Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 108 - Poteri del giudice delegato 1 .

Federico Rolfi
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Poteri del giudice delegato1.

 

Il giudice delegato, su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci giorni dal deposito di cui al quarto comma dell'articolo 107, impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato.

Per i beni immobili e gli altri beni iscritti in pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo2.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 95 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

Mentre la precedente versione della norma veniva a disciplinare in modo specifico le modalità di vendita degli immobili nell'ambito del fallimento, l'attuale formulazione – a seguito del venir meno delle peculiarità di tale tipo di vendita, attratta nella previsione generale dell'art. 107 — è invece venuta a regolare gli specifici, residui, poteri del g.d. nell'ambito delle vendite di qualunque tipologia di beni, alla luce del mutamento del ruolo di tale organo (Nonno, 1488; Paluchowski, 1369) e della collocazione prevalente della vendita al di fuori dell'attività giurisdizionale (Montanaro, 1055). Nel nuovo sistema scaturito dalla Riforma, infatti, il g.d. passa da un ruolo di direzione immediata della procedura fallimentare – e quindi della liquidazione dell'attivo — ad un ruolo di vigilanza sulla sua regolarità, provvedendo alla risoluzione dei conflitti che sorgono all'interno della procedura medesima (Montanaro, 1055; Nonno, 1488; Paluchowski, 1369). In tal modo il g.d. assume il compito di bilanciare i poteri gestori del curatore nella fase di liquidazione, contemplando un meccanismo di intervento in ipotesi di patologie della stessa fase liquidatoria (Nonno, 1488), in modo da conservare la coerenza tra quanto concretamente realizzato dal curatore e le previsioni del programma di liquidazione, preventivamente approvato dal comitato dei creditori ed oggetto di controllo da parte dello stesso g.d. (Liccardo-Federico, 1801).

A tal fine la norma viene a prevedere due tipologie di intervento del g.d. (Montanaro, 1056; Nonno, 1489): la prima si traduce nel potere di inibire la prosecuzione delle operazioni di vendita in presenza di possibili situazioni di anomalia; la seconda, invece, si traduce nel potere di purgare i beni dai gravami che li interessano all'atto della vendita, con aspetti di affinità rispetto alla relativa previsione del processo esecutivo ordinario (Nonno, 1489), a conferma del carattere invito domino di tutte le vendite operate in sede fallimentare. Tale ultimo potere, anzi, è ritenuto operante anche per le vendite effettuate successivamente alla omologazione del concordato preventivo, per effetto del richiamo operato dall'art. 182 alle previsioni sulle vendite fallimentari «in quanto compatibili» (Nonno, 1489).

Le due tipologie di intervento risultano ampiamente diverse (Paluchowski, 1369), in quanto mentre la prima appare direttamente riconducibile ad un potere di controllo, idoneo a bloccare le vendite (Paluchowski, 1369), la seconda vale invece a dare piena esecuzione all'effetto traslativo delle vendite medesime confermando il loro carattere coattivo (Paluchowski, 1369), anche se è stato comunque osservato che l'introduzione di una previsione specifica varrebbe ad evidenziare il venir meno della natura giurisdizionale delle vendite fallimentari, eccezion fatta per le vendite operate direttamente in sede giurisdizionale (Montanaro, 1081).

In relazione alla sospensione va evidenziato che il potere di sospensione previsto dalla norma in commento non costituisce l'unica ipotesi di arresto dell'attività di liquidazione prevista dalla Legge Fallimentare, essendo previste sia la facoltà di arresto della liquidazione ad opera della corte d'appello in sede di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, sia la facoltà del g.d. di sospendere la liquidazione dei beni oggetto di rivendica ex art. 93, nonché nell'ipotesi di rivendica tardiva ex art. 101 (Paluchowski, 1369). Ulteriormente, nonostante il potere di purgazione previsto dalla stessa norma confermi il carattere coattivo della vendita, occorre rilevare che il meccanismo di sospensione previsto dalla norma in commento appare anche proceduralmente divergente da quello contemplato dal codice di rito per l'esecuzione ordinaria. La Riforma, infatti, non ha previsto la instaurazione di un giudizio autonomo (come nel caso degli artt. 615 e 619) ma ha optato per un procedimento endofallimentare innanzi al g.d. (Fontana-Leuzzi, 2228; Nonno, 1490; Paluchowski, 1369). Si tratta di scelta che è giustificata anche dal fatto che, mentre i rimedi endoesecutivi operano nell'ambito di un procedimento che è comunque gestito dal G.E., la fattispecie dell'art. 108 comporta l'intervento di un g.d. che, sino a quel momento, non aveva esercitato alcun potere, se non quello autorizzativo della vendita, eccezione fatta per i casi di vendita giurisdizionale diretta (Montanaro, 1059; Nonno, 1489).

