Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 117 - Ripartizione finale1.Ripartizione finale1.
Approvato il conto e liquidato il compenso del curatore, il giudice delegato, sentite le proposte del curatore, ordina il riparto finale secondo le norme precedenti. Nel riparto finale vengono distribuiti anche gli accantonamenti precedentemente fatti. Tuttavia, se la condizione non si è ancora verificata ovvero se il provvedimento non è ancora passato in giudicato, la somma è depositata nei modi stabiliti dal giudice delegato, perché, verificatisi gli eventi indicati, possa essere versata ai creditori cui spetta o fatta oggetto di riparto supplementare fra gli altri creditori. Gli accantonamenti non impediscono la chiusura della procedura. Il giudice delegato, nel rispetto delle cause di prelazione, può disporre che a singoli creditori che vi consentono siano assegnati, in luogo delle somme agli stessi spettanti, crediti di imposta del fallito non ancora rimborsati. Per i creditori che non si presentano o sono irreperibili le somme dovute sono nuovamente depositate presso l'ufficio postale o la banca già indicati ai sensi dell'articolo 34 . Decorsi cinque anni dal deposito, le somme non riscosse dagli aventi diritto e i relativi interessi, se non richieste da altri creditori, rimasti insoddisfatti, sono versate a cura del depositario all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, ad apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia. Il giudice, anche se è intervenuta l'esdebitazione del fallito, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, su ricorso dei creditori rimasti insoddisfatti che abbiano presentato la richiesta di cui al quarto comma, dispone la distribuzione delle somme non riscosse in base all'articolo 111 fra i soli richiedenti. [1] Articolo sostituito dall'articolo 107 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoCon la ripartizione finale dell'attivo si giunge alla fase conclusiva della procedura fallimentare, che costituisce anche il momento in cui i creditori concorrenti ricevono la distribuzione del residuo attivo, al netto di tutti gli oneri sostenuti. L'art. 117, come modificato dal d.lgs. n. 5/2006, introduce importanti novità volte a rendere più veloce la chiusura del fallimento, prevedendo la possibilità di ulteriori accantonamenti in sede di riparto finale delle somme oggetto dei giudizi di accertamento. Il riparto finale comporta la distribuzione delle somme precedentemente accantonate; si prevedono però circostanze in cui ciò non è possibile, come il caso in cui la condizione non si è verificata, o il provvedimento che riconosce il credito non è ancora passato in giudicato. In questi casi il giudice delegato, sentite le proposte del curatore, ordina il riparto finale secondo le norme precedenti. Ciò vuole significare che si applicano le norme ed i principi che disciplinano le attività del giudice delegato e del curatore e quelli relativi alla materia dei reclami e delle altre impugnazioni. Il rinvio alle precedenti disposizioni, però, non va riferito agli artt. 111 a 115 l.fall., relativi al profilo sostanziale del riparto, ma all'art. 110, che disciplina il procedimento di ripartizione parziale. Deve dunque ritenersi integralmente applicabile, al procedimento di riparto finale, il procedimento previsto dall'art. 110 l.fall., sia con riferimento alle competenze degli organi che per quel che concerne le modalità di impugnazione dei singoli atti. L'art. 117 l.fall. introduce però una novità procedurale di grande rilievo rappresentata dalla possibilità di distribuire, con il riparto finale, tutti gli accantonamenti precedentemente effettuati, purché si sia verificata la condizione per quanto riguarda i crediti condizionati, ovvero sia passato in giudicato il provvedimento riguardante i crediti oggetto di giudizio (Ghia, 298). La distribuzione degli accantonamentiIn sede di riparto finale devono essere distribuiti tutti gli accantonamenti precedentemente eseguiti, salvo che si tratti, come si è detto, dei crediti sotto condizione oppure che siano stati accertati con una sentenza non ancora definitiva, in relazione ai quali le somme di denaro eventualmente