Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 156 - Patrimonio destinato incapiente; violazione delle regole di separatezza1.

Giuseppe Dongiacomo

Patrimonio destinato incapiente; violazione delle regole di separatezza1.

 

Se a seguito del fallimento della società o nel corso della gestione il curatore rileva che il patrimonio destinato è incapiente provvede, previa autorizzazione del giudice delegato, alla sua liquidazione secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili.

I creditori particolari del patrimonio destinato possono presentare domanda di insinuazione al passivo del fallimento della società nei casi di responsabilità sussidiaria o illimitata previsti dall'articolo 2447-quinquies, terzo e quarto comma, del codice civile.

Se risultano violate le regole di separatezza fra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società e il patrimonio della società medesima, il curatore può agire in responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo della società ai sensi dell'articolo 146.

[1] Articolo modificato dall'articolo 161 del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 e successivamente sostituito dall'articolo 139 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

La norma disciplina la crisi del patrimonio destinato ma solo in caso di concomitante dichiarazione di fallimento della società (Comporti, 971).

Il principio è che, quando il patrimonio destinato è diventato incapiente, come già nel caso in cui non sia possibile cederlo a terzi (art. 155 l.fall.), il curatore deve procedere, con l'autorizzazione del giudice delegato, alla sua liquidazione, nel rispetto delle norme in materia di società (artt. 2487 ss. c.c.).

L'incapienza del patrimonio destinato e la sua liquidazione

Il presupposto è l'incapienza del patrimonio destinato, se ed in quanto, nell'ambito della procedura fallimentare della società, sia stata rilevata dal curatore «a seguito del fallimento della società» oppure «nel corso della gestione».

La norma, quindi, individua due ipotesi alternative, e cioè che l'incapienza del patrimonio destinato costituito dalla società sia emersa contestualmente alla dichiarazione di fallimento di quest'ultima, e, presumibilmente, quale diretta conseguenza del fallimento, ovvero, anche in dipendenza di fattori diversi, sia stata rilevata dal curatore nel corso della gestione del patrimonio stesso (art. 155 l.fall.).

L'incapienza consiste nell'insufficienza, iniziale o sopravvenuta, del patrimonio rispetto alle pretese dei suoi creditori, vale a dire nell'eccedenza (accertata staticamente) dei suoi debiti rispetto ai suoi beni quale risulta dalle scritture contabili separatamente tenute dalla società o dal curatore a norma dell'art. 2447-sexies c.c. (Comporti, 972; in senso contrario, Santosuosso, 2029).

Resta, peraltro, ferma la necessità che la liquidazione sia autorizzata dal giudice delegato, cui spetta, in definitiva, di accertare l'incapienza del patrimonio (Comporti, 962; Scarafoni, 1164; Santosuosso, 2030, nt. 15; Fimmanò, 2010, 958), senza che sia, pertanto, necessario il rendiconto finale da parte degli amministratori o del curatore (Santosuosso, 2030; Fimmanò, 958).

La liquidazione del patrimonio separato è operata dal curatore, previa rappresentazione nel programma di liquidazione a norma dell'art. 104-ter l.fall. (Fimmanò, 958; Santosuosso, 2029), e dev'essere eseguita, sia pur nei limiti della compatibilità, secondo le norme della liquidazione della società e non di quelle che disciplinano la liquidazione fallimentare.

Non è chiaro, peraltro, se il rinvio alle norme sulla liquidazione societaria debba essere interpretata nel senso che trovano applicazione tutte le relativi disposizioni, anche di carattere sostanziale, a partire dalla possibilità che hanno i relativi creditori di agire esecutivamente sui beni del patrimonio, in deroga al divieto previsto dall'art. 51 l.fall. (Comporti, 961; Santosuosso, 2029, 2030; Fimmanò, 962).

Neppure è chiaro se l'applicazione delle norme sulla liquidazione della società, dovendo pur sempre operare nei limiti della compatibilità, riguarda solo i profili procedurali che presiedono alla liquidazione concorsuale, in deroga, quindi, solo alle disposizioni della legge fallimentare, contenute negli artt. 105 ss l.fall. e 92 ss., che disciplinano i criteri (artt. 105 ss) e le modalità degli atti di liquidazione concorsuale (art. 107) nonché i poteri del giudice delegato (art. 108, comma 1), ovvero anche le norme sostanziali che presiedono all'esecuzione dei relativi pagamenti, come, ad es., i criteri di riparto delle relative somme secondo l'ordine di graduazione stabilito dall'art. 111 l.fall. e l'accertamento dei crediti particolari del patrimonio e dei titolari di diritti sui relativi beni (in senso favorevole a quest'ultima soluzione, Fimmanò, 961; in senso contrario, Scarafoni, 1159).

