Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 127 - Voto nel concordato 1 .Voto nel concordato1.
Se la proposta è presentata prima che lo stato passivo venga reso esecutivo, hanno diritto al voto i creditori che risultano dall'elenco provvisorio predisposto dal curatore e approvato dal giudice delegato; altrimenti, gli aventi diritto al voto sono quelli indicati nello stato passivo reso esecutivo ai sensi dell'articolo 97. In quest'ultimo caso, hanno diritto al voto anche i creditori ammessi provvisoriamente e con riserva. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, dei quali la proposta di concordato prevede l'integrale pagamento, non hanno diritto al voto se non rinunciano al diritto di prelazione, salvo quanto previsto dal terzo comma. La rinuncia può essere anche parziale, purché non inferiore alla terza parte dell'intero credito fra capitale ed accessori. Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono assimilati ai creditori chirografari; la rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato. I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'articolo 124, terzo comma, la soddisfazione non integrale, sono considerati chirografari per la parte residua del credito. Sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti ed affini fino al quarto grado e coloro che sono diventati cessionari o aggiudicatari dei crediti di dette persone da meno di un anno prima della dichiarazione di fallimento. La stessa disciplina si applica ai crediti delle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo. I trasferimenti di crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono diritto di voto, salvo che siano effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari. [1] Articolo sostituito dall'articolo 117 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoLe riforme del 2006 e 2007 hanno significativamente novellato gli artt. 127 e 128 (v. Maffei Alberti, 856 e 861), mantenendo, comunque, la regola tradizionale secondo cui pur se la comunicazione dell'avvenuta presentazione della proposta di conc. fall., ai sensi dell'art. 125, secondo comma deve pervenire a tutti i creditori concorsuali, la legittimazione al voto — cristallizzata alla scadenza del termine fissato dal giudice delegato per le votazioni A.M. Perrino, (20-bis), 2544 — spetta in linea generale ai creditori chirografari (che, pertanto, con la proposta concordataria vedono di norma sacrificati i propri diritti: Maffei Alberti, 856), con esclusione, pertanto, dei creditori della massa e salve le precisazioni successive riferibili sia alla posizione dei creditori aventi cause di prelazione, sia alle ipotesi di esclusione dal voto (Minutoli, 1777; sulla formazione della volontà dei creditori, alla luce del principio di maggioranza e di tutela delle minoranze, v. Fabiani, 161). Pertanto i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca non hanno diritto di voto salvo rinuncia, in tutto o in parte, alla prelazione e salvo che la proposta di concordato preveda il loro soddisfacimento non integrale. Per questi ultimi, tuttavia, l'esercizio in concreto del diritto di voto è efficace allorquando la proposta ne prevede l'integrale pagamento se rinunciano al diritto di prelazione; quando la proposta non ne prevede il pagamento integrale per insufficiente capienza del bene gravato; oppure se la proposta non prevede il pagamento neppure parziale quali privilegiati per la totale insussistenza o incapienza del bene che dovrebbe costituire la garanzia (Cass. n. 3274/2011, che specifica come un credito astrattamente privilegiato va ammesso al passivo come tale anche in caso di omesso rinvenimento del bene su cui grava la garanzia, essendo rimandato alla fase del riparto l'accertamento della sussistenza in concreto del privilegio ammesso e quindi della sua realizzabilità: sicché è ben possibile che la proposta di concordato, pur a fronte di un credito ammesso al privilegio, ne preveda ab origine il soddisfacimento al chirografo, sul presupposto della ritenuta certezza della definitiva irrealizzabilità del privilegio per l'insussistenza del bene costituente la garanzia. Se la prelazione ha ad oggetto cespiti determinati non acquisiti né acquisibili al fallimento, perché inesistenti — come nel caso del privilegio del professionista per IVA di rivalsa (cfr. Lo Cascio, 963) e forse anche in caso di intervenuta distruzione del bene senza surroga ex art. 2742 c.c. (Bozza, 880) — va esclusa la stessa ammissibilità al passivo della prelazione. Se, viceversa, il cespite non è compreso nel fallimento, in ragione della sua teorica recuperabilità alla garanzia patrimoniale, in sede di verifica la prelazione va ammessa ed è riservato alla fase del riparto il trattamento del creditore come privilegiato o come chirografario a seconda che nel corso del procedimento il cespite sia stato o meno recuperato e liquidato (Cass. S.U., n. 16060/2001; sulla questione relativa al momento in cui deve accertarsi l'effettiva ed attuale esistenza del bene su cui cade la prelazione v., da ultimo, Minutoli, 865). Poiché nel concordato — salvo il caso di cessione dei beni ai creditori a fini liquidativi — non è possibile distinguere la fase dell'accertamento da quella del riparto conseguente alla liquidazione e poiché lo strumento tradizionale di recupero alla garanzia patrimoniale è costituito dall'azione revocatoria, si potrebbe ipotizzare il trattamento del credito ai fini del concordato, ancorché ammesso al passivo con la prelazione, come privilegiato o chirografario a seconda che sia stato o meno autorizzato il promuovimento dell'azione revocatoria dell'atto di disposizione del cespite e vi sia cessione delle azioni revocatorie. Poiché, peraltro, è prospettabile — almeno teoricamente — una recuperabilità del cespite attraverso l'esercizio di azioni comprese nel patrimonio del debitore, come l'azione di annullamento o l'azione di risoluzione, spettanti al cessionario dei beni indipendentemente da una espressa