Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 98 - Impugnazioni 1 2 3 .

Federico Rolfi
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Impugnazioni123.

 

Contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo può essere proposta opposizione, impugnazione dei crediti ammessi o revocazione.

Con l'opposizione il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili contestano che la propria domanda sia stata accolta in parte o sia stata respinta; l'opposizione è proposta nei confronti del curatore.

Con l'impugnazione il curatore, il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili contestano che la domanda di un creditore o di altro concorrente sia stata accolta; l'impugnazione è rivolta nei confronti del creditore concorrente, la cui domanda è stata accolta. Al procedimento partecipa anche il curatore.

Con la revocazione il curatore, il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili, decorsi i termini per la proposizione della opposizione o della impugnazione, possono chiedere che il provvedimento di accoglimento o di rigetto vengano revocati se si scopre che essi sono stati determinati da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile. La revocazione è proposta nei confronti del creditore concorrente, la cui domanda è stata accolta, ovvero nei confronti del curatore quando la domanda è stata respinta. Nel primo caso, al procedimento partecipa il curatore.

Gli errori materiali contenuti nello stato passivo sono corretti con decreto del giudice delegato su istanza del creditore o del curatore, sentito il curatore o la parte interessata.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 83 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con effetto a decorrere dal 16 luglio 2006.

[2] La Corte costituzionale, con sentenza 16 aprile 1986, n. 102, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma del presente articolo, nel testo precedente la modifica, nella parte in cui stabiliva che i creditori esclusi o ammessi con riserva potessero fare opposizione entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo anziché dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il curatore doveva dare notizia dell'avvenuto deposito ai creditori che avevano presentato domanda di ammissione al passivo.

[3] La Corte costituzionale, con sentenza 24 aprile 1986, n. 120, aveva dichiarato anche l'illegittimità costituzionale del secondo comma del presente articolo, nel testo precedente la modifica, nella parte in cui non prevedeva nei confronti del creditore opponente la comunicazione, almeno quindici giorni prima della udienza di comparizione, del decreto ivi indicato, comunicazione dalla quale decorreva il termine per la notificazione di esso al curatore.

Inquadramento

Il decreto con cui viene dichiarato esecutivo lo stato passivo risulta idoneo ad acquisire valenza di c.d. «giudicato endofallimentare», ove non sia fatto oggetto di uno dei mezzi di impugnazione enumerati dalla previsione in esame (Fauceglia, 1710), il cui elenco deve, quindi, ritenersi tassativo, e non affiancabile da altri rimedi. Per contro, una volta dichiarato esecutivo lo stato passivo, al g.d. è preclusa la possibilità di procedere alla modifica o revoca dello stato passivo medesimo, potendo unicamente procedere alla correzione di eventuali errori materiali.

L'impugnazione dello stato passivo, quindi, mira in generale a precludere il formarsi del giudicato endofallimentare in relazione alle singole decisioni sulle domande di ammissione, e costituisce, nel suo insieme, un corpus di rimedi rimessi all'iniziativa della parte. Detto sistema concerne ogni provvedimento assunto in sede di stato passivo, e quindi non solo le decisioni sui crediti, ma anche le statuizioni in ordine alle rivendiche (secondo l'ampia definizione desumibile dall'art. 93).

Il Legislatore della Riforma ha inteso operare una sistemazione organica delle varie ipotesi di impugnazione, prima oggetto di singole previsioni non omogenee, dettando invece una disciplina unitaria, che realizza una convergenza dei vari rimedi, almeno sul piano processuale, con l'adozione del rito camerale, e con la previsione di un unico tipo di impugnazione avverso le decisioni assunte in tale sede, e cioè il ricorso in Cassazione. Rimangono peraltro le peculiarità della revocazione che, rispetto alla forte consonanza di opposizione e impugnazione, presenta invece caratteri qualificati che la configurano quale vero e proprio rimedio straordinario (Gaboardi 825).

Il problema di maggior spessore posto dalla disciplina in esame è costituito dalla natura del sistema di rimedi in commento, e cioè dalla possibilità di qualificarli nell'insieme quale rimedio impugnatorio o, addirittura, quale vero e proprio giudizio di appello. La questione assume rilevanza ai fini della individuazione della disciplina codicistica eventualmente applicabile, e, soprattutto, della contenuto e dei caratteri dell'impugnazione, non ultima la regola circa il divieto di nova.

La piena riconducibilità del sistema delineato dalla norma in commento ai gravami impugnatori (con superamento definitivo della pregressa tesi che vedeva l'opposizione allo stato passivo come elemento di un procedimento bifasico, avente una prima fase nella verifica dello stato passivo), emerge in modo netto dalla stessa disciplina e dalla terminologia impiegata dal legislatore (Gaboardi 821). Al di là del termine «impugnazioni», infatti, militano in tal senso alcuni caratteri quali: 1) il carattere devolutivo, peraltro limitato alle specifiche questioni sollevate dalla parte; 2) l'esclusione del g.d. che ha adottato il provvedimento impugnato dal collegio chiamato a decidere dell'impugnazione; 3) il fatto che ad essere impugnato è, peraltro, il provvedimento che il g.d. ha assunto – in una posizione di terzietà – sulla singola insinuazione (De Crescienzo, 1220; Fauceglia, 1711); 4) la previsione di termini perentori per l'impugnazione; 5) la previsione di un obbligo di motivazione del provvedimento adottato sull'impugnazione (Fauceglia, 1711); 6) la previsione della possibilità di impugnare il decreto mediante ricorso in Cassazione (Menchini-Motto, 566).

Affermato il carattere impugnatorio dei rimedi in esame, non sembra invece sussistere spazio per ricondurre gli stessi nell'ambito di un vero e proprio appello, alla luce della peculiarità che comunque li contraddistingue, e che preclude un'applicazione diretta dei principi dettati per il giudizio di appello. Significativi, infatti, restano alcuni caratteri dell'esame dello stato passivo che militano in senso contrario ad un eccessivo irrigidimento della disciplina della fase di impugnazione. Ci si riferisce all'assenza di obbligo di difesa tecnica per presentare l'insinuazione al passivo; all'assenza di difesa tecnica in capo al Curatore; al carattere marcatamente sommario della fase di esame dello stato passivo (con attività istruttoria fortemente limitata). Proprio questi elementi valgono a spiegare la specialità della disciplina dettata dal legislatore per le impugnazioni, con la presenza di una sistema di preclusioni che sembra operare per la sola fase delle impugnazioni stesse (Menchini-Motto, 571).