Il ruolo di controllo generale del g.d. di cui i due poteri in esame costituiscono espressione hanno indotto gli interpreti ad affermare il persistente carattere di evidenza pubblica delle vendite fallimentari, con conseguente applicabilità di tutte le previsioni civilistiche che regolano tale istituto (Liccardo-Federico, 1806). Si osserva, però, che tale dato deve misurarsi con il fatto che il potere di sospensione della vendita viene comunque ancorato dalla norma in commento all'istanza di soggetti terzi (anche se con una legittimazione ad ampio spettro), e non sembra attivabile d'ufficio (Fontana-Leuzzi, 2227; Iannicelli, 408; Nonno, 1491), in coerenza con il ruolo di terzietà che il g.d. riveste (Montanaro, 1060). In contrario, è stata sostenuta da alcune voci la necessità di riconoscere al g.d. il potere di convocare il curatore e il comitato dei creditori, per sollecitarne l'iniziativa o eventualmente attivare i procedimenti relativi alla loro revoca, ritenendosi inaccettabile una situazione di passività del g.d. di fronte ad atti di liquidazione palesemente pregiudizievoli per gli interessi dei creditori (Paluchowski, 1373), ma un simile approdo va ad intaccare evidentemente il ruolo di terzietà del g.d. traducendosi in quell'intervento d'ufficio che la norma ha voluto evidentemente escludere, ed appare, pertanto più condivisibile la tesi negativa (Montanari, 1060).

ll potere del giudice delegato di impedire il perfezionamento della vendita, previsto dall'art. 108, comma 1, l.fall., è subordinato ad una valutazione circa l'inadeguatezza, in termini di notevole inferiorità, del prezzo di aggiudicazione rispetto a quello "giusto", avuto riguardo ai valori di mercato in un determinato ambito geografico, all'epoca in cui la procedura competitiva è stata espletata (Cass. I, ord. n. 19604/2022).  Costante è l'affermazione per cui la sospensione della vendita può essere disposta anche ad aggiudicazione avvenuta, purché prima che sia emesso il decreto di trasferimento (Cass. I, n. 16755/2010; Cass. I, n. 20466/2008; Cass. I, n. 12701/2003) considerazione delle ragioni pubblicistiche, poste alla base della procedura fallimentare, la quale è diretta alla massima realizzazione possibile delle attività del fallito (Cass. I, n. 13896/2010).

Si è ritenuto che il richiamo operato dall'art. 182 alla norma in esame – ed in particolare alla sospensione per prezzo manifestamente ingiusto – non trovi applicazione nella fase anteriore all'omologazione del concordato (Trib. Bergamo, 1° dicembre 2011, Fall. 2012, 335)

La sospensione della liquidazione per gravi e giustificati motivi

Ampliando la versione originaria della norma anteriore, la Riforma ha previsto un potere di sospensione il cui presupposto non è costituito dal rischio di perfezionamento della vendita ad un prezzo notevolmente inferiore a quello giusto, bensì dalla presenza di «gravi e giustificati motivi», in tal modo implementando significativamente il potere di vigilanza ed intervento del g.d., non più limitato alla verifica di «congruità» del prezzo (Montanaro, 1057).

Il primo problema posto dalla previsione è costituito dal «regolamento di confini» rispetto al meccanismo di sospensione rimesso alla corte d'appello dall'art. 19. Una corretta distinzione delle sfere di operatività ha indotto gli interpreti ad evidenziare che, mentre in quest'ultima ipotesi si va ad incidere sullo stesso an della liquidazione, nel caso dell'art. 108 ci si trova di fronte ad un potere che non paralizza la liquidazione in sé, bensì le specifiche modalità di liquidazione che il curatore sta concretamente seguendo (Montanaro, 1058; Nonno, 1491; Paluchowski, 1370).

