Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 162 - Inammissibilita' della proposta 1 2 .

Salvo Leuzzi
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Inammissibilita' della proposta12.

 

Il Tribunale puo' concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti.

Il Tribunale, se all'esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui agli articoli 160, commi primo e secondo, e 161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi il Tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5 dichiara il fallimento del debitore.

Contro la sentenza che dichiara il fallimento e' proponibile reclamo a norma dell'articolo 18. Con il reclamo possono farsi valere anche motivi attinenti all'ammissibilita' della proposta di concordato.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 12, comma 4, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007.

[2] La Corte costituzionale, con sentenza 27 giugno 1972, n. 110, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma del precedente articolo, nella parte in cui non prevedeva che il tribunale, prima di pronunciarsi sulla domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, doveva ordinare la comparizione in camera di consiglio del debitore per l'esercizio del diritto di difesa.

Inquadramento

Nella riscrittura operatane dal d.lgs. n. 169/2007, il primo comma dell'art. 162 contempla ora la saliente opportunità, per il tribunale, di «concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti». Alla rilevata incompletezza della documentazione versata ai sensi dell'art. 161, comma 2, viene a correlarsi un potere di eminente matrice discrezionale del giudice collegiale, che lo abilita a consentire al debitore, entro un tempo comunque circoscritto, l'integrazione e la regolarizzazione del corredo documentale originariamente versato in allegato alla domanda e all'annesso piano concordatario. Si tratta all'evidenza di un «istituto-paracadute» concedibile – secondo le determinazioni insindacabili del tribunale – al debitore, il quale potrà così beneficiare di un pur esiguo margine di «recupero» nei casi in cui la sua domanda di sia mostrata claudicante e lacunosa in punto di ammissibilità.

Oggetto delle integrazioni

La norma è riferita alla integrazione del piano concordatario, all'uopo giovando a permettere senz'altro il «raddrizzamento» del programma di soluzione della crisi in funzione della salvaguardia dei valori aziendali e del parallelo perseguimento degli obiettivi di soddisfazione dei creditori narrati in proposta. Il riferimento alla possibilità di integrare sembra escludere che il debitore possa approdare, nel termine abbonatogli, ad un una totale rimodulazione qualitativa del piano. In altri termini, se nel termine è consentito colmare deficit informativi e documentali, non è consentito soppiantare il primigenio business plan, a beneficio di un progetto che assuma struttura e sembianze nuove.

Sembra plausibile ammettere anche l'integrazione della relazione attestativa, posta la stretta inerenza tra attestazione e piano concordatario, posto che la prima si compendia nella imprescindibile asseverazione di veridicità dei dati aziendali, risolvendosi in una prognosi di realizzabilità del secondo. È stato, peraltro, opportunamente chiarito che ai sensi dell'art. 162 l.fall., dopo la presentazione della proposta è possibile una integrazione del piano e la produzione di nuovi documenti, ma non anche la sostituzione o la modifica dell'attestazione (Trib. Rovigo 20 marzo 2015).

L'esigenza di consentire al giudice – in una prospettiva di favore per le soluzioni concordate della crisi – l'acquisizione di integrazioni ad ampio spettro è tangibile in taluni pronunciamenti degli uffici di merito: spetta al tribunale il controllo di fattibilità del piano concordatario, inteso come verifica della legittimità della sua attuazione, anche richiedendone integrazioni, ai sensi dell'art. 162, comma 1, l.fall. in punto di: previsione di procedura competitiva di vendita immobiliare, esatta qualificazione di alcun credito concorrente e completezza dei dati contabili offerti ai creditori (Trib. Ravenna 27 novembre 2015).

I «nuovi documenti» di cui l'art. 162 autorizza adesso la produzione devono palesarsi addizionali ed ulteriori rispetto a quelli già allegati all'originario ricorso; si potrà trattare sia di atti «nuovi» relativi all'impresa, che di quelli imprescindibili in quanto annoverati dal comma 2 dell'art. 161, dei quali, in ipotesi, sia stata omessa ab origine la produzione.