Dal carattere impugnatorio dei rimedi in esame sembrano discendere alcuni principi: a) la legittimazione ad impugnare discende dalla soccombenza, seppure intesa in senso ampio e comprensiva dei casi in cui vi sia interesse a conseguire l'ammissione «con miglior formula» (Gaboardi, 822; Montanari, in Jorio-Fabiani, 1486); b) opera il principio di acquiescenza, con la conseguenza che i capi non impugnati del provvedimento del g.d. acquistano l'intangibilità del giudicato endofallimentare; c) opera la disciplina delle impugnazioni tardive; d) la definizione dell'impugnazione anche con una pronuncia di rigetto in rito comporta lo stabilizzarsi del provvedimento impugnato (Menchini-Motto, 567).

Le impugnazioni presentano il carattere di gravame a critica libera, con possibilità di dedurre sia vizi in rito sia l'erroneità della decisione nel merito, e quindi con effetto sostitutivo (Fauceglia, 1714), mentre è più discusso se l'impugnazione comporti la devoluzione integrale delle questioni già affrontate in sede di impugnazione (Montanari, 81), o se il giudice dell'impugnazione conosca delle sole questioni devolute (Menchini-Motto, 568). In tale ultimo senso militano non solo la lettera dell'art 99 (che impone alla parte di esporre i fatti e gli elementi di diritto alla base della domanda), e le garanzia del contraddittorio (oltre che la necessità di consentire al controinteressato se costituirsi o meno), ma anche l'esigenza di ancorare l'impugnazione ai principi in tema di durata ragionevole del processo).

Più discusso è l'ambito di ammissibilità dei nova. Alla tesi — prevalente — che, sulla scorta del dato letterale dell'art. 99 (con facoltà di proporre eccezioni in senso stretto; formulazione di istanze istruttorie e produzioni documentali), esclude che dalla precedente fase di discussione dello stato passivo possano discendere preclusioni di sorta, ed afferma la piena possibilità per la parte di svolgere attività assertive e probatorie, con la sola preclusione della formulazione di nuove domande (Menchini-Motto, 571); si contrappone una lettura che ritiene comunque operante il sistema di preclusioni discendente dall'art. 95 (De Crescienzo, 1222).

Resta, in ogni caso, il dato di una disciplina comunque peculiare, che comunque giustifica quelle letture che individuano nelle impugnazioni una natura «mista» di mezzo di impugnazione e di giudizio a cognizione piena (Fauceglia, 1715).

Non risulta tra i soggetti legittimati a proporre alcuna delle impugnazioni il fallito, in coerenza con la duplice circostanza che lo stesso non è parte del procedimento di verifica del passivo; e che le decisioni assunte sia in sede di formazione dello stato passivo sia in sede di impugnazione non gli sono comunque opponibili, una volta che egli sia tornato in bonis (Menchini-Motto, 568), eccezion fatta per i limitati effetti connessi alla previsione di cui all'art. 120, quarto comma (per una critica Gaboardi 825).

La Suprema Corte ha di recente riconosciuto la natura impugnatoria del giudizio di opposizione allo stato passivo, escludendo, invece, la possibilità di qualificarlo come giudizio di appello, e ribadendo, conseguentemente la specialità del sistema delle impugnazioni delineato dalla norma in esame. Da ciò la Suprema Corte fa anche derivare la «inconfigurabilità concettuale» delle impugnazioni incidentali, in quanto ciascuna parte sarebbe tenuta a proporre la tipologia di specifico rimedio impugnatorio che le viene riconosciuta, sino a quando pende il relativo termine, decorso il quale, invece, si decadrebbe da qualsivoglia possibilità di impugnare lo stato passivo (Cass. I, n. 9617/2016). Per Cass. I, ord. n. 37536/2022 la dichiarazione di temporanea inammissibilità della domanda di ammissione sino all'esito del procedimento davanti all'Amministrazione finanziaria (insinuazione al passivo di crediti tributari) adottata dal giudice delegato al fallimento si risolve in una sostanziale ipotesi di rigetto, rispetto alla quale emerge l'interesse dell'Agenzia delle entrate a insorgere col rimedio dell'opposizione allo stato passivo.

Dall'esclusione delle norme in materia di appello – ed in particolare dell'art. 345 c.p.c. (Cass. I, n. 4708/2011; Cass. I, n. 19697/2009) è stato poi dedotto: 1) che non può dichiararsi improcedibile l'opposizione, qualora l'opponente regolarmente costituito, non compaia in un'udienza successiva alla prima (Cass. VI, n. 1342/2016; Cass. VI, n. 11813/2014); 2) che il deposito della copia autentica del decreto impugnato può effettuarsi in qualsiasi momento, e che quindi la sua mancata produzione contestualmente all'opposizione non determina la improcedibilità della stessa (Cass. VI, n. 18253/2015); 3) che il Curatore può liberamente riproporre le eccezioni disattese dal g.d. in sede di esame dello stato passivo (Cass. I, n. 22765/2012).

Costante, invece, è l'affermazione del principio della immutabilità della domanda, cui viene ricollegata la inammissibilità delle domande riconvenzionali del Curatore (Cass. I, n. 6900/2010). Nel caso dei diritti c.d. eterodeterminati, la conseguenza è che la deduzione in sede di opposizione di un diverso fatto costitutivo comporta novità della domanda (Cass. I, n. 1857/2015). Parimenti, si è ritenuta preclusa, in sede di impugnazione, la possibilità di ottenere il riconoscimento della prededucibilità di un credito, insinuato originariamente in via privilegiata, in quanto ciò comporterebbe un diverso tema d'indagine (Cass. I, n. 5167/2012).

Diverso è, invece, il trattamento in senso più ampio, dello ius novorum giacché l'espressa esclusione della operatività della preclusione di cui all'art. 345 c.p.c., comporta la preclusione alla introduzione di domande riconvenzionali della curatela, ma non la formulazione da parte del Curatore di eccezioni non sottoposte all'esame del g.d. (Cass. I, n. 8929/2012; Cass. I, n. 82462013 Cass. I, n. 11026/2013; Cass. VI, n. 20584/2013).