Da tale constatazione discende la conclusione che i «gravi e giustificati motivi» cui la sospensione è subordinata devono essere riferiti, appunto, alle ipotesi in cui le concrete modalità di liquidazione presentino profili di patologia, ed in particolare risultino non conformi al programma di liquidazione approvato dal comitato dei creditori oppure alla precedente autorizzazione agli atti esecutivi del giudice delegato (Paluchowski, 1371), e cioè a quegli atti che dovrebbero aver tracciato il percorso di una liquidazione non solo conforme alle regole di legge ma anche economicamente razionale e sostanzialmente corretta. In tal modo il g.d. viene ad esercitare un potere diretto di vigilanza del rispetto degli obiettivi e percorsi oggetto del programma di liquidazione e della relativa autorizzazione del comitato dei creditori (Fontana-Leuzzi, 2234).

Assume, quindi, rilievo tutta una serie di altri fattori che possono interessare anche profili diversi dalla determinazione del prezzo, collocati in qualunque momento del procedimento di vendita, e riferibili anche al merito sostanziale o alla convenienza, e non solo alla legittimità del procedimento (Fontana-Leuzzi, 2234; Paluchowski, 1371), il quale deve essere non solo formalmente conforme a legge ma anche sostanzialmente corretto — soprattutto con riferimento al canone fondamentale dell'impiego di procedure concretamente competitive – tenuto conto della difficile scindibilità del profilo della legittimità da quello dell'opportunità (Montanaro, 1067). Si deve, quindi, ritenere che, da questo punto di vista, il potere di valutazione e sindacato del g.d. abbia notevole pienezza, alla sola condizione della previa acquisizione del parere del comitato dei creditori (Liccardo-Federico, 1799; Paluchowski, 1371), da considerarsi peraltro meramente consultivo e non vincolante (Montanaro, 1069; Nonno, 1494) e previsto solo per questa ipotesi, e non per quella di sospensione per prezzo inferiore a quello giusto (Iannicelli, 409; Montanaro, 1069; contra Nonno, 1497 che ritiene necessario il parere anche in tale ipotesi).

I gravi e giustificati motivi possono quindi essere costituiti: da possibili vizi di legittimità del procedimento di vendita (contra Farina, 1086 che esclude che con l'istanza di sospensione possano dedursi vizi di legittimità degli atti del curatore che avrebbero potuto essere impugnato con lo strumento dell'art. 36, mentre Liccardo-Federico, 1801 ammettono una proposizione contestuale dei due rimedi); da ipotesi di liquidazioni estranee al programma di liquidazione approvato dai creditori; da modalità di vendita o di pubblicità non idonee a garantire una effettiva competitività; da interferenze illegittime nella stessa procedura di vendita; dall'esistenza di una proposta di concordato fallimentare ignorata dal curatore; dalla pendenza di un ricorso per la revoca del curatore (per un elenco Paluchowski, 1373, nonché Liccardo-Federico, 1801); dall'omessa considerazione di un diritto di prelazione; dalla scoperta di problemi relativi alla identificazione catastale od alla natura urbanistica del bene (Fontana-Leuzzi, 2234).

Va in ogni caso chiarito che non ci si trova ad una ipotesi peculiare di impugnazione degli atti del curatore ex art. 36, ma di un rimedio distinto che investe la procedura nel suo complesso, e che quindi ben può estendersi a quelle considerazioni di opportunità che invece resterebbero necessariamente escluse dalla valutazione di mera legittimità di un reclamo ex art. 36 (Montanaro, 1068; Nonno, 1493).

Il dato testuale della norma indice ad individuare quale contenuto concreto del potere la sola possibilità di disporre la sospensione, e quindi non anche la revoca o la modifica del provvedimento di vendita, considerato anche che quest'ultimo è il precipitato di un procedimento che vede il contributo anche del curatore e del comitato dei creditori (Montanaro, 1059; Paluchowski, 1372). Peraltro l'esercizio del potere di sospensione, pur non portando alla revoca della vendita (salva modifica del programma di liquidazione), condurrà inevitabilmente alla sua effettuazione con modalità diverse da quelle ritenute patologiche (Montanaro, 1058), ferma restando l'esigenza di individuare le conseguenze della sospensione alla luce delle singole ragioni concrete che l'hanno determinata (Liccardo-Federico, 1803).

