Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 99 - Procedimento 1 2 3 .

Federico Rolfi
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Procedimento123.

 

Le impugnazioni di cui all'articolo precedente si propongono con ricorso depositato presso la cancelleria del tribunale entro trenta giorni dalla comunicazione di cui all'articolo 97 ovvero in caso di revocazione dalla scoperta del fatto o del documento.

Il ricorso deve contenere:

1) l'indicazione del tribunale, del giudice delegato e del fallimento;

2) le generalita' dell'impugnante e l'elezione del domicilio nel comune ove ha sede il tribunale che ha dichiarato il fallimento;

3) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione e le relative conclusioni;

4) a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonche' l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.

Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso, designa il relatore, al quale puo' delegare la trattazione del procedimento e fissa con decreto l'udienza di comparizione entro sessanta giorni dal deposito del ricorso.

Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato, a cura del ricorrente, al curatore ed all'eventuale controinteressato entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto.

Tra la data della notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni.

Le parti resistenti devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza, eleggendo il domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale.

La costituzione si effettua mediante il deposito in cancelleria di una memoria difensiva contenente, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonche' l'indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti prodotti.

L'intervento di qualunque interessato non puo' avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti con le modalita' per queste previste.

Il giudice provvede, anche ai sensi del terzo comma, all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori.

Il giudice delegato al fallimento non puo' far parte del collegio.

Il collegio provvede in via definitiva sull'opposizione, impugnazione o revocazione con decreto motivato entro sessanta giorni dall'udienza o dalla scadenza del termine eventualmente assegnato per il deposito di memorie.

Il decreto e' comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione.

[2] La Corte costituzionale, con sentenza 27 novembre 1980, n. 152, aveva dichiarato la illegittimità costituzionale del quinto comma, nel testo precedente la sostituzione, nella parte in cui faceva decorrere i termini per appellare e per il ricorso in Cassazione dalla affissione della sentenza resa su opposizione allo stato passivo.

[3] La Corte costituzionale, con sentenza 3 aprile 1982, n. 69, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'ultimo comma, nel testo precedente la sostituzione, nella parte in cui sanciva l'inappellabilità delle sentenze rese su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, contemplati negli articoli 409 e 442 codice procedura civile.

Inquadramento

Due sono le principali direttrici su cui si è mossa la Riforma nel rimodulare il procedimento delle impugnazioni. La prima è l'unificazione del modello procedimentale, che viene quindi a disciplinare tutti e tre i tipi di impugnazione (non, ovviamente, la correzione degli errori materiali, che trova una disciplina autonoma assai sintetica nello stesso art. 98). La seconda è l'abbandono definitivo del rito civile ordinario, e l'opzione per il modello del rito camerale, ritenuto – secondo locuzione diffusa – maggiormente «snello», ed in grado, quindi, di garantire maggiore celerità nella tempistica della decisione.

Consapevole, tuttavia, della peculiarità che caratterizza le impugnazioni, peraltro, il legislatore non ha optato per un mero rinvio per relationem alle norme del codice di rito sui procedimenti camerali, ma ha ritenuto di dettare comunque una disciplina specifica ed a tratti dettagliata, che rende almeno in parte il procedimento di cui all'art. 99 una sorta di unicum (Cavallini, 877), di fatto distinto dagli altri procedimenti in camera di consiglio. Ciò osta sia ad un'applicazione integrale delle previsioni di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. (si pensi alla revocabilità ex art. 742) sia ad un'applicazione automatica anche delle norme previste per il giudizio di appello, alcune delle quali, anzi, risultano palesemente inapplicabili, come l'art. 348-bis (Aprile-Ghedini, 1282).

Ne emerge un tipo di procedimento che, sebbene modellato sul rito camerale, presenta i caratteri di contraddittorio pieno e, soprattutto, di cognizione piena, anche se entrambi deformalizzati, allo scopo di garantire celerità (Aprile-Ghedini, 1283; Cavallini, 871; Montanari, 1504), ma con un parziale svuotamento dell'opzione camerale (Montanari, 1505), che si riduce in concreto a pochi caratteri, come l'adozione della forma decisionale del decreto (Cavallini, 867).

L'unificazione del modello procedimentale, peraltro, si deve misurare con le peculiarità dei singoli tipi di impugnazione, ed in particolare della revocazione (Menchini-Motto, 602; Montanari, 1502), che quindi possono giustificare divaricazioni nell'ambito di uno schema pensato (ed analizzato) tendendo presente soprattutto l'opposizione allo stato passivo.

La peculiarità delle impugnazioni – e nello specifico dell'opposizione allo stato passivo — comporta la loro non equiparabilità al giudizio di appello con conseguente inapplicabilità delle regole dettate in materia di impugnazione dagli art. 323 ss. c.p.c. (Cass. I, n. 11392/2016).

Il termine

Una parziale diversificazione nel regime delle impugnazioni si registra, semmai, con riferimento al termine per la loro proposizione. Se, infatti, il termine è unico (trenta giorni), nel caso delle impugnazioni «ordinarie» (opposizione ed impugnazione) esso viene fatto decorrere dalla comunicazione ex art. 97 che il curatore invia a ciascun creditore immediatamente dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo (oppure mediante il deposito in cancelleria per i creditori che non hanno comunicato la PEC), mentre nel caso del rimedio «straordinario» della revocazione, esso decorre «dalla scoperta del fatto o del documento».

