Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 167 - Amministrazione dei beni durante la procedura.

Salvo Leuzzi

Amministrazione dei beni durante la procedura.

 

Durante la procedura di concordato, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale1.

I mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.

Con il decreto previsto dall'articolo 163 o con successivo decreto, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l'autorizzazione di cui al secondo comma2.

Inquadramento

Il testo dell'art. 167 l.fall. – licenziato dalla riforma di cui al d.lgs. n. 5 del 2006 e rimasto inalterato nel quadro delle successive, molteplici modificazioni – delinea uno degli aspetti contraddistintivi del concordato preventivo: il debitore, in costanza di procedura, diversamente da quanto accade nel fallimento, rimane in bonis e la procedura concorsuale non ne altera in alcun modo la sfera giuridica. È la ratio ispiratrice dell'istituto: l'imprenditore trova nel concordato uno strumento che gli permette di continuare l'esercizio dell'impresa, quand'anche la tipologia concordataria prescelta contempli la cessione dei beni ai creditori.

Fa difetto nel contesto concordatario una norma affine all'art. 43 in tema di fallimento; piuttosto, il soggetto in concordato trattiene la titolarità del suo patrimonio e dell'impresa e seguita a gestire sia l'uno che l'altra, senza che si attui uno spossessamento (se non «attenuato»: v. 2) in suo pregiudizio e senza che si compia la sottrazione a suo carico della capacità d'agire.

Nondimeno scopo essenziale della procedura è anche quello di consentire una soddisfazione, benché parziale, dei creditori, il che rende fisiologico che l'esercizio dell'attività non sia del tutto libero, ma controllato «da vicino» da organi terzi (giudice e commissario) nonché subordinato ad una regolamentazione che escluda l'impoverimento della massa attiva.

Le sole convergenti conseguenze dell'avvio della procedura stanno, da un lato nella sottoposizione dell'esercizio d'impresa e dell'amministrazione dei cespiti da parte del debitore alla perdurante «vigilanza del commissario giudiziale» (comma 1), dall'altro lato, nell'imprescindibilità dell'ottenimento di specifica autorizzazione del giudice delegato ai fini del compimento degli atti di straordinaria amministrazione, pena l'inefficacia di essi rispetto ai creditori anteriori al concordato (comma 2).

In definitiva, la titolarità di beni, nel contesto concordatatario, fa capo al debitore, il quale, se per un verso, soffre mere limitazioni al potere di disporre di detti beni (v. Cass. 12422/2011), per altro verso, conserva la legittimazione piena ad agire e a resistere in giudizio a salvaguardia di essi (Cass. n. 7661/2005; Cass. n. 10738/2000).

Detta legittimazione rimane in capo al debitore anche nell'ipotesi peculiare del concordato con cessio bonorum, nel cui ambito, benché la legittimazione a disporre dei beni venga attribuita al commissario liquidatore, che opera alla stregua di mandatario dei creditori, nondimeno, residuano in capo al debitore, sia la proprietà dei beni, che la legittimazione processuale in relazione a tutti i rapporti che li riguardano.

Profili temporali

Le regole dell'art. 167 valgono, per espressa precisazione della norma, «durante la procedura», il che implica che esse assumano rilievo dal momento iniziale di essa coincidente con la presentazione del ricorso, ove si considerino gli effetti ex art. 168 che a detto passaggio si riconnettono.

In quest'ottica, vengono in evidenza le esigenze di coordinamento con l'art. 167, posto che parrebbe anomalo che al «blocco» delle azioni esecutive dei creditori si contrapponesse l'indiscriminata possibilità del creditore di disporre ad libitum dei propri beni; assume, inoltre, risalto la circostanza per cui è il ricorso a contenere la domanda di ammissione alla procedura (Cass. n. 2972/2006; Cass. n. 8739/2001).