L'opposizione

Come desumibile dalla definizione enunciata dalla norma medesima, l'opposizione costituisce unico strumento mediante il quale il creditore può impugnare il provvedimento del g.d. che, dichiarando esecutivo lo stato passivo, abbia respinto l'insinuazione o la rivendica o l'abbia accolta solo parzialmente, dovendosi intendere tale avverbio come esteso alle ipotesi in cui l'accoglimento presenti caratteri comunque «deteriori» rispetto alla domanda del creditore. Si avrà, quindi, soccombenza non solo nel caso di mancata ammissione o di ammissione per un importo inferiore a quello richiesto, ma anche nel caso del mancato riconoscimento della prededuzione o del privilegio richiesti, nel caso del riconoscimento di un grado di privilegio posteriore rispetto a quello richiesto, nel caso di ammissione del credito con rigetto della compensazione richiesta ex art. 56 (Menchini-Motto, 575).

Presupposto dell'opposizione, quindi, è la sussistenza di una qualche forma di soccombenza, e cioè il riconoscimento di una «utilità minore» di quella richiesta dall'opponente in sede di insinuazione o rivendica (Menchini-Motto, 574). Tale soccombenza viene a fondare l'interesse del creditore ad ottenere dal Tribunale una decisione di accoglimento (Zoppellari, 1264) con «miglior formula», comprese le ipotesi in cui l'opponente sia stato ammesso al passivo sulla base di un titolo diverso da quello dedotto o sulla base del titolo che era stato dedotto solo in via subordinata (Gaboardi, 843). Ne consegue che solo i capi della decisione del g.d. che abbiano accolto integralmente la domanda non potranno essere fatte oggetto di opposizione per carenza di interesse ad agire.

Tra le ipotesi che legittimano l'opposizione deve ritenersi compresa anche quella in cui il g.d. abbia radicalmente omesso di provvedere sull'insinuazione, in quanto la strada alternativa dell'insinuazione tardiva potrebbe esporre il creditore al rischio del trattamento deteriore operante in sede di riparti per i creditori tardivi (Fauceglia, 1719)

La lettera della norma evidenzia come la legittimazione attiva spetti solo ed esclusivamente al creditore o al «rivendicante», essendo invece esclusa la possibilità che l'opposizione sia proposta dal Curatore o da altri creditori, atteso che tali soggetti hanno a propria disposizione i diversi rimedi della impugnazione (tramite la quale, peraltro, il Curatore può ottenere la reformatio in peius del provvedimento di ammissione) o della revocazione. Parte della dottrina – disattesa però dalla giurisprudenza — afferma la possibilità che l'impugnazione del Curatore sia proposta in via incidentale nell'ambito della stessa opposizione allo stato passivo, purché tale gravame incidentale risulti comunque proposto nel rispetto del termine di legge per la proposizione dell'impugnazione principale (Fauceglia, 1733). Cass. I, ord. n. 15875/2022 ha ritenuto legittimato a proporre opposizione il socio di società di capitali non in tale qualità di socio, per far valere il danno dovuto alla diminuzione di valore della propria quota, bensì quale creditore della società se ha effettuato dazioni di denaro in favore dell'ente aventi natura di vero e proprio finanziamento.

Parzialmente diverso è il discorso nel caso in cui nell'esame dello stato passivo la decisione del g.d. su questioni preliminari in senso sfavorevole al creditore/rivendicante abbia assorbito l'esame dei profili di merito ulteriori. In questo caso la decisione del Tribunale sulla questione preliminare in senso favorevole all'opponente, non sembra precludere – procedendo con l'ulteriore esame delle questioni assorbite – una decisione in senso anche sfavorevole sul merito, atteso che in tal caso non si assiste ad una vera e propria reformatio in peius (Montanari, 2011 97). Per costoro l'interesse all'impugnazione dei crediti tempestivi di colui che ha proposto la domanda di ammissione tardiva allo stato passivo sorge nel momento della proposizione della detta domanda e permane sino a quando è definitivamente accertata l'insussistenza del suo diritto a partecipare al concorso, salva l'ipotesi che il credito in contestazione venga nel frattempo soddisfatto in sede di riparto.

La legittimazione spetterà anche al creditore escluso solo parzialmente, dovendosi ricordare che la mancata opposizione comporta il definitivo passaggio in «giudicato endofallimentare» del provvedimento di esclusione o ammissione parziale. Per contro, va chiarito che la legittimazione a presentare opposizione risulta del tutto indipendente dal fatto che il creditore abbia presentato o meno osservazioni al progetto di stato passivo, non potendosi ritenere che il silenzio sul progetto medesimo si traduca in acquiescenza (Menchini-Motto, 574).

La riforma, innovando in senso radicale, ha reso omogenee le posizioni di creditori tempestivi e tardivi, prevedendo un regime similare per l'esame delle insinuazioni, e conseguentemente estendendo anche ai creditori tardivi lo strumento dell'opposizione allo stato passivo.

La legittimazione passiva spetta in via esclusiva al Curatore fallimentare, il quale, peraltro, in tale ruolo viene a tutelare indirettamente anche gli interessi del fallito, giustificando così l'esclusione della legittimazione di quest'ultimo (Gaboardi, 844).

L'opposizione investe la decisione sullo stato passivo sia sotto eventuali profili in rito (carenza o vizi di motivazione) sia sotto i profili in merito vero e proprio, ed ha carattere devolutivo-sostitutivo (Zoppellari, 1263) del provvedimento assunto dal g.d., sia pure nei limiti delle censure concretamente mosse nell'opposizione (Gaboardi, 834).

