Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 104 - Esercizio provvisorio dell'impresa del fallito 1Esercizio provvisorio dell'impresa del fallito 1
Con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale può disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, se dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori. Successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell'esercizio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, fissandone la durata. Durante il periodo di esercizio provvisorio, il comitato dei creditori è convocato dal curatore, almeno ogni tre mesi, per essere informato sull'andamento della gestione e per pronunciarsi sull'opportunità di continuare l'esercizio. Se il comitato dei creditori non ravvisa l'opportunità di continuare l'esercizio provvisorio, il giudice delegato ne ordina la cessazione. Ogni semestre, o comunque alla conclusione del periodo di esercizio provvisorio, il curatore deve presentare un rendiconto dell'attività mediante deposito in cancelleria. In ogni caso il curatore informa senza indugio il giudice delegato e il comitato dei creditori di circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell'esercizio provvisorio. Il tribunale può ordinare la cessazione dell'esercizio provvisorio in qualsiasi momento laddove ne ravvisi l'opportunità, con decreto in camera di consiglio non soggetto a reclamo sentiti il curatore ed il comitato dei creditori. Durante l'esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l'esecuzione o scioglierli. E' fatto salvo il disposto dell'articolo 110, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. 2. I crediti sorti nel corso dell'esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi dell'articolo 111, primo comma, n. 1). Al momento della cessazione dell'esercizio provvisorio si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del capo III del titolo II. [1] Articolo sostituito dall'articolo 90 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. [2] Comma modificato dall'articolo 2, comma 4, lettera a), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55. InquadramentoCon la norma in esame si apre il capo VI della legge fallimentare, la cui rubrica è intitolata «dell'esercizio provvisorio e della liquidazione dell'attivo», mentre in precedenza l'attenzione era incentrata sulla sola liquidazione. Non si tratta di una mera modifica terminologica, così come lo spostamento della disciplina dell'esercizio provvisorio, dal precedente art. 90 (oggi invece dedicato alla formazione e consultazione del fascicolo fallimentare) al più minuzioso art. 104 non sottende un mero spostamento topografico. Si è invece evidenziato come le riforme del 2006-2007 abbiano sostanzialmente capovolto la prospettiva della liquidazione attraverso i seguenti principi: a) flessibilità dell'attività liquidatoria e perdita della rigidità iniziale, che voleva questa fase postergata, di regola, al momento in cui diveniva definitivo lo stato passivo fallimentare (art. 104 previgente), quindi ad una distanza di molti mesi dalla dichiarazione di fallimento, quando ormai il compendio aziendale si era di fatto dissolto; b) conservazione dell'attività d'impresa, intesa come valore capace di salvaguardare l'azienda in funzione della sua successiva migliore liquidazione (nuovi artt. 79, 104 e 104-bis); c) favore per una cessione complessiva e in blocco dei beni aziendali, subordinando la vendita atomistica dei cespiti all'impossibilità o alla non convenienza economica della cessione unitaria (nuovo art. 105). L'introduzione del programma di liquidazione non fa che rafforzare tali scelte, richiedendo uno sforzo di programmazione e di managerialità al curatore, nel quadro di un mutato equilibrio complessivo degli organi della procedura. Da questo punto di vista le recenti modifiche operate con il d.l. n. 83/2015, convertito con modif. in l. n. 132/2015, hanno anzi rafforzato le responsabilità del curatore, sia nella tempistica inerente la predisposizione del programma, sia in quella