previsione, in caso di ammissione al passivo della prelazione sarà il proponente del concordato a dover prevedere il soddisfacimento non integrale del creditore, motivandolo con la non recuperabilità o la dubbia recuperabilità del bene (dovendosi assimilare al caso dell'impossibilità di soddisfacimento con prelazione per incapienza quello dell'impossibilità per essere il cespite oggetto della prelazione non più compreso nel fallimento), con conseguente diritto del creditore a votare e ad essere soddisfatto nella misura della proposta anziché integralmente. La veste di creditore con prelazione, al fine dell'esclusione dal voto, va quindi desunta in linea di massima dalle risultanze dello stato passivo. Poiché tuttavia il secondo comma dell'art. 127, riproducendo sul punto la formulazione contenuta nella norma antecedente la riforma, prevede l'esclusione dal voto dei creditori con prelazione ancorché la garanzia sia contestata ed il riferimento si intende fatto non solo ai creditori ammessi con prelazione con statuizione impugnata al fine del disconoscimento della prelazione, ma anche ai creditori ammessi in via chirografaria che abbiano impugnato la statuizione chiedendo il riconoscimento della prelazione (Minutoli, sub art. 127, § 6) dovranno essere esclusi dal voto, in pendenza di opposizione all'esclusione della prelazione, anche i creditori ammessi al passivo in via chirografaria. Il fideiussore non escusso, benché creditore condizionale, non è ammesso al voto, per l'esigenza di scongiurare il rischio dell'incremento indebito del passivo ai fini del voto, con conseguente alterazione delle maggioranze (App. Napoli 11 febbraio 2016). Analogamente, è da ritenere che in caso di crediti sociali garantiti da fideiussioni prestate da soci illimitatamente responsabili, il calcolo delle maggioranze va effettuato computando una sola volta il credito e non riguardo ai vari stati passivi (Minutoli, sub art. 128). Come ha evidenziato attenta dottrina (Fabiani, 993 ss., al quale si rinvia su tale importante aspetto), l'argomento del voto va adeguatamente approfondito alla luce delle regole del diritto civile, più che riguardo al momento della «votazione», tenuto conto dell'arretramento del ruolo del controllo giudiziale e del fatto che i creditori oggi si esprimono prima con il voto stesso e poi con l'opposizione: cosicché il voto appare come una porzione dell'accettazione della proposta (o, se negativo, del rifiuto della stessa) e, pertanto, dovrà essere adeguatamente informato (derivandone la necessità di una compiuta comunicazione da parte del curatore), oltreché genuino (sia quanto all'assenza di situazioni non dichiarate, sia alla luce del parametro della buona fede ex art. 1175 c.c.). Crediti con prelazione, rinuncia alla prelazione e proposta di soddisfacimento non integrale — Tenuto conto del fatto che il voto compete in generale a chi con la proposta di concordato vede sacrificati i propri diritti (Maffei Alberti, 856), la legittimazione al voto spetta, com'era già preveduto prima della riforma, anche ai creditori che, con atto di disposizione individuale del proprio diritto, abbiano rinunciato in tutto o in parte alla prelazione (con l'avvertenza che quella rinuncia vale ai soli fini del voto: Vitiello, 2008; si veda Fabiani, 1013, sulla ratio dell'esclusione dal voto dei creditori privilegiati). Nella formulazione ante riforma era previsto che «il voto per adesione deve essere esplicito ed importa rinuncia al diritto di prelazione per l'intero credito, se è dato senza dichiarazione di limitata rinuncia». Nella dizione attuale la norma prevede che i creditori con prelazione «non hanno diritto di voto se non rinunciano al diritto di prelazione... la rinuncia può essere anche parziale, purché non inferiore alla terza parte...». In caso di rinuncia espressa non è dubbio che, ove non limitata a parte del credito, non possa che essere intesa come rinuncia alla prelazione per l'intero credito. Non essendo più preveduta espressamente una rinuncia tacita, ricollegantesi all'espressione del voto, occorre chiedersi se la dichiarazione di voto debba essere necessariamente valutata come rinuncia alla prelazione o se si debba verificare in concreto la concludenza del comportamento del creditore, che potrebbe, ad esempio, ignorare la norma che esclude dal voto i creditori con prelazione. Sembra pertanto opportuno che nella comunicazione ai creditori, che va indirizzata a tutti i creditori — compresi quelli con prelazione dei quali è previsto il soddisfacimento integrale — non soltanto venga specificato, come previsto dal secondo comma dell'art. 125, che «la mancata risposta sarà considerata come voto favorevole», ma che venga richiamata l'attenzione dei creditori sulle conseguenze di un voto esplicito di adesione. Sono poi ammessi al voto i creditori con prelazione dei quali — con una proposta destinata ad essere accettata con efficacia vincolante dalla maggioranza dei creditori della classe — sia previsto il soddisfacimento non integrale. Sia con riferimento al caso di rinuncia alla prelazione che a quello di proposta di soddisfacimento non integrale è preveduta la degradazione a chirografo, sia pure con differenti dizioni letterali («per la parte non coperta dalla garanzia sono assimilati ai creditori chirografari», rispettivamente «sono considerati chirografari per la parte residua del credito»), alle quali non sembra potersi attribuire un qualche rilievo. Ambito e misura del computo del voto in caso di rinuncia parziale e di proposta di soddisfacimento non integrale — Prima della riforma in caso di rinuncia, totale o parziale, alla prelazione il voto doveva essere necessariamente computato nell'ambito della collettività dei creditori chirografari, che era l'unica chiamata a votare e non consta si sia mai dubitato che, in caso di rinuncia parziale, il voto dovesse essere computato per importo corrispondente a quello della rinuncia alla prelazione. Nel nuovo sistema deve ritenersi