Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 144 - Esdebitazione per i crediti concorsuali non concorrenti12

Alessandro Farolfi

Esdebitazione per i crediti concorsuali non concorrenti12

 

Il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo; in tale caso, l'esdebitazione opera per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado34.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 128 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

[2] La Corte costituzionale con sentenza 15 luglio 2004, n. 224 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'ultimo comma del presente articolo, nel testo precedente la modifica, nella parte in cui prevedeva che il termine per la proposizione del reclamo avverso la sentenza che provvedeva sull'istanza di riabilitazione decorresse dalla affissione della sentenza stessa anziché dalla sua comunicazione.

[4] A norma dell'articolo 19, comma 1, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 , comma 1, del citato D.Lgs. 169/2007, le disposizioni del presente Capo si applicano anche alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5. Vedi, anche, l'articolo 22, comma 4, del medesimo D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169.

Inquadramento

L''art. 144 è rivolto, fondamentalmente, ad allargare gli effetti dell'esdebitazione a tutti i creditori anteriori (cioè aventi diritto per causa o titolo anteriore all'apertura della procedura concorsuale) non concorsuali, che cioè pur avendo titolo per partecipare alla procedura fallimentare e soddisfarsi, in concorso con gli altri, sull'attivo fallimentare, siano rimasti estranei al fallimento, non entrando a far parte dello stato passivo fallimentare. Non importa agli effetti di questa disposizione quale motivo abbia condotto a tale posizione. Potrebbe trattarsi di debiti che pur preesistenti siano stati scoperti in seguito, come pure essere il risultato della decisione cosciente del creditore di non presentare istanza di insinuazione al passivo. Ancora, potrebbe trattarsi di un creditore che abbia presentato una domanda di insinuazione c.d. ultra tardiva senza giustificarla in alcun modo il proprio ritardo o, addirittura, di un creditore la cui istanza sia stata respinta (deve qui ricordarsi che le decisioni in tema di verifica del passivo hanno rilevanza esclusivamente endo fallimentare, come precisa l'art. 96 ult. comma). La norma in esame, quindi ha una duplice funzione: da un lato mettere una vera e propria «pietra tombale» sui debiti pregressi del fallito che abbia collaborato con la procedura e sia in possesso degli altri requisiti soggettivi ed oggettivi per «lucrare» il beneficio dell'esdebitazione, così da poter ripartire da «zero» nelle proprie attività economiche successive; dall'altro, sottrarre il debitore alla possibile coercizione derivante da creditori che abbiano preferito neppure insinuarsi (o non coltivare una insinuazione tempestiva o respinta) per poi approfittare della propria estraneità al fallimento per perseguire con mezzi leciti o meno un soddisfacimento persino superiore a quello che avrebbe potuto ottenere in moneta fallimentare. La soluzione accolta è analoga a quella dettata dal legislatore in tema di concordato fallimentare (art. 135) e di concordato preventivo (art. 184).

Effetti

La norma dell'art. 144 deve essere letta in combinato disposto con l'articolo precedente, il quale prevede che (in caso di accoglimento) il decreto del tribunale dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. L'effetto della norma non è quindi una cancellazione o remissione legale dei debiti residui del fallito, bensì una causa soggettiva di inesigibilità. Da qui il divieto per il creditore concorsuale di procedere esecutivamente nei confronti del debitore già fallito, che abbia ottenuto l'esdebitazione, al fine di conseguire la parte di credito non soddisfatta in seno alla procedura. Da qui, ulteriormente, l'effetto di soluti retentio che assiste il pagamento effettuato dal debitore esdebitato, come se si trattasse del pagamento di un'obbligazione naturale.

Si è recentemente ritenuto che la modifica all'art. 142, comma 3, lett. a), l.fall., introdotta dal decreto correttivo (che dispone l'esclusione dall'esdebitazione per «gli obblighi di mantenimento ed alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa») va nel senso di individuare l'area oggettiva dell'esclusione come relativa ai debiti personali non assunti per l'esercizio dell'impresa, ed anzi la formula adottata della «estraneità» priva di significato ogni tentativo di ricomprendere nell'ambito dell'esclusione i cd. debiti involontari; mentre i debiti previdenziali sono strettamente collegati all'esercizio dell'impresa e della stessa costituiscono necessaria conseguenza (Cass. n. 4844/2016).