Non osta all'esercizio del potere la già avvenuta aggiudicazione, risultando la sospensione preclusa solo quando l'effetto traslativo si sia verificato con il decreto di trasferimento o il rogito notarile (Paluchowski, 1372), così come indubbiamente il potere può essere esercitato anche con riferimento alle vendite estranee al programma di liquidazione, in quanto autorizzate d'urgenza dal g.d. Si deve, anzi, affermare il carattere universale del rimedio, operante per tutte le vendite fallimentari (Nonno, 1491; Montanaro, 1057; Paluchowski, 1372), come desumibile dal fatto che in questo caso non è operato il riferimento a quel deposito della documentazione ex art. 107, che attiene alle sole vendite rientranti in tale ultima disposizione (Montanaro, 1057). Secondo una opinione restano escluse dall'ambito di applicazione della norma le sole vendite effettuate secondo le norme del codice di rito per le esecuzioni ordinarie, considerata la maggiore ampiezza dei poteri del g.d. in tale ipotesi (Montanaro, 1057; contra Nonno, 1490, secondo il quale invece la previsione si applica anche in questo caso); nonché le ipotesi di trattamento dei beni diverse dalla liquidazione, come l'abbandono (Montanaro, 1058; Nonno, 1490).

La presenza del correlato potere di sospensione di cui all'art. 93 – avente carattere prevalentemente cautelare in quanto finalizzato ad evitare al soggetto che rivendica il bene il pregiudizio che potrebbe derivare dalla liquidazione – pone il problema, anche in questo caso, della individuazione delle distinte sfere di operatività. Se, secondo l'opinione prevalente, va escluso il carattere cautelare della sospensione per «gravi e giustificati motivi» (Nonno, 1490; Paluchowski, 1372), meno univoca è l'esclusione della possibile interferenza tra le due previsioni, ritenendosi da alcuni che invece il soggetto la cui rivendica sia stata respinta ed abbia proposto opposizione allo stato passivo possa bloccare la vendita del bene proprio invocando l'art. 108 (cfr. Liccardo-Federico, 1800; Montanaro, 1063), anche se sembra prevalere l'opinione contraria (Nonno, 1491; Paluchowski, 1372).

La platea dei soggetti legittimati a sollecitare l'attivazione del potere di sospensione risulta quanto mai ampia, in quanto estesa al fallito (che però deve avere un interesse diverso da quello alla integrale sospensione della liquidazione che invece sorregge l'istanza ex art. 19: Montanaro, 1060; Nonno, 1491; Farina, 1081, nt. 284), al comitato dei creditori, a qualunque interessato, come i creditori con diritti iscritti sul bene, i terzi interessati all'acquisto, i terzi non messi in grado di partecipare (Montanaro, 1064) ed i terzi titolari di altri diritti reali o obbligatori sul bene (Farina, 1085; Paluchowski, 1373; contra Montanaro, 1064, sul presupposto che essi possono avvalersi dello strumento di cui all'art. 93), purché l'istanza di sospensione indichi gli elementi idonei a fondare la legittimazione, che non può ritenersi sussistente in re ipsa (Montanaro, 1063). Legittimato deve ritenersi anche il curatore (Farina, 1081; Nonno, 1492) in quanto la limitazione del suo potere diretto di sospensione della vendita contemplato dal quarto comma dell'art. 107, non appare incompatibile con una distinta facoltà di sollecitazione al g.d. per valorizzare altri profili, quando il curatore non abbia la possibilità di porre rimedio con una modifica del programma di liquidazione (Montanaro, 1065).

La norma non prevede un termine per la presentazione dell'istanza, ma alla tesi che conseguentemente ritiene che il potere di sospensione possa essere sollecitato senza limiti temporali (Farina, 1085) – salvo il termine invalicabile costituito dal trasferimento del bene – si contrappone la tesi che traspone alla fattispecie il medesimo termine operante per la diversa ipotesi di sospensione prevista dalla medesima norma, e quindi quello di dieci giorni per il deposito della documentazione prevista dall'art. 107 (Montanaro, 1072; Nonno, 1493).