che nel concordato senza classi il voto vada parimenti computato nella misura della rinuncia alla prelazione e l'ambito continui ad essere quello della collettività dei creditori. Nel concordato con suddivisione dei creditori in classi il voto dovrà essere computato nell'ambito della classe di chirografari cui afferisce il creditore rinunciante alla prelazione (classe fornitori, classe banche, ecc.), ma la misura sarà sempre quella dell'importo non coperto dalla prelazione. In caso di proposta di soddisfacimento non integrale se, come crediamo, è sempre necessaria la suddivisione in classi anche quando riguarda crediti con prelazione su cespiti determinati ed è indirizzata ad un singolo creditore (supra, sub art. 124), l'ambito del voto è sicuramente quello della classe. In proposito occorre considerare che i creditori della classe (ad esempio i creditori con ipoteca sullo stesso immobile in parità di grado, i creditori con privilegio generale dello stesso grado) hanno un interesse comune, quello all'accettazione o meno, in alternativa alla liquidazione concorsuale, di un soddisfacimento non inferiore a quello del valore del cespite gravato, risultante dalla perizia giurata. Ma, essendo considerati chirografari per la parte residua del credito, deve ritenersi abbiano diritto anche al soddisfacimento, per questa parte del credito, in misura corrispondente a quella proposta alla collettività dei creditori chirografari od alla classe di creditori chirografari cui dovrebbero afferire (contra, nel senso che la equiparazione a chirografo per la parte residua del credito vale ai fini del voto, ma non a quello di un soddisfacimento in percentuale, «per definizione escluso per la quota di credito privilegiata non soddisfatta», Vitiello § 2); e per la parte di credito degradata a chirografo hanno un interesse omogeneo a quello dei creditori chirografari, sicché è ipotizzabile che il loro voto venga computato nella classe cui afferiscono per accettare o meno la proposta di parziale degradazione a chirografo e, inoltre, nella classe dei creditori chirografari cui possano essere ricondotti (banche, fornitori, ecc.) per accettare il soddisfacimento nelle forme e nella misura proposta ai creditori chirografari. Si scrive nella Relazione che questi creditori sono equiparati ai creditori chirografari per parte residua del credito «e quindi in tale misura sono ammessi al voto» e non par dubbio che in questa misura il voto dei creditori con prelazione cui è stato proposto un soddisfacimento non integrale debba essere computato per il raggiungimento di una delle due maggioranze richieste per l'approvazione del concordato con classi, quella dei crediti ammessi al voto. Occorre, però, chiedersi se nella stessa misura il voto debba essere computato nell'ambito della classe, per il raggiungimento dell'altra maggioranza richiesta, quella delle classi. Si è sostenuto che il computo debba essere fatto sull'intero credito (Stanghellini, 1059) e questa è in effetti l'unica lettura possibile quando ad una classe di creditori con prelazione venga proposto il soddisfacimento mediante pagamento dell'intero credito, però con ampia dilazione; ma non è certo ipotizzabile che il raggiungimento della prima maggioranza, quella dei crediti ammessi al voto, possa essere legato al computo dell'intero credito dei creditori con prelazione cui viene proposto il soddisfacimento non integrale. La soluzione più logica sembra pertanto quella del computo del voto dei creditori con prelazione per il raggiungimento della maggioranza nella classe nella misura dell'intero nominale e per il raggiungimento della maggioranza generale dei creditori aventi diritto al voto nella misura della degradazione a chirografi. In questo contesto sembra ragionevole ipotizzare che nella misura della parte residua del credito il voto dei creditori cui è proposto il soddisfacimento non integrale debba essere computato assieme a quello degli altri creditori per il raggiungimento della maggioranza nella classe dei creditori chirografari cui detti crediti si possano considerare appartenenti. Creditori chirografari con proposta di soddisfacimento integrale — La proposta di concordato, se può essere indirizzata anche ai creditori con prelazione offrendo loro un soddisfacimento non integrale, è indirizzata principalmente, quando non esclusivamente, ai creditori chirografari, destinati a sopportare i maggiori sacrifici e perciò sempre chiamati a votare. Nel sistema del concordato con suddivisione dei creditori in classi, quando è previsto il soddisfacimento integrale dei creditori con privilegio generale — ed il soddisfacimento dei creditori con prelazione su cespiti determinati nella misura della capienza che non comporta una reale deviazione dalle regole sulla collocazione dei crediti (in questo senso v. da ultimo, De Marchi), è possibile, anche se non frequente, che la proposta, accanto al soddisfacimento parziale di varie classi di creditori chirografari, preveda il soddisfacimento integrale di una singola classe, ad esempio quella dei piccoli creditori (Maffei Alberti, 858). Poiché l'esclusione dal voto dei creditori con prelazione è fondata sulla previsione del loro soddisfacimento integrale, si è sostenuto che l'esclusione debba essere estesa anche a questa classe di creditori chirografari (Ambrosini e De Marchi, 125; Bertacchini, sub art. 127, § 3; Minutoli, 1789; contra Stanghellini, § 3.10). Al riguardo, si è motivatamente affermato che il creditore chirografario può avere un interesse al voto (eventualmente per esprimerlo in senso negativo) in relazione all'esigenza di sicurezza o meno dell'adempimento degli obblighi concordatari da parte di un assuntore non necessariamente affidabile, esattamente come i creditori con prelazione dei quali è previsto il soddisfacimento integrale (Fabiani, 1012, secondo cui tutti coloro che appartengono al ceto creditorio chirografario vanno ammessi al voto per l'intero importo del loro credito). Tuttavia, tale