Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 113 - Ripartizioni parziali1.Ripartizioni parziali1.
Nelle ripartizioni parziali, che non possono superare l'ottanta per cento delle somme da ripartire, devono essere trattenute e depositate, nei modi stabiliti dal giudice delegato, le quote assegnate: 1) ai creditori ammessi con riserva; 2) ai creditori opponenti a favore dei quali sono state disposte misure cautelari; 3) ai creditori opponenti la cui domanda è stata accolta ma la sentenza non è passata in giudicato; 4) ai creditori nei cui confronti sono stati proposti i giudizi di impugnazione e di revocazione. Le somme ritenute necessarie per spese future, per soddisfare il compenso al curatore e ogni altro debito prededucibile devono essere trattenute; in questo caso, l'ammontare della quota da ripartire indicata nel primo comma del presente articolo deve essere ridotta se la misura dell'ottanta per cento appare insufficiente. Devono essere altresì trattenute e depositate nei modi stabiliti dal giudice delegato le somme ricevute dalla procedura per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato. [1] Articolo sostituito dall'articolo 102 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoIl d.lgs. n. 169/2007 non ha modificato il testo della norma previgente, che pertanto si ripresenta attualmente nella formulazione introdotta dalla riforma del 2006. Orbene, solo dopo che è stato reso esecutivo lo stato passivo è possibile procedere alla ripartizione del ricavato tra i creditori. La soddisfazione dei creditori, se, da un lato, non avviene all'esito della singola vendita (art. 109, comma 1, l.fall.), dall'altro, nemmeno presuppone che sia avvenuta l'integrale liquidazione dell'attivo: infatti, i creditori sono soddisfatti, di regola, in occasione di riparti parziali e dunque prima che siano completate le operazioni di liquidazione. A partire dalla data di deposito in cancelleria del decreto di esecutività dello stato passivo, il curatore deve presentare ogni quattro mesi o nel diverso termine stabilito dal giudice delegato, il prospetto delle somme disponibili e, qualora sussistano, il piano di distribuzione parziale delle medesime (art. 110, comma 1, l.fall.). La violazione di tale termine non importa alcuna invalidità di sorta, né fa sorgere in capo al curatore inadempiente altra responsabilità, diversa da quella verso i creditori ed il fallito. L'art. 113 l.fall. costituisce, all'interno della fase della ripartizione dell'attivo, disposizione di carattere procedurale che delinea la disciplina della ripartizione delle somme liquide tra i creditori. La principale novità introdotta dalla novella consiste nell'innalzamento della percentuale di accantonamento, con conseguente riduzione dell'ammontare delle somme liberamente distribuibili. Dal 90% della disciplina precedente, la percentuale attuale disponibile per le ripartizioni parziali passa all'80%, come prevede il novellato art. 113 l.fall., in base al quale, nelle ripartizioni parziali, che non possono superare 1'80% delle somme da ripartire, devono essere trattenute e depositate, nei modi stabiliti dal giudice delegato (Ghia, 287). Quindi, con l'entrata in vigore della novella, è raddoppiata la riserva che funge da garanzia nei confronti di eventuali imprevisti. L'intervento del legislatore delegato va valutato positivamente, posto che l'attuale procedura, connotata da un minor controllo da parte del giudice delegato, espone i creditori ad un rischio maggiore rispetto al passato. Funzione e modalità degli accantonamentiCon la locuzione di accantonamento di somma si designa quella peculiare operazione in base alla quale determinate somme, ancorché rientranti nell'attivo ripartibile, non sono fatte oggetto di distribuzione immediata, ma sono messe da parte in vista di una loro erogazione successiva. L'istituto dell'accantonamento, previsto dall'art. in commento ha, come scopo quello di creare una riserva destinata al pagamento delle spese prededucibili e oneri imprevisti, di garantire i terzi che abbiano corrisposto somme alla procedura ed il cui giudizio non sia ancora concluso, ed infine, di tutelare quei creditori il cui diritto non sia stato ancora accertato in via definitiva. Per realizzare tali finalità la norma prevede: a) un accantonamento c.d. generico, quantificato in percentuale rispetto alle somme da distribuire; b) taluni accantonamenti specifici, in cifra determinata, destinati a quattro categorie di creditori, la cui posizione sia ancora sub judice, ed ai terzi che abbiano dovuto corrispondere somme alla curatela in esecuzione di provvedimenti giudiziali non ancora irrevocabili (Miele, 2008, 910). In giurisprudenza è stato sostenuto che gli accantonamenti siano disposti secondo una elencazione tassativa, laddove l'introduzione di ulteriori ipotesi sarebbe in contrasto col diritto dei creditori a ricevere una sollecita ripartizione: interesse prevalente rispetto a