Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 115 - Pagamento ai creditori 1 .Pagamento ai creditori 1.
Il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione nei modi stabiliti dal giudice delegato, purché tali da assicurare la prova del pagamento stesso. Se prima della ripartizione i crediti ammessi sono stati ceduti, il curatore attribuisce le quote di riparto ai cessionari, qualora la cessione sia stata tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazione che attesti, con atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario, l'intervenuta cessione. In questo caso, il curatore provvede alla rettifica formale dello stato passivo. Le stesse disposizioni si applicano in caso di surrogazione del creditore 2. [1] Articolo sostituito dall'articolo 105 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. [2] Comma modificato dall'articolo 8, comma 4, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. InquadramentoIl primo comma dell'articolo in commento riproduce pedissequamente il testo previgente alla Riforma, aggiungendo alla fine l'inciso volto a precisare che le modalità di pagamento devono essere «tali da assicurare la prova del pagamento stesso». Come in precedenza, le modalità di pagamento sono quindi stabilite dal g.d., il quale incontra solo il limite imposto da questo ultimo inciso. Da ciò consegue che il g.d. non è vincolato al contenuto dell'art. 1182 c.c., in base al quale il pagamento di somme di denaro deve avvenire presso il domicilio del creditore, così come non è vincolato dall'art. 1277 c.c., il quale dispone che il pagamento debba avvenire con moneta avente corso legale. Una volta che il piano di riparto è divenuto esecutivo, su disposizione del giudice delegato, la sua attuazione viene demandata al curatore. Le modalità di pagamentoUna volta dichiarato esecutivo il piano di riparto, il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate secondo le modalità stabilite dal giudice delegato, purché idonee ad assicurare la prova dell'avvenuto pagamento (art. 115, comma 1, l.fall.). Nonostante il fatto che il pagamento sia un atto del curatore che fa seguito alla dichiarazione di esecutività del piano di ripartizione del giudice delegato, è il curatore a doversi attivare per richiedere al giudice delegato l'indicazione delle forme di pagamento più sicure, veloci ed economiche. Il legislatore, benché abbia escluso il giudice delegato dalla procedura di formazione e determinazione nel merito del contenuto del piano di riparto, ha tuttavia ritenuto che lo stesso fosse il soggetto più indicato per individuare le modalità di pagamento da assumere in concreto. In giurisprudenza è stato evidenziato che la libertà del giudice delegato si esplica anche nella facoltà di derogare a criteri legali stabiliti per l'adempimento delle obbligazioni pecuniarie quali l'art. 1182 c.c. che prevede la corresponsione di denaro contante al creditore presso il suo domicilio (Cass. n. 2827/1985). A volte è richiesto al creditore di rilasciare doppia quietanza da sottoporre a registrazione e da depositarsi in cancelleria, disponibile e consultabile dagli altri creditori in vista dell'approvazione del conto del curatore (art. 116) (Pajardi, 1291). Si ritiene anche che il giudice delegato possa decidere secondo il suo libero apprezzamento, disponendo l'utilizzo di qualunque mezzo ritenuto idoneo, purché sia assicurata la prova del pagamento stesso. Sarà, ovviamente, preferito il bonifico bancario sul conto corrente dei creditori, anche per evitare i rischi connessi alla spedizione di valori per posta ed il costo delle spedizioni tramite corriere e, secondariamente, l'invio di un assegno circolare o di un assegno bancario, entrambi non trasferibili e dietro rilascio di quietanza liberatoria. Un'alternativa al bonifico bancario potrebbe anche essere quella del vaglia postale. Qualora uno o più creditori non si attivassero per ricevere il pagamento o risultassero irreperibili, analogamente a quanto previsto dall'art. 117, comma 3, l.fall. (che tratta lo stesso argomento nella fase del riparto finale), la somma che ad essi spetterebbe sarà nuovamente depositata presso l'ufficio postale o la banca già indicati dal curatore ai sensi dell'art. 34 l.fall. e ciò terrà luogo del pagamento agli aventi diritto. Poiché è frequente che tali somme rimangano «dimenticate» dai legittimi beneficiari, la