opinione (che mette l'accento sulla legittima esigenza di chi ritiene che la liquidazione concorsuale possa dare un risultato più tranquillizzante) rischia di falsare l'approvazione del concordato, facendo dipendere il raggiungimento di entrambe le maggioranze — quella dei creditori aventi diritto di voto e quella della maggioranza di classi — dal voto di creditori non aventi un interesse all'accettazione di una proposta dilatoria e/o remissoria indirizzata agli altri creditori (profilo giustamente sottolineato, da Stanghellini, § 3.10). Tenendo conto che analogo interesse all'affidabilità del proponente o dell'assuntore potrebbero avere i creditori privilegiati soddisfatti, sembra quindi preferibile una interpretazione estensiva della disciplina dell'esclusione dal voto, in quanto fondata sulla previsione del soddisfacimento integrale, cui consegue la sostanziale estraneità all'accordo concordatario, e riferita espressamente ai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca solo perché collocata nell'ambito di una norma che, innovando rispetto al sistema pregresso, ha riconosciuto la possibilità di offrire un soddisfacimento non integrale a creditori che precedentemente dovevano necessariamente ricevere un pagamento integrale e senza dilazione. La rispondenza della regola dell'esclusione dal voto dei creditori ai quali è proposto il soddisfacimento integrale, privilegiati o chirografari che siano, in quanto ad essi nulla viene richiesto con la proposta di concordato, trova riscontro, sul piano comparatistico, nella previsione del secondo comma del § 237 della Insolvenzordnung tedesca («i creditori i cui crediti non sono pregiudicati dal piano non hanno diritto al voto»). I crediti postergati, come abbiamo già osservato (supra, sub art. 124) ai crediti sorti come chirografari (od anche come privilegiati) postergati con atti di disposizione individuale in vista della soluzione concordataria, deve essere proposto un soddisfacimento o, quanto meno, una prospettiva di soddisfacimento. Sono quindi chiamati sempre a votare: nel concordato senza classi assieme ai creditori chirografari non postergati e nel concordato con classi in una classe distinta da quella dei creditori chirografari. Viceversa i crediti sorti come postergati per effetto della riqualificazione di un finanziamento operata da una norma di legge (finanziamenti sostituitivi di apporti di capitale) o di una scelta operata sin dall'origine dai sottoscrittori di un'operazione di finanziamento (obbligazioni subordinate, strumenti finanziari subordinati), di regola sono destinati a rimanere insoddisfatti nelle procedure di concordato; sono perciò esclusi dal voto. Se, tuttavia, un qualche soddisfacimento viene preveduto anche per essi, sono chiamati a votare nell'ambito di una classe. La riforma della crisi d'impresa e dell'insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14)Per il commento v. sub art. 124. Accertamento dei crediti, diritto di voto e diritto al soddisfacimentoElenco provvisorio e verbale di stato passivo — In caso di proposta anticipata (supra, sub art. 124) sono ammessi al voto i creditori risultanti dall'elenco provvisorio predisposto dal curatore ed approvato dal giudice delegato (sulla criticità di tale previsione, con la possibilità di escludere da quell'elenco i creditori per i quali risultino ragioni di condizionamento dell'esigibilità o riserve di vario genere, v. Di Cecco, 1743; v. anche Minutoli, 1788 sul rapporto tra la norma in esame e l'art. 128 l.fall., in tema di irrilevanza sul calcolo della maggioranza necessaria per l'approvazione del conc. delle eventuali variazioni del numero dei creditori ammessi o dell'ammontare dei loro crediti, alle condizioni ivi previste: sul punto, v. infra). Trovando applicazione anche in tal caso la regola del silenzio-assenso vengono quindi computati ai fini del raggiungimento della maggioranza non soltanto crediti non ancora verificati secondo il rito dell'accertamento dello stato passivo, ma anche crediti che potrebbero non venir insinuati. L'attenzione è stata, tuttavia, rivolta essenzialmente al carattere provvisorio del riconoscimento del credito ed è stata prospettata l'impugnabilità ex art. 26 del decreto di approvazione dell'elenco contro l'esclusione o l'inclusione di un determinato credito nell'elenco medesimo (Vitiello, § 1). In proposito, posto che le determinazioni sul voto non influiscono sul diritto al soddisfacimento, le contestazioni dell'inclusione od esclusione dall'elenco possono assumere rilevanza soltanto in caso di voto marginale, come quelle relative all'ammissione o meno al voto nel concordato preventivo da parte del giudice delegato nel corso dell'adunanza dei creditori. Occorre peraltro distinguere: se ne è derivato l'accertamento dell'approvazione del concordato la contestazione va sollevata con opposizione ad omologa fondata sull'assunto del mancato raggiungimento della maggioranza; se ne è derivato l'accertamento della mancata approvazione del concordato, ad essere impugnato dovrebbe essere il decreto del giudice delegato che, in esito alla votazione, dispone non procedersi all'apertura del giudizio di omologa. Quando la proposta di concordato viene presentata dopo il decreto di esecutività dello stato passivo il voto spetta ai creditori ammessi, anche provvisoriamente o con riserva. Prima del decreto correttivo l'ammissione in via provvisoria era preveduta in caso di mancata contestazione da parte del curatore e dei creditori intervenuti nel giudizio di impugnazione. Cass. on il decreto correttivo detta previsione è scomparsa ed è disciplinata espressamente soltanto la decisione definitiva (art. 99, undicesimo comma). Muovendo, tuttavia, dalla premessa che non sono stati modificati l'art. 113, che prevede l'accantonamento delle quote assegnate a creditori opponenti a favore dei quali sono state disposte misure cautelari e l'art. 127, che attribuisce il diritto di voto ai creditori ammessi provvisoriamente, si