione dell'oblato. Si discute se il curatore debba o meno essere autorizzato a recedere dal contratto. Si propende per la tesi affermativa in quanto dall'esercizio di questa facoltà sorge un diritto pecuniario prededucibile (salvo diverso accordo fra le parti), possibile fonte di contrasto nella sua determinazione. Pertanto il recesso può essere visto come un atto di straordinaria amministrazione, che richiede l'autorizzazione del comitato dei creditori o, in caso d'urgenza oppure in assenza di costituzione, del g.d. La scelta del recesso può essere opportunamente seguita dal curatore non soltanto per liberarsi di un conduttore a sua volta insolvente, ma anche per giungere ad una rinegoziazione del regolamento contrattuale. Non di rado, infatti, l'imprenditore in crisi può aver concluso il contratto a condizioni inique o comunque sfavorevoli, sia per durata, che per entità del canone o altri diritti prevalenti concessi al conduttore. Orbene, in tali casi lo scioglimento può consentire transattivamente di giungere ad una regolazione del rapporto più equa per gli interessi della procedura e dei suoi creditori, ad esempio adottando una durata compatibile con i tempi della liquidazione (cfr. art. 104-bis, comma 4, l.fall.), un canone più congruo, la rinuncia del conduttore a pretendere un indennizzo in caso di successiva vendita a terzi dell'azienda, la concessione al curatore di alcuni dei diritti previsti dall'art. 104-bis comma 3 l.fall. In alcuni casi, può risultare utile l'acquisizione di un'offerta irrevocabile d'acquisto da parte dell'affittuario, a valori di stima e da sottoporre a successiva vendita competitiva, riconoscendo in cambio il beneficio della prelazione contrattuale (cfr. art. 104-bis comma 5, l.fall.). In altri termini, il recesso del curatore non va visto unicamente come una brusca e definitiva interruzione del rapporto ma, altresì, non di rado come uno strumento attraverso il quale giungere ad una rinegoziazione più vantaggiosa per la procedura del contenuto economico o regolamentare del rapporto, rispetto alla quale le disposizioni dell'art. 104-bis l.fall. – previsto per il caso di affitto d'azienda concluso dal curatore – può rappresentare un utile modello di riferimento.

L'articolo 79 l.fall., in deroga al principio generale della sospensione dei contratti pendenti enunciato dall'articolo 72 l.fall., stabilisce che il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda. Da ciò consegue che l'unico mezzo a disposizione del fallimento per non sottostare agli effetti della prosecuzione del contratto è quello di esercitare il diritto di recesso, il quale è un atto unilaterale recettizio che produce effetto dalla sua comunicazione e non dalla precedente dichiarazione di fallimento, così come del resto confermato dall'ultimo periodo dell'articolo 79 il quale attribuisce il beneficio della prededuzione all'indennizzo spettante alla controparte in conseguenza del recesso. In base alla disposizione di cui all'art. 79 l.fall., che regola la sorte del contratto di affitto di azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento, gli effetti della prededucibilità ex lege riguardano il solo indennizzo a favore dell'affittuario e non i debiti conseguenti ai rapporti contrattuali aziendali stipulati o proseguiti dall'affittuario per i quali, in assenza di una specifica disposizione derogatoria, deve farsi applicazione della disciplina dei rapporti pendenti da quando il curatore rientra in possesso dell'azienda. (Trib. Milano, 5 maggio 2015). In senso non dissimile si è ritenuto che in caso di retrocessione dell'azienda in affitto al curatore, spetta al curatore ogni decisione relativa ai rapporti giuridici pendenti retroceduti con l'azienda, con riferimento ai quali conserva la facoltà di sciogliersi da essi, secondo le regole generali di cui agli artt. 72 e seguenti l.fall., senza distinzione tra il rapporto d'affitto già in essere proseguito alla data del fallimento e quello concluso ex novo (Trib. Monza, 19 novembre 2013). Si è recentemente affermato che in riferimento a contratto di affitto d'azienda, è pienamente ammissibile e non inficiata da nullità la clausola contrattuale contenuta in un contratto di affitto d'azienda, la quale preveda un ampliamento della facoltà di recesso in favore della curatela fallimentare rispetto a quanto già previsto dall'art. 79 l.fall., non essendo tale previsione di carattere inderogabile, nel contesto di convenzioni concluse da impresa in crisi e in un'ottica di rafforzamento della tutela dei creditori in ipotesi di apertura del fallimento (fattispecie relativa a clausola contenuta nel contratto di affitto d'azienda del seguente tenore: «Nel caso in cui la locatrice, durante il periodo di durata dell'Affitto d'Azienda, dovesse essere sottoposta a fallimento, salvo quanto previsto dall'art. 79 l.fall., il solo curatore fallimentare godrà della facoltà di recedere dal contratto in qualsiasi momento, anche successivamente al termine previsto nella predetta norma, purché con preavviso di almeno tre mesi») (Trib. Rimini, 24 marzo 2015).