Il creditore, quindi, come desumibile dalla disciplina processuale dettata dall'art. 99 l.fall., potrà svolgere ogni opportuna attività assertiva e probatoria utile a conseguire l'accoglimento della domanda originariamente formulata con l'insinuazione o la rivendica, così come potrà operare ogni possibile contestazione delle difese ed eccezioni sollevate dal Curatore in sede di progetto di stato passivo. Al silenzio tenuto dal creditore sulle eccezioni sollevate nel progetto, infatti, non è riconducibile alcun effetto di definitiva mancata contestazione delle difese ed eccezioni (Menchini-Motto, 575), con la conseguenza che tali contestazioni potranno essere mosse per la prima volta con l'opposizione. La giurisprudenza ha ritenuto applicabile al giudizio di opposizione passiva il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c., anche se il curatore non ha la disponibilità dei diritti della massa, in quanto la non contestazione non è equiparabile alla confessione e non implica la disposizione dei diritti ma costituisce un fatto processuale che opera ai soli fini della delimitazione del thema probandum (Cass. I, ord. n. 14589/2022; Cass. I, ord. n. 19481/2022). Il detto principio si applica nonostante la terzietà del curatore, quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, senza che necessariamente ne derivi automaticamente l'ammissione del credito al passivo, restando salvo comunque il potere del giudice di sollevare a propria volta eccezioni circa l'ammissibilità del credito (Cass. I, ord. n. 17731/2022).

L' attività difensiva incontra come unico limite, quello del divieto di formulare (anche indirettamente tramite le allegazioni e le prove) una vera e propria domanda nuova, ampliando o modificando petitum e/o causa petendi. Opera, infatti, il già rammentato vincolo di immutabilità della domanda, valevole per tutte le impugnazioni dello stato passivo, e peraltro giustificato, nel caso dell'opposizione, anche dall'esigenza di tutelare gli altri creditori concorrenti dal rischio di veder ammesso il credito in questione per ragioni diverse da quelle dedotte nella fase di esame dello stato passivo (Gaboardi, 836). Detto vincolo, peraltro, mirando anche ad assicurare il rispetto della durata ragionevole del processo, comporta la possibilità per il Tribunale di rilevare anche d'ufficio la novità della domanda, indipendentemente dalla presenza di una eccezione del curatore.

L'astratta operatività del divieto di mutamento della domanda, peraltro, si deve misurare con una serie di ipotesi di non facile inquadramento, come: a) il riconoscimento della prededuzione ad un credito originariamente insinuato al chirografo; b) la richiesta di interessi a fronte di una insinuazione per solo capitale; c) il riconoscimento del privilegio ad un credito originariamente insinuato al chirografo (Zoppellari, 1265), anche se alcune di tali ipotesi hanno registrato interventi chiarificatori della Cassazione. Indubbia è, invece, l'inammissibilità dell'opposizione proposta: a) per ottenere il riconoscimento di una somma maggiore di quella originariamente insinuata; b) per ottenere l'ammissione senza riserva di un credito originariamente insinuato con espressa richiesta di apposizione di riserva (Menchini-Motto, 576).

Una parziale deroga al divieto di nova è stata da taluni individuata nel disposto di cui all'art. 103 per il caso di rivendica. Secondo tale opinione, la possibilità per il rivendicante – ove il bene non sia stato acquisito all'attivo della procedura – di modificare la domanda, chiedendo l'ammissione al passivo del controvalore del bene, dovrebbe infatti potersi esercitare anche in sede di opposizione (Gaboardi, 839), anche se in senso contrario si può rilevare che in tal modo ogni problema circa la determinazione del controvalore del bene verrebbe affrontato solo nell'opposizione, «perdendo» la fase dell'esame dello stato passivo.

Per quanto concerne l'ammissione del credito con riserva, occorre operare una distinzione. Nel caso di ammissione con riserva al di fuori dei casi stabiliti dalla legge, la definitiva affermazione del principio di tipicità delle ipotesi di ammissione con riserva, comporterà che la riserva debba ritenersi tamquam non esset senza che il creditore sia tenuto ad impugnare la riserva medesima con l'opposizione allo stato passivo (Zoppellari, 1267). Per contro, qualora l'ammissione con riserva avvenga in una delle ipotesi di legge, ma il creditore voglia contestare la sussistenza in concreto dei presupposti della riserva per ottenere l'ammissione incondizionata, avrà l'onere di proporre l'opposizione (Fauceglia, 1716; Gaboardi, 843; Piccininni, 632; Spiotta, 2049). Al di fuori di questi casi, invece, è da escludere che il creditore possa ricorrere all'opposizione allo stato passivo come strumento per sollecitare lo scioglimento della riserva, essendo stato a tal fine previsto lo speciale strumento di cui all'art. 113-bis.

Va rilevato preliminarmente come l'evoluzione della giurisprudenza in materia si ponga in sostanziale continuità rispetto ad orientamenti formatisi già prima della Riforma, in quanto fondati su principi che quest'ultima ha fatto propri. Ad esempio, si è affermato che al creditore non è inibito di richiedere soltanto in sede di opposizione l'ammissione del proprio credito in chirografo, se nell'insinuazione si domandava l'ammissione in via privilegiata: dovendosi distinguere tra mutamento della domanda e semplice rinunzia ad una parte di essa: la collocazione privilegiata del credito (Cass. I, ord. n. 9730/2022). Non si applica al giudizio di opposizione allo stato passivo l'art. 183 c.p.c. che consente nel giudizio di primo grado la mutatio di uno o di entrambi gli elementi oggettivi della domanda entro i termini concessi dal giudice alle parti in prima udienza (Cass. I, n. 6279/2022).

Dalla già rammentata esclusione dell'applicabilità delle norme che disciplinano l'appello – e quindi anche dell'art. 329 c.p.c. — la Suprema Corte ha fatto discendere la irrilevanza – ai fini della legittimazione a proporre opposizione — della mancata presentazione da parte del creditore di osservazioni al progetto di stato passivo, rilevando, in particolare, come tale condotta, riguardando la proposta del Curatore e non la decisione del g.d., esuli del tutto dalla fattispecie dell'acquiescenza (Cass. VI, n. 20583/2013; Cass. I, n. 5659/2012).