In giurisprudenza si registra anche un diverso orientamento, secondo il quale lo «spossessamento attenuato» è necessariamente connesso all'emissione del decreto del tribunale di apertura della procedura, posto che il deposito del ricorso rileverebbe per i soli effetti contemplati dagli artt. 168 e 169 (v. Cass. n. 6870/1994; Trib. Roma 14 luglio 1989, Trib. Firenze, 19 gennaio 1982), mentre il provvedimento di ammissione conterrebbe la nomina essenziale del g.d., ossia dell'organo cui è demandato il potere di concedere o negare le autorizzazioni.

In dottrina, si registra un diverso avviso nel senso dell'ancoraggio dello spossessamento alla data di presentazione della domanda di ammissione, asserendosi a supporto l'esigenza di stabilire una omogeneità di incidenza rispetto alla previsione di cui all'art. 168 sul blocco delle azioni esecutive e cautelari (Bonfatti, Censoni).

Il momento finale di incidenza applicativa dell'art. 167 coincide con il passaggio in giudicato del decreto di omologazione, che corrisponde alla conclusione della procedura concordataria, residuando, dopo esso, soltanto la fase prettamente adempitiva (Cass. n. 3588/1996).

Continuità dell'esercizio dell'impresa e vigilanza del commissario giudiziale

Dal tenore dell'art. 167 si evince che l'ammissione alla procedura concordataria non ne determina lo scioglimento, né incide sull'esercizio delle funzioni degli organi sociali (Cass. n. 12052/1993). Il persistente possesso dei beni in capo al debitore viene preservato, nondimento, con la previsione di alcuni limiti, attuandosi quello che, con locuzione incisivamente descrittiva, viene indicato come «spossessamento attenuato» (Cass. n. 4728/2008). Il predetto spossessamento, se assicura la perdurante titolarità dei beni e dei rapporti giuridici in capo al debitore, determina, in ogni caso, rilevanti conseguenze, innanzitutto sul piano della legittimazione sia sostanziale che processuale. Segnatamente, nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce quale mandatario dei creditori, laddove il debitore conserva unicamente la legittimazione processuale. In altri termini, il liquidatore sostituisce la società esclusivamente con riferimento alle attività liquidatorie, mentre il debitore resta parte in senso sostanziale di tutti gli atti che concernono il suo patrimonio.

In questo quadro, il debitore seguita a palesarsi quale destinatario degli obblighi tributari e soggetto passivo d'imposta relativamente a tutte le proprie attività, ivi comprese quelle svolte per suo conto dal liquidatore (v. Cass. n. 12422/2011). In buona sostanza i rapporti tributari continuano a far capo direttamente al debitore che sui medesimi è legittimato processualmente a interloquire. Proprio nel solco concettuale ora in discorso è stato, esemplificativamente, chiarito che il commissario liquidatore di un concordato preventivo con cessione dei beni che, nell'esercizio del proprio ufficio, stipuli un contratto di vendita immobiliare, non è soggetto passivo dell'INVIM ai sensi dell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, dovendo egli qualificarsi come mandatario dei creditori per la liquidazione dei beni del debitore, il quale rimane nella piena proprietà dei beni venduti, con l'assunzione della posizione di parte in senso sostanziale in tutti gli atti concernenti il suo patrimonio, nonché nei rapporti tributari a lui direttamente facenti capo (Cass. n. 27897/2013).

Nel contesto dei giudizi di accertamento di crediti, il solo legittimato passivo è il debitore, non sussistendo la necessità del litisconsorzio nei confronti del liquidatore, che, peraltro, può spiegare intervento ad adiuvandum, con il conseguente profilarsi di un'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, alla quale consegue l'integrazione del contraddittorio nelle eventuali fasi di gravame (Cass. n. 8102/2013). Ove, tuttavia, il creditore agisca proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad interferire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell'imprenditore si somma quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario, abilitato ad intervenire in fase d'appello, anche senza l'autorizzazione del giudice delegato, essendo quest'ultima necessaria solo per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione ai sensi dell'art. 167 (Cass. n. 17748/2009).

