Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 142 - Esdebitazione1

Alessandro Farolfi

Esdebitazione1

 

Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che:

1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all'accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;

2) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;

3) non abbia violato le disposizioni di cui all'articolo 48;

4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;

5) non abbia distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;

6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività d'impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all'esito di quello penale.

L'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali.

Restano esclusi dall'esdebitazione:

a) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa2;

b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.

Sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso34.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 128 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

[2] Lettera modificata dall'articolo 10, comma 1, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007.

[3] A norma dell'articolo 19, comma 1, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 , comma 1, del citato D.Lgs. 169/2007, le disposizioni del presente Capo si applicano anche alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5. Vedi, anche, l'articolo 22, comma 4, del medesimo D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169.

[4] La Corte Costituzionale con sentenza 27 febbraio 2008 , n. 39 (in Gazz.Uff., 5 marzo 2008, n. 11), ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente articolo, nel testo anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), in quanto stabilisce che le incapacita' personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento perdurano oltre la chiusura della procedura concorsuale.

Inquadramento

Con il d.lgs. n. 5/2006 sono stati introdotti ex novo gli artt. 142, 143 e 144 l.fall. e, con essi, l'istituto inedito – per il nostro ordinamento – della esdebitazione. In sintesi, l'esdebitazione consente ad un debitore persona fisica fallito di ottenere, in presenza di alcun requisiti soggettivi di meritevolezza ed oggettivi, di ottenere la cancellazione della parte di debiti non integralmente soddisfatta nel corso della procedura concorsuale. Sino all'entrata in vigore di queste disposizioni di nuovo conio, il nostro ordinamento è stato da sempre ispirato alla regola della responsabilità perpetua del debitore, scolpita nell'art. 2740 c.c., a mente del quale «il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri». Regola talmente fondamentale da essere, grazie al secondo comma di detta norma, l'oggetto di una riserva di legge, in forza della quale le limitazioni di detta responsabilità patrimoniale illimitata «non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge». Tale regola, tuttavia, nel corso del tempo è apparsa da un lato eccessivamente rigorosa e retaggio di un passato «colpevolizzante» la figura del creditore. Dall'altro, si sono fatte strada istanze volte a dimostrare che il recupero di ricchezza e di dinamicità commerciale di un soggetto fallito reimmesso nel circuito economico senza la «zavorra» dei debiti residui di un precedente fallimento (c.d. fresh start) avrebbe, a livello di sistema, prodotto effetti economici complessivamente favorevoli. In particolare, gli istituti del concordato fallimentare e del concordato preventivo, destinati a produrre sul debitore un effetto c.d. esdebitativo, sono apparsi come esempi, in sede di più complessiva riforma della legge fallimentare, meritevoli di estensione a favore dei debitori falliti persone fisiche, semplificando le modalità di concessione di tale beneficio attraverso la predisposizione di un nuovo procedimento destinato, appunto, a verificare l'esistenza dei presupposti per la pronuncia della esdebitazione. L'introduzione di detto istituto rappresenta perciò una sorta di «rivoluzione copernicana» rispetto alla regola della integrale responsabilità del debitore per la parte non soddisfatta dei debiti riconfermata dall'art. 120 l.fall. e, al tempo stesso, un esempio suscettibile di ulteriore estensione ad altri soggetti non fallibili (e quindi per definizione privati della possibilità di esdebitazione, vuoi attraverso il nuovo istituto, vuoi attraverso gli strumenti concordatari). Così, risale al 2011 l'emanazione dell'art. 23 del d.l. n. 98/2011, convertito con l. n. 111/2011, con la conseguente possibilità offerta agli imprenditori agricoli (tradizionalmente non fallibili) di accedere all'accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l.fall. ed ai conseguenti effetti di riduzione, sia pure concordata pattiziamente, del debito. Tale ultima innovazione ha rappresentato il preludio della introduzione degli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento per i soggetti non fallibili ed i consumatori, di cui alla l. n. 3/2012 e ss. modd., sicché a dieci anni di distanza dall'introduzione dell'esdebitazione può forse dirsi che la responsabilità patrimoniale illimitata sia oramai circoscritta dai nuovi istituti e, sia pure con il rispetto della riserva di legge di cui all'art. 2740 c.c., si può affermare che le eccezioni a tale regola risultino talmente numerose da, potenzialmente, capovolgere i rapporti tra regola ed eccezione. Rimanendo alla norma in commento, si deve ricordare che la relazione governativa di accompagnamento alla riforma ha cura di precisare che l'istituto della esdebitazione, omologo a quello già presente nella legislazione europea ed americana, costituisce una novità assoluta introdotta nel sistema e «consiste nell'incentivante liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti integralmente, seppur in presenza di alcune condizioni». Queste condizioni mirano, in particolare, a premiare la figura dell'imprenditore «onesto ma sfortunato», stimolandone altresì un comportamento collaborativo nel corso della procedura, nella consapevolezza dell'insufficienza di risposte basate sul vieto brocardo decoctus ergo fraudator. In linea di continuità con tale nuova visione, l'art. 8 del disegno di legge di riforma n. 3671-bis (recentemente approvato in prima lettura alla Camera) prevede ulteriori incentivi all'utilizzo di questo istituto, dettando i seguenti principi di delega: a) prevedere per il debitore la possibilità di presentare domanda di esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura e, in ogni caso, dopo tre anni dalla sua apertura, al di fuori dei casi di frode o di malafede e purché abbia collaborato con gli organi della procedura; b) introdurre particolari forme di esdebitazione di diritto riservate alle insolvenze minori, fatta salva per i creditori la possibilità di proporre opposizione dinanzi al tribunale; c) prevedere anche per le società l'ammissione al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, previo riscontro dei presupposti di meritevolezza in capo agli amministratori e, nel caso di società di persone, in capo ai soci. Particolarmente innovativo appare, in effetti, proprio il principio sub b), che appare in grado di determinare in via automatica l'effetto esdebitativo derivante dalla chiusura delle insolvenze minori garantendo ai creditori la sola possibilità di opposizione successiva (evidentemente entro un termine perentorio che il legislatore delegato dovrà indicare).