spettanti devono essere depositate, su ordine del giudice delegato, sino al momento in cui si siano verificati i presupposti rappresentati. La fattispecie riguarda, in particolare, i seguenti crediti: a) crediti già ammessi ma impugnati o oggetto di domanda di revocazione, b) crediti già ammessi ma soggetti a condizione non ancora verificatasi; c) crediti che presuppongono l'escussione di un debitore principale (art. 55, comma 3, l.fall.); d) crediti accertati con sentenza anteriore al fallimento ma impugnata dal curatore; e) crediti di chi formulato opposizione allo stato passivo; f) crediti di soggetti che abbiano versato somme al fallimento in base a sentenza non ancora passata in giudicato; g) crediti tributari ammessi con riserva ex art. 88 d.P.R. n. 602/1973, nel caso di contestazione dell'iscrizione a ruolo (Bortoluzzi, 1654). Nel caso di avveramento della condizione, o di riconoscimento giudiziale del credito, le somme accantonate saranno svincolate in favore dei relativi creditori. Nell'ipotesi in cui, invece, si accertasse che i suddetti creditori non abbiano diritto a percepire le somme, si procede ad un cosiddetto «riparto supplementare» in favore di tutti gli altri creditori ammessi, tenuto conto delle prelazioni e delle quote loro spettanti (Aa.Vv. (P. Perrotti), Il nuovo diritto fallimentare, commentario, in artt. 104-266 l.fall., Ii, diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2007, 1903). A tal proposito, si ritiene peraltro che non sia necessario procedere ad un vero e proprio riparto secondo il procedimento previsto dall'art. 110 l.fall., apparendo antieconomico attivare una procedura complessa e onerosa per distribuire somme saranno generalmente di importo non elevato. A questo proposito, circa le modalità di attuazione del riparto supplementare, sono state ipotizzate due soluzioni: 1) indicazione nel riparto finale, per ciascun accantonamento specifico, dei creditori destinatari delle somme nell'ipotesi di mancato avveramento della condizione o di mancato riconoscimento giudiziale del credito; in questi casi l'approvazione del piano di riparto riguarderà anche l'eventuale destinazione futura degli accantonamenti, e l'attività del g.d. e del curatore sarà limitata ai soli aspetti esecutivi; 2) applicazione in via analogica del procedimento previsto dall'art. 117, comma 5, l.fall. per i creditori irreperibili, che prevede la distribuzione in favore dei soli creditori che ne facciano richiesta (sul punto Bortoluzzi, 117). Il deposito di somme per crediti sottoposti a condizione o sub iudiceIl mancato verificarsi di una condizione o la mancata definitività del provvedimento relativo ad un giudizio pendente, non impediscono, come precisa l'art. 117, comma 2, seconda parte, l.fall., la chiusura della procedura a condizione, però, che le relative somme siano oggetto di un apposito accantonamento secondo le modalità stabilite dal giudice delegato. Tale novità, introdotta dalla novella, costituisce una rilevante eccezione ad un principio che, dal 1942 ad oggi, ha rappresentato un principio fondamentale ed imprescindibile della legge fallimentare, per il quale la ripartizione finale avviene soltanto quando non ci siano più pendenze. In proposito, la giurisprudenza di legittimità, consapevole degli inconvenienti derivanti dalla durata dei procedimenti, aveva assunto un orientamento interpretativo che ne mitigasse le conseguenze, prevedendo la possibilità di chiudere egualmente il fallimento anche in pendenza di giudizi che avessero per oggetto l'accertamento del passivo (Cass. n. 8575/1998; Cass. I, n. 4259/1998). Premesso ciò, l'eccezione prevista dalla seconda parte del secondo comma della norma in esame postula, quindi, una possibile inversione gerarchica delle regole, poste in tema di ripartizione finale, consentendo, quindi, alla luce della riforma, di pervenire alla ripartizione finale dell'attivo, anche se non siano stati distribuiti tutti gli accantonamenti precedentemente effettuati. In tal modo si realizza quel disegno del legislatore della novella di accelerazione della procedura fallimentare (Ghia, 298), e che di recente è stato esteso anche con la previsione della possibilità di