Troveranno, comunque, applicazione i criteri della liquidazione societaria stabili dall'art. 2487, comma 1, lett. c), c.c., ivi compreso l'esercizio provvisorio dell'affare (Fimmanò, 949).

Non sono, invece, compatibili con la procedura di fallimento della società le norme previste dagli artt. 2484, 2485, 2486 c.c. in ordine ai doveri degli amministratori a seguito della verificazione di una causa di scioglimento (Scarafoni, 1158).

Risulta, invece, compatibile con la procedura fallimentare la redazione da parte del curatore, a norma dell'art. 2492 c.c., del bilancio finale di liquidazione (Scarafoni, 1158).

Non sembra, infine, che possano applicarsi le norme che stabiliscono gli effetti sostanziali delle vendite forzate (artt. 2919 ss c.c.) ed il relativo effetto purgativo dalle passività iscritte (art. 108, comma 2, l.fall.).

Eseguiti i pagamenti ai creditori particolari e restituiti gli apporti effettuati dai terzi a norma dell'art. 2447-ter, comma 1, lett. d), c.c. (Scarafoni, 1158; in senso contrario Comporti, 963), il saldo netto è acquisito, previa detrazione delle spese di procedura, alla massa attiva del fallimento (art. 155, comma 3, l.fall.).

Il compenso al curatore per la liquidazione del patrimonio separato è liquidato dal tribunale, a norma dell'art. 39 l.fall., tenendo conto, naturalmente, anche di tale attività e dei relativi risultati.

La liquidazione è svolta sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori (Fimmanò, 962).

I creditori particolari e l'insinuazione al passivo della società

Il secondo comma della norma in esame prevede che i creditori particolari del patrimonio destinato possono presentare domanda di insinuazione al passivo del fallimento della società nei casi previsti dall'art. 2447-quinquies, commi 3 e 4, c.c., vale a dire quando: a) la deliberazione di costituzione del patrimonio destinato prevede che la società assuma la responsabilità illimitata o solidale per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare, rispondendo con tutto il proprio patrimonio; b) l'obbligazione deriva da fatto illecito; c) l'atto compiuto dalla società in relazione allo specifico affare non contiene l'espressa menzione del vincolo di destinazione (Comporti, 973).

Negli altri casi, nei quali la società risponde delle obbligazioni contratte in relazione all'affare nei limiti del patrimonio ad esso destinato (art. 2447-quinquies, comma 3, c.c.), i creditori particolari del patrimonio non possono proporre domanda di insinuazione al passivo della società.

La norma, nella parte in cui prevede che i creditori particolari del patrimonio destinato possono presentare domanda di insinuazione al passivo del fallimento sociale per far valere, nei casi previsti dall'art. 2447-quinquies, commi 3 e 4, c.c., la responsabilità «sussidiaria o illimitata» della società, contempla, rispettivamente, i casi in cui la responsabilità della società per le obbligazioni assunte in relazione allo specifico affare è «illimitata» ma non sussidiaria, come nei casi in cui tale responsabilità deriva da un fatto illecito ovvero da atto che non contiene l'espressa menzione del vincolo di destinazione, ed il caso in cui la responsabilità della società per le obbligazioni assunte in relazione allo specifico affare può essere, oltre che «illimitata», anche sussidiaria, come nel caso in cui una siffatta responsabilità sia prevista dalla deliberazione di costituzione del patrimonio destinato (Comporti, 973, 974; Santosuosso, 2031).

In quest'ultimo caso, trattandosi di responsabilità illimitata ma sussidiaria, i creditori particolari possono insinuarsi al passivo del fallimento sociale solo per l'importo che non sia stato soddisfatto dalla liquidazione del patrimonio destinato, se del caso, trattandosi di credito condizionale, con riserva degli esiti di tale liquidazione (artt. 55, comma 3, e 96, comma 3, n. 1, l.fall.) mentre, nel primo caso, l'insinuazione al passivo del fallimento della società, riguardando un debito del quale la stessa risponde illimitatamente, non può che avvenire in via ordinaria e per l'intero (Comporti, 973, 974).