Il carattere di beneficio dell'esdebitazione richiede, ai fini della sua concessione, lo scrutinio in concreto della sussistenza delle condizioni, soggettive ed oggettive, richieste dalla norma: è di competenza del giudice valutare la significatività del versamenti effettuati: in materia di esdebitazione prevista dalla legge fallimentare non c'è infatti alcun automatismo nella concessione dei benefici e la valutazione dell'autorità giudiziaria è necessaria e ineludibile ed è, in ogni caso, indispensabile un pagamento almeno significativo dei creditori (Cass. n. 17386/2015). Più in generale si è ritenuto che l'istituto dell'esdebitazione è ispirato all'esigenza di configurare l'insolvenza come uno dei possibili risultati negativi derivanti dall'esercizio all'attività imprenditoriale ma non come motivo per eliminare un imprenditore definitivamente dal mercato disperdendone il bagaglio di esperienze acquisite, di tal ché la possibilità offerta allo stesso di ripartire da zero (fresh start) dopo aver cancellato le pregresse obbligazioni (discharge) risponde alla finalità di facilitare il reinserimento nel mercato di un soggetto produttivo di reddito e di lavoro onde incrementare le opportunità di crescita economica del Paese (Trib. Busto Arsizio, 21 settembre 2012).

Requisiti soggettivi

Come si è accennato, l'istituto della esdebitazione concerne i soli falliti persone fisiche. Rientrano nel campo applicativo delle nuove norme tanto gli imprenditori individuali, falliti direttamente in proprio, sia i soggetti persone fisiche falliti «di rimbalzo» o meglio in estensione, come i soci illimitatamente responsabili della società fallita, ex art. 147 l.fall. Tale ambito applicativo certamente spiega l'attenzione che il legislatore ha mostrato per la necessaria sussistenza di plurimi requisiti soggettivi di meritevolezza. È in primo luogo richiesto che il debitore (già fallito e che aspira alla concessione del beneficio) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni richieste e la documentazione utile all'accertamento del passivo, nonché adoperandosi per il più proficuo svolgimento delle operazioni. La disposizione opera da questo punto di vista come stimolo affinché il fallito fornisca in primo luogo un quadro veritiero al curatore circa la situazione debitoria, gli elementi valorizzabili come attivo della procedura, fornendo altresì ogni documento ed informazione utili al più sollecito svolgimento della procedura. Rientrano in questo più generale dovere tutta una serie di obblighi di cooperazione previsti da altre più specifiche disposizioni: a) deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali, nonché l'elenco dei creditori, così come disposto nella sentenza di fallimento (art. 16 comma 1 n. 3); b) dare riscontro alle richieste di chiarimenti avanzate dal comitato dei creditori o suoi membri (art. 41 comma 5); c) presentarsi o rendere le informazioni richieste dal tribunale fallimentare (art. 23) o dal giudice delegato (art. 49); d) comunicare al curatore ogni variazione di residenza (art. 49); e) consegnare al curatore il denaro contante ed i titoli in suo possesso (art. 86); f) dichiarare in modo veritiero al curatore se si ha notizia di altre attività da assoggettare ad inventario (art. 87); g) fornire i documenti e le informazioni utili alla predisposizione dell'elenco dei creditori della procedura e degli eventuali terzi aventi diritti su beni inventariati (art. 89). In secondo luogo, con previsione certamente collegata alla prima, si è richiesto che il debitore non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura. Si sostiene che la norma abbia un contenuto talmente ampio da ricomprendere non solo comportamenti commissivi, ma anche atteggiamenti di semplice disinteresse o inerzia tali da rallentare l'andamento più sollecito della procedura (ad es. mancata presentazione personale in sede di