relativa alla sua attuazione. In un tale contesto l'esercizio provvisorio dell'impresa del fallito (rubrica sostituiva di quella «esercizio provvisorio» che compariva nell'art. 90) supera il carattere di eccezionalità che connotava questo istituto, per porsi come il primo strumento di difesa della continuità d'impresa e, con essa, dei valori collegati all'integrità aziendale, in vista della sua successiva migliore liquidazione (ed in ciò si spiega il non modificato aggettivo «provvisorio» che connota la disposizione). Appare discusso se le finalità dell'esercizio provvisorio debbano avere riguardo esclusivo alla massimizzazione del soddisfacimento dei creditori o possano riguardare altri interessi: in un caso riguardante il fallimento di società di gestione di una casa di cura si è avuto modo di affermare che se è vero che la liquidazione concorsuale deve porsi l'obiettivo di ottimizzare l'interesse dei creditori attraverso il conseguimento della maggior somma possibile da destinare al loro soddisfacimento, ciò non esclude che la gestione complessiva della procedura possa essere finalizzata al conseguimento anche di ulteriori interessi di carattere generale (nel caso di specie quello di evitare l'interruzione delle prestazioni sanitarie in favore dei pazienti ricoverati), dei lavoratori alla conservazione della struttura produttiva e dei livelli occupazionali, soprattutto ove tali interessi siano stati posti a fondamento della scelta di autorizzare l'esercizio provvisorio dell'impresa (Trib. Chieti, 10 agosto 2010). In termini generali, può verificarsi la circostanza che il contratto di affitto d'azienda antecedente al fallimento sia concluso durante la fase di concordato (poi sfociato in fallimento, per quanto qui interessa). Al riguardo si è osservato che sono atti di ordinaria amministrazione, e possono essere compiuti dal debitore senza autorizzazione del tribunale, dopo il deposito dell'istanza di concordato in bianco, ex art. 161, comma 7, l.fall., quegli atti di comune gestione dell'azienda, ossia quelli strettamente aderenti alle finalità e alle dimensioni del patrimonio aziendale, ovvero quelli che migliorino o comunque conservino il patrimonio; l'affitto d'azienda, così come la cessione del contratto d'affitto, la stipula del contratto di locazione o la vendita di attrezzature, devono invece essere qualificati come atti di straordinaria amministrazione e devono pertanto essere autorizzati dal tribunale (Trib. Crotone, 17 luglio 2014). A seguito delle modifiche intervenute nell'agosto 2015, la conclusione dell'affitto d'azienda durante il concordato, ma anche in fase preconcordataria, deve essere accompagnata da una procedura competitiva, secondo quanto prevede il nuovo art. 163-bis l.fall. Esercizio provvisorio disposto dal tribunaleIl primo comma dell'art. 104 l.fall.attribuisce in primo luogo proprio al tribunale, con la stessa sentenza che dichiara il fallimento, la possibilità di disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, affinché la prosecuzione dell'attività avvenga senza alcuna interruzione. La possibilità concreta che il tribunale disponga l'esercizio provvisorio con la stessa sentenza di fallimento, quindi nel momento stesso in cui si apre la procedura concorsuale, postula generalmente una certa cooperazione delle parti del procedimento prefallimentare, spettando ad esse (ed in primo luogo proprio all'imprenditore insolvente) evidenziare la sussistenza dei presupposti per far luogo all'apertura dell'esercizio (es. lavorazioni in corso, prestazioni essenziali che non possono essere interrotte pena la perdita di ingenti crediti, attività conservative urgenti, ecc...). Altre situazioni tipiche che possono apportare alla valutazione del tribunale un corretto apporto conoscitivo ai fini di prediligere la continuazione d'imrpesa possono riguardare i casi in cui la dichiarazione di fallimento sia preceduta: a) da una fase di preconcordato o di concordato revocato o dichiarato inammissibile o, comunque non omologato, stante la presenza del