è affermato che rimane consentita, come misura cautelare, un'ammissione provvisoria (Bonfatti- Censoni, 42; Bozza, 1053 ss., 1066; Jorio-Fabiani, 45). Fra i creditori ammessi in via provvisoria vengono ricompresi i creditori non ammessi a stato passivo, la cui opposizione è stata accolta con provvedimento non passato in giudicato. Nel sistema previgente era attribuito carattere provvisoriamente esecutivo alla sentenza emanata in esito ad opposizione a stato passivo ed a fronte di chi sosteneva, in aderenza al significato dell'espressione adoperata dal legislatore, che all'opponente vittorioso spettava il diritto all'attribuzione delle quote di riparto (Lanfranchi, 548) si contrapponeva la tesi di chi affermava che l'opponente vittorioso dovesse essere equiparato al creditore ammesso provvisoriamente e gli dovesse essere riconosciuto soltanto un diritto agli accantonamenti (Bonsignori, 609) e quest'ultima tesi, influenzata da preoccupazioni di carattere pratico, aveva finito con il prevalere. Con la riforma all'opponente vittorioso è stato espressamente riconosciuto soltanto il diritto all'accantonamento (art. 113, primo comma, n. 3), esattamente come all'opponente a favore del quale sono state disposte misure cautelari (art. 113, primo comma, n. 2). La valutazione positiva sul credito espressa nei due casi in via cautelare o in esito ad un giudizio finale ma non definitivo giustifica in entrambi il riconoscimento del diritto di voto nel concordato. Resta aperto il problema del diritto di voto del creditore ammesso la cui ammissione sia stata impugnata quando il procedimento sia stato definito con provvedimento di esclusione non passato in giudicato. Le variazioni intervenute prima della scadenza del termine per le votazioni, come si evince dalla disposizione del terzo comma dell'art. 128, secondo la quale sono ininfluenti al fine del calcolo delle maggioranze le variazioni intervenute dopo la scadenza del termine per le votazioni, l'ammontare dei crediti ammessi al voto può essere stabilito soltanto dopo la scadenza del termine. Ne consegue che in caso di proposta anticipata di concordato, sulla quale i crediti sono ammessi al voto sulla base dell'elenco provvisorio, se prima della scadenza del termine per le votazioni risulterà emanato il decreto di esecutività dello stato passivo il computo dovrà essere effettuato sulla base delle risultanze di quest'ultimo, che rientra a pieno diritto fra i provvedimenti che comportano «variazioni dei crediti ammessi o dell'ammontare dei singoli crediti» (cfr. anche Perrino, 2544 e 2552 s.). Fra le variazioni dei crediti ammessi al voto sulla base delle risultanze dell'elenco provvisorio o del decreto di esecutività dello stato passivo vanno comprese sia variazioni in aumento in dipendenza dell'accoglimento di insinuazioni tardive e di opposizioni a stato passivo, sia variazioni in diminuzione, che possano conseguire all'accoglimento di impugnazioni di crediti ammessi od a rinunce ad ammissioni già disposte. In caso di proposta anticipata le variazioni in diminuzione possono dipendere anche dalla mancata insinuazione di crediti ricompresi nell'elenco provvisorio. Accertamento dei crediti e diritto al soddisfacimento. Diritto di voto e diritto al soddisfacimento operano su piani differenti. Il diritto di voto spetta sulla base di un accertamento del credito avente carattere di definitività (ammissione a stato passivo con statuizione definitiva) ed in tal caso al diritto di voto si accompagna il diritto al soddisfacimento — salvo il caso, marginale dell'impugnazione straordinaria per revocazione — ma può spettare anche sulla base di un elenco provvisorio o di una statuizione non definitiva di ammissione a stato passivo provvisoria o con riserva o, ancora, impugnabile o impugnata. Il diritto al soddisfacimento può quindi dipendere da variazioni che costituiscono l'effetto di provvedimenti successivi alla scadenza del termine per la votazione, ininfluenti per il calcolo delle maggioranze. Queste variazioni possono riguardare lo stato passivo del fallimento (accoglimento di opposizione, insinuazioni tardive, scioglimento della riserva ex art. 113-bis), ma stante l'obbligatorietà del concordato per tutti i creditori anteriori compresi quelli che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo (art. 135), possono consistere anche in una sentenza emanata nella fase di esecuzione del concordato in contraddittorio con colui o con coloro che sono obbligati all'adempimento. Il diritto al soddisfacimento può quindi spettare anche a creditori cui, per non essersi insinuati allo stato passivo, non sia stato attribuito il diritto di voto. Il diritto al soddisfacimento è tuttavia legato all'insinuazione nel caso di concordato con assunzione, in presenza della clausola — del resto abituale — di limitazione della responsabilità ai crediti insinuati alla data della proposta di concordato. La norma relativa alla limitazione della responsabilità dell'assuntore è formulata avendo presente il caso di presentazione della proposta dopo il decreto di esecutività dello stato passivo. Non sembra, tuttavia, condivisibile l'affermazione che la clausola in questione non è proponibile in caso di proposta anticipata (così, invece, Bertacchini, sub art. 124, § 7). È certamente vero che l'ammissibilità della clausola, non prevista espressamente prima della riforma, veniva comunemente giustificata in considerazione dell'esigenza per l'assuntore di valutare il rischio assunto (per una rassegna delle opinioni in proposito cfr. Bonsignori, sub art. 135, § 12). Ma occorre considerare che anche l'elenco provvisorio approvato dal giudice delegato può non essere sufficiente a mettere l'assuntore al riparo da pretese creditorie impreviste, e l'esigenza di speditezza, cui è ispirata la proponibilità anticipata di un concordato da parte dei terzi, sarebbe pregiudicata da un'interpretazione implicante sostanzialmente un limite alla proponibilità del concordato da parte