Per quanto concerne l'impugnazione proposta dal Curatore (cui lo stato passivo non viene, ovviamente comunicato), invece, deve ritenersi che il termine decorra dalla data del deposito in cancelleria ex art. 96 (Fauceglia, 1744; Montanari, 2011, 181), mentre sembra superata l'opinione che faceva decorrere il termine dalla comunicazione che la cancelleria faccia dell'avvenuto deposito dello stato passivo (Montanari, 2006, 1510), a meno di conservare tale possibilità per le ipotesi in cui il curatore medesimo non provveda tempestivamente al deposito dello stato passivo (Menchini-Motto, 617).

Ai fini del decorso del termine è irrilevante che il creditore (o il rivendicante) abbia partecipato all'udienza di verifica dello stato passivo, ricevendo immediata cognizione del provvedimento del giudice, non essendo la comunicazione ex art. 97 surrogabile in altro modo.

Appare pienamente condivisibile l'opinione che ritiene i termini in questione soggetti alla sospensione feriale ex art. 3 l. 7 ottobre 1969, n. 742, considerata sia la generale eccezionalità delle ipotesi in cui tale sospensione non opera, sia l'ulteriore delimitazione operata per la materia fallimentare dall'art. 36-bis (Aprile-Ghedini, 1286; Fauceglia, 1743), ma fatte salve le ipotesi in cui l'esenzione dalla sospensione derivi dall'oggetto della controversia, come nel caso delle impugnazioni relative a crediti di lavoro (Menchini-Motto, 616; Spiotta, 2060).

Il termine è perentorio (Menchini-Motto, 616; Montanari, 1509), ed il suo mancato rispetto (sancito con la inammissibilità del ricorso) è rilevabile anche d'ufficio, in quanto posto a presidio anche del principio di ragionevole durata del processo (De Crescienzo, 1233).

Ove al creditore non pervenga la comunicazione di cui all'art. 97, si pone il problema dell'applicabilità del termine lungo (di sei mesi) previsto dall'art. 327 c.p.c. (decorrente dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo: Piccininni, 645), anche se all'opinione favorevole a tale scenario (Fauceglia, 1743; Montanari, 1510) si contrappone quella che invoca l'applicazione analogica del termine di novanta giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria, previsto dall'art. 26 (Aprile-Ghedini, 1286).

Qualora l'opposizione venga erroneamente introdotta con citazione, varranno i principi in tema di conversione dell'atto o conservazione degli effetti ex art. 159, a condizione che la citazione presenti comunque i contenuti richiesti dall'art. 99, e che la costituzione mediante deposito in cancelleria (e non la notifica) avvenga entro il termine di legge per proporre l'impugnazione, verificandosi in caso contrario la decadenza dalla facoltà di impugnare (Aprile-Ghedini, 1284; Fauceglia, 1742; Montanari, 2006, 1508).

La Suprema Corte ha di recente affermato la ammissibilità di una l'opposizione avverso il decreto di esecutività dello stato passivo prima che lo stesso sia stato formalmente depositato, sulla base della considerazione che tale decreto verrebbe ad esistenza con la loro sola pronuncia, non rilevando a tal fine l'eventuale successivo deposito in cancelleria (Cass. VI, n. 24323/2015). Più di recente, tuttavia, la stessa Cassazione (Cass. sez. lav., n. 14099/2016) ha escluso che, nel caso in cui l'esame dello stato passivo sia rinviato ad ulteriore udienza, possa essere presentata impugnazione in relazione alle domande esaminate nella prima udienza in quanto la formazione dello stato passivo, ed il relativo decreto di esecutività, presuppongono che sia completato l'esame di tutte le istanze.

Circa la prova della tempestività pare consolidato l'orientamento per cui è il curatore, che abbia sollevato la relativa eccezione, a dover dare prova della tardività, producendo la copia della comunicazione e del relativo avviso (Cass. VI, n. 23991/2013; Cass. I, n. 6799/2012).

È stata escluso che le controversie aventi ad oggetto l'ammissione al passivo si sottraggano al principio della sospensione feriale dei termini, con l'eccezione delle controversie riguardanti crediti di lavoro (Cass. VI, n. 16494/2013).

Il contenuto del ricorso

Il contenuto del ricorso riceve una disciplina dettagliata (riconducibile sia al dettato dell'art. 125 sia allo schema dell'art. 414 c.p.c.: Montanari, 1513), nell'ambito della quale spiccano i requisiti della esposizione degli elementi in fatto e della ragioni in diritto e della indicazione «a pena di decadenza» delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonché delle prove, sia precostituite, sia costituende. Viene in tal modo introdotto un meccanismo di preclusioni che crea una barriera alla facoltà di allegazione e prova della parte, considerato che la norma non prevede altri atti e quindi ulteriori possibilità sul punto, anche se ammette la possibilità per la parte di svolgere nuove allegazioni o articolare nuove prove, qualora tale esigenza scaturisca dalle difese della controparte (Menchini-Motto, 612).

Diversamente va condivisa l'opinione che esclude che prima di tale momento possano verificarsi altre preclusioni e che, quindi, si possa ricondurre alcun meccanismo preclusivo alla fase di esame dello stato passivo (Fauceglia, 1749; Piccininni, 648), così come va esclusa l'operatività della barriera dell'art. 345 c.p.c. (Tedeschi, 952).

Non si dimentichi, peraltro, che a tale barriera si somma – nel caso dell'opposizione – quella del divieto di nova, il quale viene, quindi, dare un contenuto anche più specifico alle preclusioni in questione, nel senso che in ogni caso le allegazioni contenute nell'impugnazione non potranno tradursi in un mutamento dell'originaria domanda. Per contro, laddove esse si mantengano nell'ambito degli originari petitum e causa petendi, potranno essere dedotte prove diverse ed ulteriori rispetto a quelle poste a supporto dell'istanza di ammissione al passivo o della rivendica.