prassi si è orientata per il deposito delle somme in appositi libretti presso gli uffici postali. Decorsi 5 anni senza che nessuno abbia rivendicato le somme depositate (neanche altri creditori ancora insoddisfatti), le stesse sono acquisite, a titolo definitivo, dallo Stato. In merito agli aspetti pratico-procedurali, le concrete modalità di effettuazione di pagamento sono decise dal giudice delegato, di regola nello stesso provvedimento dichiarativo dell'esecutività del progetto di ripartizione, adottato a norma del già sopra citato art. 110, ultimo comma; a tal fine, il giudice delegato conferisce al curatore un mandato al prelievo delle somme presso l'istituto di credito ove esse sono collocate per l'effettuazione dei pagamenti con le modalità dal giudice delegato stesso stabilite. Si ricorda che, quale modalità di pagamento, nella procedura fallimentare, è escluso l'impiego dell'istituto dell'assegnazione dei beni ai creditori (Cass. n. 5069/1983). Quanto alle modalità di pagamento, ove non ritenga adeguate o idonee quelle disposte dal giudice delegato, il curatore dovrebbe rivolgersi al giudice per ottenere una loro modifica oppure discrezionalmente integrare le stesse, disattendendo quanto provenga dall'organo giurisdizionale. In proposito, in dottrina è stato evidenziata la necessità per il curatore di proporre reclamo ovvero di chiedere al medesimo giudice delegato una modifica delle indicate modalità, senza poterle integrare o modificare, salvo il potere di non procedere al pagamento qualora ritenga le modalità a lui indicate non idonee ad assicurarne la prova in conformità a quanto statuito dalla legge (Zoppellari, 571). Gli aspetti proceduraliLa nuova versione dell'art. 115 conferma l'ammissibilità della cessione del proprio credito da parte del creditore già ammesso al passivo (alcune pronunce della giurisprudenza di merito avevano ritenuto inopponibili al fallimento le cessioni di credito non notificate o non accettate dal debitore prima dell'apertura della procedura: Trib. Sulmona, 30 dicembre 2004; Trib. Torino 14 settembre 1991). Al fine di far subentrare il cessionario in luogo del cedente nello stato passivo, è necessario che la cessione sia tempestivamente comunicata (cioè prima della predisposizione del piano di riparto), con allegata la documentazione idonea a comprovarla e recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario (Di Cola, 353). Quanto al requisito dell'autentica delle firme, è chiaro l'intento di subordinare l'efficacia dell'avvicendamento soggettivo verso la massa dei creditori ad una preventiva verifica di certezza in ordine alla provenienza e alla data dell'atto di cessione. In merito alla prova, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che in sede di accertamento del passivo fallimentare del debitore ceduto, il cessionario di un credito concorsuale è tenuto a dare la prova che la cessione è stata stipulata anteriormente al fallimento soltanto ai fini di una eventuale compensazione (art. 56, comma 2, l.fall.) ovvero ai fini del voto in un eventuale concordato fallimentare (art. 127, comma 6, l.fall.), restando, altrimenti, opponibile al curatore anche se ha luogo nel corso della procedura; qualora, il credito ceduto sia stato già ammesso al passivo, il cessionario dovrà limitarsi a seguire la procedura prevista dall'art. 115 l.fall., mentre, ove il credito non sia stato ancora ammesso al passivo, dovrà dare anche la prova del credito e della sua anteriorità al fallimento se venga in discussione la sua opponibilità (Cass. n. 10454/2014). Creditori ammessi al passivoAnteriormente alla Riforma, presso taluni tribunali si riteneva necessario che il cessionario del credito o il terzo surrogato nella posizione del creditore ammesso, proponessero domanda di ammissione al passivo nelle forme della insinuazione tardiva di credito, allegando l'atto di cessione o la quietanza surrogatoria (per alcuni esempi Trib. Siena 18 luglio 1986; Trib. Orvieto 11 dicembre 1991). Altri tribunali invece ritenevano sufficiente una dichiarazione congiunta degli interessati — cedente e cessionario, creditore ammesso e creditore a lui surrogatosi-, senza il ricorso alla forma della dichiarazione tardiva di credito. L'attuale formulazione del secondo comma dell'articolo in commento, specifica che la documentazione idonea a far subentrare il cessionario in luogo del cedente, consiste