In difetto di previsione normativa in tal senso, non sembra necessaria, ai fini della concessione del termine, un'istanza da parte dell'imprenditore ricorrente. In ossequio al favor per la soluzione preventiva della crisi appare, anzi, plausibile che il tribunale solleciti motu proprio il debitore a colmare, ove occorra, le carenze documentali e informative. Nondimeno, si registra un orientamento della giurisprudenza di merito volto a postulare la necessità di un'istanza del debitore mirata all'ottenimento del termine, valorizzandosi il preciso onere del proponente di formulare ab initio una proposta pedissequamente conforme aalle previsioni dell'art. 161 (Trib. Napoli 19 maggio 2010; Trib. Napoli 21 settembre 2011, ilfallimentarista).

Discrezionalità del potere del tribunale

In pendenza del procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere dichiarato quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 l. fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato è stata dichiarata inammissibile, quando è stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non è stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, il concordato è stato respinto; la dichiarazione di fallimento, peraltro, poiché non sussiste un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo (Cass. S.U. n. 9935/2015;Cass. VI, n. 8982/2021).

La Corte di Cassazione ha spiegato che l'art. 162, comma 1, attribuisce al giudice un potere discrezionale, il cui mancato esercizio non esige motivazione e non è censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 21901/2013). Proprio la discrezionalità piena del potere giustifica l'ulteriore puntualizzazione in base alla quale il comma 2 in commento non interpone alcun limite alla verifica da parte del tribunale della sussistenza dei presupposti di ammissibilità della proposta, con la conseguenza che il proponente, convocato all'udienza prevista dalla predetta norma, non è legittimato a pretendere di fruire dell'assegnazione di un termine laddove gli siano richiesti chiarimenti che non è in grado di fornire oralmente, per quanto attengano a questioni differenti da quelle oggetto del decreto di convocazione (Cass. n. 11496/2014).

Cass. ord. n. 11216/2021 ha precisato che il tribunale è tenuto a una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano, con il limite, rispetto alla fattibilità economica (intesa come realizzabilità concreta), della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, desumibile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi; dovendo considerare gli elementi significativi e rilevanti, originari e sopravvenuti, che influiscono sull'individuazione dell'entità del passivo e dell'attivo.

Dell'accentuata discrezionalità del potere è persuasa anche la giurisprudenza di merito: il debitore non può rivendicare alcun diritto alla concessione del termine, dovendo piuttosto adempiere all'obbligo di corredare la domanda di concordato di tutta la documentazione prescritta dall'art. 161 l.fall. (App. Palermo, III 28 aprile 2016 n. 797).

La mancata formulazione da parte del giudice, nel corso dell'udienza camerale, di osservazioni critiche in ordine alla proposta concordataria non impedisce, peraltro, al proponente di richiedere, nel suo interesse, un termine per integrarla, in relazione ad eventuali profili di inammissibilità che potrebbero pur sempre emergere in sede di decisione, per quanto l'art. 162, comma 1, l.fall. attribuisca, in ultima analisi, al giudice un potere discrezionale, il cui omesso esercizio non necessita di motivazione, né è censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 21901/2013).

Declaratoria di inammissibilità e declaratoria fallimento

La verifica dell'insussistenza dei presupposti di cui agli artt. 160 e 161 comporta, «all'esito del procedimento di verifica», la declaratoria di inammissibilità della proposta concordataria, che il Tribunale pronuncia, ai sensi dell'art. 162, comma 2, «con decreto non soggetto a reclamo», e «sentito il debitore in camera di consiglio».

Segnatamente, se a seguito della concessione del termine, quest'ultimo non venga rispettato, l'epilogo dell'omissione sta tutto nella sanzione di inammissibilità / improcedibilità del ricorso, non essendo permesso provvedere a posteriori alla integrazione documentale. Milita in tal senso anche la considerazione della semestralità del termine di durata del procedimento concordatario, siccome scandito dall'art. 181 l.fall.