Va, peraltro, notato che le specifiche indicazioni richieste dalla norma vengono a corroborare almeno in parte la tesi che ricollega alle impugnazioni (sempre fatte salve le specificità della revocazione) un effetto devolutivo non automatico, che conferma la natura impugnatoria dei rimedi in esame (Aprile-Ghedini, 1281). Peraltro questa considerazione si deve misurare col fatto che, invece, non viene richiesta l'espressa indicazione dei motivi di gravame, richiesti invece dall'art. 342 c.p.c., ed in particolare delle ragioni che vizierebbero la decisione impugnata (Aprile-Ghedini, 1289; Montanari, 1516, contra Menchini-Motto, 612), anche se deve comunque considerarsi che, de facto, l'indicazione delle ragioni in fatto e diritto dell'impugnazione inevitabilmente verranno a veicolare i profili di critica al provvedimento impugnato (Cavallini, 874; Piccininni, 636). Si può ritenere, conseguentemente, che la deduzione delle circostanze di fatto e di diritto, pur non delimitando in modo rigido l'ambito dell'effetto devolutivo, venga comunque a circoscrivere l'ambito della decisione, senza che all'impugnazione possa ricondursi un effetto devolutivo pieno (Cavallini, 877).

Nel caso della revocazione, peraltro, deve ritenersi che l'onere di allegazione presenti caratteri specifici, dovendosi necessariamente indicare sia lo specifico vizio dedotto (e ciò a pena di inammissibilità della revocazione: Cavallini, 877), sia il momento della sua scoperta, sia – ulteriormente – le prove relative ad entrambi, sia – infine – tutti gli elementi idonei a conseguire una decisione favorevole non solo in ordine alla fase rescindente (eliminazione della decisione viziata), ma anche in ordine alla fase rescissoria (assunzione di una nuova decisione favorevole al soggetto che presenta la revocazione) (Fauceglia, 1747; Spiotta, 2063).

La norma onera il ricorrente di produrre (non meramente indicare) ed articolare tutte le prove a supporto dell'impugnazione (e quindi, non solo quelle a supporto della domanda vera e propria, ma anche quelle a supporto delle replicationes con cui la parte medesima prende – anticipatamente – posizione sulle eccezioni sollevate in sede di stato passivo e su quelle eventualmente preventivabili (Montanari, 1521), senza peraltro porre limitazione alcuna alla tipologia di prove che possono essere chieste (e quindi anche quelle c.d. di lunga indagine: Aprile-Ghedini, 1290). Il mancato assolvimento dell'onere comporterà per la parte la decadenza dalla facoltà di prova, non essendo previsto alcun ulteriore termine per l'articolazione di istanze istruttorie (Fauceglia, 1748, che tuttavia ammette le prove rese necessarie dalle difese sollevate dalla controparte).

La previsione di tale onere dovrebbe comportare, nel caso dell'opposizione allo stato passivo, l'onere dell'opponente di produrre la documentazione già prodotta a supporto dell'originaria insinuazione al passivo. Si deve concordare con quella dottrina che evidenzia che il contrario orientamento espresso da parte della Suprema Corte (ed in base al quale vi è facoltà per il Tribunale, su sollecitazione dell'opponente, di disporre d'ufficio l'acquisizione del fascicolo dell'insinuazione) introduce una deroga al principio dispositivo che regola la fase istruttoria del tutto non giustificata, eccezion fatta per il caso in cui la parte dimostri di essersi attivata, senza successo, per acquisire il fascicolo dell'insinuazione (De Crescienzo, 1238).

Tra gli oneri di allegazione e produzione dovrebbero essere compresi: a) l'onere di produrre copia del provvedimento impugnato; b) nel caso dell'opposizione, l'onere di produrre l'originaria insinuazione o rivendica. Vanno tuttavia registrati gli orientamenti favorevoli: a) ad ammettere la produzione del provvedimento impugnato in qualunque momento sino alla fase della decisione e da parte di qualunque parte del giudizio (Fauceglia, 1745, ma Tedeschi, 962 osserva che la parte, nel produrre la comunicazione del curatore ex art. 97 che tale provvedimento menziona, assolverà indirettamente a tale onere), fermo restando che la mancata produzione non determina improcedibilità ma rigetto dell'impugnazione (Tedeschi, 963); b) a ritenere che l'originaria insinuazione possa essere acquisita d'ufficio dal Tribunale, qualora non sia possibile ricostruirne il tenore sulla base degli atti disponibili.

In ordine agli altri requisiti del ricorso si può rilevare: a) che la mancata indicazione di g.d., tribunale e fallimento può fondare il rifiuto della cancelleria di procedere all'iscrizione a ruolo dell'atto (Fauceglia, 1745; Montanari, 2006, 1513); b) che la mancata elezione del domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale fallimentare, se giustifica la effettuazione delle comunicazioni presso la cancelleria, appare in gran parte superata dal meccanismo delle comunicazioni mediante PEC.