patrimonio informativo messo a disposizione (oltre che dallo stesso debitore) dal Commissario giudiziale; b) dall'adozione di misure cautelari o conservative ex art. 15 comma 8 l.fall.; c) dalla nomina di soggetti professionalmente rivolti alla gestione o alla liquidazione dell'impresa nel caso di gravi irregolarità (cfr. art. 2409 c.c.) o impossibilità di funzionamento degli organi ed occorra procedere alla nomina di un liquidatore giudiziale (art. 2487 c.c.). La norma dell'art. 104 l.fall. subordina il provvedimento del tribunale a due presupposti: a) il primo, positivo, si verifica se l'interruzione dell'attività arrechi un danno grave; b) il secondo, negativo, richiede che la continuazione dell'attività non arrechi pregiudizio ai creditori. La norma non chiarisce espressamente a quale soggetto si possa evitare un grave danno attivando l'esercizio provvisorio. Si discute se debba trattarsi dei creditori (ma in quel caso si replica che perderebbe rilevanza la distinzione fra presupposto positivo e negativo: Miccolis, 704) ovvero se possa trattarsi di altri interessi. Questa seconda opinione appare preferibile: rileveranno pertanto i gravi pregiudizi all'integrità dell'azienda, all'occupazione, all'ambiente, ma anche alla collettività, come si può verificare in caso di brusca interruzione nella erogazione di servizi pubblici essenziali o nella fornitura di determinati beni di prima necessità. Più semplice il secondo presupposto negativo, laddove si richiede che l'esercizio provvisorio non rechi pregiudizio ai creditori. Viene in rilievo, in proposito, il co. 8 della disposizione, dove si afferma che «i crediti sorti nel corso dell'esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione». L'interpretazione coordinata dei due presupposti deve portare a ritenere che l'autorizzazione non richieda necessariamente un saldo attivo dell'esercizio stesso, essendo al riguardo valorizzabile, ad esempio, la conservazione immediata o potenziale dei valori aziendali (anche immateriali) ai fini della successiva vendita, così come la circostanza che la compromissione di interessi e bisogni primari derivante dal distacco «della spina» deve poter comportare la continuazione anche ove ciò rechi un pregiudizio trascurabile in capo ai creditori. Si ritiene opportuno che la sentenza contenga, seppure normativamente non previsto, un termine di durata dell'esercizio provvisorio, mentre molto diffusa è l'imposizione al curatore di una rendicontazione con frequenza maggiore di quella prevista dal comma 5, a scadenze solitamente mensili. Ciò al fine di consentire in modo effettivo l'esercizio della vigilanza e del controllo da parte del g.d. e del comitato dei creditori (se già costituito). Si è affermato che qualora la pur momentanea interruzione dell'attività di impresa possa pregiudicarne l'avviamento e la possibilità di far luogo alla cessione dell'azienda nel suo complesso e non vi sia rischio di pregiudizio delle ragioni dei creditori, è possibile autorizzare l'esercizio provvisorio limitatamente all'adempimento degli ordinativi in corso (Trib. Lecco, 9 luglio 2013). Più recentemente, in ordine ai presupposti dell'esercizio provvisorio, si è osservato che la richiesta di autorizzazione all'esercizio provvisorio dell'attività ex art. 104, comma 1, l.fall. presuppone che dall'interruzione della stessa derivi un danno grave, non meramente potenziale ma percepibile in termini di effettività; pur non caratterizzandosi come irreparabile, il danno grave deve essere apprezzato in termini di perdita diretta o di mancato incremento di valore con riferimento non solo ai creditori, ma all'impresa stessa e indirettamente a tutti i terzi che vi gravitino attorno (quali principalmente i lavoratori, i fornitori e i finanziatori); ai fini di cui all'esercizio provvisorio di cui all'art. 104 l.fall., l'ulteriore requisito dell'assenza di un pregiudizio per i creditori non deve essere riferito all'intero ceto creditorio e non richiede un vero e proprio vantaggio nella prosecuzione dell'attività d'impresa