La violazione delle regole di separatezza e le azioni di responsabilità

L'art. 156, comma 3, l.fall. prevede che il curatore, nelle forme previste dall'art. 146 l.fall., può agire in giudizio contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo della società quando risultino violate le regole di separatezza tra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società poi fallita ed il patrimonio della società medesima.

Ciò può accadere, oltre che nei casi in cui gli amministratori della società non abbiano osservato tutti i criteri organizzativi (arg. ex art. 2447-decies, comma 3, lett. b) c.c.) e contabili (artt. 2447-sexies e 2447-septies c.c.) necessari ad assicurare la separazione tra il patrimonio della società ed il patrimonio destinato ad uno specifico affare, anche quando abbiano compiuto atti che hanno determinano una responsabilità illimitata della società e, quindi, confusione tra il patrimonio destinato e quello generale (art. 2447-quinquies, commi 3 e 4, c.c.), quali la mancata menzione espressa del vincolo negli atti compiuti in relazione allo specifico affare o un atto illecito (Comporti, 975; Santosuosso, 2032)

Il rinvio alla norma dell'art. 146 l.fall. induce ad applicarne la corrispondente disciplina, come in precedenza illustrata, sia sotto il profilo procedurale (autorizzazione del giudice delegato, parere del comitato dei creditori, ecc.), sia sotto il profilo sostanziale, con conseguente applicazione delle norme generali che presiedono l'esercizio dell'azione sociale (art. 2392, 2393 c.c.) e dell'azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.), con i relativi presupposti di fatto, a partire dal danno al patrimonio della società.

L'azione in esame presuppone, quindi, il pregiudizio arrecato, in conseguenza della confusione, al patrimonio della società ovvero del singolo o dei singoli patrimonio destinati e, quindi, di riflesso, ai rispettivi creditori, che, a seconda dei casi, possono essere i creditori generali della società ovvero i creditori dello specifico o degli specifici affari (Fimmanò, 2253; Fimmanò, 181; Comporti, 975).

Il danno, quindi, va determinato con riferimento al pregiudizio economico provocato, in termini di maggiori oneri ovvero di minore attivo, al patrimonio sociale ovvero al patrimonio destinato e, nella misura della loro conseguente insufficienza, ai creditori della massa danneggiata dalla confusione patrimoniale (Comporti, 976).

A differenza dell'ipotesi generale, dove il risultato utile dell'azione promossa dal curatore è ripartito tra tutti i creditori ammessi al passivo della società, nel caso in esame l'importo ricavato è distribuito tra i soli creditori della massa pregiudicata dalla confusione (Comporti, 976).

La norma trova applicazione solo in caso di violazione delle regole di separatezza tra il patrimonio destinato costituito dalla società ed il suo patrimonio generale ovvero tra più patrimoni destinati (Comporti, 975).

Gli inadempimenti compiuti dagli amministratori (e dagli organi di controllo) ai doveri previsti a loro carico dalle norme in materia di patrimonio separato, che non si traducono in violazioni delle regole di separatezza (quali, ad es., la sottrazione dei beni del patrimonio destinato o del ricavato della loro vendita, ecc.) ma solo in un danno al patrimonio separato ed ai suoi creditori particolari, sono, quindi, sanzionati secondo la norma generale prevista dall'art. 146, comma 2, l.fall., tanto in sede di azione sociale di responsabilità, per il risarcimento dei danni che gli amministratori e/o gli organi di controllo, violando i loro doveri, hanno cagionato al patrimonio separato (sebbene lo stesso non sia compreso nel fallimento), quanto in sede di azione dei creditori sociali (del patrimonio separato), per il risarcimento dei danni che gli amministratori e gli organi di controllo, in violazione dei doveri inerenti alla conservazione della sua integrità, hanno cagionato al patrimonio separato in modo da renderlo insufficiente al completo soddisfacimento dei relativi creditori.

I legittimati passivi sono gli amministratori della società ed i componebti degli organi di controllo, sempre che siano responsabili in base alle norme generali richiamate dall'art. 146, comma 2, lett. a), quali risultano stabilite dagli artt. 2392, 2393, 2394 e 2407 c.c.

Bibliografia

Comporti, La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro e Sandulli, Torino, 2006; Fimmanò, Il nuovo diritto fallimentare, in Comm.Jorio-Fabiani, Bologna, 2010; Fimmanò, Il nuovo diritto fallimentare, Comm. Jorio-Fabiani, Bologna, 2006; Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società per azioni, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, 2008; Santosuosso, La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, Torino, 2010; Scarafoni, La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, a cura di Ferro, Padova, 2007.

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