Concorde è l'opinione circa il fatto che il ricorso debba essere sottoscritto da un procuratore ai sensi dell'art. 82 c.p.c., a nulla rilevando che la precedente fase di insinuazione non richieda la difesa tecnica (mentre, per contro, deve ritenersi regolare la procura che, conferita per l'insinuazione al passivo, risulti espressamente estesa anche all'eventuale impugnazione: Fauceglia, 1742). Il ricorso sottoscritto dalla parte personalmente deve ritenersi afflitto da nullità assoluta, mentre per le ipotesi di nullità della procura non vi sono ostacoli all'applicazione dell'art. 182 c.p.c. (Fauceglia, 1742).

È stato giustamente notato che la norma non impone l'indicazione della PEC, ma che in ogni caso appare legittima l'applicazione dell'art. 136 c.p.c.

Sebbene sia stata affermata l'inammissibilità di domande nuove nel giudizio di opposizione allo stato passivo (Cass. sez. lav., n. 9341/2012), tale regola risulta esclusa nel caso di liquidazione coatta amministrativa attesa la natura amministrativa e non giurisdizionale della prima fase (Cass. I, n. 2917/2016). Non è domanda nuova (attesa l’identità di petitum e di causa petendi tra l’azione cartolare e quella causale) la richiesta di ammissione al passivo in forza del rapporto causale sottostante rispetto alla originaria a domanda di partecipazione al concorso fondata su un titolo di credito scaduto (Cass. VI, ord. n. 1826/2021).

Costante, ormai, è l'affermazione della possibilità per il creditore, in sede di opposizione allo stato passivo, di proporre le eccezioni e depositare i documenti ritenuti rilevanti anche qualora non abbia presentato alcuna preventiva osservazione ex art. 95, anche in considerazione della inapplicabilità dell'art. 345 c.p.c. (Cass. I, n. 5087/2016; Cass. I, n. 11026/2013; Cass. I, n. 4708/2011). Non opera la preclusione ex art. 345 c.p.c. con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore in quanto il riesame, a cognizione piena, della cognizione sommaria propria della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude il mutamento del thema disputandum e l’introduzione di domande nuove, non ne comprime tuttavia il diritto alla difesa e consente pertanto la deduzione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (Cass. VI, ord. n. 27902/2020). La proposizione delle eccezioni è consentita anche se le relative questioni erano state esaminate in precedenza dal giudice delegato (Cass. I, ord. n. 27940/2020). La decadenza dall’eccezione di prescrizione può essere rilevata d’ufficio (Cass. VI, ord. n. 1821/2021). Il tribunale fallimentare è investito della competenza di decidere su tutti i fatti modificativi o estintivi dei crediti azionati dai creditori concorsuali e pertanto il curatore può proporre nel giudizio di opposizione l’eccezione riconvenzionale di compensazione, anche se al solo fine di ottenere il rigetto della domanda di partecipazione al concorso (Cass. I, ord. n. 10528/2019).

La mancata indicazione dei mezzi di prova e produzione dei documenti — compresa la documentazione già prodotta nel corso della verifica del passivo — comporta la decadenza della parte da tali mezzi, non emendabile nemmeno con la concessione dei termini dell'art. 183, comma 6, c.p.c. (Cass. I, n. 17293/2016; Cass. I, n. 24972/2013). L’opponente, a pena di decadenza ex art. 99, comma 2, l. fall., deve soltanto indicare specificamente i documenti di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato; in difetto di produzione, il tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo d’ufficio della procedura fallimentare (Cass. VI, ord. n. 25663/2020). Non è opponibile al curatore che agisce in funzione di gestione del patrimonio del fallito, l’efficacia probatoria tra imprenditori di cui agli artt. 2709 e 2710 c.c., delle scritture contabili regolarmente tenute; l’eccezione è rilevabile d’ufficio (Cass. VI, ord. n. 27902/2020).

L'onere di indicazione delle prove, peraltro, assume caratteri diversi a seconda che si tratti di prove costituende o di prove precostituite. Nel primo caso sarà sufficiente la mera indicazione, mentre per le prove precostituite, la produzione deve avvenire a pena di decadenza nel ricorso introduttivo (Cass. I, n. 25174/2015). Inoltre occorre distinguere tra deposito del ricorso e deposito del fascicolo di parte, in quanto, mentre il deposito del ricorso condiziona l'ammissibilità dell'opposizione, il mancato tempestivo deposito del fascicolo comporta solo la inammissibilità delle prove prodotte nel fascicolo (Cass. VI, n. 8109/2016).

Tematica a parte concerne i documenti che accompagnavano l'originaria insinuazione. L'orientamento prevalente onera il creditore opponente della produzione ex novo di tali documenti, escludendo la possibilità di acquisizione ex officio (Cass. I, n. 12258/2015; Cass. VI, n. 10817/2015), ma è stato anche affermato che qualora l'opponente abbia formulato nel ricorso istanza di acquisizione del fascicolo dell'insinuazione, tale richiesta – da interpretarsi come autorizzazione al ritiro della documentazione ex art. 90 – preclude qualsiasi decadenza (Cass. VI, n. 16101/2014).

La decadenza dalla indicazione delle prove è rilevabile di ufficio, in quanto inerisce a materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. I, n. 15037/2016).

La mancata produzione della copia autentica del provvedimento impugnato non è ritenuta causa di improcedibilità del giudizio (Cass. I, n. 17086/2016), atteso che il deposito può effettuarsi in qualsiasi momento, fino alla chiusura del contradditorio (Cass. VI, n. 18253/2015; Cass. I, n. 6804/2012). L'assenza della copia, tuttavia può determinare il rigetto dell'impugnazione, laddove il giudice, non potendo valutare in mancanza di tale documento le censure prospettate dall'opponente, sia nell'impossibilità di accertarne la fondatezza (Cass. I, n. 19802/2015).