di terzi, atteso che ordinariamente sono disposti a proporre un concordato con assunzione, ma solo con limitazione della responsabilità. Vero è piuttosto che la limitazione in tal senso non può essere cronologicamente riferita al momento della presentazione della proposta di concordato e la responsabilità dell'assuntore va necessariamente estesa alle domande di ammissione allo stato passivo presentate sino alla scadenza del termine fissato nella sentenza di fallimento. Una volta acquisito il parere del curatore e quello del comitato dei creditori ed eseguito il vaglio di ammissibilità della proposta, il giudice delegato dispone con decreto che la domanda di concordato — unitamente ai predetti pareri — venga comunicata dal curatore ai creditori affinché esprimano il loro voto in ordine all'approvazione. Con il medesimo provvedimento, il giudice delegato fornisce le indicazioni in ordine alle modalità di voto, specificando: dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione; alla comunicazione devono, comunque, essere allegati, oltre alla proposta, i pareri del comitato dei creditori e del curatore; che l'eventuale silenzio del creditore che non faccia pervenire il proprio voto verrà considerato come assenso alla proposta; un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a trenta entro cui devono essere espresse le eventuali espressioni di dissenso. Il curatore comunica il decreto ai creditori a mezzo posta elettronica certificata e il termine per la manifestazione del dissenso decorre dal ricevimento della comunicazione. Nel caso in cui vi sia un rilevante numero di creditori, il giudice può autorizzare il curatore a dare notizia della proposta di concordato, anziché con comunicazione ai singoli creditori, mediante pubblicazione del testo integrale della medesima su uno o più quotidiani a diffusione nazionale (art. 126 l.fall.). Nulla dice la norma circa i destinatari della comunicazione, ma si deve tuttavia propendere per un'interpretazione di tipo estensivo: tutti i creditori — risultanti dallo stato passivo esecutivo o dall'elenco provvisorio approvato dal giudice delegato — debbono ricevere la comunicazione, onde avere un'informazione completa sulla vicenda che può determinare la chiusura della procedura concorsuale e incidere sulla loro posizione creditoria. Se la società fallita ha emesso obbligazioni o strumenti finanziari «oggetto della proposta di concordato», la comunicazione è altresì inviata agli organi che hanno il potere di convocare le rispettive assemblee «affinché possano esprimere il loro eventuale dissenso»; in tal caso il termine concesso ai creditori dal giudice delegato per le loro dichiarazioni di dissenso «è prolungato per consentire l'espletamento delle predette assemblee» (art. 125 l.fall.). In assenza di una delibera assembleare, è pacifico che ciascuno degli obbligazionisti sia titolare del diritto di voto (e dunque possa esprimere il proprio dissenso) al pari di ogni altro creditore. Maggiormente controversa è l'ipotesi in cui sia stata preventivamente assunta una delibera assembleare; in tal caso, infatti, ai fini del calcolo della maggioranza necessaria all'approvazione del concordato potrebbe essere necessario operare una scelta tra la posizione assunta dagli obbligazionisti in seno all'organo collettivo e la posizione individuale di ciascuno di essi che potrebbe avere interesse ad esprimere individualmente il voto al pari di ogni altro creditore. Esclusione dal voto di soggetti determinatiEsclusioni in ragione di rapporti con il fallito — Il quinto comma dell'art. 127 ripropone un'antica disciplina di importanza ormai marginale perché relativa al caso di fallimento di persona fisica. La formulazione della norma non è mutata rispetto a quella del 1942, con evidente difetto di coordinamento con la nuova normativa, attesa l'estensione ai creditori ed ai terzi della legittimazione a proporre il concordato (Vitiello, § 3). L'esclusione dal voto e dal computo delle maggioranze, come prima della riforma, è estesa ai cessionari ed aggiudicatari dei crediti di dette persone da meno di un anno prima della dichiarazione di fallimento, considerandosi l'acquisto — volontario o coattivo — presuntivamente volto a influire sulla formazione della maggioranza in quanto intervenuto in un arco temporale corrispondente a quello che era il periodo sospetto legale per gli atti normali. Costituisce una apprezzabile novità l'esclusione dal voto e dal calcolo delle maggioranze dei crediti delle società controllanti, controllate o sottoposte a comune controllo (e dei cessionari e aggiudicatari dei crediti di dette persone da meno di un anno), peraltro prevista per il solo concordato fallimentare, non anche per il concordato preventivo, con l'introduzione di un elemento di asimmetria (Bertacchini, sub art. 127, § 5), che favorisce la regolazione preventiva della crisi nell'ambito del gruppo. Esclusione dei crediti acquistati dopo il fallimento — L'esclusione, già prevista prima della riforma, secondo quanto si è sempre ritenuto, riguarda esclusivamente i trasferimenti inter vivos (v., per tutti, Bonsignori, sub art. 127, § 7) e, benché riferita soltanto al voto, riguarda anche il computo delle maggioranze come risulta inequivocabilmente dalla norma dell'art. 128, che fa riferimento alla maggioranza «dei crediti ammessi al voto». L'anteriorità del trasferimento alla dichiarazione di fallimento attribuisce il diritto di voto soltanto se opponibile ai terzi (cfr. Cass. n. 814/2016 in tema di cessione del credito rilevante ai fini del voto, essendo necessaria la prova di quel dato temporale, mentre di norma la cessione è opponibile al curatore anche se effettuata durante la procedura). L'anteriorità del trasferimento alla dichiarazione di fallimento attribuisce il diritto di voto soltanto se opponibile ai terzi. Anche questa esclusione dal voto non è preveduta per il concordato preventivo (v. sul punto Lo Cascio, 719 s.), anche se un'estensione della regola