inventario, tale così da ritardare l'effettiva ricostruzione dell'attivo). A parere dello scrivente anche contegni inerti od ostacolanti l'avvio della procedura, posti in essere formalmente prima della sua apertura (ad esempio un ritardo inescusabile nella richiesta di fallimento, ma anche atti dispositivi che costringano la curatela all'esercizio di defatiganti azioni giudiziarie, revocatorie, ecc.) possono rientrare nello spettro applicativo della norma in esame se, appunto, abbiano l'effetto di causare ritardi sullo svolgimento della procedura. Se le due condizioni precedenti appaiono di ordine generale, il terzo requisito non rappresenta altro che un precipitato delle stesse, stabilendo una necessaria regola di condotta per cui il fallito non deve aver violato le disposizioni dell'art. 48. Quest'ultima norma declina il dovere di collaborazione sotto il profilo particolare della consegna della corrispondenza al curatore, compresa quella elettronica, purché relativa ai rapporti compresi nel fallimento (in altri termini non vi è l'obbligo di consegnare missive di contenuto personale, sentimentale, ecc. ma solo quelle che trattano i rapporti inclusi nel fallimento, che riguardando una persona fisica, concernono anche le proprietà personali del fallito e non soltanto i rapporti di impresa). Seguono ulteriori condizioni di meritevolezza che danno rilievo a comportamenti di possibile rilevanza penale o, addirittura, già valutati e sanzionati come tale in sede processuale. In primo luogo è richiesto che il fallito non abbia distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito. Non vi è delimitazione temporale, per cui anche in questo caso vi rientrano atti posti in essere sia prima che dopo l'apertura della procedura. Si tratta in secondo luogo dell'esigenza che il debitore non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività d'impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Si discute se la bancarotta semplice documentale rientri nei reati contemplati dalla disposizione in esame; ad un orientamento che ritiene che detta ipotesi delittuosa non sia contemplata espressamente e debba quindi ritenersi esclusa se ne contrappone un altro, preferibile, che valorizza il collegamento causale (connessione) di tale reato con l'esercizio dell'impresa e, quindi, la sua rilevanza. Si esclude invece giustamente, parlando la norma di «delitti», che rilevi in senso ostativo la condanna per semplici contravvenzioni. È da notare che nel caso in cui il procedimento di esdebitazione sia aperto a procedimento penale pendente per uno dei delitti contemplati dalla disposizione in commento, il primo può essere sospeso in attesa dell'accertamento definitivo in sede penale. Una volta che sia intervenuto il giudicato in sede penale, il procedimento di esdebitazione dovrà essere riassunto dall'interessato in un termine che, in assenza di ogni altra indicazione, può mutuarsi dal novellato art. 305 c.p.c. e, quindi, indicarsi in tre mesi. Infine, costituisce condizione di procedibilità del ricorso il fatto che il fallito non abbia già beneficiato di una precedente esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta. Ad avviso dello scrivente la norma deve interpretarsi in senso restrittivo e, quindi, intendendo il termine esdebitazione in senso tecnico. Non costituisce causa ostativa, pertanto, l'aver in precedenza usufruito dell'effetto esdebitativo indiretto che si ricollega alla omologazione di un precedente concordato. Il dies a quo dal quale calcolare a ritroso il decennio è quello del deposito del ricorso, mentre è discusso se possa (in senso più favorevole all'interessato) computarsi dalla data della decisione (in questo modo il decennio potrebbe utilmente decorrere anche nel corso del procedimento). Quest'ultima appare, tuttavia, una interpretazione sì possibile, ma scarsamente aderente al dettato letterale della norma.