quello degli altri creditori che non sono stati in grado di avere analoga valenza nell'insinuarsi tempestivamente al passivo (Cass. n. 5304/2009). Accantonamento genericoL'art. 113, comma 1, l.fall. dispone che le ripartizioni parziali non possono superare l'ottanta per cento delle somme da ripartire (nella formulazione antecedente alla riforma del 2006 era invece previsto il limite massimo del novanta per cento). Da tale inciso, quindi, si ricava l'interpretazione secondo cui l'accantonamento di una parte delle somme da ripartire non deve essere inferiore al 20%, ma che il curatore potrebbe anche fissare in una percentuale più elevata. La quota da trattenere come riserva ai sensi dell'art. 110, primo e secondo comma, l.fall. costituisce una sorta di riserva per spese ed uscite future suscettibile di variazione in aumento in relazione alle previsioni effettuate dal curatore. Tale previsione, secondo la dottrina, mentre può apparire sufficientemente attendibile in relazione alle spese di gestione, può connotarsi di una certa alea quando si incentri sulle uscite future relative ai crediti che dovrebbero essere successivamente ammessi in esito ad opposizioni allo stato passivo o a domande tardive di creditori che abbiano diritto di recuperare nei riparti successivi le quote già attribuite in quelli precedenti (Mattei, 2011, 1064). Quanto alla funzione dell'accantonamento c.d. generico, la dottrina ha sottolineato che, nell'ambito delle spese di procedura, vi sono quelle prevedibili e determinabili nel loro ammontare, sia pure per approssimazione, e quelle non preventivabili: prima della legge di riforma, l'accantonamento generico (all'epoca del 10%) non aveva una precisa destinazione, costituendo una riserva per qualsiasi imprevisto; con la legge di riforma, invece, non si è soltanto aumentato (dal dieci al venti per cento) l'accantonamento generico, ma si è attribuita al fondo così incrementato, oltre alla funzione di far fronte agli eventuali imprevisti, anche quella di assicurare il pagamento dei debiti di massa prevedibili e determinabili, tant'è che si è espressamente stabilito che la riserva legale del venti per cento può essere aumentata quando appaia insufficiente a coprire le spese future, il compenso del curatore e ogni altro debito prededucibile (Miele, 2008, 910). In tal modo si è attenuata la funzione di cautela generica di tale fondo: difatti la quota minima del venti per cento non è soltanto destinata al pagamento delle prevedibili spese di procedura, dovendo essere trattenuta anche quando il loro ammontare sia sensibilmente inferiore a tale soglia. Tuttavia, il curatore può accantonare una somma superiore alla riserva legale soltanto se ciò sia necessario per far fronte alle future prevedibili spese di procedura. Quanto alla base di calcolo, occorre precisare che questa va determinata sottraendo dalla somma complessiva disponibile al momento del riparto le spese occorrenti per la procedura di cui all'art. 110 l.fall., che, risolvendosi nei debiti di massa già esigibili, nulla hanno a che vedere con le spese future di cui al secondo comma dell'art. 113 l.fall. e che, trattandosi di spese già sostenute e quindi note, non avrebbe senso preventivare, stabilendone un accantonamento in percentuale (Zoppellari, 561). Ed ancora, nel calcolo in esame, vanno detratte le somme ricevute dalla procedura per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, che l'ultimo capoverso dell'art. 113 l.fall. ha previsto siano accantonate (Clemente, 704). Infine, devono essere detratte le somme oggetto di precedenti accantonamenti generici e specifici, atteso che tali somme rimangono indisponibili sino al riparto finale, in quanto, la quota di riserva deve essere conteggiata e accantonata a ogni singolo riparto parziale e non potrà essere distribuita nei successivi riparti (Cass. n. 3470/1996). Una volta determinata la base di calcolo, si procederà all'accantonamento del venti per cento o della diversa maggiore percentuale ritenuta necessaria. Quanto alla possibilità di reclamare l'accantonamento generico, giova ricordare che l'art. 36 l.fall. consente il reclamo soltanto «per violazione di legge», sicché non dovrebbe essere possibile reclamare il piano di riparto relativamente all'ammontare del c.d. accantonamento generico, rientrando nel potere discrezionale del curatore elevare o meno la riserva legale del venti per cento per far fronte alle prevedibili ulteriori spese di procedura, sebbene sia stato autorevolmente ritenuto anche in questo caso ammissibile il reclamo, perché l'eccessività dell'accantonamento per spese future inciderebbe direttamente sull'interesse dei creditori alla tempestiva ripartizione (Guglielmucci, 256). Conseguentemente, nel caso in cui il curatore abbia aumentato l'entità dell'accantonamento per una finalità diversa da quella di far fronte ai futuri debiti prededucibili, dovrebbe essere ammissibile il reclamo. Accantonamento