Come noto, il d.lgs. n. 5/2006 ha eliminato dall'art. 167 il pregresso riferimento al potere di «direzione» del giudice delegato. Si è, in tal senso, percorsa la via del riequilibrio delle posizioni riconosciute nell'ambito della procedura in capo ai diversi organi», in coerenza col nuovo testo dell'art. 25, che, del pari, in ambito fallimentare ha soppresso il potere di direzione del giudice delegato e sostituito al potere di vigilanza sull'opera del curatore il potere di esercizio di «funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura».

Con riferimento alla norma in commento, la vigilanza commissariale prevista dal primo comma, si snoda nella capillare attività di controllo di tutti gli atti compiuti dal debitore, al fine di segnalarne al g.d., quelli che, in quanto non autorizzati ai sensi dell'art. 167, rimangono inefficaci nei confronti dei creditori e sono suscettibili di condurre, ai sensi del comma 3, dell'art. 173 finanche alla revoca dell'ammissione al concordato. In altri termini, la sorveglianza del commissario attiene al rispetto dei limiti che, in ambito concordatario, connotano i suoi poteri dispositivi. In tal guisa, si tende ad assicurare che le finalità satisfattive proprie del concordato non siano minate da atti eccentrici rispetto, tanto ad esse, quanto all'esecuzione del piano che dovrebbe consentirne il perseguimento. In buona sostanza, tenuto conto che il potere di autorizzare gli atti eccedenti l'amministrazione è ascritto al g.d. (v. 3.), le prerogative del commissario sono prive di immediata e diretta incidenza sull'attività del debitore, la quale d'altronde dovrà programmaticamente conformarsi al piano annesso alla proposta accettata dai creditori. Tuttavia, non è di poco momento l'opportunità commissariale di segnalare al debitore – in un'ottica di incisiva moral suasion – indicazioni specifiche sugli atti suscettibili d'esser compiuti e su quelli che non andrebbero posti in essere in quanto divaricati dal paradigma costituito dal piano, dallo schema concordatario e dalle norme che regolano lo sviluppo della procedura concorsuale

Ordinaria e straordinaria amministrazione

Nella misura in cui, a tenore del comma 1 della norma in commento, il debitore in concordato conserva l'amministrazione dei beni e l'esercizio dell'impresa, egli deve poter compiere liberamente e autonomamente, senza scontare limiti, tutti gli atti che, in quanto volti alla mera conservazione del patrimonio, si inscrivono nella c.d. ordinaria amministrazione.

Tuttavia, poiché il persistente possesso dei beni non può che esser vincolato al perseguimento della soddisfazione, ancorché parziale, dei creditori, più che al profitto dell'impresa, si attua il c.d. «spossessamento attenuato» (Cass. n. 4728/2008).

In tal senso, qualora gli atti del debitore non abbiano un contenuto meramente conservativo, è irrinunciabile appurare se i medesimi siano finalizzati o meno, in misura esclusiva, all'attuazione del piano concordatario, quindi alla salvaguardia – se del caso, in uno con in valori aziendali – dell'interesse del ceto creditorio a veder soddisfatte le proprie pretese (v. Cass. n. 11520/2010).

L'allineamento teleologico fra atto e contenuto del piano è assicurato dall'autorizzazione, necessariamente scritta del giudice delegato. In tal senso, il magistrato, in quanto deputato alla tutela dei crediti, si cura di scrutinare l'atto sul piano della consonanza e della congruenza al piano, verificando che intrinsecamente all'atto sussista perlomeno un'utilità equivalente rispetto al sacrificio patrimoniale che esso eventualmente comporti.