Si è ritenuto che l'effetto indicato dal legislatore come ostativo alla concessione del beneficio della esdebitazione di cui all'articolo 142, legge fallimentare, consistente nella determinazione del ritardo o nella contribuzione al suo verificarsi, è riconducibile ad una condotta non delineata nella sua specificità, sicché questa può essere correttamente riscontrata dal giudice del merito quando sia stata accertata la conseguenza pregiudizievole dell'allungamento dei tempi di definizione della procedura. La genericità della formulazione normativa consente dunque al giudice un accertamento molto ampio, essendo il suo esame focalizzato sull'esistenza o meno di un ritardo nella definizione della procedura rispetto a quanto possibile e sull'eventuale nesso tra la condotta del fallito e detto allungamento temporale. Nulla esclude dunque che l'esame possa essere condotto anche con riferimento a comportamenti posti in essere prima dell'apertura del fallimento, avendo certamente incidenza sui tempi di definizione della procedura anche le modalità operative adottate dall'imprenditore nell'esercizio dei suoi poteri gestori nel periodo precedente l'apertura della procedura concorsuale (Cass. S.U., n. 24215/2011). Questione assai discussa è la valutazione del c.d. patteggiamento in sede penale, ai fini della concessione o meno del beneficio dell'esdebitazione: ai fini della valutazione dei presupposti per la concessione del beneficio dell'esdebitazione, l'esistenza carico del richiedente di un provvedimento di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., che, come è noto, non può avere efficacia di giudicato nel processo civile, costituisce un utile indizio da valutare in concorso con altre circostanze. (Nel caso di specie, il Tribunale ammesso il ricorrente al beneficio dell'esdebitazione, ritenendo che l'applicazione della pena a seguito di patteggiamento per il reato di bancarotta fraudolenta costituisse l'unico indizio sfavorevole al ricorrente a fronte di una pluralità di elementi indicativi di una condotta collaborativa con gli organi della procedura) (Trib. Padova, 9 febbraio 2013). Non condivisibile, invece, a parere dello scrivente, un orientamento ancora più liberale che ha ritenuto che non può considerarsi ostativa alla concessione del beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti una condanna per bancarotta semplice documentale, posto che quest'ultimo reato non è espressamente previsto come causa ostativa dall'art. 142, comma 1, legge fallimentare, né la norma può essere interpretata estensivamente (Trib. Udine, 18 maggio 2012). Più corretta appare l'affermazione secondo cui non può darsi esdebitazione del fallito in presenza di atti di disposizione del proprio patrimonio, anche posti in essere prima del fallimento, già nella consapevolezza della irreversibilità del dissesto ed alternativi alla tempestiva domanda di fallimento in proprio (Trib. Vicenza, 8 marzo 2012).