Non mancano, nella giurisprudenza di merito, prese di posizioni «elastiche», che, nel rilevare come il termine di quindici giorni non sia contemplato a pena di decadenza, ritengono che esso ben possa essere prolungato o reiterato, soprattutto in relazione all'esigenza di assicurare il contraddittorio su questioni rilevate d'ufficio dal tribunale o sollevate dalle parti intervenute (Trib. Roma 20 aprile 2010, in Dir. fall. 2011, II, 503, Trib. Terni 17 febbraio 2010).

È stato osservato che, qualora il tribunale ritenga inammissibile, per motivi di merito, la domanda di concordato preventivo ordinario presentata in pendenza di un procedimento per dichiarazione di fallimento, e conseguentemente convochi il debitore in camera di consiglio, con assegnazione di termine ex art. 162 per il deposito di integrazioni, è in ogni caso inammissibile la rinuncia alla predetta domanda, in funzione della proposizione di una nuova domanda di concordato preventivo con riserva, realizzando ciò uno sviamento abusivo dell'iter processuale, in pregiudizio del diritto del creditore istante per il fallimento (Trib. Milano 24 ottobre 2012, in Fall. 2013, 77, con nota di Vella).

Il decreto di inammissibilità chiude, quindi, l'istruttoria sulla domanda concordataria ed è suscettibile, in presenza di un'istanza in tal senso del creditore o di una richiesta (anche orale) del pubblico ministero, di condurre alla dichiarazione di fallimento. Benché il p.m. sia già stato reso destinatario della comunicazione ai sensi dell'art. 161, comma 4 e sia stato, dunque, messo in condizione di partecipare alla fase di ammissione, nulla esclude che sia avvisato formalmente pure della convocazione del debitore in camera di consiglio ai sensi dell'art. 162, comma 2. Non si intravvedono addentellati normativi in senso contrario.

La giurisprudenza considera legittima la segnalazione dell'insolvenza al P.M. dopo la dichiarazione di inammissibilità ad opera del tribunale; il P.M. può, una volta acquisita la notizia, può sollecitare la dichiarazione di fallimento. Si è argomentato in proposito che la legittimazione a richiedere il fallimento ai sensi dell'art. 162 non esclude quella prevista dall'art. 7, comma 2, essendo il procedimento di concordato preventivo un “procedimento civile” agli effetti di questa norma (Cass. n. 976/2021).

Prima di dichiarare l'inammissibilità il tribunale deve procedere, a mente del comma appena evocato, all'audizione del debitore in camera di consiglio. Non è, peraltro, necessario sentire il debitore in ipotesi in cui l'istanza di ammissione al concordato preventivo sia stata resa in pendenza di una procedura fallimentare a carico del proponente, del quale sia stata già disposta l'audizione prima della dichiarazione di fallimento (Cass. n. 11113/2010). D'altronde, il sub-procedimento diretto alla declaratoria fallimentare, in esito a quella di inammissibilità della proposta di concordato preventivo, si innesta in una procedura globale ed unitaria, il cui esito possibile, eventualmente coincidente con la dichiarazione di fallimento, è astrattamente noto al debitore sin dal momento in cui egli si cimenta nella proposizione della domanda concordataria.

Ancora di recente i giudici di piazza Cavour sono intervenuti sul punto, osservando che la declaratoria di fallimento, qualora faccia seguito alla pronuncia di inammissibilità di una proposta di concordato preventivo depositata in pendenza di un ricorso prefallimentare ad essa riunito e successivamente notificato, non richiede ulteriori adempimenti procedurali, ivi compresa la preventiva audizione del debitore, inquadrandosi in una procedura unitaria, nella quale quest'ultimo ha già formalizzato il rapporto processuale innanzi al tribunale e del cui eventuale sbocco nella dichiarazione di fallimento egli è consapevole fin dal momento della presentazione della domanda concordataria, sicché lo stesso, per effetto di quella riunione, è già in grado di predisporre i mezzi di difesa più adeguati sia in ordine all'ammissibilità della proposta, che per contrastare la richiesta di fallimento (Cass. n. 25587/2015).