L'originario ricorso per ammissione (o rivendica) non è un documento probatorio del credito e è compreso, quindi, tra le produzioni da effettuare a pena di decadenza, con la conseguenza che, ove il Tribunale che non sia in grado di ricostruirne il contenuto, e ne ritenga l'esame indispensabile, deve provvedere alla sua acquisizione (Cass. VI, n. 2561/2016; Cass. I, n. 3164/2014).

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo è applicabile l'art. 182 c.p.c. in tema di sanatoria della procura (Cass. VI, n. 24068/2013).

La fissazione dell'udienza e la notifica del ricorso

L'ottica acceleratoria cui è stata improntata tutta la disciplina delle impugnazioni si riflette anche sulla fase di fissazione dell'udienza, per la quale sono previsti termini accelerati, anche se meramente ordinatorio. Tale è il termine assegnato al Presidente del Tribunale per l'assegnazione del fascicolo al relatore e per la fissazione (direttamente ad opera del Presidente medesimo) dell'udienza di comparizione delle parti. Tale è, parimenti, il termine di dieci giorni (decorrente dalla comunicazione del decreto presidenziale) che la parte ha per provvedere alla notifica di ricorso e decreto di fissazione dell'udienza, con la conseguenza che il suo mancato rispetto non determinerà la inammissibilità dell'opposizione, ma l'assegnazione di un nuovo termine per rinnovare la notifica, ove si traduca in una violazione del termine a comparire di trenta giorni. In questo caso (e sempre che non sussistano i presupposti per la sanatoria del vizio), dovrebbe trovare applicazione il terzo comma dell'art. 164 c.p.c.: rinotifica in caso di mancata comparizione del resistente, rinvio dell'udienza nel rispetto del termine, in caso di sua costituzione (Montanari, 2006, 1523).

La norma viene quindi a prevedere espressamente l'onere per la cancelleria di comunicare a chi propone l'impugnazione il decreto di fissazione udienza, e peraltro l'osservanza di tale onere risultare meno onerosa per effetto dei meccanismi del processo civile telematico.

L'omessa notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza entro il termine assegnato dal giudice non è considerata causa di inammissibilità dell'impugnazione, stante il carattere ordinatorio del termine, ed implica unicamente l'assegnazione al ricorrente di un nuovo temine – stavolta perentorio — per la notifica, in applicazione analogica dell'art. 291 c.p.c., con la conseguenza che il mancato rispetto di tale secondo termine comporterà la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione (Cass. VI, n. 24322/2015; Cass. I, n. 24722/2015; Cass. I, n. 19018/2014).

L'inosservanza del termine, peraltro, sembra assumere rilevanza solo qualora si sia tradotta in una inosservanza del termine a comparire di trenta giorni, nel qual caso il Tribunale può concedere un nuovo termine, questa volta avente carattere perentorio, entro il quale rinotificare il ricorso, in applicazione analogica della regola della rinnovazione della notifica prevista dall'art. 164 c.p.c. (Cass. VI, n. 25862/2014; Cass. VI, n. 20396/2014).

La costituzione ed il suo contenuto

Anche per la parte convenuta, la disciplina unitaria delle impugnazioni viene a contemplare un meccanismo di preclusioni (Menchini-Motto, 611), consistente nell'onere di costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza di discussione, con una memoria che deve contenere, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio e l'indicazione delle prove. Che questo sia il primo momento in cui si realizza una vera e propria preclusione per la parte convenuta risulta in modo netto dalla persistente affermazione – anche in giurisprudenza – della facoltà del curatore convenuto in opposizione allo stato passivo, di sollevare eccezioni anche nuove rispetto a quelle eventualmente dedotte in sede di esame dello stato passivo (De Crescienzo, 1235).

La costituzione tardiva comporta il maturarsi delle preclusioni, con decadenza dalla facoltà di sollevare le eccezioni in senso proprio e dalla possibilità di articolare prove.

Il carattere peculiare delle impugnazioni preclude la possibilità di formulare al loro interno domande riconvenzionali (Montanari, 2006, 1528), che debbono, quindi, essere dichiarate inammissibili. In particolare, eventuali pretese riconvenzionali del Fallimento verso l'opponente allo stato passivo dovranno esser fatte valere in un giudizio autonomo, peraltro secondo le regole generali del codice di rito, e non secondo il rito speciale dell'art. 99 l.fall. (Fauceglia, 1754), fatto salvo il rapporto di pregiudizialità che potrebbe instaurarsi tra i due giudizi, e che potrebbe condurre alla sospensione ex art. 295 c.p.c. dell'impugnazione, con esiti di dubbia compatibilità con quella celerità del giudizio che ha costituito motivo ispiratore della riforma (Fauceglia, 1754).

L'inammissibilità delle domande riconvenzionali discende non solo dalla natura impugnatoria dei giudizi, ma anche dalla incompatibilità tra un accertamento con valenza meramente endofallimentare (quale quello operato nell'ambito delle impugnazioni) ed un accertamento con potenziale efficacia anche esterna (quale quello sulla domanda riconvenzionale) (Fauceglia, 1754).

Resta, invece, pienamente possibile la proposizione di eccezioni riconvenzionali (non ultima delle quali la c.d. «revocatoria breve»), non essendo contemplato dalla norma alcun meccanismo preclusivo che limiti la possibilità di sollevare tali eccezioni nella sola fase di esame dello stato passivo (Aprile-Ghedini, 1294; Fauceglia, 1755).