Soddisfacimento parziale

La norma in commento introduce un requisito oggettivo ed ha, sul punto, un contenuto letterale che ha dato luogo ad un aspro dibattito teorico e giurisprudenziale. Afferma infatti la disposizione che l'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Proprio il carattere parziale del soddisfacimento è stato oggetto di una interpretazione più rigorosa e qualitativa, tale da richiedere che almeno in parte i flussi monetari ottenuti dalla procedura siano andati a vantaggio di tutti i creditori, compresi quelli chirografari. A tale indirizzo si è contrapposto un secondo orientamento più estensivo (oggi del tutto prevalente ed avallato dalla giurisprudenza di legittimità), secondo cui la parziarietà deve leggersi in senso quantitativo, cioè come soddisfacimento inferiore all'entità complessiva del passivo, indipendentemente dal fatto che sia avvenuto o meno un riparto anche a favore dei creditori chirografari. Si è infatti posto in luce come il primo indirizzo finisca di fatto con il far coincidere il presupposto oggettivo dell'esdebitazione con quello richiesto per accedere ad una soluzione concordataria, quando è evidente che l'intenzione del legislatore è stato, all'opposto, proprio quella di consentire un fresh start anche a debitori non in grado di accedere ad una soluzione concordataria (ed anzi per i quali tale possibilità è in radice esclusa).

La determinazione del significato soddisfacimento parziale è stata oggetto di immediato dibattito giurisprudenziale. Accanto ad una interpretazione più rigorosa e letterale della disposizione, secondo cui il soddisfacimento parziale avrebbe dovuto significare la tacitazione seppure in parte dei crediti ricompresi in tutte le categorie, compresi quelli chirografari, si è contrapposto un altro indirizzo estensivo, che muovendo dalle ragioni per cui l'istituto è stato introdotto, ha ritenuto sufficiente che il soddisfacimento dei creditori potesse ritenersi parziale, indipendentemente dall'erogazione di flussi finanziari verso tutte le categorie di creditori. Questa seconda interpretazione è stata fatta propria dalla Cassazione a sez. unite: in tema di esdebitazione (istituto introdotto dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), il beneficio della inesigibilità verso il fallito persona fisica dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti richiede, ai sensi dell'art. 142, comma secondo, legge fall., che vi sia stato il soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali, dovendosi intendere realizzata tale condizione, in un'interpretazione costituzionalmente orientata e coerente con il favor per l'istituto già formulato dalla legge delegante (art. 1, comma 6, lett. a), n. 13 della l. 14 maggio 2005, n. 80), anche quando taluni di essi non siano stati pagati affatto, essendo invero sufficiente che, con i riparti almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentita al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto; una diversa conclusione, volta ad assicurare il pagamento parziale ma verso tutti i creditori, introdurrebbe invero una distinzione effettuale irragionevole tra fallimenti con creditori privilegiati di modesta entità ed altri e non terrebbe conto del fatto che il meccanismo esdebitatorio, pur derogando all'art. 2740 c.c., è già previsto nell'ordinamento concorsuale, all'esito del concordato preventivo (art. 184 legge fall.) e fallimentare (art. 135 l.fall.) e, nel fallimento, opera verso le società con la cancellazione dal registro delle imprese chiesta dal curatore (art. 118, secondo comma, legge fall.) (Cass. S.U., n. 11279/2011). Principio poi ulteriormente ribadito con l'affermazione secondo cui in tema di esdebitazione, la condizione di soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali, prevista dal secondo comma dell'art. 142 legge fall., deve intendersi realizzata anche quando talune categorie di creditori (nella specie, i creditori chirografari) non abbiano ricevuto alcunché in sede di riparto (Cass. n. 9767/2012 e Cass. n. 16620/2016). Tali pronunce hanno tuttavia restituito al giudice del merito la valutazione, senza alcun automatismo, circa la congruità e sufficienza del soddisfacimento in concreto ottenuto dai creditori, nell'ambito della singola procedura fallimentare, ai fini del successivo riconoscimento del beneficio dell'esdebitazione: in tema di esdebitazione, il giudice del merito è chiamato ad effettuare una ponderata valutazione volta ad individuare di volta in volta il requisito della parziale soddisfazione; detta valutazione non può prescindere dalla verifica del numero di creditori soddisfatti rispetto al totale di quelli ammessi nonché dalla percentuale di pagamento dei crediti in concreto realizzata. Con la precisazione che non può considerarsi sussistente la «parziale soddisfazione» dei crediti concorsuali, richiesta dall'art. 142, comma 2, l.fall., quale requisito per l'esdebitazione, se la percentuale dei crediti soddisfatti appare risibile rispetto all'intero passivo ammesso. (Trib. Como, 12 ottobre 2016). Nella ricerca di una proporzione fra entità complessiva del passivo e crediti soddisfatti (indipendentemente dalla loro inclusione in una categoria particolare) si è affermato che può essere concesso il beneficio dell'esdebitazione se la percentuale dei pagamenti effettuati dal debitore rappresenta un'apprezzabile consistenza (nel caso di specie: più del 27% del passivo fallimentare) (App. Brescia, 28 aprile 2016). Nei casi di fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile si è posto il dubbio se il «soddisfacimento parziale» debba riguardare necessariamente la singola procedura del socio o possa anche soltanto far riferimento a quella della società. In quest'ultima direzione si è affermato che l'esdebitazione del socio fallito può essere concessa anche qualora non siano stati soddisfatti neppure in parte i suoi creditori personali, bensì sia stata soddisfatta almeno una parte dei creditori della società (Trib. Treviso, 10 maggio 2016).