L'omessa convocazione sull'istanza di fallimento e la mancata concessione di termini a difesa nel caso in cui l'istanza stessa sia presentata all'esito dell'udienza fissata ai sensi degli art. 179 e 162 comma 2 l.fall., comporta, nondimeno, secondo una pronuncia di merito, la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento (Trib. Catania 28 ottobre 2012).

Anche qualora sia stata presentata una proposta di concordato preventivo cd. in bianco ai sensi dell'art. 161, comma 6, l.fall., va, comunque, rispettato l'obbligo di audizione del debitore ex art. 162, comma 2, l.fall. per far sì che costui possa svolgere le proprie difese prima della pronuncia di inammissibilità, salvo che, inserendosi la proposta nell'ambito della procedura prefallimentare, il debitore sia stato comunque sentito in relazione alla proposta ed abbia avuto modo di esplicitare le sue difese (Cass. n. 12957/2016).

Il comma 2 dell'art. 162, nel testo emendato dal d.lgs. n. 169/2007, prosegue stabilendo che, in caso di inammissibilità della proposta di concordato, «il tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del p.m., accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 dichiara il fallimento del debitore». In buona sostanza, soppresso il potere officioso di procedere alla dichiarazione di fallimento, il tribunale potrà pronunciare detta declaratoria solo dietro specifica istanza del creditore o richiesta del pubblico ministero, e previo accertamento della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 5 l.fall.

La comunicazione al p.m. della proposta di concordato assolve ad una funzione conoscitiva della instaurazione del procedimento, lasciando al p.m. l'onere di valutare se partecipare o meno alla camera di consiglio fissata per l'audizione del debitore ed altresì legittimandolo alla formulazione dell'istanza di fallimento nell'ipotesi di cui all'art. 162 comma 2 l.fall. La presenza in udienza del p.m. e la richiesta formulata oralmente è sufficiente ad investire il giudice fallimentare del potere decisorio in merito alla declaratoria di fallimento. La richiesta non necessita di motivazione in quanto l'inammissibilità della proposta e i limiti alla riproponibilità della stessa rendono l'iniziativa del p.m. «un'implicita presa d'atto della ricorrenza dei presupposti» (App. Roma 15 marzo 2013).

Ancorché la norma in esame non lo preveda espressamente, nulla osta al ritenere che l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento possa essere assunta finanche dallo stesso debitore. A confortare detta asserzione è il novellato art. 6, che delinea un precetto di valenza generale.

In mancanza di un esplicito richiamo all'istruttoria prefallimentare di cui all'art. 15, si potrebbe essere indotti a immaginare che le istanze di fallimento, presentate prima del concordato o in costanza di esso, siano suscettibili d'esser trattate con rito semplificato rispetto a quello previsto dalla mentovata disposizione, tanto da escludere la possibilità quindi di esercitare i poteri cautelari ivi tratteggiati, dovendosi evitare di pronunciare una decisione ex artt. 16 o 22. Più convincente, a ben guardare, ritenere che il mancato richiamo dell'art. 15 non ne esclude l'applicazione, ma, piuttosto, la impone, a partire dalla doverosa notificazione dell'avviso al debitore al fine di porlo in grado di difendersi sia con riferimento legittimazione dell'istante e alla sussistenza dello stato di insolvenza.

Una particolare attenzione per le occorrenze intrinseche al contraddittorio si coglie in una pronuncia di merito, secondo cui va revocato, per violazione del diritto di difesa, il fallimento dichiarato dal tribunale, su richiesta formulata dal p.m. oralmente nel corso dell'udienza ex art. 162, comma 2, l.fall., a scioglimento della riserva assunta in quella sede, senza che sia stato concesso il termine, richiesto dal debitore, per rispondere alle deduzioni formulate dal p.m. circa la sussistenza dei presupposti per la declaratoria di fallimento (App. Roma I, 3 febbraio 2016 n. 709).