chiusura del fallimento in presenza di giudizi attivi pendenti. Secondo la dottrina, dunque, l'attuale formulazione dell'art. 117 l.fall. prevede la possibilità di accantonamenti per i casi in cui i crediti siano sottoposti a condizione non ancora verificata, oppure siano oggetto di giudizio non ancora passato in giudicato; sicché, le due ipotesi si allineano alle ipotesi di accantonamenti previsti dall'art. 113 l.fall. (Maffei Alberti, 812) Non dovrebbero rientrare, al contrario, nella fattispecie prevista dall'art. 117, comma 2, l.fall. i crediti ammessi con riserva di presentazione di titolo, visto e considerato che per questi il termine indicato dal giudice, ai sensi dell'art. 96 l.fall. per il deposito del titolo, dovrebbe essere già decorso. Il giudice stabilisce i modi del deposito degli importi da accantonare che, al verificarsi dell'evento, saranno versati ai creditori sottoposti a condizione o ai creditori già sub judice. Generalmente, appare preferibile procedere all'apertura di un libretto di deposito, vincolato all'ordine del giudice e depositato in cancelleria. A differenza dei creditori irreperibili (per i quali i commi 4 e 5 dell'articolo in esame prevedono una disciplina ad hoc), non è previsto un procedimento per lo svincolo e l'assegnazione delle somme accantonate per i creditori sub condicione o sub judice. Appare comunque necessario che il creditore interessato rappresenti e dimostri, con apposita istanza, al g.d. o, in caso di cessazione di quest'ultimo (per trasferimento, morte o altro), al Presidente della sezione competente, il verificarsi della condizione o l'esito positivo del giudizio, al fine di ottenere lo svincolo delle somme a lui spettanti. Nel caso di mancato avveramento della condizione o esclusione del credito con provvedimento passato in giudicato, le somme accantonate saranno ridistribuite agli altri creditori con un riparto supplementare. Circa la durata degli accantonamenti si sono prospettate due soluzioni: una prima ritiene che questi permangano fino a quando non si sia risolta, in un senso o in un altro, la condizione o la controversia (Miele, 2007, 935); secondo un altro orientamento, invece, gli accantonamenti sarebbero soggetti al termine di cinque anni, previsto dal quarto comma, per le somme dovute a creditori irreperibili (Clemente, 724). In questo ultimo caso trascorsi cinque anni si dovrebbe procedere ad una ulteriore distribuzione oppure al versamento allo Stato, a cura del depositario. La Relazione che accompagna la Riforma propendeva per questa ultima soluzione (Maffei Alberti, 812), anche se tale soluzione non appare soddisfacente, sia perché nel testo non vi è alcuna indicazione in tal senso (a differenza di quanto avviene per i creditori irreperibili), sia perché l'applicazione del termine si porrebbe in contrasto con lo scopo stesso dell'accantonamento, che è quello di garantire il soddisfacimento di creditori specifici, verificandosi altrimenti una decadenza dipendente dalla durata del processo nel quale si discute del riconoscimento del credito. Tali accantonamenti, pertanto, dovrebbero rimanere in essere anche dopo i cinque anni, sino al verificarsi dell'evento dirimente (Bruschetta, 1292; Zanichelli, 1333). I crediti di impostaPer favorire la speditezza della procedura, su consenso dei creditori, il giudice delegato può assegnare loro i crediti di imposta del fallito non ancora rimborsati, in luogo delle somme loro spettanti. Tale scelta è apparsa opportuna, in quanto la presenza di crediti I.V.A. non tempestivamente rimborsati dall'erario erano causa di forti ritardi nella chiusura della procedura. Considerato quindi che i rimborsi dei crediti di imposta saranno sempre futuri rispetto al riparto, in dottrina ci si chiede se si possa tenere conto del ritardo nell'incasso dei crediti di imposta, e quindi, attribuire a questi creditori un importo maggiore, a parziale ristoro, rispetto ai crediti insinuati (Miele, 2007, 935); i creditori potranno accettare o meno l'assegnazione dei crediti di imposta in luogo delle somme loro spettanti, essendo espressamente previsto dalla norma il consenso dei creditori (Clemente, 723). Alla luce di quanto esposto, è importante