Effetti per i terzi fideiussori e coobbligati

Nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori del fallito e degli obbligati in via di regresso, invece, l'esdebitazione non comporta alcun effetto liberatorio. Il legislatore ha cioè dettato una norma di favore che riguarda il solo debitore fallito persona fisica lasciando integre le garanzie e la solidarietà passiva su cui il creditore avesse fatto affidamento prima della decozione del proprio debitore principale o condebitore. Si tratta di una scelta normativa che si ritrova anche in materia di concordato fallimentare (art. 135, comma 2) o di concordato preventivo (art. 184, comma 1, con la particolarità tuttavia che in questo caso il concordato della società, salvo patto contrario, produce effetti liberatori anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili). La disposizione in esame, ma come si è visto coerentemente ad altre norme in tema di benefici concordatari, rappresenta una espressa eccezione alle disposizioni tema di remissione. Infatti, l'art. 1239 c.c. stabilisce che la remissione concessa al debitore principale libera anche i fideiussori, mentre l'art. 1301 c.c. prevede che la remissione a favore di un debitore in solido si estende agli altri condebitori. La ragione della deroga è presto detta: la presenza di una pregressa procedura concorsuale rappresenta infatti una vicenda che non attiene ad un rapporto individuale fra singolo creditore e debitore, ma coinvolge il mercato, crea inefficienze, travolge rapporti contrattuali, da cui l'esigenza di limitare gli effetti liberatori connessi alla esdebitazione a vantaggio di soggetti (i fideiussori ed i condebitori) che normalmente erano in possesso di informazioni qualificate circa il reale stato di dissesto in cui si trovava il debitore garantito o il condebitore. Deve invece ritenersi che l'effetto liberatorio operi, rispetto al debitore persona fisica che accede all'esdebitazione, anche per i debiti di firma che egli avesse assunto, non potendosi cioè distinguere fra debiti diretti e debiti che egli avesse assunto come fideiussore di altri (ad esempio proprio della società di persone poi fallita di cui era socio illimitatamente responsabile).