Diversa dalla tematica delle domande riconvenzionali è, invece, quella delle eventuali impugnazioni incidentali (del curatore per contestare anche la parte di credito dell'opponente ammessa allo stato passivo; del creditore parzialmente ammesso al passivo che sia convenuto in impugnazione), la cui ammissibilità – subordinatamente alla proposizione dell'impugnazione incidentale entro il termine stabilito per la costituzione, a pena di decadenza — registra voci favorevoli in dottrina (Fauceglia, 1755; Montanari, 1529), ma non – come si vedrà – in giurisprudenza.

Il curatore che intenda costituirsi non necessita di autorizzazione, operando in questo caso l'espressa previsione dell'art. 31 l.fall. (Fauceglia, 1743).

Una recente decisione della Suprema Corte risulta massimata testualmente nel senso che «nel giudizio di impugnazione dei crediti, il creditore già ammesso deve costituirsi, ai sensi dell'art. 99, comma 6, l.fall., con una memoria difensiva contenente, a pena di decadenza, oltre alla deduzione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, anche la specifica indicazione dei mezzi di prova dei fatti costitutivi del credito controverso, dovendosi ritenere tale indicazione sufficiente solo per la deduzione di prove costituende, non espletabili nella fase sommaria, restando ammissibile l'indicazione dei documenti solo se già prodotti nel corso della verifica del passivo» (Cass. I, n. 15344/2016). In realtà, la lettura della motivazione sembrerebbe evidenziare che in relazione ai documenti non viene richiesto che gli stessi siano stati prodotti sin dalla fase di ammissione, ma che, in caso di inadeguato supporto probatorio in tale fase, il creditore il cui credito sia impugnato sia tenuto, a pena di decadenza, ad effettuare le produzioni documentali nella costituzione.

Costante è l'esclusione dell'applicabilità della preclusione di cui all'art. 345 c.p.c., con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, risultando quindi consentita la formulazione di eccezioni non sottoposte all'esame del giudice delegato (Cass. I, n. 3110/2015; Cass. I, n. 22765/2012).

Risulta invece esclusa la proponibilità delle domande riconvenzionali, da dichiararsi inammissibili (Cass. I, n. 6900/2010), mentre risulta affermata addirittura la «inconfigurabilità concettuale» delle impugnazioni incidentali, in quanto ciascuna parte sarebbe tenuta a proporre la tipologia di specifico rimedio impugnatorio che le viene riconosciuta, sino a quando pende il relativo termine, decorso il quale, invece, si decadrebbe da qualsivoglia possibilità di impugnare lo stato passivo (Cass. I, n. 9617/2016).

Logica conseguenza è l'esclusione della possibilità di cumulare nel giudizio di impugnazione domande di accertamento o di condanna che dovrebbero essere trattate con il rito ordinario (Cass. I, n. 2917/2016).

L'intervento

La facoltà di intervento viene fortemente limitata dalla barriera preclusiva temporale, che viene fatta coincidere con il termine finale per la costituzione dei resistenti, legittimando le perplessità della dottrina circa la concreta possibilità di ricorrere a tale strumento (Montanari, 2006, 1530).

Ulteriore – stavolta condivisibile – restrizione si collega all'inammissibilità di un intervento tramite il quale l'interventore voglia veicolare interessi omologhi a quelli del ricorrente, di fatto eludendo l'eventuale maturarsi della decadenza dalla facoltà di promuovere impugnazione autonoma (Aprile-Ghedini, 1294; Fauceglia, 1752; Montanari, 2006, 1530), da cui sembra derivare l'ammissibilità del solo intervento adesivo dipendente (Cavallini, 886; Montanari, 2006, 1531).

L'intervento tardivo è da ritenersi inammissibile, mentre per quello tempestivo si porrà il problema della verifica della sussistenza di un effettivo interesse, attuale e concreto, all'intervento medesimo, sicuramente insussistente per i soggetti che non possano essere pregiudicati dall'esito del giudizio. Per quanto concerne i creditori che siano stati esclusi dallo stato passivo, l'intervento è ammissibile solo se l'esclusione non sia definitiva, e quindi qualora gli stessi abbiano proposto opposizione (Menchini-Motto, 622).

Non è parte del procedimento — e non può, quindi, neppure intervenire – il fallito, eccezion fatta per la facoltà di intervento contemplata dall'art. 43 (Aprile-Ghedini, 1294). Neppure sembra configurare un diritto a comparire per rendere dichiarazioni, mentre è facoltà del tribunale disporne la convocazione a chiarimenti (Aprile-Ghedini, 1294).

La natura del procedimento appare del tutto incompatibile con la chiamata in causa del terzo (Fauceglia, 1752).

L'inammissibilità della chiamata di terzo, è stata espressamente esclusa da un precedente di merito anche in considerazione del rischio di elusione del termine perentorio, per proporre l'impugnazione. Nello specifico, in un giudizio di opposizione di terzo promosso dall'Agente di riscossione, è stata ritenuta inammissibile la chiamata in giudizio dell'Ente titolare del credito (Trib. Verbania, 18 novembre 2010). In contrario, tuttavia, nell'opposizione allo stato passivo fallimentare promossa dal concessionario dei servizi di riscossione di contributi previdenziali è stata affermata la sussistenza di un litisconsorzio necessario rispetto all'ente impositore, qualora il debitore deduca fatti o circostanze che incidono sul merito della pretesa creditoria, o eccepisca in compensazione un proprio controcredito (Cass. sez. lav., n. 12450/2016).