sottolineare che l'art. 117, comma 3, l.fall. sul punto, prevede, con un'importante innovazione rispetto al sistema previgente, che il giudice delegato possa disporre «nel rispetto delle cause di prelazione (...) che a singoli creditori che vi consentono siano assegnati, in luogo delle somme agli stessi spettanti, crediti di imposta del fallito non ancora rimborsati». Tale opportunità, alternativa al pagamento della quota di riparto spettante al creditore, agevola la chiusura della procedura evitando di dover attendere l'esito della pratica di rimborso fiscale che, come noto, richiede tempi non certo brevi: «l'aggravio di tempo occorrente alla liquidazione del credito di imposta ricade, con il suo consenso, sul singolo creditore e non su tutta la massa» (Jorio, 1094). Proprio perché tale modalità di pagamento comporta il trasferimento dell'onerosa e lunga procedura di rimborso del credito di imposta al creditore (agevolando così la massa), è necessario il consenso del creditore medesimo. Assegnazione delle somme per i creditori irreperibiliLe somme assegnate dal curatore a tutti quei creditori che non si presentano alla convocazione o sono irreperibili, devono essere depositate presso la filiale bancaria in cui è stato aperto il conto della procedura o presso l'ufficio postale stabiliti ai sensi dell'art. 34 l.fall. e, a seguito di un provvedimento del giudice delegato, sono distribuite, sempre nel rispetto dell'ordine di privilegio previsto dall'art. 111 l.fall., ai creditori che sono rimasti solo parzialmente soddisfatti in sede di riparto finale, i quali abbiano fatto un'esplicita richiesta attraverso la presentazione della domanda di ammissione al passivo, anche se fosse intervenuta l'esdebitazione del fallito. In merito all'irreperibilità, va osservato che la norma però nulla dice in merito alle modalità con cui possa essere determinato il passaggio del denaro dal conto deposito ai soggetti che dimostrino di averne diritto. Sembra che in tal caso si possa ricorrere agli stessi strumenti stabiliti per la destinazione degli accantonamenti, che prevedono la presentazione di un ricorso al giudice da parte del creditore interessato o, in alternativa, del curatore. Va comunque considerato che tali somme sono depositate su di un conto corrente formalmente intestato alla procedura fallimentare, anche se chiusa, e non pare possibile di conseguenza pensare ad un'accensione di una o più posizioni nominative vincolate a favore di tutti i singoli creditori irreperibili. Tali somme però, in base ai commi quarto e quinto dell'articolo 117 l.fall., se non sono state presentate richieste da parte dei creditori insoddisfatti, restano nel deposito prescelto per cinque anni, dopodiché sono direttamente versate allo Stato da parte della filiale bancaria o dell'ufficio postale depositario. In proposito non si è mancato di rilevare che, nell'intento di rendere effettiva la possibilità per i creditori di esercitare la facoltà prevista dal quarto comma dell'articolo in commento, forse, sarebbe stata preferibile la previsione di un'adeguata comunicazione ai creditori del deposito di somme non distribuite. Le somme non riscosseSe i creditori non hanno provveduto, nei cinque anni successivi al deposito, alla riscossione delle somme accantonate, la norma prevede due ipotesi. La prima consiste in una nuova distribuzione, la seconda nel versamento della somma all'entrata del bilancio dello Stato. Perché si dia corso ad una nuova distribuzione è necessario che i creditori ne facciano richiesta formulando apposita istanza, nelle forma di un ricorso indirizzato al Tribunale (Clemente, 724), essendo decaduti il g.d. ed il curatore. La nuova distribuzione avverrà solo per quei creditori che ne abbiano fatto richiesta. Il giudice che provvederà alla distribuzione non sarà il giudice delegato di quel fallimento, considerato che la chiusura della procedura ha fatto venire meno anche gli organi. Si tratterà, quindi, di un giudice del tribunale designato dal presidente, che preferibilmente appartenga alla sezione fallimentare. Il provvedimento sarà emanato nel rispetto del contradditorio e omessa ogni formalità non essenziale. Il contraddittorio