ma, fermo restando che è certamente pregiudizievole la sopravvenienza di crediti prededucibili derivanti dalla continuazione dell'attività, impone una valutazione dei risultati complessivi della procedura (Trib. Alessandria, 9 febbraio 2016). Si è al riguardo valorizzato anche il danno derivante dall'interruzione di un servizio pubblico essenziale (Trib. Siracusa, 20 novembre 2013). Si è altresì ritenuto che il potere del tribunale di autorizzare l'esercizio provvisorio dell'impresa ai sensi del primo comma dell'art. 104 l.fall. persiste anche successivamente alla sentenza di fallimento, qualora emergano elementi che facciano ritenere che nell'ambito dell'istruttoria prefallimentare non sia stata adeguatamente rappresentata l'esistenza di quel «danno grave» che ne costituisce il presupposto. (Nella fattispecie decisa, il Tribunale ha autorizzato l'esercizio provvisorio in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, senza sentire il parere del comitato dei creditori) (Trib. Bologna, 14 agosto 2009). Esercizio provvisorio disposto dal g.d.Se non disposto immediatamente del tribunale, l'esercizio provvisorio può essere autorizzato dal G.d., anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, su proposta del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori (naturalmente se già costituito). La norma affronta il problema pratico della scarsità di elementi spesso emergenti dall'istruttoria prefallimentare o derivanti dalla mancanza di collaborazione del debitore; in questi casi – pur non avendo nulla disposto il Tribunale — il curatore nominato potrebbe rendersi immediatamente conto che vi sono lavorazioni in corso o che l'attività caratteristica non è ancora completamente esaurita, situazioni che possono essere fronteggiate proficuamente soltanto con una continuità della stessa. Del pari, il curatore potrebbe rendersi conto che vi sono soggetti interessati a rilevare od affittare l'azienda e che appare utile evitare la dispersione di valori aziendali (si pensi all'avviamento, ma anche ai ricambi ed alle merci di magazzino che senza un reimpiego nel processo produttivo rischiano una profonda svalutazione); una breve durata dell'esercizio provvisorio potrebbe in questi casi consentire l'esperimento di una immediata e più vantaggiosa procedura competitiva. Proprio partendo da tali esempi è possibile distinguere fra esercizi provvisori finalizzati all'incasso di crediti altrimenti irrecuperabili (ad es. il completamento di una commessa già in corso di lavorazione, l'esecuzione di un ordine già acquisito per il quale non si richiedono particolari esborsi trovandosi già in magazzino semilavorati e componentistica idonea, ecc.) dai casi in cui la prosecuzione provvisoria è strumentale alla più proficua ed efficiente liquidazione dell'azienda o di uno o più rami di essa. Poiché l'ipotesi più frequente è quella tratta in questo paragrafo e poiché, altresì, la stessa si colloca in un momento nel quale ben difficilmente il comitato dei creditori è stato nominato, nella normalità dei casi l'esercizio provvisorio è disposto dal g.d. su istanza del Curatore. Il Curatore ha in questi casi un ruolo centrale, dovendo attivarsi immediatamente, senza attendere la tempistica prevista per il deposito del programma di liquidazione ex art. 104-ter l.fall. Ci si è chiesti se il g.d. in questi casi debba anche emettere un parere favorevole al posto del C.d.c., ai sensi dell'art. 41 comma 4. Nella prassi il provvedimento del g.d., che deve essere un decreto motivato, contiene l'autorizzazione e dà conto delle ragioni di opportunità che giustificano la prosecuzione dell'attività. Si deve perciò ritenere che di fatto il provvedimento decisorio assorba e riassuma in sé il parere preliminare mancante, sì che il decreto del g.d. sarà eventualmente impugnabile ai sensi dell'art. 26 l.fall., risultando impraticabile il reclamo ex art. 36. Tale soluzione ha altresì il pregio di consentire un riesame del provvedimento, non soltanto per profili di legittimità, ma altresì per motivi