La fase istruttoria

I meccanismi preclusivi fissati per gli atti introduttivi evidenziano come, nell'ottica del legislatore, la fase che ha inizio con l'udienza di discussione debba vertere unicamente – oltre che sulla verifica di possibilità di intesa transattiva – sulla decisione in ordine alle attività istruttorie da compiersi (Cavallini, 883), con evidente possibilità che tutta la fase istruttoria si svolga nell'ambito di un'unica udienza, con immediata rimessione in decisione (Fauceglia, 1756). È tuttavia vero – e la prassi in parte lo conferma – che la previsione lascia spazi di discrezionalità nella gestione della fase di trattazione (Aprile-Ghedini, 1283), anche se non va dimenticato che tali spazi non possono condurre ad una eccessiva dilatazione della tempistica di un giudizio che il legislatore vuole comunque concentrato (Piccininni, 651).

Al riguardo l'art. 99 contempla la possibilità che il Presidente del Tribunale deleghi la trattazione del procedimento al giudice relatore cui, conseguentemente, viene rimessa anche la decisione sulle istanze istruttorie, ferma la possibilità per il tribunale di rivalutare tale profilo in sede di decisione finale, considerata l'assenza di altri strumenti per impugnare le decisioni istruttorie (Aprile-Ghedini, 1288; De Crescienzo, 1237), e ferma la possibilità per il Presidente di optare per una trattazione integralmente collegiale (Aprile-Ghedini, 1288).

La natura speciale di rito, tuttavia, non può tradursi in una istruttoria sommaria, dovendo, anzi, il tribunale procedere ad un'istruttoria piena, che potrà ritenersi conclusa solo quando saranno stati assunti tutti i mezzi ammissibili e rilevanti ai fini della decisione (Menchini-Motto, 603).

Il c.d. Decreto Correttivo, ha invece eliminato l'originaria previsione del potere del Tribunale di assumere d'ufficio informazioni, e di autorizzare la produzione di documenti, instradando la fase istruttoria verso un rigoroso rispetto del principio dispositivo (Tedeschi, 949) e dei meccanismi di preclusione istruttoria (Aprile-Ghedini, 1283). Ciò, peraltro, non pare comportare la incompatibilità con lo speciale rito in esame del ricorso agli strumenti istruttori ufficiosi previsti dal codice di rito, a cominciare da quelli previsti dagli artt. 210 e 213 c.p.c., purché nel rispetto del contraddittorio processuale (Cavallini, 884; De Crescienzo, 1239; Fauceglia, 1756)

La fase istruttoria – e soprattutto la valutazione di ammissibilità delle prove – dovrà misurarsi con la regola generale che vede il curatore come soggetto terzo, con conseguente piena applicabilità della regola di cui all'art. 2704 c.c. (De Crescienzo, 1237). La peculiarità della veste di mera parte processuale del curatore – ed in particolare la non disponibilità dei diritti che è chiamato a tutelare – giustifica i dubbi introno all'applicabilità nei suoi confronti del principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. (Aprile-Ghedini, 1295). Le stesse considerazioni vengono a porre in modo problematico il profilo dell'ammissibilità dell'interrogatorio formale o del giuramento decisorio deferito al curatore, se non in relazione a fatti propri, ma va ricordato che non mancano voci favorevoli (Tedeschi, 965).

La peculiarità del rito induce la dottrina ad escludere la possibilità di adottare i provvedimenti ex artt. 186-bis; 186-ter; 186-quater c.p.c. (Tedeschi, 967), dovendosi, del resto, osservare che lo scopo primario di tali provvedimenti (permettere alla parte di ottenere con immediatezza un titolo esecutivo) non potrebbe mai realizzarsi nell'ambito del fallimento stanti le regole sul riparto, e considerato anche che il Correttivo ha eliminato la possibilità di un'ammissione al passivo in via provvisoria.

Appaiono, invece, pienamente applicabili: a) le previsioni di cui agli artt. 181 e 309 c.p.c. in caso di mancata comparizione delle parti; b) la fattispecie di estinzione per rinuncia agli atti ex art. 306 c.p.c. (Tedeschi, 970). Nel caso di raggiungimento di un accordo tra le parti, la prassi (soprattutto nelle opposizioni allo stato passivo) è nel senso di rimettere la decisione al collegio per l'adozione di un decreto sintetico che disponga in merito allo stato passivo, ma non mancano voci critiche che ritengono del tutto applicabile la conciliazione (Tedeschi, 969).

Costante è l'affermazione dell'assoggettamento del giudizio di opposizione allo stato passivo al principio dispositivo (Cass. I, n. 12258/2015), con la conseguenza che il materiale probatorio utilizzabile è solo quello ritualmente prodotto dalle parti o acquisito dal giudice, ai sensi degli art. 210 e 213 c.p.c. (Cass. VI, n. 6691/2012).

In ordine alla distribuzione degli oneri probatori, costante è l'affermazione per cui il curatore è terzo rispetto ai crediti vantati nei confronti dell'imprenditore fallito, con la conseguenza che le scritture contabili provenienti dal creditore non possono costituire mezzo di prova contro il fallimento (Cass. I, n. 14054/2015).