Dopo aver costantemente ribadito il principio per cui giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria ed è retto dal principio dell'immutabilità della domanda, il quale esclude che possano prendersi in considerazione fatti diversi da quelli dedotti in sede di verifica del passivo. (Cass. I, n. 7278/2013; Cass. I, n. 1857/2015), la Suprema Corte ha statuito: a) la inammissibilità della richiesta di riconoscimento della prededucibilità del credito, insinuato originariamente in via privilegiata, implicando tale richiesta l'introduzione nel giudizio di un diverso tema di discussione e d'indagine (Cass. I, n. 5167/2012); b) l'ammissibilità della richiesta in sede di opposizione di un privilegio diverso da quello insinuato al passivo, in considerazione del fatto che la collocazione del credito discende direttamente dalla legge (Cass. I, n. 6800/2012); c) l'inammissibilità della richiesta in sede di opposizione del riconoscimento della natura privilegiata di un credito insinuato al passivo senza specifica richiesta del privilegio (Cass. I, n. 15702/2011; Cass. I, n. 4306/2012; ma contra Cass. I, n. 118/2016 secondo la quale il g.d. deve avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere); d) l'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno extracontrattuale, rispetto a quella originaria di adempimento contrattuale (Cass. I, n. 19605/2004); e) l'inammissibilità della richiesta di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale fondata su una condotta del debitore diversa da quella indicata nell'istanza di ammissione al passivo (Cass. I, n. 9696/2000; Cass. I, n. 3592/1995).

Alcuni precedenti di merito (Trib. Milano 21 febbraio 2000, in Fall. 2000, 812) hanno affermato la novità – e conseguente inammissibilità – dell'opposizione formulata per ottenere il riconoscimento degli interessi a fronte di una originaria insinuazione per solo capitale. Il principio trova un indiretto riscontro nella recente affermazione della ammissibilità di una proposizione tardiva della domanda di ammissione al passivo per credito accessorio relativo agli interessi moratori, in quanto fondata su una diversa causa petendi, rispetto alla ammissione in via tempestiva del credito relativo al capitale (Cass. S.U., n. 6060/2015), in quanto il principio enunciato delle Sezioni Unite evidenzia, appunto, la diversità di titolo – e quindi di domanda – tra insinuazione per capitale ed insinuazione per interessi.

L'elaborazione della Suprema Corte in epoca posteriore alla Riforma conferma indirettamente la persistente valenza del principio della rilevabilità d'ufficio dell'inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova nel giudizio di opposizione (Cass. I, n. 19605/2004).

Per il caso della riserva, viene ribadito il principio per cui il creditore che voglia ottenere l'eliminazione o lo scioglimento della riserva deve proporre l'opposizione allo stato passivo (Cass. I, n. 11143/2012).

L'opposizione è proposta con ricorso. Nel caso della domanda di revocazione la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile l'atto di citazione purché depositato in cancelleria entro il termine previsto dall'art. 392 c.p.c. (Cass. I, ord. n.12668/2022). Il ricorso può essere depositato con modalità telematiche anche in assenza del decreto dirigenziale attestante la piena funzionalità dei servizi informatici del tribunale adito (Cass. I, ord. n. 18609/2022) e anche se inserito in un regsitro diverso da quello degli affari contenziosi (Cass. I, n. 15243/2022).

L'impugnazione

Se l'opposizione è lo strumento concesso al creditore per impugnare le decisioni di esclusione, per contro l'impugnazione è lo strumento concesso sia al curatore sia ai creditori concorrenti per impugnare i provvedimenti favorevoli al soggetto che si sia insinuato al passivo (o abbia rivendicato beni), in modo da ottenere la esclusione totale o parziale di quest'ultimo. Si è in tal modo risolta in modo espresso la questione della legittimazione del curatore ad impugnare le decisioni sullo stato passivo, sancendo la posizione di «parte» del curatore nella formazione dello stato passivo, e l'autonomia del medesimo dal g.d., come indirettamente e coerentemente ribadito dal fatto che il curatore non necessita di autorizzazione del g.d. per proporre l'impugnazione (De Crescienzo, 1224).

La legittimazione attiva, quindi, spetta in via concorrente al curatore – all'ovvia condizione che l'ammissione del credito della rivendica sia stata decisa dal g.d. in difformità rispetto alla proposta del Curatore stesso (Menchini-Motto, 581; Piccininni, 638) — ed ai creditori, ferma restando la regola di necessaria partecipazione del curatore all'impugnazione anche se promossa da uno dei creditori, con conseguente necessità che il Tribunale disponga l'integrazione del contraddittorio, qualora il creditore che ha proposto impugnazione non provveda ad evocare in giudizio il curatore stesso. Il mancato rispetto dell'ordine di integrazione del contraddittorio comporterà l'inammissibilità dell'impugnazione (Menchini-Motto, 588).

Qualora, poi, il curatore intenda impugnare a propria volta l'ammissione (cui, ovviamente, si sia opposto già in sede di esame dello stato passivo) sarà opportuno che proponga a propria volta impugnazione (a meno di voler ammettere l'impugnazione in via incidentale), mentre in caso di inerzia, potrà partecipare al giudizio solo aderendo alle conclusioni già presentate dal creditore che ha proposto impugnazione (Menchini-Motto, 588)

La legittimazione (e necessaria partecipazione) del curatore evidenziano la superfluità di una ipotetica legittimazione del fallito, peraltro esclusa dalla già rammentata valenza meramente endofallimentare del provvedimento di accertamento del passivo (Fauceglia, 1724).

Per quanto concerne più nello specifico i creditori, la legittimazione spetta indubbiamente ai creditori ammessi – e ciò indipendentemente dal fatto che in sede di verifica dello stato passivo abbiano mosso o meno contestazioni — mentre nel caso dei creditori ammessi con riserva (nell'ipotesi in cui anche l'insinuazione chiedesse proprio tale tipo di ammissione) si registra un certo contrasto tra chi ammette la legittimazione immediata a proporre impugnazione (Menchini-Motto, 585) – ma secondo altri vi sarebbe comunque la necessità di posticipare la decisione sull'impugnazione allo scioglimento della riserva in senso favorevole ex art. 113-bis (Montanari, 2011, 122) – e chi, invece, ritiene che la legittimazione sorga solo ed unicamente al momento in cui la riserva è sciolta in senso favorevole, con conseguente posticipazione del termine per la proposizione dell'impugnazione (Gaboardi, 852).

Se il creditore ammesso è stato a propria volta convenuto in impugnazione, si porrà un problema di necessario coordinamento dei due giudizi, giacché la definitiva esclusione del creditore dallo stato passivo lo priverebbe conseguentemente di legittimazione attiva, anche se in questo caso il ricorso alla sospensione ex art. 295 c.p.c. viene da taluni contestato (Menchini-Motto, 583).