La dichiarazione di inammissibilità della domanda di ammissione alla procedura concordataria può essere inclusa nella sentenza di fallimento, se del caso contestualmente emessa (Cass. n. 12986 del 2009, in Fall. 2010, 445, con nota di Genoviva). L'esigenza di due distinti provvedimenti ricorre, infatti, solo per i casi in cui il fallimento non possa ancora essere dichiarato, in difetto dell'iniziativa di parte.

 In ogni caso, la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato legittima la segnalazione dell'insolvenza del proponente ad opera tribunale al P.M. il quale, acquisita la notitia decoctionis, può chiedere il fallimento e la legittimazione a farne richiesta non esclude quella prevista dall'art. 7, comma 2, l. fall. (Cass. I, n. 976/2021).  La domanda di concordato preventivo con riserva proposta dall’imprenditore nei cui confronti pende procedimento per la dichiarazione di fallimento può essere dichiarata inammissibile all’esito del procedimento camerale previsto dall’art. 162, secondo comma, prima dell’assegnazione del termine previsto dal decimo comma dell’art. 161 quando il ricorrente non abbia depositato, prima della decisione di inammissibilità, documenti qualificabili come bilanci relativi agli ultimi tre esercizi (Cass. I, ord. n. 33594/2021).

Regime impugnatorio

Il provvedimento di inammissibilità della domanda di concordato non è, per espressa previsione di legge, reclamabile, ma è, secondo una posizione interpretativa, senz'altro ricorribile in Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Bonfatti-Censoni, 80). In realtà quest'opportunità di tutela parrebbe impercorribile in virtù della riproponibilità subitanea della richiesta di ammissione al concordato.

In giurisprudenza si è, in tal senso, chiarito che il ricorsoexart. 111 Cost. contro il decreto in questione rimane escluso per via del suo carattere di provvedimento non autonomo e della esistenza di uno specifico mezzo di impugnazione della sentenza di fallimento, provvedimento con cui il decreto è inscindibilmente connesso (Cass. n. 3059/2011, in Fall. 2011, 1201, con nota di De Santis). In seguito sono stati evidenziati motivi ulteriori per escludere il ricorso di legittimità. Cass. I, n. 22442/2021 ha con ordinanza rilevato che il decreto con il quale il tribunale dichiara l’inammissibilità della proposta di concordato ovvero revoca l’ammissione alla procedura concordataria, senza emettere consequenziale sentenza di fallimento del debitore, non è soggetto a ricorso per cassazione non avendo carattere decisorio né essendo idoneo al giudicato in quanto non decide nel contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi.  In precedenza, si era già sanzionato di inammissibilità il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell'art. 111 Cost. avverso il decreto con cui era stata dichiarata l'inammissibilità della domanda di ammissione al concordato preventivo, non potendo attribuirsi alla pronuncia del giudice fallimentare un contenuto intrinsecamente decisorio, per essere la stessa inscindibilmente connessa ad una successiva e consequenziale pronuncia di fallimento (Cass. n. 8186/2010). In questo senso si sono pronunciate le Sezioni unite della Corte di cassazione (sent. n. 27073/2016) e Cass. ord. n. 22442/2021.

Dal canto suo, il comma 3 dell'art. 162 prevede che «contro la sentenza che dichiara il fallimento è proponibile reclamo a norma dell'art. 18», con la puntualizzazione che con detto reclamo «possono farsi valere anche motivi attinenti all'ammissibilità della proposta di concordato». L'inscindibile connessione tra declaratoria di inammissibilità del concordato e dichiarazione di fallimento implica che avverso la sentenza che il fallimento pronuncia si possano dedurre motivi che riguardano la legittimità del decreto che ha dichiarato inammissibile l'accesso alla procedura concorsuale minore (Cass. n. 3536/1990). Peraltro, è proprio la dichiarazione di fallimento la vera fonte di effetti giuridici nella sfera personale e patrimoniale dell'imprenditore, non il decreto di inammissibilità dell'istanza di ammissione al concordato preventivo, la cui sola conseguenza è proprio quella di propiziare il fallimento.