Crediti esclusi dall'esdebitazione

La norma in commento esclude dagli effetti esdebitativi gli obblighi di mantenimento ed alimentari, nonché i debiti relativi a rapporti estranei all'esercizio dell'impresa. Si tratta di categorie di obbligazioni di natura diversa che si è ritenuto opportuno non coinvolgere nell'effetto liberatorio prodotto dall'esdebitazione. Per i primi, in forza della ritenuta prevalenza dei doveri giuridici in ambito familiare (si pensi agli obblighi di mantenimento a favore del coniuge o della prole discendenti da un provvedimento di separazione o divorzio), per la seconda categoria di debiti, a cagione della loro estraneità alle vicende dell'impresa che avevano portato al precedente fallimento. Va notato che l'espressione «obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa» è stata inserita dal d.lgs. n. 169/2007 sostituendo una precedente locuzione che faceva riferimento alle obbligazioni «non comprese nel fallimento ai sensi dell'art. 46 l.fall.» ed aveva contenuto sicuramente più restrittivo. L'altra categoria di debiti esclusi dall'esdebitazione riguarda invece la causa strettamente personale che li ha originati: sono infatti esclusi da ogni effetto liberatorio i debiti per risarcimento del danno derivante da fatti illeciti extracontrattuali, nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti. Di fronte alla commissione di illeciti aquiliani o di condotte sanzionate penalmente od in sede esdebitativa il legislatore introduce una presunzione legale assoluta di non meritevolezza che, tuttavia, non concerne il debitore nel suo complesso (che potrà così beneficiare ad altri fini dell'esdebitazione) ma unicamente taluni debiti aventi origine in tali condotte personali moralmente e giuridicamente censurabili.

Si è recentemente affermato che l'art. 120 r.d. n. 267 del 1942 nel prevedere al 3 comma che con la chiusura del fallimento i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti, fa espressamente salvi gli artt. 142 e ss.; l'art. 142, al penultimo comma, nel disporre l'esclusione dall'esdebitazione, non menziona il debito previdenziale. Ciò in quanto i debiti previdenziali, pur sorgendo al di fuori di ogni scelta imprenditoriale e comunque volontaristica del datore di lavoro, sono strettamente collegati all'esercizio dell'impresa di quest'ultimo, costituendone una necessaria conseguenza (Cass. n. 4844/2016). L'effetto esdebitativo previsto dall'articolo 184, comma 2, l.fall. in ordine alla estensione automatica del concordato preventivo di società di persone ai soci illimitatamente responsabili deve intendersi limitato alle obbligazioni sociali e non a quelle che riguardano i singoli soci, i creditori dei quali conservano, pertanto, impregiudicati i propri diritti nei loro confronti. L'effetto esdebitatorio in questione potrà, tuttavia, estendersi ai soci della società di persone nell'ipotesi di cosiddetto «concordato di gruppo» nel quale detti soci siano a loro volta imprese, le quali, nella domanda di concordato, non si siano limitate ad invocare l'effetto esdebitatorio parziale di cui al citato secondo comma dell'articolo 184, ma abbiano dichiarato di agire anche «in proprio» e non solo nella qualità di soci illimitatamente responsabili ed abbiano altresì chiesto di essere «tutti» ammesse alla procedura di concordato preventivo. Nonostante il legislatore abbia ritenuto di non dettare una definizione positiva di una realtà economica in continua evoluzione quale il gruppo di imprese, non può che essere vista con favore e consentita quale esplicazione dell'autonomia privata la scelta di proporre un concordato che coinvolga l'impresa anche qualora questa si configuri in forma di gruppo di imprese. In considerazione della meritevolezza giuridica che deve riconosciuta al tentativo di superamento della crisi d'impresa attraverso l'esdebitazione dell'imprenditore insolvente per deliberazione dei creditori concorsuali, deve ritenersi ammissibile il concordato preventivo di una società in nome collettivo risultante dal conferimento in essa dei complessi aziendali delle altre società appartenenti al gruppo e ciò anche nell'ipotesi in cui detta società sia stata costituita allo scopo specifico di presentare un concordato preventivo di gruppo (App. Genova, 23 dicembre 2011). Va sottolineato come una recentissima decisione della Corte di giustizia UE abbia ritenuto che «il diritto dell'Unione, in particolare l'articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, nonché le norme sugli aiuti di Stato, deve essere interpretato nel senso che non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice può, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare cui tale persona è stata sottoposta» (Corte Giustizia UE, 16 marzo 2017, n. 493). Tale indirizzo si pone certamente in linea di continuità con la nota decisione del 7 aprile 2016, in tema di possibile falcidia dell'IVA nell'ambito di una procedura concordtaria liquidatoria, sulla quale si rinvia all'art. 182-ter ed al relativo commento.

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