La valutazione del g.d. dovrà soffermarsi sia sulla concreta fondatezza dei fatti dedotti (fumus boni iuris), sia delle potenziali conseguenze dannose derivanti dalla mancata sospensione (Fontana-Leuzzi, 2234), peraltro tenendo in adeguata considerazione la necessità che la procedura di vendita non solo appaia formalmente conforme a legge, ma non si esponga neppure a sospetti sostanziali di patologia, pena una perdita di fiducia complessiva nella correttezza delle procedure fallimentari.

L'accoglimento dell'istanza non condurrà alla revoca totale della vendita, ma comporterà per il curatore il vincolo a porla in essere eliminando i fattori di criticità ritenuti fondati dal g.d. (reiterando gli atti formalmente viziati; procedendo a pubblicità più ampie; ripetendo la procedura competitiva che sia stata turbata da fattori esterni), senza necessariamente comportare la modifica del programma di liquidazione, a meno che non sia imposta dalla necessità di procedere ad una correzione delle modalità di vendita (Montanaro, 1073; Nonno, 1496).

Il decreto assunto dal g.d. — all'esito di un procedimento che deve ritenersi disciplinato dalle previsioni sui procedimenti in camera di consiglio (Montanaro, 1069) — è (come tutti i decreti) reclamabile ai sensi dell'art. 26 innanzi al tribunale, con termine decorrente dalla comunicazione del provvedimento, eseguita dal cancelliere nelle forme previste dagli artt. 136 c.p.c. e 45 disp. att. C.p.c. (Fontana-Leuzzi, 2235).

Parimenti, la decisione assunta dal Tribunale in sede di reclamo sarà reclamabile innanzi alla Corte d'Appello (Paluchowski, 1374). La possibile incidenza della decisione su diritti soggettivi apre poi lo spazio al ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost. (Paluchowski, 1374; Nonno, 1496; contra Fontana-Leuzzi, 2234), con termini sottratti alla sospensione feriale (Farina, 1082; Montanaro, 1071; Paluchowski, 1374).

Sebbene la fattispecie in esame costituisca una novità introdotta dalla riforma, va ricordato che anche in precedenza era stata ritenuta ammissibile la sospensione o revoca del provvedimento di autorizzazione alla vendita, ove lo stesso risultasse inficiato da un vizio di legittimità (Cass. I, n. 5341/1999). Parimenti con riguardo alla vendita di beni mobili ad offerte private, si era affermata la facoltà del g.d. di sospendere o revocare le proprie disposizioni anche per motivi di opportunità e convenienza (Cass. I, n. 14103/2003).

La comunanza di finalità e struttura tra art. 108 e art. 586 c.p.c. vale a rendere assimilabili i principi stabiliti per tale ultima norma, ed in particolare l'affermazione per cui la sospensione della vendita può essere disposta dal giudice (dell'esecuzione) dopo l'aggiudicazione solo se: a) siano sopravvenuti fatti nuovi rispetto al momento dell'aggiudicazione; b) interferenze di natura criminale abbiano influito sul processo di vendita; c) il prezzo del bene sia stato determinato in forza di dolo, scoperto dopo l'aggiudicazione; d) vengano prospettati al giudice fatti noti ad una parte già prima dell'aggiudicazione, purché sussista il consenso delle altre parti (Cass. III, n. 18451/2015).

La Cassazione ha chiarito che il termine per proporre reclamo ex art. 26 decorre dalla comunicazione del decreto alla parte, da effettuarsi ai sensi degli artt. 136 ss. c.p.c., e non da altre forme di comunicazione non riconducibili al cancelliere, (Cass. I, n. 27667/2011; Cass. I, n. 7218/2009).

Recente è una pronuncia di merito che ha escluso che la sospensione ai sensi dell'art. 108 possa sovrapporsi all'ipotesi contemplata dall'art. 93 (Trib. Milano, 7 ottobre 2015, Fall. 2016, 709).