Crediti anteriori non concorsuali

La norma in commento ha, come anticipato, la portata di estendere a tutti i crediti anteriori non concorsuali i medesimi effetti della esdebitazione. La norma infatti dispone che il beneficio relativo a questo tipo di creditori opera per la sola eccedenza rispetto alla percentuale attribuita ai creditori di pari grado all'esito del fallimento. Questo significa, in primo luogo, che per il creditore non concorsuale (perché non insinuato o la cui insinuazione non è stata accolta ed egli non ha impugnato la decisione di rigetto) se contestato non perde l'interesse ad un accertamento del proprio diritto, sia al fine di determinare la porzione di esso non «coperta» dall'esdebitazione, sia in ogni caso per munirsi di un titolo nei confronti di eventuali fideiussori, coobbligati od obbligati di regresso. Va notato che l'espressione «percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado» è stata così modificata dal d.lgs. n. 169/2007, sopprimendo la precedente formulazione, in cui il riferimento era «a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso». La modifica è stata motivata dall'esigenza di semplificare e rendere più univoca la portata della norma. Il raffronto che va fatto, quindi, è rispetto al soddisfacimento effettivamente ottenuto dai crediti concorsuali di analogo rango rispetto a quello del creditore anteriore ma estraneo al fallimento. Due esempi rendono evidente le modalità di applicazione della norma: a) si pensi in primo luogo ad un professionista assistito dal privilegio ex art. 2751-bis c.c.; se nell'ambito della procedura gli altri creditori assistiti dallo stesso privilegio sono stati soddisfatti integralmente, di fatto l'esdebitazione non lo coinvolgerà, potendo continuare a vantare il diritto ad un integrale pagamento del proprio corrispettivo (così però potrebbe non essere e normalmente non è per il c.d. credito per IVA da rivalsa, non privilegiato); b) si pensi ora ad un creditore chirografario; se nella procedura fallimentare nessun creditore chirografario ha ottenuto soddisfazione, neppure in parte, l'esdebitazione ugualmente concessa avrà portata massima ed egli non potrà, pur non essendo un creditore concordatario, pretendere alcun pagamento, in quanto la percentuale di raffronto è in questo caso «zero». Si è acutamente messo in evidenza che l'attuale formulazione della norma potrebbe, almeno in teoria, prestarsi ad abusi, posto che un creditore con ampio importo potrebbe scegliere di non insinuarsi al passivo, così facendo lievitare la percentuale di soddisfacimento destinata ai creditori concorsuali della sua stessa categoria, profittando poi di tale aumento post esdebitazione. Si tratta tuttavia di un dubbio probabilmente scolastico se si pensa al rischio che si corre, tenendo un tale contegno, di poter poi contare post esdebitazione su un patrimonio totalmente azzerato e sulla preferenza che i creditori normalmente evidenziano per un pagamento temporalmente più ravvicinato anche se di entità minore rispetto al dovuto.

Crediti fiscali

Gli effetti dell'esdebitazione sono destinati a prodursi pure rispetto ai debiti anteriori di natura fiscale, anche se relativi ad IVA. Il dubbio era stato posto, in particolare, di fronte ad una presunta inderogabilità dell'IVA (sottolineata anche dalla sentenza della Corte cost. n. 225 del 25 luglio 2014), chiedendosi se tale principio possa cedere o meno a fronte di un accertamento giudiziale di incapienza della procedura fallimentare, e di meritorietà dell'imprenditore fallito. In realtà tale dubbio non avrebbe dovuto sussistere, considerando che tale effetto può costituire il risultato dell'omologa ed esecuzione di un concordato fallimentare. Il tema continuava tuttavia a restare aperto sulla scorta della disciplina dell'art. 183-ter che fino al 31 dicembre 2016 valeva in tema di transazione fiscale.

Proprio partendo dai dubbi che si sono indicati, la Corte di Cassazione ha chiesto alla Corte di Giustizia UE di pronunciarsi in via pregiudiziale sulle questioni di interpretazione del diritto comunitario specificate in motivazione ponendo il quesito pregiudiziale di seguito riportato: l'articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, devono essere interpretati nel senso che essi ostano all'applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l'estinzione dei debiti nascenti dall'IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dagli artt. 142 e 143 del r.d. n. 267/1942 (Cass. n. 13542/2015). In realtà oggi tale dubbio deve ritenersi superato dopo che analoga pregiudiziale – con riferimento al concordato preventivo – è stata sollevata dal Tribunale di Udine il 28 novembre 2014. Infatti la Corte di giustizia, con decisione 7 aprile 2016 ha affermato che non ostano ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell'imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento. Tale affermazione ha portato la Cassazione ha pronunciarsi alla fine dello scorso anno, stabilendo che la previsione dell'infalcidiabilità del credito IVA di cui all'articolo 182-ter l.fall. trova applicazione solo nell'ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale (Cass. S.U., n. 26988/2016). Implicitamente ammettendo, perciò, che fuori dal ricorso alla transazione fiscale, posse possibile un pagamento parziale del debito IVA, sia pure nel rispetto di quanto previsto dall'art. 160, comma 2. Oggi quest'ultima soluzione può dirsi generalizzata a seguito della riformulazione dell'art. 182-ter, che a partire dal 1° gennaio 2017 così recita: «con il piano di cui all'articolo 160 il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi del presente articolo, può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, se il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d)». Tale conclusione appare ribadita in tema di esdebitazione da un recentissimo provvedimento della stessa Corte giustizia UE, secondo cui « il diritto dell'Unione, in particolare l'articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, nonché le norme sugli aiuti di Stato, deve essere interpretato nel senso che non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice può, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare cui tale persona è stata sottoposta» (Corte Giustizia UE, 16 marzo 2017, n. 493).

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