di opportunità. Nell'esercizio provvisorio disposto dal g.d. su istanza del curatore assumere un ruolo centrale l'interesse dei creditori. Il decreto deve, in questo caso, fissare la durata. Risulta convincente la tesi (MICCOLIS, 707) che ritiene che il g.d. non sia vincolato al parere del comitato dei creditori, attesa l'importanza dell'atto in questione, i rischi in termini di aggravamento del passivo in prededuzione, ma anche i possibili vantaggi. Tale conclusione appare convincente anche nel caso in cui (di fatto estremamente raro in considerazione dell'esigenza prima di completare l'inventario e poi redigere il programma di liquidazione) l'affitto sia proposto soltanto con quest'ultimo documento. Si è ritenuto che l'esercizio provvisorio dell'impresa fallita può essere autorizzato qualora non comporti pregiudizio ai creditori e si prospetti conveniente allo scopo di tutelare il valore di avviamento dell'attività (Trib. Catania, 18 giugno 2016). Controlli e rapporti pendentiLa norma circonda la possibilità di disporre l'esercizio provvisorio di particolari cautele, attesi i possibili rischi incombenti sui creditori (in particolare l'aggravamento del passivo in prededuzione di cui è eco il co. 8 della disposizione in commento). Si prevede, infatti, che il comitato dei creditori (naturalmente se costituito e da tale momento in poi) sia convocato dal curatore almeno ogni tre mesi, per informarlo sull'andamento dell'attività e per valutare la prosecuzione della stessa. Ogni sei mesi, e comunque al termine dell'esercizio, il curatore deve invece rendere il conto della propria gestione. Pur necessitando di un particolare impegno, al curatore è riconosciuto un modesto compenso aggiuntivo, che l'art. 3 del d.m. 25 gennaio 2012, n. 30 quantifica nello 0,5% degli utili netti conseguiti e nello 0,25% dell'ammontare dei ricavi lordi derivanti dall'esercizio stesso. Il curatore deve altresì informare prontamente il c.d.c. ed il g.d. delle circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell'esercizio provvisorio. L'inadempimento di tali doveri può costituire motivo di revoca, ex art. 37 l.fall., nonché di responsabilità ai sensi dell'art. 38 l.fall. Da notare che durante l'esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderli o scioglierli direttamente. Si discute se in questi casi occorra o meno l'autorizzazione del c.d.c., ma la posizione del curatore in questa particolare fase del fallimento, che nei casi più complessi può richiedere l'affiancamento di un collaboratore tecnico, sembra consentire di poter fare a meno dell'intervento del c.d.c., pur se tale soluzione è discussa (in caso positivo l'intervento del comitato mancante potrà essere surrogato da quello del g.d., come pure nei casi di urgenza). Dal punto di vista fiscale si è evidenziato che la qualifica di impresa commerciale rende applicabile l'ordinaria disciplina tributaria alle operazioni poste in essere dal fallimento. Il curatore dovrà pertanto informare l'Agenzia delle Entrate di tale fase con la comunicazione ex art. 35 d.P.R. n. 633/1972, con conseguente obbligo di tenuta delle scritture contabili ai fini civilistici e fiscali, con particolare riferimento all'Irap. Ai fini Ires e Irpef, il reddito del periodo fallimentare, anche se vi sia stato esercizio provvisorio, è determinato con la speciale procedura prevista dall'art. 183 del Tuir (c.d. maxiperiodo). Va però considerato che l'esercizio provvisorio determina il verificarsi del presupposto impositivo ai fini Irap nel fallimento, da cui discende l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale Irap negli ordinari termini di invio, con il pagamento delle relative imposte ed acconti (in prededuzione). Appare preferibile che le gestioni dell'esercizio provvisorio e della liquidazione fallimentare restino separate: le prime saranno documentate nelle scritture previste dal codice civile e dal d.P.R. 600/1973, le seconde nello speciale registro di cui all'art. 38 l.fall. Nello stesso registro va tuttavia riportato il saldo finanziario