Ammettendo la possibilità di ricorrere ex art. 111 Cost. in relazione a provvedimenti ex art. 108, la Cassazione ha affermato che il termine di sessanta giorni non decorre dalla data del deposito in cancelleria del decreto, bensì dalla sua comunicazione (Cass. I, n. 16755/2010, Fall. 2011, 374). In realtà, l'affermazione della possibilità di impugnare il provvedimento di sospensione innanzi alla cassazione risale anche ad epoca ben anteriore alla Riforma, sul postulato della decisorietà ed incidenza su diritti soggettivi (Cass. I, n. 5341/1999).

La sospensione per prezzo notevolmente inferiore a quello giusto

La seconda ipotesi di sospensione – presente anche nella versione originaria della norma, ed anzi rimasta sostanzialmente immutata (Fontana-Leuzzi, 2232) – ha come presupposto l'avvenuta conclusione della procedura di vendita (relativa a qualunque tipologia di bene: Iannicelli, 410; Liccardo-Federico, 1799), con individuazione di un prezzo che risulti notevolmente inferiore a quello «giusto», e mira, evidentemente, ad impedire il definitivo perfezionamento della vendita.

La richiesta di sospensione può essere presentata nel breve termine dei 10 giorni successivi al deposito della documentazione relativa gli esiti della procedura, prevista dal quinto comma dell'art. 107 (Iannicelli, 410; Paluchowski, 1375), ed è del resto dall'esame di questa documentazione che gli interessati possono desumere il rischio di un alienazione a prezzo marcatamente non adeguato (Paluchowski, 1375). Risulta in tal modo chiaro che la previsione si applica esclusivamente alle vendite con procedure competitive previste da tale ultima norma (Montanaro, 1074).

Appare logico ritenere che la presentazione dell'istanza possa condurre ad una sospensione delle operazioni di vendita, ed in particolare del versamento del prezzo, sino alla decisione del g.d. (Iannicelli, 413; Montanaro, 1077).

La locuzione impiegata dalla norma («prezzo notevolmente inferiore a quello giusto») appare ampiamente indeterminata sia per ciò che concerne il concetto di prezzo «giusto», sia per quanto concerne il carattere «notevole» che la sproporzione deve avere.

Il primo parametro viene ricondotto dalla norma stessa alle «condizioni di mercato», potendosi quindi ritenere che il raffronto vada operato con riferimento a listini o mercuriali, o ad altri parametri, come l'esito economico di operazioni di vendita che risultino affini sia sul piano merceologico che su quello territoriale (Paluchowski, 1376), ferma restando la possibilità che l'istanza sia basata su fattori sopravvenuti che abbiano incrementato il prezzo del bene rispetto a quello della stima originaria (Montanaro, 1079), o alla redazione di una perizia tecnica aggiornata che conduca a rivedere il valore di stima (Fontana-Leuzzi, 2233).

Gli stessi elementi possono permettere di individuare il secondo parametro, salva l'ipotesi in cui la notevole sproporzione possa essere desunta dalla successiva la presentazione di una nuova – seria — offerta, di importo decisamente superiore, ferma restando la difficoltà di determinare quale sia l'entità migliorativa della nuova offerta che rende evidente la notevole inadeguatezza di quella del soggetto resosi aggiudicatario (Paluchowski, 1376). Si è ipotizzato, al riguardo, l'utilizzo del parametro dell'aumento di quinto, previsto nell'asta con incanto (art. 584 c.p.c.), e che nell'esecuzione ordinaria giustifica, appunto, il venir meno dell'aggiudicazione (Paluchowski, 1376, che evidenzia anche l'analogia procedurale del termine di 10 giorni contemplato in entrambe le fattispecie), ma non mancano altre proposte interpretative, come quella che richiama l'aumento del 10% previsto dall'art. 107 (Montanaro, 1079), e quella che invece adotta il parametro del 25% di cui all'art. 67 (ancora Montanaro, 1079), ferma restando la necessità di tenere comunque conto delle circostanze del caso concreto (Nonno, 1499).

Il potere di sospensione può essere anche in questo caso esercitato sino al momento del realizzarsi dell'effetto traslativo con il decreto di trasferimento o l'atto privato di trasferimento (Paluchowski, 1376).