deve essere costituito tra il fallito, che nel frattempo potrebbe aver saldato il debito, ed il creditore a cui favore fu disposto l'accantonamento; non appare invece necessario che sia presente il soggetto che all'epoca del fallimento aveva ricoperto la carica di curatore. L'istanza dovrà essere notificata al depositario delle somme, al fine di evitare che questo, nel rispetto di quanto previsto dal quarto comma, versi le somme ancora depositate allo Stato. Si ritiene in dottrina che il contradditorio non vada esteso anche ai creditori che non abbiano proposto istanza, in quanto la norma prevede che la distribuzione sia effettuata solo a favore degli istanti; coloro che non hanno presentato domanda di distribuzione non hanno un interesse alla partecipazione al procedimento, non potendo essere destinatari delle somme (Miele, cit., 936). La ratio della norma va inoltre ricercata nella necessità di rendere più agevole e più celere la nuova distribuzione. Difatti, come sopra esposto, i creditori insoddisfatti ammessi alla procedura devono così presentare al Tribunale un ricorso affinché autorizzi l'incasso delle somme non ritirate dagli aventi diritto, incaricando il curatore o il depositario per gli adempimenti esecutivi. Tale distribuzione deve avvenire in base all'ordine delle prelazioni, ma solo a favore di quei soggetti che hanno presentato la richiesta. Pertanto, l'aver presentato la richiesta è un presupposto fondamentale, dal momento che, nel caso in cui mancasse, il depositario è autorizzato a svincolare la somma depositata ed a versarla ad un'apposita voce di entrata del bilancio dello Stato (Zanichelli, 334). Le modalità rappresentate non sono andate esenti da alcune critiche. In particolare, non è mancata una certa critica della dottrina in ordine alla previsione di una distribuzione delle somme depositate soltanto in favore di coloro che abbiano fatto pervenire la richiesta, senza tener conto del fatto che si è pur sempre in presenza di un deposito ricollegabile ad una procedura concorsuale nella quale andrebbe perseguito l'interesse di tutti i creditori. Sotto tale profilo sarebbe stato più logico devolvere le somme non richieste a tutti quei creditori insoddisfatti, secondo gli stessi criteri di distribuzione della ripartizione dell'attivo, salvo l'attribuzione allo Stato dell'eventuale residuo non ripartibile (Tedeschi, 448). Convocazione del fallito e dei creditoriAlla stregua del disposto di cui all'art. 117, comma 5, l.fall., il procedimento con il quale il giudice giunge all'assegnazione delle somme non reclamate non impone specifiche formalità se non quelle che assicurino il contraddittorio e, di conseguenza, la convocazione, oltre che del fallito, di tutti i creditori che hanno fatto richiesta. In proposito, si evidenzia che, poiché non è previsto alcun avviso ai creditori dell'esistenza di residui da distribuire, onde evitare che siano soltanto i creditori amichevolmente avvertiti dal curatore o comunque i soliti ben attrezzati ad usufruire del beneficio del riparto supplementare, sarà opportuno che i creditori, già nella domanda di insinuazione, dichiarino la loro volontà di partecipare a detti eventuali riparti. La norma non prevede un termine entro il quale i creditori interessati possono presentare l'istanza di attribuzione delle somme non riscosse. Si ritiene, tuttavia, ragionevolmente che tali istanze devono essere presentate prima della scadenza del termine quinquennale assegnato ai creditori irreperibili (D'Aquino 2008, 306), fermo restando che il giudice dovrà attendere la scadenza di tale termine per provvedere allo svincolo. Il deposito all'entrata del bilancio dello StatoTrascorsi cinque anni dal deposito senza che vi siano state domande di riparto supplementare è previsto che le somme depositate siano acquisite dallo Stato; il depositario dovrà, infatti, versare tali somme all'entrata del bilancio dello Stato. Gli importi saranno poi riassegnati con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, ad apposita unità revisionale di base dello Stato. Tale disposizione evita il fenomeno della prescrizione del diritto di riscossione in favore della banca. Bibliografiav. sub art. 110. |