dell'esclusione al voto con riferimento alla data di apertura della procedura appare comunque prospettabile (Guglielmucci, 594). Al principio recepito dalla disciplina previgente la riforma ha apportato una rilevante eccezione, riconoscendo il diritto di voto ai crediti trasferiti dopo il fallimento a favore di banche o altri intermediari finanziari. Il ruolo, così riconosciuto alle banche e agli intermediari finanziari, di protagonisti nella gestione delle crisi, rende tuttavia possibili operazioni speculative che richiedono una particolare attenzione da parte degli organi del fallimento all'interesse della collettività dei creditori e pone problemi particolarmente delicati — in particolare sotto il profilo del conflitto di interessi — quando la proposta formulata dal cessionario dei crediti concorra con proposte presentate da altri legittimati. Il problema del conflitto di interessi e dell'abuso del diritto nel concordato fallimentare è affrontato da Cass. n. 3274/2011 (v. anche N. Nisivoccia 421), secondo cui una tale posizione di contrasto non è configurabile tra creditori uti singuli e creditori appartenenti alla massa dell'assemblea dei votanti, posto che il fallimento non è un soggetto giuridico autonomo di cui i creditori siano partecipi e il complesso dei creditori concorrenti viene costituito in corpo deliberante in modo casuale e involontario. Le maggioranze per l'approvazione del concordatoLa maggioranza nel concordato senza suddivisione dei creditori in classi, con la riforma è stata soppressa la prescrizione della doppia maggioranza, per capitale e per quote di interessi, e l'unica maggioranza richiesta è stata ridimensionata, richiedendosi esclusivamente la maggioranza (non qualificata) dei crediti ammessi al voto. La riduzione della maggioranza per l'approvazione del concordato, unitamente alla conservazione del criterio del silenzio-assenso, se favorisce indubbiamente la soluzione concordataria in conformità all'intenzione del legislatore, rende anche possibile che ad assumere un rilievo determinante siano creditori scarsamente consapevoli (cfr. Minutoli, sub art. 128, 1787). È certamente vero che l'espressione di un voto consapevole dovrebbe essere assicurata dal parere del curatore — prima ancora che da quello del comitato dei creditori, del quale fanno parte creditori che spesso solo teoricamente sono chiamati a tutelare l'interesse della collettività dei creditori medesimi — ma le modalità con le quali, secondo quanto comunemente si ritiene, i pareri vanno comunicati (supra, sub artt. 125-126, II, § 6) non agevolano una attenta valutazione della proposta. Va quindi salutata con favore la prassi che sembra si stia instaurando presso alcuni tribunali, di prevedere — nei casi di maggior rilievo e segnatamente quando i creditori sono chiamati a scegliere fra più proposte concorrenti — una convocazione informale dei creditori da parte del curatore per illustrare la o le proposte prima della stesura finale e del deposito del suo parere. Le maggioranze nel concordato con suddivisione dei creditori in classi — con il decreto correttivo, nell'intendimento di favorire ulteriormente la soluzione concordataria, per l'approvazione del concordato è stata richiesta non più la maggioranza dei crediti ammessi al voto in ciascuna classe, ma, accanto alla maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza globale dei crediti), la maggioranza nel maggior numero delle classi (maggioranza delle classi), dovendosi a tal fine tener conto solo delle classi di creditori ammessi al voto, non essendo stata più riproposta la previsione in precedenza contenuta nell'ultimo comma dell'art. 129, del computo come favorevoli delle classi di creditori non ammessi al voto. È certamente vero che anche in precedenza il concordato poteva essere omologato dal tribunale pur quando, accanto alla maggioranza globale dei crediti, fosse stata raggiunta soltanto la maggioranza nel maggior numero delle classi, ma soltanto previa verifica, su richiesta di omologazione da parte del proponente il concordato, che i creditori delle classi dissenzienti non potessero conseguire un soddisfacimento migliore attraverso le alternative concretamente praticabili. La verifica della non convenienza del concordato per la o le classi dissenzienti, è tuttora possibile. Ma la necessità della proposizione di opposizione ad omologa da parte di un creditore appartenente alla classe dissenziente — e quindi anche di sopportare i costi dell'iniziativa giudiziale che occorre assumere — rende evidente come detta verifica sarà, oltre che eventuale, anche piuttosto infrequente. Rimane così sottolineata la importanza strategica della scelta delle classi (Minutoli, 1789) ed evidenziata l'esigenza di una particolare attenzione da parte del tribunale nella verifica del corretto utilizzo dei criteri di suddivisione dei creditori in classi e dei trattamenti differenziati (sulla quale v. supra, sub artt. 125-126). Alla previsione del controllo di razionalità — sia pure solo su opposizione ad omologa — del dissenso delle classi di minoranza, fa riscontro l'assenza di un controllo di razionalità del dissenso quando provenga dalla maggioranza delle classi, che preclude l'approvazione del concordato anche se vi sia un'ampia maggioranza globale dei crediti (v. supra, sub art. 124). Secondo Cass. n. 16738/2011, l'intervenuta approvazione del concordato da parte dei creditori (ai quali spetta ogni valutazione di convenienza della proposta) sana ogni irregolarità del parere reso dal comitato dei creditori, ivi compresa la mancanza di una succinta motivazione, che non ne comporta l'inesistenza, ma solo una nullità relativa. Le regole per l'individuazione dei soggetti aventi diritto al voto sono indicate nell'art. 127, l.fall.: nell'ipotesi in cui la proposta di concordato sia presentata prima della dichiarazione di esecutorietà dello stato passivo, sono ammessi ad esprimere il voto tutti i creditori risultanti dall'elenco provvisorio