In uno sforzo esemplificativo meticoloso, il legislatore ha annoverato al comma 2 dell'art. 167 diverse ed eterogenee tipologie di atti, in certo senso ricorrenti, accomunati da null'altro che dall'incidenza netta sul patrimonio del debitore: mutui, transazioni, compromessi, alienazioni di immobili, rilascio di garanzie reali, fideiussioni, rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti di terzi, cancellazioni di ipoteche, restituzioni di pegni, accettazioni di eredità e donazioni. La formula di chiusura prescelta dal medesimo legislatore, nel postulare l'esigenza dell'autorizzazione per gli «atti eccedenti l'ordinaria amministrazione», inequivocabilmente intercetta tutti gli atti in grado di incidere negativamente sui beni del debitore, i quali, come tali, ricadono nel «contenitore» della straordinaria amministrazione: si tratta, da un lato, degli atti idonei a pregiudicare l'entità e la consistenza del patrimonio debitorio, dall'altro, degli atti suscettibili di gravarlo di vincoli e pesi prima inesistenti (Cass. n. 20291/2005). La giurisprudenza di legittimità si mostra su questa «lunghezza d'onda» interpretativa, posto che scevera gli atti di «ordinaria amministrazione» come quelli tesi alla conservazione del patrimonio, ritenendo di «straordinaria amministrazione» tutti quegli atti che potrebbero implicare una diminuzione patrimoniale (v. Cass. n. 15484/2004; Cass. n. 7390/1997, in Dir. Fall., 1999, II 1120, con nota di CIGLIOLA).

In questo quadro sono stati stimati di straordinaria amministrazione anche l'affitto d'azienda e la compensazione volontaria (Cass. n. 1357/1999).

In ultima analisi, la caratteristica di straordinarietà va individuata, non tanto – asetticamente – nel tipo di operazione che il debitore pone in essere, quanto nel risultato che la stessa consegue e che dev'essere affine e similare a quello proprio degli atti espressamente elencati in via esemplificativa (così App. Venezia, 29 maggio 2014).

Chiaramente, infatti, il criterio dell'incidenza pregiudizievole dell'atto è valido solo nel contesto di una valutazione ex post, che guardi al risultato dell'atto. Ciò non sottrae il debitore ad una condizione complessiva di incertezza, non fornendogli parametri discretivi solidi ed inequivoci per la valutazione ex ante dell'atto che si accinge a compiere.

Casistica.

Nell'ordinaria amministrazione si fa rientrare solitamente il conferimento di incarico professionale se non continuativo e non particolarmente complesso (Cass. n. 19235/2009, in Fallimento 2010, 576, con nota di Guiotto), sottolineandosi che detto atto è funzionale a prevenire la dissoluzione e a scongiurare il determinarsi di pregiudizi per i creditori, non ad incidere negativamente sul patrimonio dell'impresa. Segnatamente, è di ordinaria amminiastrazione il conferimento del mandato professionale per ottenere l'omologazione del concordato preventivo (Cass. n. 92/1998).

Del pari, di analoga natura ordinaria sono stati reputati la stipulazione di contratti necessari per la prosecuzione dell'impresa (App. Roma 10 marzo 1997), la vendita di prodotti e scorte (Cass. n. 64/1885), la cessione di beni produttivi (Trib. Bologna 10 dicembre 1993, in Fall., 1994, 648) la convocazione dell'assemblea straordinaria, avente ad oggetto la modifica dell'atto costitutivo, nella parte riguardante la denominazione sociale della società ammessa al concordato preventivo (App. Milano 10 novembre 1987 e Trib. Messina 26 gennaio 2000, in Soc., 2000, 1129, con nota di Fusi), la deliberazione assembleare della società con cui si stabilisce lo scioglimento perdita del capitale sociale (Trib. Lecco 28 giugno 1988), l'azione di responsabilità (Cass. n. 1530/1972), l'azione di riduzione delle ipoteche (Cass. n. 2556/1970).

Si riportano entro l'alveo della straordinaria amministrazione, l'esecuzione di un contratto preliminare di una vendita, sebbene stipulato anteriormente al concordato (Cass. n. 1357/1999; Cass. n. 7390/1997); la vendita dell'azienda prima della omologazione del concordato (Cass. n. 64/1985); il contratto di mutuo ) Trib. Milano 7 novembre 1996, in Fall. 1997, 435); le locazioni, il leasing di lunga durata sui beni d'impresa, l'affitto di azienda (Cass. n. 15484/2004; Cass. n. 3905/1993); la vendita di titoli azionari (Cass. n. 12052/1993)

Natura dell'autorizzazione e conseguenze della sua mancanza

L'autorizzazione è atto di volontaria giurisdizione emesso in forma di decreto (Trib. Arezzo 15 giugno 2011). Si ritiene possa essere emanata anche successivamente al compimento dell'atto o risultare in modo implicito da provvedimenti che ne postulano la ratifica (Trib. Salerno 19 luglio 2003; Trib. Verona 6 marzo 1991).