specificoUna volta determinato il massimo importo distribuibile, si procede agli ulteriori accantonamenti a favore di alcune particolari categorie di creditori previsti all'art. 113, comma 1, nn. 1) – 4), l.fall. Lo scopo della disposizione è ravvisabile nell'esigenza di evitare che i creditori, che hanno proposto la domanda di ammissione per crediti già vagliati dal giudice delegato, vedano frustrate le proprie aspettative nel caso in cui la procedura concorsuale terminasse prima della definizione del giudizio sulle contestazioni. L'operatività della norma consente quindi di bilanciare due opposte esigenze: da una parte quella dei creditori ammessi di veder soddisfatto nel più breve tempo possibile il proprio credito, dall'altra quella dei creditori, il cui credito è ancora sub judice, di non subire un pregiudizio a causa del protrarsi del procedimento di accertamento, in applicazione del principio riconosciuto dall'ordinamento processuale, secondo il quale in ogni processo il tempo destinato all'accertamento del diritto non deve andare a detrimento di chi ha ragione (Zoppellari, 563). Premesso ciò, la prima categoria dei creditori in fase di accertamento riguarda i creditori ammessi con riserva (art. 113, comma 1, n. 1, l.fall.). Gli accantonamenti delle quote assegnate ai creditori ammessi con riserva di presentazione del titolo, sono ora previsti dal combinato disposto degli artt. 113, comma 1, n. 1 e 96, comma 3, n. 2, l.fall.: si tratta soprattutto di creditori a favore dei quali l'accantonamento nel vecchio sistema non era previsto. In proposito, la giurisprudenza di merito ha avuto modo di evidenziare che la norma dell'art. 55 l.fall. (che prevede la partecipazione al concorso con riserva ex artt. 96 dei crediti condizionali), è di natura eccezionale e pertanto devia dal principio generale della cristallizzazione operata dalla dichiarazione di fallimento sulla situazione del passivo dell'imprenditore, e come tale non suscettibile di applicazione analogica a diritti i cui elementi costitutivi non si siano integralmente realizzati anteriormente alla detta dichiarazione, in tal caso versandosi in ipotesi, non già di mera inesigibilità della pretesa, ma di credito non ancora sorto ed eventuale. Ne consegue che deve escludersi l'ammissione con riserva ove l'evento condizionale costituisca diversamente elemento costitutivo della fattispecie (Trib. Nola 19 maggio 2010). La fattispecie di cui al n. 2, unitamente a quella di cui al punto 3, costituisce la novità più incisiva introdotta dalla Riforma, in quanto nel caso in esame l'accantonamento costituisce una vera e propria garanzia di soddisfacimento del creditore (Maffei Alberti, 796). Tale seconda categoria riguarda i creditori che abbiano proposto opposizione allo stato passivo e a favore dei quali siano state disposte misure cautelari e richiede la sussistenza contestuale di due presupposti: la proposizione dell'opposizione allo stato passivo ai sensi dell'art. 98 l.fall. e la concessione di una misura cautelare. Non è chiara, a tal proposito, la natura di tali misure cautelari, e quale sia l'organo deputato al loro riconoscimento. Si è ipotizzato, in dottrina, che tale misura possa essere emessa dal giudice dell'opposizione in virtù di ricorso presentato ex art. 700 c.p.c. ed avente ad oggetto l'ordine di accantonamento (Clemente, 705). Un altro orientamento dottrinale ritiene che il provvedimento cautelare possa essere identificato nel decreto di ammissione in via provvisoria che il Tribunale può pronunciare ai sensi dell'art. 99, comma 10, l.fall. (Saletti). Si è inoltre sostenuto che l'accantonamento possa essere disposto anche nel caso in cui il provvedimento cautelare sia stato emesso in altro procedimento, ciò in quanto la ratio della norma va ricercata nella volontà di tutelare un diritto per il quale sia stato accertato un fumus bonis juris, e pertanto anche nel caso di misura emessa anteriormente al fallimento (Miele, 2008, 913). Deve escludersi, invece, l'ammissibilità di un sequestro, stante il divieto generale di cui all'art. 51 l.fall., e non essendo ipotizzabile il ricorso agli strumenti di cui agli artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater c.p.c., perché estranei alla logica del processo concorsuale (Coa, 2014). Quanto al giudice che deve adottare il provvedimento cautelare, si ritiene che esso debba essere identificato con il giudice dell'opposizione allo stato passivo, in quanto il g.d. non rivestirebbe la necessaria posizione di terzietà (Ambrosini – Cavalli – Jorio, 669 in nota) Proseguendo con l'analisi degli accantonamenti specifici, la terza categoria riguarda i creditori opponenti la cui domanda è stata accolta, ma la sentenza non è ancora passata in giudicato (art. 113, comma 1, n. 3, l.fall). Il riferimento, nel n. 3, alla sentenza appare un errore frutto di un difetto di coordinamento con l'art. 99, atteso che nel regolare il procedimento di cui all'art. 