Per quanto concerne i creditori esclusi (cui debbono equipararsi i creditori ammessi con riserva, che abbiano impugnato con l'opposizione l'apposizione della riserva operata difformemente dall'insinuazione: Gaboardi, 851), si ritiene che la loro legittimazione a proporre opposizione sia subordinata non solo alla previa proposizione dell'opposizione al provvedimento di esclusione ma anche all'accoglimento dell'opposizione medesima, con la conseguenza che l'impugnazione stessa dovrebbe essere poi sospesa in attesa degli esiti dell'opposizione (Fauceglia, 1721; Montanari, L'opposizione, 120), a meno di non ricorrere allo strumento della riunione dei due giudizi (Menchini-Motto, 584).

Altrettanto complessa è la posizione dei creditori tardivi in pendenza della fase di ammissione. Si registra una tesi favorevole (Montanari, 2011, 124), che ritiene che l'insinuante tardivo non ancora ammesso sia da ritenersi creditore sub iudice, e come tale legittimato a proporre l'impugnazione, fermo restando che, nel caso di mancata ammissione al passivo, egli sarebbe tenuto (come il creditore escluso) a proporre l'opposizione (al cui esito sarebbe condizionata l'ammissibilità definitiva dell'impugnazione) (Menchini-Motto, 586). Tale tesi, tuttavia, incontra il problema della impossibilità di rispettare il termine per l'impugnazione in relazione ai crediti ammessi anteriormente (in particolare i crediti tempestivi), e, per superare tale problema, viene ad affermare che in tal caso (non essendo il creditore tardivo destinatario dell'avviso di deposito dello stato passivo) dovrebbe darsi applicazione analogica all'art. 327 c.p.c. Va poi registrata la tesi che nega radicalmente l'ammissibilità dell'impugnazione proposta dal creditore meramente insinuato (Piccininni, 639), mntre risulta più lineare la tesi restrittiva che, limitando la legittimazione dei creditori insinuati tardivamente alla sola impugnazione dei crediti (a loro volta tardivi) fatti oggetto di esame contestualmente alla loro pretesa, o dei crediti ammessi negli stati passivi tardivi successivi, di fatto subordina la legttimazione all'ammissione (tardiva) al passivo (Fauceglia, 1722).

Viene riconosciuta legittimazione anche al cessionario del credito ammesso, ed anzi si ritiene che tale legittimazione sia svincolata anche dal previo rispetto degli adempimento ex art. 1264 c.c. e 115 l.fall. in quanto tali adempimenti non inciderebbero sul perfezionarsi della vicenda traslativa del credito (Fauceglia, 1723).

Carente di legittimazione è, invece, il creditore non insinuato, il quale si limiti ad allegare la propria veste di creditore, senza aver attivato il procedimento di accertamento concorsuale.

La legittimazione attiva va riconosciuta anche i titolari di diritti azionabili nelle forme della restituzione o rivendica nei confronti di altri soggetti le cui pretese di similare tipologia sui medesimi beni siano state recepite in sede di stato passivo. In questo caso, però, poiché l'accoglimento della rivendica di un soggetto comporta la concorrente negazione del diritto vantato dallo stesso soggetto sul medesimo bene, si ritiene che il soccombente debba contemporaneamente presentare opposizione avverso la propria esclusione, ed impugnazione avverso l'ammissione dell'altro rivendicante. La legittimazione ad impugnare l'ammissione di crediti, invece, presuppone che il soggetto che aveva presentato la rivendica si trovi a doverla convertire in insinuazione del credito per equivalente, per mancato reperimento del bene nell'attivo fallimentare (Menchini-Motto, 590).

Accanto al problema della legittimazione, nel caso del creditore, si pone quello dell'interesse ad agire, ravvisabile in via astratta nella soccombenza che il creditore concorrente viene a subire nel momento in cui viene ammesso al passivo (e quindi al riparto) un credito che non avrebbe dovuto essere ammesso (Gaboardi, 850, ma in senso contrario Menchini-Motto, 582; Piccininni, 637). L'introduzione della legittimazione del curatore a proporre impugnazione, tuttavia, ha indotto alcuni a ritenere che il singolo creditore non possa più ritenersi portatore degli interessi della generalità dei creditori, giacché tale posizione sarebbe stata ormai devoluta in via esclusiva al curatore. Conseguenza di tale approdo sarebbe allora, l'affermazione del principio per cui l'interesse del singolo creditore a proporre impugnazione è necessariamente individuale, e connesso alla prospettiva di conseguire un miglioramento delle prospettive di soddisfacimento, potendo conseguentemente il creditore proporre impugnazione solo avverso altri creditori con posizione poziore in sede di distribuzione del ricavato (Fauceglia, 1724). Anche tale conclusione, tuttavia, trova opinioni dissenzienti, basate sulla impossibilità di escludere a priori un concorso tra creditore privilegiato e creditori chirografari o di grado inferiore (come nel caso in cui vi sia incapienza o perimento del bene su cui si esercita la prelazione) (Montanari, 2011, 136)

Legittimati passivi sono il «creditore» o l'«altro concorrente», dovendosi verosimilmente riferire tale espressione al soggetto che abbia esercitato con successo la rivendica, indipendentemente dal fatto che tali soggetti abbiano visto recepite le proprie istanze nello stato passivo delle domande tempestive o in quello delle tardive (Fauceglia, 1726). Non sono invece legittimati passivi i creditori o rivendicanti la cui pretesa sia stata accolta solo in sede di opposizione allo stato passivo, giacché in tal caso l'impugnazione diverrebbe mezzo anomalo di gravame contro la decisione sull'opposizione medesima (Fauceglia, 1726).