Il decreto autorizzativo è impugnabile esclusivamente con reclamo ex art. 164 e 26 (Cass. n. 92/1998; Cass. n. 4260/1995); d'altronde l'autorizzazione non ha natura decisoria, ma tutoria ed integrativa del potere di disposizione del debitore, che non pregiudica il diritto dell'interessato a far valere le proprie ragioni in sede contenziosa, mediante l'impugnazione dell'atto negoziale.

Il successivo provvedimento emesso in sede di reclamo non è ricorribile per cassazione, rilevando ancora una volta la funzione non decisoria dell'autorizzazione, (Cass. n. 15074/2011).

La mancanza dell'autorizzazione – quindi a monte dell'effettuazione del controllo sulla conformità dell'atto al programma di affronto della crisi annesso alla proposta – è esplicitamente sanzionata con l'inefficacia relativa (quindi l'inopponibilità) dell'atto ai creditori anteriori al concordato (v. Cass. n. 9262/2002 secondo cui il credito generato dall'atto non autorizzato non è ammissibile neppure al passivo del successivo fallimento che abbia riguardato l'impresa in concordato). Poiché, pertanto, la validità dell'atto non è intaccata, soltanto i creditori – a cui beneficio l'inefficacia opera – possono far valere detta sanzione, stigmatizzando l'atto compiuto in difetto della prescitta autorizzazione (Cass. n. 8541/2011; Cass. n. 12286/2004). In caso di eventuale successivo fallimento, gli atti compiuti senza autorizzazione sono inefficaci nei confronti di tutti i creditori concorsuali ed i crediti da essi dipendenti non possono essere ammessi al passivo (Cass. n. 9262/2002).

Preventiva fissazione del limite

Il legislatore della riforma ha previsto al comma 3 della norma in commento che «con il decreto previsto dall'articolo 163 o con successivo decreto, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l'autorizzazione di cui al secondo comma». In buona sostanza, il tribunale, in composizione collegiale, potrà valutare anticipatamente quali atti, ancorché di straordinaria amministrazione, possono, ciò nonostante, essere compiuti dal debitore senza l'autorizzazione del giudice delegato. In tal senso, verrà fissata una soglia quantitativa monetaria.

La previsione ora in commento assicura maggiore flessibilità all'utilizzo dello strumento concordatario, in quanto permette di scongiurare l'«ingessamento» della gestione aziendale.

Oggetto dello «spossessamento attenuato»

L'ambito dello spossessamento include l'intero patrimonio dell'impresa debitrice, avuto riguardo ai suoi beni presenti e futuri; rimarrebbero, di converso, esclusi i soli beni ricompresi nell'elenco dell'art. 46 l.fall. (Cass. n. 6211/2007; Cass. n. 4728/2008). In realtà la piena flessibilità del piano concordatario parrebbe implicare l'opportunità di ricomprendervi soltanto una parte dei beni del debitore e ciò anche in ipotesi di concordato con cessio bonurum. Questa prospettiva sembra maggiormente in linea con l'eliminazione dall'art. 160 del riferimento testuale a «tutti i beni esistenti nel patrimonio del debitore».