predisposto dal curatore ai sensi dell'art. 89, l.fall. ed approvato dal giudice delegato. una volta reso esecutivo lo stato passivo, sono legittimati al voto i soli creditori ammessi, anche provvisoriamente o con riserva. In ipotesi di cessione del credito, i cessionari possono esercitare il diritto di voto solo se il loro acquisto è precedente la dichiarazione di fallimento, «salvo che» i trasferimenti del credito «siano effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari»; in tal caso è consentito agli istituti di credito di poter votare in sede di approvazione del concordato. Possono poi esprimere il proprio consenso ovvero il diniego alla proposta concordataria i creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca: delle cui ragioni di credito la proposta (ricorrendo i presupposti di cui all'art. 124, comma 3, l.fall.) preveda una soddisfazione solo parziale; che rinuncino, in misura non inferiore alla terza parte del credito, («fra capitale ed accessori»; v. art. 127, comma 2, l.fall.) al diritto di prelazione; la rinuncia, che ha effetto ai soli fini del concordato, comporta l'assimilazione dei creditori privilegiati a quelli chirografari «per la parte di credito non coperta da garanzia» (v. art. 127, comma 3, l.fall.). Ai fini del calcolo delle maggioranze, il voto dei creditori muniti di causa di prelazione viene computato solo per la parte garantita rimasta insoddisfatta. Non possono votare la proposta di concordato il coniuge del fallito, i suoi parenti e gli affini fino al quarto grado nonché i soggetti che, nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, si sono resi cessionari o aggiudicatari delle ragioni di credito del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado del fallito. Sono invece ammessi al voto i conviventi del fallito ed i creditori che siano anche proponenti; non vi è obbligo di dichiarare il conflitto di interesse né di astenersi dalla votazione (art. 40 l.fall.). Il voto su più proposte di concordato. RinvioL'art. 128, comma 4 (introdotto dalla l. n. 69/2009 ha disciplinato ex novo quanto ai profili del voto la questione della pluralità delle proposte di concordato fallimentare prevista dall'art. 125, stabilendo che si considera approvata quella tra esse che ha conseguito il maggior numero di consensi a norma dei commi precedenti e, in caso di parità, privilegiando il criterio obiettivo temporale (la proposta presentata per prima). Autorevole dottrina non ha mancato di evidenziare l'importanza di una tale previsione, nel contesto di una possibile apertura di un mercato delle imprese in crisi o concorrenzialità, valorizzando il concordato fallimentare come proficua occasione di investimento. La scelta legislativa, invero, si raccorda al nuovo intervento arbitrale del giudice delegato, che può avviare al voto proposte non approvate dal comitato dei creditori. L'espresso richiamo ai criteri di votazione di cui ai commi precedenti implica che la locuzione «il maggior numero dei consensi» si riferisca alla maggioranza per valore del credito e non per teste: con tutte le complicazioni discendenti dal principio del silenzio-assenso. Peraltro, è stato correttamente evidenziato (Di Cecco, 1763-1765) la criticità derivante dalla possibile eterogeneità delle proposte e delle conseguenti differenti maggioranze, in considerazione, ad es., della concorrenza di proposte che prevedano, diverse percentuali di pagamento parziale dei creditori privilegiati e di altre che ne prevedano l'integrale pagamento: ciò comporterà che si amplierà o meno la base di calcolo, poiché l'entità dei crediti ammessi al voto è diversa per ciascuna proposta, con tutte le conseguenti difficoltà derivanti dalla non necessaria coincidenza del più alto valore assoluto di consensi e del minor dissenso assoluto o del più altro gradimento in termini percentuali (Minutoli, 1789). La soluzione suggerita è nel senso che, ai fini della selezione della proposta maggiormente preferita dovrebbero computarsi nel calcolo del consenso ricevuto da ciascuna proposta anche i crediti privilegiati non degradati (che, in quanto non votanti ma soddisfatti, debbono considerarsi favorevoli), eliminando, così, all'origine ogni diversità di calcolo (in tal senso Di Cecco, 1764 e, quanto al regime ex d.lgs. n. 169/2007, Fabiani, 353, che evidenzia la necessità di ritenere approvata la proposta che ha ottenuto meno dissensi). BibliografiaBertacchini, Commento sub. art. 127, in Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013; Bonfatti– Censoni, La riforma della disciplina dell'azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006; Bonsignori, Sub art. 135, in La legge fallimentare. Commentario teorico pratico, Padova, 2011; Bozza, La proposta di concordato preventivo, la formazione delle classi e le maggioranze richieste, in Fall. 2009; De Marchi, Fallimento e altre procedure concorsuali: normativa e giurisprudenza ragionata, Milano, 2009; Di Cecco, sub art. 125, in La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010; Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2010; Jorio-Fabiani, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, diretto da Jorio-Fabiani, Bologna, 2010; Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2014; Lo Cascio, «Il concordato fallimentare aspetti attuali e prospettive future», in Fall. 2011; Maffei Alberti, Cass. ommentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013; Minutoli, sub artt. 127 e 128, in La legge fallimentare commentario teorico pratico, Padova, 2014; Nisivoccia, Il nuovo concordato fallimentare, in Riv. dir. proc. 2009; Perrino, Il concordato fallimentare in Le soluzioni giudiziali e negoziate delle crisi d'impresa dopo le riforme, Torino, 2008; Stanghellini, Commento sub art. 127 l.fall., in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, diretto da Jorio-Fabiani,2007; Vitiello, Art. 125 l.f., in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, diretto da Jorio-Fabiani, Bologna, 2007. |