Valgono anche in questo caso le considerazioni svolte in precedenza sui rimedi esperibili avverso il decreto del g.d. e cioè il reclamo ex art. 26 innanzi al tribunale, e poi innanzi alla corte d'appello (Iannicelli, 417; Paluchowski, 1376).

Anche in tal caso la possibile incidenza su diritti soggettivi legittima l'esperimento del rimedio costituito dal ricorso straordinario ex art. 111 (Paluchowski, 1377).

Anche di recente la Cassazione ha avuto modo di ribadire che il potere discrezionale di disporre la sospensione della vendita non presuppone necessariamente l'avvenuta presentazione di una nuova offerta, ben potendo dipendere anche dall'acquisizione di una nuova valutazione tecnica (Cass. I, n. 8424/2013). Per contro, anche la presentazione di un'offerta in aumento del venti per cento rispetto al prezzo di aggiudicazione non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per disporre la sospensione, qualora l'inferiorità del prezzo rispetto a quello giusto non sia ricavabile anche da altri elementi (Cass. I, n. 1610/2009).

Conseguentemente, la decisione del g.d. di disporre la sospensione – il cui fine è la realizzazione del massimo valore pecuniario in vista del massimo risultato utile per la massa dei creditori – deve transitare attraverso un giudizio di inadeguatezza del prezzo che non può basarsi su una mera comparazione tra prezzo offerto e ipotetico astratto valore del bene, bensì anche su tangibili elementi idonei a far seriamente ritenere che il prezzo di aggiudicazione sia notevolmente inferiore a quello giusto, come, ad esempio, la presenza di nuove offerte di acquisto, la constatazione di indebite interferenze nella procedura di vendita, le concrete modalità di attuazione della vendita precedente (Cass. I, n. 28836/2008, Fall. 2009, 619). Valgono i principi dettati per la consimile fattispecie di cui all'art. 586 c.p.c., e cioè che l'individuazione «del prezzo giusto» presuppone, una comparazione tra quello concretamente realizzato con l'aggiudicazione e quello che invece, in condizioni di non interferenza di fattori devianti, sarebbe stato conseguito nella procedura di vendita così come concretamente adottata e normativamente disciplinata (Cass. III, n. 23799/2007).

Il reclamo al Tribunale avverso ex art. 26, va proposto entro 10 giorni dalla conoscenza del provvedimento del g.d. che sospende la vendita e non contro il successivo provvedimento di fissazione di nuova vendita o di aggiudicazione ad altro offerente (Cass. I, n. 11149/2012).

L'effetto purgativo della vendita fallimentare

Il Potere di purgazione delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli conferito al g.d. conferma la natura coattiva delle vendite fallimentari ex art. 107 (Paluchowski, 1377), trattandosi di un potere del tutto affine a quello del G.E. contemplato dall'art. 586 c.p.c., rispetto al quale la previsione in commento avrebbe il medesimo scopo e la stessa portata (Farina, 1090; Paluchowski, 1377). Va peraltro chiarito che il meccanismo purgativo di cui all'art. 586 c.p.c. comunque continua ad essere esercitabile nel caso in cui la vendita avvenga in sede giurisdizionale (Farina, 1089; Iannicelli, 418; Montanaro, 1083; Nonno, 1503), così come continuano ad essere operanti le previsioni speciali come l'art. 138 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Montanaro, 1083). La peculiarità della previsione in esame, rispetto all'art. 586 c.p.c., sta, appunto, nel fatto che il provvedimento risulta autonomo e non contestuale rispetto all'atto (privatistico), che ha determinato l'effetto traslativo, spezzando quella unità che invece si realizza nelle ipotesi in cui la vendita abbia natura giurisdizionale e trovi coronamento in un decreto di trasferimento contenente anche gli ordini di cancellazione (Liccardo-Federico, 1804).