98 prevede che esso si concluda con l'emissione di un decreto e non di una sentenza (Maffei Alberti, 797). In tal modo, la novella del 2006 ha individuato un ulteriore gruppo di creditori opponenti, per i quali risulta indifferente aver o meno ottenuto la pronuncia di una misura cautelare a loro favore, essendo già stati ammessi al passivo seppur con provvedimento non ancora divenuto irrevocabile. Infine, la quarta categoria (art. 113, comma 1, n. 4, l.fall.) riguarda i creditori nei cui confronti sono stati proposti giudizi di impugnazione dei crediti ammessi (art. 98, comma 3, l.fall.) e di revocazione (art. 98, comma 4, l.fall.). Si aggiungono a questi casi, in ragione di quanto previsto dall'art. 96, i crediti accertati con sentenza anteriore al fallimento, ma impugnata dal curatore, oltre alle altre ipotesi in cui l'ammissione con riserva sia prevista dall'altra disposizione di legge. La giurisprudenza ha escluso la possibilità di ammissione con riserva fuori dai casi espressamente previsti dalla legge ritenendo inammissibili le riserve atipiche, che dovranno essere considerate come non apposte ed il credito, per contro, ammesso (Cass. n.7329/2000; Cass. n.3397/2004). Accantonamento atipicoIn merito agli accantonamenti atipici e quindi alla possibile previsione di accantonamenti al di fuori delle ipotesi indicate dalla norma, la dottrina in passato si era espressa ritenendo tassative le disposizioni contenute nell'art. 113 (Montanari, 1090). Successivamente la giurisprudenza ha però ritenuto, in riferimento al giudizio di opposizione, e relativamente ad un credito con elevata probabilità di accoglimento, l'ammissibilità di accantonamenti che esulino dalla stretta previsione normativa (Trib. Milano 4 giugno 2001). Accantonamento delle somme non definitivamente acquisiteIn merito agli accantonamenti di cui al terzo comma, in applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza del 22 febbraio 2010 n. 4059, è possibile separare dal capo di natura costitutiva che dichiara l'inefficacia ai sensi dell'art. 2901 c.c., il capo di condanna alla restituzione dei rami aziendali oggetto dei contratti dichiarati inefficaci, nonché il pagamento delle spese processuali, i quali potranno pertanto essere ritenuti provvisoriamente esecutivi. La disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 113 l.fall., che ha introdotto l'obbligo per gli organi della procedura fallimentare di trattenere e depositare nei modi prescritti dal giudice delegato le somme ricevute per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato (sottraendo le somme in questione alle ripartizioni parziali dell'attivo fallimentare ed, eliminando ogni eventuale pericolo di impossibilità di successivo recupero delle somme medesime in caso di riforma del provvedimento giudiziale) consente di escludere la ricorrenza del periculum in mora invocato al fine di sospendere la provvisoria esecuzione dei capi di condanna della sentenza di primo grado che dichiari, ai sensi dell'art. 2901 c.c., l'inefficacia di determinati atti negoziali. La disposizione legislativa in questione consente inoltre di affermare l'esistenza di un generale principio di buona amministrazione in capo al curatore ed al giudice delegato nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza gestoria sul patrimonio del fallito, principio che suggerisce non solo di non includere nelle ripartizioni parziali dell'attivo somme delle quali la procedura non possa avere la piena e definitiva disponibilità, ma anche di non procedere alla vendita e liquidazione di beni acquisiti all'attivo in forza di provvedimenti giurisdizionali non ancora divenuti irrevocabili (Corte App. Salerno 20 giugno 2011). Ed ancora, la giurisprudenza ha ulteriormente precisato che l'art. 101 l.fall., nel prevedere che i creditori possono chiedere l'ammissione al passivo fino a che non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare, pone solo un limite cronologico all'esercizio di tale diritto potestativo, ma non riconosce al creditore l'ulteriore diritto a non vedersi pregiudicato il futuro soddisfacimento del credito, nelle more dell'ammissione, dall'attuazione della ripartizione; ne consegue che la domanda d'insinuazione tardiva di un credito non comporta una preclusione per gli organi della procedura al compimento di ulteriori attività processuali, ivi compresa la chiusura del fallimento per l'integrale soddisfacimento dei creditori ammessi o per l'esaurimento dell'attivo, né genera un obbligo per il curatore di accantonamento di una parte dell'attivo a garanzia del creditore tardivamente insinuatosi, atteso che tale evenienza non è considerata tra le ipotesi di accantonamento previste dall'art. 113 l.fall., la cui previsione è da ritenersi tassativa, in quanto derogante ai principi generali che reggono il processo fallimentare, e perciò insuscettibile di applicazione analogica. (Cass. n. 18550/2014). Bibliografiav. sub art. 110. |