in un atto di cessione recante la sottoscrizione, autenticata, di entrambi, cedente e cessionario. La cessione dovrà essere tempestivamente comunicata. Sarà, quindi, il curatore che provvederà direttamente alla rettifica dello stato passivo. A tal proposito, affinché il cessionario possa partecipare alle ripartizioni dell'attivo non è necessario che presenti domanda di insinuazione al passivo ex art. 101 l.fall. — attesa la mancanza di novità del credito — ma è sufficiente che la cessione sia stata comunicata tempestivamente (con la relativa documentazione di supporto e, in particolare, con l'atto di cessione recante le sottoscrizioni autenticate delle parti) prima della ripartizione (Cass. n. 15660/2011). Con l'aggiunta dell'ultimo periodo del secondo comma, la disciplina dei pagamenti dettata per le ipotesi di cessione dei crediti è stata estesa ai casi di surrogazione previsti dal codice civile (artt. 1201-1205 c.c.) o da leggi speciali. In questi casi, dunque, il subentro del terzo nei diritti del creditore avviene in conseguenza del pagamento del debito, e può derivare da un atto di volontà del creditore o del debitore (surrogazione convenzionale) o ex lege (surrogazione legale), quale conseguenza automatica di specifiche situazioni previste dalla legge (art. 1203 c.c.). Se il pagamento è parziale, la surrogazione è, salvo patto contrario, parziale. Fra i principali casi di surrogazione nel fallimento si annoverano quello, assai comune, dell'Inps che anticipa il pagamento del trattamento di fine rapporto ai dipendenti (art. 2, l. n. 297/1982). Allo stesso modo, l'Inps anticipa ai dipendenti le ultime tre mensilità non corrisposte dal fallito (artt. 1 e 2, d.lgs. n. 80/1992). In entrambi questi casi, l'Istituto Previdenziale si surroga nei diritti dei dipendenti/lavoratori, ove i loro rispettivi crediti fossero iscritti a passivo. Su tale aspetto, giova ricordare che il Fondo di garanzia per il t.f.r., istituito presso l'Inps, allorché abbia corrisposto quanto previsto ai lavoratori ammessi al passivo, è surrogato nei diritti e nei privilegi a questi spettanti sul patrimonio del datore di lavoro ed è munito di identico privilegio, ai sensi dell'art. 2751-bis c.c., senza alcuna graduazione ovvero ordine di precedenza dei crediti per le retribuzioni, non garantite dal Fondo, ed ammesse al concorso (Trib. Roma 26 marzo 2014). Un altro caso di surrogazione è quello della successione mortis causa. La vicenda successoria/ereditaria ha caratteri diversi dalla cessione volontaria o dalla surrogazione, infatti di norma è di tipo generale e non particolare (eccezion fatta che per il legato), generalmente, al successore mortis causa, non veniva richiesto l'esperimento della procedura specifica per conseguire l'ammissione «tardiva» al passivo (Cass. n. 1997/1995). Nel nuovo sistema, in mancanza di una norma specifica, sembra coerente che l'avente causa erede, per legittimare la sua partecipazione ai riparti, dovrà adeguatamente provare la propria qualità di successore mediante formale comunicazione al curatore della documentazione occorrente (Perrotti, 1884). La modificazione dello stato passivoDal punto di vista formale, la cessione documentata produce una modifica dello stato passivo che deve essere annotata, mediante una rettifica del curatore. In giurisprudenza è stato superato l'orientamento secondo il quale, dopo l'intervenuta dichiarazione di esecutività dello stato passivo, la modifica della titolarità del credito ammesso avrebbe reso necessaria l'insinuazione (tardiva) al passivo del credito del cessionario. Infatti, a seguito delle modifiche dell'art. 115 l.fall., intervenute con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e successivamente con il d.lgs. n. 169/2007, è sufficiente la semplice comunicazione al curatore della modifica relativa alla titolarità del credito ammesso al passivo (Cass. n. 15660/2011), con la conseguenza rettifica formale dello stato passivo da parte del curatore. Peraltro tale innovazione si applica anche ai fallimenti dichiarati prima della suddetta riforma legislativa, come chiaramente ammesso dalla giurisprudenza (App. L'Aquila, 4 maggio 2012). Tale semplificazione si applica anche in caso di surrogazione del creditore e potrà essere eseguito, con gli adattamenti opportuni, anche nel caso di successione nel credito per causa di morte. BibliografiaV. sub art. 110. |