L'oggetto del giudizio è sostanzialmente affine e parallelo a quello dell'opposizione allo stato passivo (Gaboardi, 849), fatta salva l'inversione di posizioni processuali, e ferma restando la improponibilità in questo caso della tematica dei nova se non con riferimento alla posizione del creditore convenuto, che non potrà, per resistere all'impugnazione, dedurre fatti che si traducano in un mutamento degli originari petitum e causa petendi dell'insinuazione. Il gravame avrà natura devolutiva come nel caso dell'opposizione allo stato passivo

La Cassazione riconosce al creditore che propone impugnazione la veste di portatore degli interessi di tutta la generalità dei creditori, da ciò desumendo la legittimazione ad eccepire la revocabilità del titolo di prelazione di un credito ammesso (Cass. VI, n. 4959/2013; Cass. VI, n. 4524/2015). Sembra in tal modo superato il precedente orientamento che aveva affermato la legittimazione in via esclusiva del curatore a dedurre l'inefficacia del titolo di credito o della prelazione (Cass. VI, n. 25323/2011). Il giudizio di rinvio, dopo la cassazione, va riassunto con atto in forma di ricorso; la riassunzione è comunque tempestiva ove avvenga mediante atto di citazione depositato in cancelleria entro il termine trimestrale previsto dall'art. 392 c.p.c. (Cass. I, ord. n. 12668/2022).

L'esclusione della legittimazione attiva del fallito – dovuta non solo all'assenza di definitività dei provvedimento sullo stato passivo, ma anche alla regola dell'art. 43 con conseguente legittimazione esclusiva del curatore (Cass. VI, n. 7407/2013) — ha, come conseguenza, l'esclusione della legittimazione anche del fideiussore del fallito stesso, considerata l'accessorietà di tale posizione rispetto a quella del debitore principale (Cass. VI, n. 119/2016).

La revocazione

Se l'opposizione allo stato passivo e l'impugnazione costituiscono i mezzi di impugnazione ordinaria avverso le decisioni del g.d. sullo stato passivo, la revocazione costituisce, invece il mezzo straordinario, come evidenziato dal fatto che essa è proponibile «decorsi i termini per la proposizione della opposizione o della impugnazione».

La puntualizzazione operata dalla norma lascia intendere che, qualora i fatti che legittimerebbero la proposizione della revocazione siano scoperti prima del decorso dei suddetti termini, la parte è tenuta ad avvalersi del rimedio ordinario (opposizione o impugnazione), veicolando al suo interno anche tali fatti, oltre agli eventuali profili di merito (Menchini-Motto, 592). In tale ottica, la scoperta dei fatti che fondano la revocazione in epoca successiva al maturarsi dei termini per le impugnazioni ordinarie diviene presupposto di ammissibilità della revocazione, essendo, quindi, chi propone la revocazione gravato dell'onere di provare che la scoperta vizi revocatori è avvenuta dopo tale termine (Gaboardi, 856).

La Riforma ha chiarito in modo espresso che il rimedio è esperibile non solo nei confronti dei provvedimenti di accoglimento, ma anche nei confronti dei provvedimenti di rigetto, laddove in precedenza si riteneva che contro tali provvedimenti l'unico strumento fosse la revocazione «ordinaria» del codice di rito. Per effetto dell'ampliamento risulta ridimensionata la tesi che vedeva nella revocazione lo strumento per espungere dal concorso (tutelando la par condicio) pretese creditorie o rivendiche ingiustamente accolte (Gaboardi, 854).

Se il dato letterale sembra evidenziare che oggetto della revocazione sono unicamente i provvedimenti assunti dal g.d. in sede di valutazione dello stato passivo (Fauceglia, 1736), va anche registrata una posizione della dottrina che ritiene tale rimedio applicabile anche ai provvedimenti assunti dal Tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di impugnazione (Menchini-Motto, 591; Montanari, 2011, 150; Tedeschi, 941), evidenziando, in caso contrario, il rischio di un vuoto di tutela, in considerazione del ristretto ambito di motivi per cui può essere proposto ricorso in Cassazione. In questo caso, quindi, la revocazione si configurerebbe come rimedio alternativo al ricorso in Cassazione, e quindi proponibile anche in pendenza per la proposizione di quest'ultimo, o contemporaneamente ad esso, in applicazione del principio di cui all'art. 398 c.p.c. (Menchini-Motto, 593).

Per ciò che concerne la legittimazione attiva, qualora la revocazione sia proposta avverso un provvedimento di rigetto dell'insinuazione o rivendica, la legittimazione spetterà al creditore o rivendicante rimasto soccombente. Qualora ad essere impugnato sia un provvedimento di accoglimento, la legittimazione spetterà sia al curatore (che non può invece impugnare il provvedimento di rigetto: Gaboardi, 857) sia al creditore concorrente o al rivendicante che avanzi pretese incompatibili con quelle del soggetto la cui rivendica sia stata accolta, operando anche per questa fattispecie i principi sulla legittimazione ed interesse ad agire già analizzati con riferimento all'impugnazione.

Per ciò che concerne la legittimazione passiva, essa spetta esclusivamente al curatore, se ad essere impugnato è un provvedimento di rigetto, mentre spetta congiuntamente al curatore (litisconsorte necessario) – sempre che la revocazione non sia stata proprio dal medesimo proposta — ed al creditore o rivendicante ammesso, se ad essere impugnato è il provvedimento di ammissione.

La natura della revocazione è quella di mezzo di impugnazione in senso stretto a critica vincolata e connotato da una fase rescindente ed una fase rescissoria, proponibile per i soli vizi tassativamente elencati dalla norma (Menchini-Motto, 594). L'esito positivo della fase rescindente costituisce presupposto perché il Tribunale possa procedere alla fase rescissoria.

Per quanto riguarda le singole ipotesi di revocazione, si deve rilevare come la Riforma non ne abbia sostanzialmente modificato la descrizione (non proprio dettagliata), potendosi, conseguentemente, osservare quanto segue.

a) La falsità deve viziare documenti o altro materiale probatorio che sia stato impiegato per la decisione e, a differenza del rimedio previsto dal codice di rito, non deve essere stata previamente accertata, ma può essere provata direttamente nel giudizio di revocazione (Gaboardi, 859);

b) Nel dolo confluiscono sia il dolo del giudice, sia quello della parte, sia la collusione tra parti (e cioè, nello specifico, creditore e curatore), purché si tratti di condotte fraudolente di natura processuale; idonee a pregiudicare la difesa della controparte; consistenti in artifici o raggiri (Menchini-Motto, 596), tali da generare una falsa percezione degli elementi di causa (Gaboardi, 860). Il tutto fermo restando che anche in questo caso il dolo può essere provato direttamente nel giudizio di revocazione;

c) Nel caso dell'errore essenziale di fatto, l'art. 98 non sembra chiedere – a differenza dell'art. 395 c.p.c. – che lo stesso risulti dagli atti e documenti, potendosi quindi ritenere che il rimedio sia proponibile anche avverso errori non evidenti o comunque non rilevabili direttamente dagli atti di causa, come desumibile dal fatto che anche in tal caso il termine per l'impugnazione viene fatto decorrere dalla scoperta, anche se non mancano opinioni che ritengono tale regola operante per il solo caso dell'errore non immediatamente percepibile (Menchini-Motto, 597). In ogni caso l'errore deve essere un errore di giudizio (e non di diritto) che investe il fatto (e quindi il suo accertamento) — e quindi non un mero lapsus o errore di calcolo (per il quale opera il procedimento di correzione degli errori materiali), né un errato apprezzamento delle risultanze istruttorie (che si traduce in vizio di motivazione) – ed avente carattere essenziale, cioè in grado di determinare la decisione, in quanto caduto su un fatto decisivo.