Il punto è assodato nella giurisprudenza della Corte Suprema: in tema di concordato preventivo, quando in conseguenza della ritenuta inammissibilità della domanda il tribunale dichiara il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del p.m., può essere impugnata con reclamo solo la sentenza dichiarativa di fallimento e l'impugnazione può essere proposta anche formulando soltanto censure avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo (Cass.S.U. n. 9935/2015).

La Corte di Cassazione ha, da ultimo, icasticamente osservato che, nel caso in cui la sentenza dichiarativa di fallimento faccia seguito ad un provvedimento di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, l'effetto devolutivo pieno che caratterizza il reclamo avverso la sentenza di fallimento riguarda anche la decisione sull'inammissibilità del concordato, perché parte inscindibile di un unico giudizio sulla regolazione concorsuale della stessa crisi, sicché, ove il debitore abbia impugnato la dichiarazione di fallimento, censurando innanzitutto la decisione del tribunale sulla sua mancata ammissione al concordato, il giudice del reclamo, adìto ai sensi degli artt. 18 e 162 l.fall., è tenuto a riesaminare, anche avvalendosi dei poteri officiosi previsti dall'art. 18, comma 10, l.fall. tutte le questioni concernenti detta ammissibilità, pur attinenti a fatti non allegati da alcuno nel corso del procedimento innanzi al giudice di primo grado, né da quest'ultimo rilevati d'ufficio, ed invece dedotti per la prima volta nel giudizio di reclamo ad opera del curatore del fallimento o delle altre parti ivi costituite (Cass. 12964/2016).

Era stato in precedenza considerato che, il decreto del tribunale che neghi ingresso alla procedura richiesta dal debitore (per difetto delle condizioni di cui all'art. 160 l.fall.), e la conseguente sentenza dichiarativa di fallimento, devono essere oggetto di impugnazione unitaria, essendo inscindibilmente connessi ai sensi dell'art. 18 l.fall., come statuito dall'art. 162, comma 3, l.fall.; in tal caso, peraltro, è sufficiente che il reclamante formuli le censure anche solo nei confronti del decreto di inammissibilità, poiché gli eventuali vizi di tale provvedimento si traducono automaticamente in vizi della sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. n. 3586/2011).

È stato ritenuto che nel caso in cui la proposta di concordato preventivo sia stata dichiarata inammissibile e sia stato dato avvio al procedimento prefallimentare ai sensi dell'art. 162, comma 2, la presentazione di una nuova proposta non trova alcun ostacolo normativo e vincola il tribunale ad esaminarla in via preliminare rispetto all'istanza di fallimento (Cass. n. 3586/2011; Trib. Udine 10 maggio 2011, in Fall. 2011, 1007). Un differente orientamento di merito ha, peraltro, precisato che, in caso di mancata approvazione del concordato preventivo, l'iter procedurale di cui all'art. 162, comma 2, richiamato dall'art. 179, non permette la proposizione di una nuova proposta di concordato, prima che siano state esaminate e decise le preesistenti istanze di fallimento (Trib. La Spezia 18 giugno 2010, in Fall. 2011, 65, con nota di Vacchiano).

Opportuna è giunta, in un contesto incerto, un'ulteriore presa di posizione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in presenza di una domanda di concordato preventivo con riserva, il provvedimento del tribunale che abbia rigettato l'istanza di proroga del termine per il deposito della proposta, del piano e della documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 161 r.d. n. 267 del 1942, resta insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato; respinta l'istanza di proroga e scaduto il termine concesso ex art. 161, 6 comma, la domanda di concordato deve essere dichiarata inammissibile dal tribunale, ai sensi dell'art. 162, 2 comma; tuttavia, va fatta salva la facoltà per il proponente, in pendenza dell'udienza fissata per la dichiarazione di inammissibilità, ovvero anche per l'esame di eventuali istanze di fallimento, di depositare una nuova domanda di concordato, ai sensi del primo comma dell'art. 161 (corredata della proposta, del piano e dei documenti), dalla quale si desuma la rinuncia a quella con riserva, sempre che la nuova domanda non si traduca in un abuso dello strumento concordatario (Cass. n. 6277/2016).