Il provvedimento di purgazione assume la forma del decreto (Paluchowski, 1378), assunto su istanza del curatore (ma anche del terzo acquirente: Nonno, 1500) che dovrà attestare l'avvenuto versamento del prezzo (Iannicelli, 419), ed interessa non solo i beni immobili, ma tutti i beni mobili iscritti in pubblici registri. Il provvedimento dispone la cancellazione sia delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione sia delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi, sia degli altri vincoli funzionali all'attività di liquidazione (Paluchowski, 1378), compresa la sentenza dichiarativa di fallimento. Sono invece escluse le trascrizioni delle domande giudiziali (Farina, 1090; Montanaro, 1082; Nonno, 1500).

La trascrizione concerne le formalità anteriori alla trascrizione della sentenza di fallimento, stante la inefficacia di quelle posteriori, ma appare evidente l'opportunità di disporre la cancellazione anche di queste ultime, seppure come effetto della stessa sentenza di fallimento (Farina, 1090; Montanaro, 1082; Nonno, 1500).

Presupposti dell'emissione del decreto sono l'avvenuto versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario o acquirente, e l'avvenuta formalizzazione della cessione, costituendo la cancellazione ultimo incombente accessorio del procedimento di vendita (Paluchowski, 1378). Si esclude invece che il g.d. possa rifiutare l'adozione del provvedimento per rimediare ad altri vizi della procedura di vendita (Iannicelli, 420; Nonno, 1501; Paluchowski, 1379; contra Fontana-Leuzzi, 2235), costituendo l'adozione del provvedimento atto dovuto (Montanaro, 1081; contra Iannicelli, 420).

Nell'ipotesi in cui il prezzo venga corrisposto dal terzo in tutto o in parte mediante accollo dei debiti (come previsto dall'art. 105), si pone il problema costituito dal fatto che in tal modo l'acquirente viene a differire l'adempimento della prestazione su di lui gravante al momento in cui i suddetti debiti vengono a scadenza. Ciò comporta una incertezza circa l'effettivo adempimento futuro della prestazione che, in teoria, dovrebbe precludere l'adozione del provvedimento di cancellazione. Di qui la proposta di far rilasciare alla procedura una fideiussione o altra garanzia a prima richiesta, che possa essere immediatamente escussa in caso di inadempimento (Iannicelli, 420; Nonno, 1501; Paluchowski, 1378).

Si ritiene che il principio generale per cui le spese di cancellazione debbano gravare sul debitore non possa trovare applicazione nell'ipotesi in esame (Montanaro, 1084), oppure sia comunque derogabile, con accollo delle medesime sull'acquirente (Nonno, 1502). È comunque opportuno che nelle pubblicità in vista della vendita, il curatore abbia a chiarire tale profilo (Montanaro, 1084).

Per l'applicabilità del meccanismo di cancellazione delle iscrizioni anche alla vendita effettuata in adempimento di un contratto preliminare dal quale il curatore non abbia possibilità di sciogliersi Cass. I, n. 3310/2017, che ha confermato Trib. Verona 16 aprile 2014, Fall. 2014, 825. Per la sua applicabilità, invece, alle vendite eseguite dal liquidatore nel concordato Trib. Acqui Terme, 08-03-2012, Fall. 2012, 743.

Bibliografia

Farina, Le modalità delle vendite ed il potere di sospensione del giudice delegato, in Didone (a cura di), La riforma delle procedure concorsuali, Milano 2016; Fontana-Leuzzi, La liquidazione dell'attivo. La vendita dell'azienda. Vendita dei beni mobili e immobili, in Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Milano 2016; Iannicelli, Le vendite fallimentari: aspetti processuali, in Buonocore-Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, Padova 2011; Liccardo-Federico, Sub art. 108, in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2007; Miccolis, La liquidazione dell'attivo - La vendita dei beni, in Vassalli-Luiso-Gabrielli, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Torino 2014; Montanaro, Art. 108. Poteri del Giudice Delegato, in Cavallini (diretto da), Commentario alla Legge Fallimentare, II, Milano 2010; Nonno, Sub art. 108, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova 2014; Paluchowski (agg. De Matteis), Art. 108, in Lo Cascio (a cura di), Codice Commentato del Fallimento, Milano 2015; Saracino, Cessione dei crediti e modalità delle vendite, in Cagnasso-Panzani (diretto da), Crisi di impresa e procedure concorsuali, II, Milano 2016; Vattermoli, Sub art. 108, in Nigro-Sandulli-Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Milano, 2010.

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