Equo indennizzo

La norma riconosce alla parte che subisce il recesso un equo indennizzo. A maggiore tutela del contraente non recedente è previsto inoltre che detto indennizzo abbia carattere prededucibile. Si deve escludere che tale indennizzo abbia una funzione risarcitoria: la lettera della norma è chiara nel parlare di indennizzo (da determinare equitativamente) ed, inoltre, il sorgere del diritto di credito relativo non è collegato ad un inadempimento o ad un fatto illecito, bensì all'esercizio di un diritto. Si tratta, quindi, di una posta meramente riparatoria ed indennitaria a fronte dell'esercizio di un diritto che può si causare un pregiudizio, ma tale lesione non è contra ius in quanto, al contrario, consegue ad un atto compiuto ope legis. Nel dissenso delle parti l'entità del corrispettivo è determinata dal g.d. non necessariamente facendo riferimento al termine di preavviso eventualmente stabilito contrattualmente. La norma non stabilisce il procedimento, ma a fronte della nuova formulazione dell'art. 52 (che sottopone alle forme del concorso e dell'accertamento del passivo anche i crediti prededucibili) e dell'art. 111-bis, deve ritenersi che il creditore debba insinuarsi al passivo. La decisione del g.d. sarà quindi impugnabile con le forme previste dall'art. 98 e 99 l.fall. Solo nel caso in cui le parti arrivino ad una determinazione non contestata dell'indennizzo, appare possibile una liquidazione al di fuori del concorso, come prevede lo stesso art. 111-bis cit.

Si è ritenuto che l'equo indennizzo contemplato dall'art. 79 l.fall. in riferimento alla facoltà concessa al curatore di recedere anticipatamente dal contratto di affitto d'azienda, analogamente all'equo indennizzo previsto dall'art. 80, comma 2, l.fall. per il recesso dal contratto di locazione, appare avere natura indennitaria (equitativa) e non risarcitoria, costituendo il corrispettivo dell'esercizio della facoltà di recesso concessa dalla legge. Pertanto, tale indennizzo dev'essere commisurato al danno emergente, relativo al pregiudizio derivante dall'interruzione delle lavorazioni in corso, dalle eventuali penalità da pagare a terzi e dall'entità degli investimenti effettuati, e al lucro cessante, derivante dal mancato incasso degli utili netti che possono maturare nel periodo rimanente di vigenza del contratto (ma non dell'avviamento, che è una qualità intrinseca dell'azienda non indennizzabile, non rientrando fra le consistenze d'inventario dei beni materiali e immateriali ex artt. 2561 e 256 c.c. e non essendovi una previsione analoga a quella in materia di locazioni a favore del conduttore), essendo rimessa in primis all'accordo delle parti la determinazione del quantum, previa autorizzazione del comitato dei creditori e, in caso di superamento della soglia di valore, previa informazione al giudice delegato (salvo il suo intervento in caso di disaccordo) (Trib. Udine, 3 maggio 2013). La stessa decisione precisa (con riferimento a situazioni che nella pratica si verificano con una certa frequenza) che pur dovendo nettamente distinguersi fra indennizzo per il recesso anticipato e canoni di locazione dovuti per il godimento dei beni, le parti possono, in sede di determinazione dell'equo indennizzo nella loro autonomia contrattuale, decidere con valenza transattiva di ogni eventuale controversia, ricomprendendo tutti i danni subiti dal conduttore, comprensivi anche del diritto alla restituzione di importi già versati a titolo di canoni anticipati e prevedendo la rinunzia ad ogni indennizzo e altra pretesa. Mentre appare del tutto pacifica la natura recettizia della dichiarazione di recesso da parte del curatore, si discute della natura perentoria o meno del termine di 60 gg. previsto dalla norma per l'esercizio del diritto di recesso: secondo l'indirizzo forse prevalente, poiché l'atto negoziale con il quale il curatore, ai sensi dell'articolo 79, legge fallimentare, comunica il recesso dal contratto di affitto di azienda ha indiscutibilmente natura recettizia, la comunicazione deve pervenire al destinatario nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza di fallimento; tale termine ha natura perentoria (Trib. Roma 7 luglio 2011).

Bibliografia

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