In tema di rapporti tra procedure concorsuali, l'accoglimento del reclamo avverso la dichiarazione di fallimento emessa, ai sensi dell'art. 162, secondo comma, l.fall., sul presupposto dell'inammissibilità della proposta di concordato preventivo, impone alla corte d'appello di rimettere gli atti al tribunale perché dichiari aperta — ai sensi dell'art. 163 l.fall. — quest'ultima procedura, nominando i relativi organi e dettando i conseguenti provvedimenti, dovendosi escludere, in forza dell'art. 22 l.fall. (applicabile in via analogica), che tali poteri sussistano in capo alla corte d'appello (Cass. n. 11014/2013). Nella procedura di reclamo non è legittimato passivamente il commissario giudiziale (Cass. I, ord. n. 16562/2021).

Contenuto ed estensione del vaglio del tribunale

Una problematica mai sopida attiene alla misura e alla consistenza dei poteri che il collegio può esercitare in fase di ammissione.

Una parte della dottrina, valorizza la connotazione contrattualistica del concordato preventivo, riconoscendo al tribunale poteri circoscritti ad un controllo formale di regolarità e legittimità, essenzialmente di tipo estrinseco (Ambrosini, Fauceglia, Zanichelli). Altra parte degli studiosi ritiene che i poteri del giudice abbiano una latitudine ben più vasta, tesa a indagare il contenuto della domanda (Bozza), fino ad estendersi alla sussistenza della fattibilità del piano (Liccardo).

In quest'ultimo senso, parrebbe deporre l'attuale assenza di un assorbente e condizionante riferimento alla verifica su completezza e regolarità della documentazione.

Il tribunale parrebbe, piuttosto, dover esprimere un potere di controllo sull'attuabilità del piano, che deve contemplare ab initio mezzi giuridici in linea con quelli contemplati dall'ordinamento. L'organo giurisdizionale adito deve poter, in altri termini, verificare sin da subito se l'accordo raggiunto sia in concreto praticabile, atteso che in caso contrario, si darebbe sistemicamente la stura ad un procedimento concorsuale già in nuce compromesso.

Viceversa, il controllo del tribunale è, già nella fase cruciale dell'ammissione – per la connotazione dirompente degli effetti che vi si annodano – sia formale, che sostanziale, quindi mirato a ravvisare, ove sussista, una reale coerenza tra le premesse e le conclusioni della proposta, tra quest'ultima e le risultanze del piano.

Del resto, come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione, il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo, e non può dirsi ristretto alla verifica dell'idoneità della documentazione prodotta, compendiandosi, piuttosto, nella necessaria verifica dell'effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato ossia dell'obiettivo specifico perseguito dal procedimento.

La giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, osservato che nella valutazione delle condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato preventivo, qualunque sia la sede in cui avvenga (ammissione ex art. 162, secondo comma; revoca ex art. 173, terzo comma; omologazione ex art. 180, terzo comma, l.fall.), al tribunale non è consentito il controllo sulla regolarità ed attendibilità delle scritture contabili, ma è permesso il sindacato sulla veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti unitamente al ricorso (art. 161, secondo comma, lett. a, b, c, e d, l.fall.), sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica, al fine di consentire ai creditori di valutare, sulla base di dati reali, la convenienza della proposta e la stessa fattibilità del piano.

Resta, invece, precluso ogni sindacato sulla stima del valore degli elementi patrimoniali effettuata dal professionista attestatore, salvo il caso di incongruenza o illogicità della motivazione (Cass. n. 2130/2014).

Bibliografia

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