Si controverte, a tutt'oggi, sull'applicabilità della norma in commento ai beni dei soci illimitatamente responsabili. Nel senso dell'estraneità del patrimonio personale dei soci in questione ai vincoli concordatari, si evidenzia che il patrimonio di costoro è escluso dall'ambito degli effetti dell'ammissione al concordato della società. Ciò comporterebbe l'inapplicabilità, agli atti di disposizione del socio, della disciplina dettata dall'art. 167 per l'opponibilità, ai creditori (sociali) anteriori al concordato, degli atti di disposizione posti in essere dal debitore (Cass. n. 11343/2001; Cass. n. 8097/1992). In quest'ottica viene valorizzata la stretta inerenza dell'istituto concordatario con l'esercizio dell'azienda, alla quale i beni personali dei soci illimitatamente responsabili sono certamente estranei.

In senso favorevole si osserva che il patrimonio dei soci in questione è destinato in via diretta e globale al soddisfacimento delle obbligazioni sociali, in tutte le fasi della vita della società, sia in bonis, che nella procedura concorsuale. Ne deriverebbe che il concordato preventivo (con cessione dei beni), dovendo riguardare tutti i beni esistenti nel patrimonio del debitore, deve necessariamente investire tutti i beni dei soci illimitatamente responsabili, senza possibilità per questi ultimi di distrarre parte del loro patrimonio dal soddisfacimento delle obbligazioni sociali per destinarlo al soddisfacimento dei propri creditori particolari (Cass. n. 12405/95). In questa diversa prospettiva assumono risalto altri profili: innanzitutto l'efficacia liberatoria che il concordato spiega anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili; in secondo luogo la circostanza per la quale i creditori, al momento del sorgere del credito, certamente maturano un affidamento sulla maggiore garanzia rappresentata dall'illimitata responsabilità dei soci, talché, escludendo il vincolo concordatario dal patrimonio di costoro, essi vedrebbero ridimensionata drasticamente e ingiustificatamente detta garanzia.

In realtà, due aspetti sembrano pregnanti in direzione ostativa all'applicabilità della norma sullo «spossessamento attenuato» al patrimonio dei soci illimitatamente responsabili: il primo aspetto attiene all'insussistenza, nel complesso delle norme sul concordato, di una disposizione che interdica al debitore l'esperimento o la prosecuzione di azioni esecutive sul patrimonio individuale dei soci, pur a fronte dell'avvio di un concordato da parte della società di appartenenza; il secondo riguarda la mancata partecipazione del creditore particolare del socio all'approvazione dell'ipotesi concordataria.

Pagamento dei crediti anteriori al concordato

Una rilevantissima questione afferisce la legittimità o meno del pagamento di crediti, da parte del debitore, in costanza di procedura concordataria, nell'ambito della prosecuzione dell'attività di impresa.

Certamente i debiti preconcordatari vanno soggetti al meccanismo regola cd. automatic stay. Segnatamente, il divieto previsto dall'art. 168 l.fall., in uno al principio di necessaria cristallizzazione situazione patrimoniale attiva e passiva, implica che, alla medesima stregua delle azioni esecutive, sono interdetti, in linea generale, i pagamenti volontari. Neppure la circostanza della prosecuzione dei rapporti pendenti, dal canto suo, vale a sovvertire questo quadro di fondo, abilitando il debitore a pagare i creditori fuori dai riparti endoconcordatari.

Nondimeno può riscontrarsi la necessità del soggetto in concordato di far fronte in via immediata ad alcuni pagamenti, in quanto coessenziali all'attualità dell'esercizio dell'impresa: è l'ipotesi innanzitutto dei contratti di durata, la cui interruzione innesca ripercussioni sulla prosecuzione dell'attività aziendale. Esemplificativamente, si immagini una somministrazione con riferimento alla quale il proponente ammesso al concordato abbia maturato una esposizione debitoria, a fronte della quale il fornitore non ritiene di assicurare prestazioni ulteriori, se non a seguito dell'abbattimento della morosità. In passato, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il debitore in concordato, benché non possa procedere a pagamenti di debiti maturati antecedentemente all'ammissione alla procedura, tuttavia può farlo qualora essi concernano contratti di durata, rispetto ai quali la prosecuzione dell'attività sia indicata nella proposta come circostanza caratterizzante della procedura; in questi casi il pagamento il pagamento legittimo perché di fatto estingue un credito prededucibile (v. Cass. n. 2192/1999).