d) La mancata conoscenza di documenti decisivi presuppone – per espresso dato normativo – che i documenti non siano stati conosciuti per causa non imputabile alla parte, e deve riguardare documenti decisivi — cioè relativi alla prova di fatti determinanti ai fini della decisione – preesistenti alla decisione impugnata, ma che, appunto, la parte non sia riuscita a produrre per fatto ad essa non imputabile, risultando, quindi, il requisito della «incolpevolezza» da riferirsi non alla conoscenza in sé dei documenti, ma alla loro produzione (Fauceglia, 1738; Gaboardi, 861).

Non compare, tra le ipotesi che fondano la revocazione, quella della contrarietà a precedente giudicato, ponendosi in tal modo il problema di stabilire se la tassatività delle ipotesi di revocazione escluda in radice la possibilità di dedurre il vizio, o se lo stesso possa essere fatto valere nei limiti delle ipotesi tipiche di revocazione (Fauceglia, 1739).

Due risultano i principi che, elaborati dalla Suprema Corte già sotto il vigore della precedente disciplina, sembrano tuttora conservare piena validità.

Il primo concerne la delimitazione del concetto di errore, ristretto alla sola ipotesi di falsa percezione della realtà da parte del giudice, con esclusione delle ipotesi di inesatto apprezzamento del materiale probatorio o dell'errata valutazione giuridica di un fatto (Cass. I, n. 15349/2014; Cass. I, n. 9929/2005).

Il secondo riguarda invece la individuazione dei soggetti rivestiti della legittimazione ad agire in revocazione e, in particolare, la limitazione di tale ambito ai i soli creditori ammessi al passivo (Cass. I, n. 19721/2015, in ilfallimentarista.it; Cass. I, n. 28666/2013; Cass. I, n. 9318/2013).

Per l'ipotesi di revocazione per rinvenimento di documenti decisivi, un precedente di merito ha inteso la locuzione «mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile», non nel senso (suggerito dalla lettera) che la non imputabilità debba essere riferita alla mancata produzione tempestiva dei documenti, bensì nel senso che la non imputabilità deve investire l'ignoranza dei documenti decisivi (Trib. Novara 26 ottobre 2012).

Altro precedente di merito ha ritenuto che l'errore essenziale di fatto vada individuato in una falsa percezione della realtà tale da indurre il giudice a ritenere la sussistenza o l'insussistenza di un fatto rilevante ai fini della decisione, escludendo che l'erronea valutazione ed interpretazione di risultanze istruttorie e processuali possa dar luogo a revocazione (Trib. Biella 9 novembre 2009, in Fall., 2010, 3, 377).

Per quanto concerne il trattamento dell'ipotesi di contrasto tra giudicati va registrata una decisione che esclude radicalmente che esso possa essere fatto valere mediante la revocazione (Trib. Monza 9 gennaio 2013).

Non sono ravvisabili i presupposti dell’attività deliberatamente fraudolenta nelle sole deduzioni difensive contenute nella domanda di insinuazione che non si risolvano in prove false, in quanto le stesse sono inidonee a ledere il diritto di difesa del curatore e a impedire al giudice l’accertamento della verità (Cass. I, ord. n. 2284/2021).

La correzione degli errori materiali

Costituisce la grande novità della Riforma che ha in tal modo risolto ogni dubbio residuo sulla possibilità del ricorso a tale strumento, peraltro ammesso anche in epoca anteriore, sulla base dell'applicazione degli artt. 287 e 288 c.p.c.

Scopo del rimedio è quello di consentire di emendare lo stato passivo da meri errori di calcolo, omissioni, refusi (Menchini-Motto, 626), senza rendere necessaria l'impugnazione del provvedimento, e da questo punto di vista corretta è l'osservazione circa la improprietà della collocazione della previsione nell'ambito della disciplina dei mezzi di impugnazione, atteso che la correzione non è uno di tali mezzi (Gaboardi, 862).

Presupposto per il ricorso allo strumento è la riconoscibilità ictu oculi dell'errore materiale, senza che sia necessaria indagine alcuna sulla volontà del giudicante (Gaboardi, 862).

Il procedimento è semplificato e rimesso all'iniziativa del curatore o del creditore, cui fa da riscontro come vincolo procedurale quello della previa audizione, da parte del g.d., del curatore (se la correzione è chiesta dal creditore) o della «parte interessata» (se la richiesta è del curatore o di altro creditore) (Gaboardi, 862; Montanari, Art. 98, 1499), senza che peraltro sembri necessaria la fissazione di una vera e propria udienza come previsto dall'art. 288 c.p.c. (Fauceglia, 1729; ma in senso contrario Menchini-Motto, 626).

Meno chiaro è il regime della impugnazione del provvedimento che dispone la correzione dell'errore. Se-condo una tesi (Fauceglia, 1730; Montanari, L'opposizione, 168; Zoppellari, 1276) il provvedimento sarebbe reclamabile ex art. 26 l.fall., ma a tale opinione si contrappone quella (De Crescienzo, 1229; Menchini-Motto, 627) che ritiene che dall'applicazione dei principi dettati dal codice di rito discenda la necessità di proporre, avverso il provvedimento «corretto», le impugnazioni contemplate dallo stesso art. 98, entro un termine che verrà a decorrere dalla comunicazione del provvedimento di correzione.

Non constano precedenti giurisprudenziali in materia.

Bibliografia

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