Dalla terzietà del curatore discende la inutilizzabilità nei confronti curatore della quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all'atto del pagamento, quale vera e propria confessione stragiudiziale del pagamento, assumendo quindi la quietanza il valore di prova apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo (Cass. I, n. 4393/2015). Di conseguenza, anche le scritture private a fondamento del credito sono soggette ai limiti probatori di cui all'art. 2704 c.c. e debbono quindi essere munite di data certa (Cass. S.U., n. 4213/2013; Cass. VI, n. 22711/2010)

Il curatore non può rendere il giuramento decisorio, né rendere confessione in sede di interrogatorio formale, se non su fatti inerenti il curatore medesimo (Cass. I, n. 15570/2015; Cass. I, n. 3573/2011), né gli stessi possono essere resi dal fallito che non ha la veste di parte (Cass. I, n. 18175/2006).

Dalla inapplicabilità delle norme in tema di appello, deriva invece il principio per cui la mancata comparizione della parte opponente, tempestivamente costituitasi, in un'udienza successiva alla prima, non può dar luogo a pronuncia di improcedibilità dell'opposizione (Cass. VI, n. 1342/2016; Cass. VI, n. 11813/2014; Cass. VI, n. 19145/2012).

La fase decisionale

La scarna disciplina della fase decisionale prevede unicamente: 1) che la decisione è assunta dal Tribunale in composizione collegiale (art. 50-bis, n. 1); 2) che di tale collegio non può far parte il g.d. che ha emesso la decisione impugnata (a definitiva garanzia della terzietà dell'organo giudicante); 3) che la decisione avviene con decreto motivato; 4) che tale decreto va assunto entro sessanta giorni dall'udienza di discussione (per tale intendendosi l'udienza eventualmente fissata all'esito dell'espletamento dell'istruttoria); 5) che, in alternativa al modello decisionale a seguito di discussione orale, è possibile far ricorso ad un modello a trattazione scritta con deposito di memorie, nel qual caso il termine per la decisione decorre dalla scadenza del termine per tale deposito.

Il decreto deve disporre in ordine alle spese di lite, applicando i parametri di cui agli artt. 91 ss. c.p.c. (Tedeschi, 973), mentre più dubbia l'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, a mente del quale in caso di rigetto dell'impugnazione la parte è tenuta a versare un importo ulteriore a titolo di contributo unificato, di ammontare uguale a quello dovuto per l'impugnazione stessa.

La decisione viene comunicata dalla cancelleria alle parti, dovendosi ritenere che la comunicazione abbia ad oggetto il provvedimento nella sua integralità, e non il mero dispositivo (Tedeschi, 974).

Il decreto di approvazione dello stato passivo pronunciato da un collegio composto anche dal giudice delegato al fallimento è nullo (Cass. VI, n. 5426/2012; Cass. sez. lav., n. 4677/2015).

Il termine di sessanta giorni entro il quale il collegio deve provvedere sull'opposizione, in difetto di espressa previsione di perentorietà, deve considerarsi ordinatorio (Cass. VI, n. 20363/2011)

La fase di investitura del collegio per la decisione non è disciplinata dalle norme del codice di procedura civile, che riguardano il rito ordinario (Cass. I, n. 12116/2016).

Non ricorre ultrapetizione ex art. 112 c.p.c. il qualora il tribunale rigetti l'opposizione, esercitando il proprio potere d'ufficio di accertare la fondatezza della domanda proposta, in quanto l'accertamento sull'esistenza del titolo dedotto in giudizio essere compiuto dal giudice ex officio (Cass. I, n. 24972/2013; Cass. I, n. 21482/2013).

Qualora la decisione sia assunta con sentenza, anziché con decreto, non sussiste vizio di nullità a meno che la parte che la impugni non alleghi un pregiudizio (Cass. I, n. 24718/2015).

In caso di rigetto di una impugnazione sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n 115 (Trib. Treviso, 30 luglio 2015).

Il ricorso in cassazione

I decreti emessi in sede di impugnazione possono essere oggetto di ricorso in cassazione, da proporsi entro trenta giorni dalla comunicazione della Cancelleria, a nulla rilevando, invece, l'eventuale notificazione effettuata su istanza della parte (Menchini-Motto, 625; contra Tedeschi, 974), e ponendosi, semmai, il problema di applicare ancora una volta in via surrogatoria il termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c. in caso di omessa comunicazione da parte della cancelleria (Menchini-Motto, 625; Tedeschi, 974).

Non è prevista altra forma di impugnazione, dovendosi, quindi, escludere ogni facoltà di proporre reclamo ex art. 742 c.p.c. o appello (Aprile-Ghedini, 1298).

La legittimazione attiva spetterà alla parte rimasta soccombente e quindi, in caso di soccombenza reciproca, a tutte le parti dell'impugnazione.

La dimidiazione del termine per il ricorso non è ritenuta applicabile analogicamente al controricorso (Fauceglia, 1758).

La Cassazione ha di recente chiarito che il termine di trenta giorni per il ricorso concerne sia i capi che attengano specificamente alla formazione dello stato passivo, sia quelli trattati nel giudizio di opposizione che risultino connessi in modo intrinseco e non meramente estrinseco (Cass. lav., n. 5299/2016).

In termine di trenta giorni si applica anche alla liquidazione coatta amministrativa in virtù del richiamo di cui all'art. 209 (Cass. I, n. 20291/2014).

Il deposito della copia autentica del decreto oggetto di ricorso in cassazione che non sia corredata della prova della sua notificazione o della sua comunicazione, determina invece l'improcedibilità del ricorso stesso, ex art. 369 c.p.c., in quanto preclude la verifica della tempestività dell'impugnazione (Cass. I, n. 9987/2016).

La riduzione alla metà del termine per proporre ricorso per cassazione non si applica anche al controricorso, in quanto disposizione di carattere eccezionale (Cass. I, n. 8542/2011).

Bibliografia

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