finale della gestione dell'esercizio provvisorio. In presenza di esercizio provvisorio dell'impresa, la facoltà riconosciuta al curatore dall'articolo 104, comma 7, legge fallimentare di sciogliersi dai contratti pendenti, e quindi anche da quello di locazione di immobili, non necessita dell'autorizzazione del comitato dei creditori. Qualora, in presenza di esercizio provvisorio dell'impresa, il curatore si avvalga della facoltà riconosciutagli dall'articolo 104, comma 7, legge fallimentare, di sospendere l'esecuzione dei contratti pendenti, alla fattispecie può essere applicato in via analogica il secondo comma dell'articolo 72, il quale consente al contraente in bonis di richiedere al giudice delegato di mettere in mora il curatore facendogli assegnare un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto (Trib. Nocera, 13 febbraio 2012). Cessazione dell'esercizio provvisorioL'esercizio provvisorio cessa qualora il comitato dei creditori non ravvisi l'opportunità di proseguire l'attività. In tal caso, afferma il co. 4 dell'articolo in commento, il g.d. ordina la cessazione. Si ritiene che in questa particolare fattispecie l'opinione del curatore (che ad esempio potrebbe insistere nel proseguire l'esercizio) sia subvalente rispetto a quella del c.d.c., salvo la possibilità di reclamo ex art. 36 in caso di contrasto (la circostanza che questo gravame sia limitato a profili di violazione di legge rende tuttavia assai improbabile tale soluzione). Rilevante, invece, appare la norma secondo cui il tribunale può in qualsiasi momento, laddove ne ravvisi l'opportunità, ordinare la cessazione dell'esercizio provvisorio. Il tribunale potrà provvedere anche su sollecitazione del g.d., oltre che d'ufficio, e tale potere appare in grado di superare i possibili contrasti fra curatore e c.d.c. in ordine alla continuazione dell'attività, quando questa non appaia più opportuna o, addirittura, dannosa. La decisione del tribunale deve avvenire in camera di consiglio e del collegio potrà far parte il g.d. in veste di relatore, non essendovi un atto impugnato. Deve comunque essere rispettato il contraddittorio, seppure con le libertà di forme tipiche del rito camerale (si prevede infatti che siano sentiti il curatore ed il c.d.c.). La norma non richiede che la prosecuzione dell'attività causa un pregiudizio, né tanto meno un grave danno ai creditori od ai terzi. I rischi di aggravamento del passivo hanno consigliato il legislatore di accontentarsi di un presupposto più semplice, quale l'opportunità. La cessazione dell'esercizio richiede pertanto un presupposto più blando di quello o quelli necessari per la sua autorizzazione. La chiusura dell'esercizio provvisorio, secondo l'opinione dominante, rimette il curatore nella facoltà di sciogliere o subentrare nei rapporti pendenti al momento della cessazione dell'esercizio, secondo le norme ordinarie. Con riferimento all'esercizio provvisorio dell'impresa, la sorte dei crediti relativi ai contratti pendenti ad esecuzione continuata o periodica può essere così regolata: i) quelli sorti in pendenza dell'esercizio provvisorio hanno natura prededucibile; ii) quelli successivi all'esercizio provvisorio sorgono solo nel caso in cui il curatore opti per il subentro del contratto e sono ovviamente prededucibili; iii) quelli sorti prima della dichiarazione di fallimento avranno o meno natura prededucibile a seconda che il curatore, al termine dell'esercizio provvisorio, abbia scelto di subentrare o di sciogliersi dal contratto (articolo 74, legge fallimentare) (Cass. 19 marzo 2012). La stessa sentenza ha così precisato che con specifico riferimento ai contratti pendenti ad esecuzione continuata o periodica, al termine dell'esercizio provvisorio dell'impresa, si dovrà fare applicazione dell'art. 74, secondo il quale il curatore che decide di subentrare nel contratto è tenuto a corrispondere in prededuzione anche il prezzo delle forniture già eseguite prima della dichiarazione di fallimento. 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