In linea di principio, peraltro, la Suprema Corte ha ritenuto che, a tenore dell'art. 168 l.fall., i debiti sorti prima dell'apertura della procedura di concordato preventivo non sono estinguibili al di fuori del concorso e che il loro mancato pagamento non è seguito da effetti di tipo sanzionatorio, ancorché previsti da norme di diritto pubblico (v. Cass. n. 4234/2006 in relazione ad una fattispecie di mancato pagamento di un debito IVA da parte del debitore in concordato e di susseguente richiesta di versamento della «soprattassa»; cfr. anche Cass. n. 578/2007; Cass. n. 17162/2002).

Nella giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, si è talvolta ritenuto che l'autorizzazione del g.d., comunque, vale a rendere legittimi i pagamenti di crediti antecedenti alla domanda di concordato preventivo, sol che detti atti solutori siano valutati vantaggiosi per i creditori nonché funzionali al risanamento e alla gestione dell'impresa (Cass. n. 13759/2007; Cass. 10620/1990; Trib. Parma 28 febbraio 2014, sia pure in relazione ad un caso di amministrazione straordinaria). In un caso, si è reputata la legittimità del pagamento del debito preconcordatario semplicemente in quanto satisfattivo di un credito privilegiato (Trib. Reggio Emilia, 12 giugno 1995).

Altre pronunce, riconducendolo all'ambito dell'ordinaria amministrazione, hanno sostenuto la legittimità del pagamento del debito preconcordatario, salvo il caso in cui l'atto solutorio non sia posto in essere per frodare le ragioni dei creditori, tanto da rivelarsi sanzionabile ai sensi dell'art. 173, comma 2 (Cass. n. 24476/2008; Cass. n. 26036/2005).

Giova, peraltro, considerare che, quand'anche gli atti solutori eseguiti dal debitore in relazione a debiti anteriori al concordato siano suffragati dall'autorizzazione del g.d. e si mostrino utili per la procedura, non è agevolmente sostenibile la legittimità, sol che si consideri che la procedura concorsuale nel cui contesto si collocano non contempla, per omesso richiamo, la possibilità di azioni revocatorie o ex art. 44 l.fall.

La questione è fronteggiabile, in concreto, mediante il ricorso al «classamento» dei creditori, per il cui tramite si declina un trattamento differenziato dei medesimi. In altri termini, la massimizzazione della libertà di declinazione dei contenuti della proposta e del piano concordatario implica che possano configurarsi trattamenti differenziati per singole classi di creditori, con la previsione del pagamento integrale di alcuni crediti antecedentemente all'omologazione, sempre fatta salva l'autorizzazione del giudice delegato.

Diverso è l'approccio con riguardo ai crediti che nascono in conseguenza dell'attività concordataria, quindi in relazione alla prosecuzione dell'esercizio dell'impresa. Essi possono essere pagati alle scadenza, ma vanno comunque assoggettati all'autorizzazione del giudice delegato, connotandosi alla stregua di atti di straordinaria amministrazione (Cass. n. 13759/2007). Poiché, in altri termini il pagamento ha un'incidenza potenzialmente depauperativa del patrimonio del debitore, esso necessita di autorizzazione; qualora l'autorizzazione faccia difetto il pagamento – al pari di un atto di straordinaria amministrazione non supportato da un provvedimento autorizzativo – sarà inefficace.

In tal senso, il percettore del pagamento potrà essere chiamato a ripeterlo in favore della massa dei creditori, sia in costanza di concordato, che nell'eventuale, successivo fallimento. In altri termini, il pagamento è valido tra le parti, ma i creditori anteriori al concordato possono insorgere nell'ottica di farne constare l'inefficacia nei loro confronti.

Sulla materia ha importanti riflessi il nuovo 182-quater, introdotto – in tema di concordato con continuità aziendale – dall'art. 33, comma 1, lett. f), d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile a far data dall'11 settembre 2012 (v. relativo commento).

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