Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 168 - Effetti della presentazione del ricorso.Effetti della presentazione del ricorso.
Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore [al decreto] non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore1. Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese, e le decadenze non si verificano. I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall'articolo precedente. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato2. [1] Comma modificato dall'articolo 13 del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007 e successivamente dall'articolo 33, comma 1, lettera c), numero 1), lettere a), b) e c), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012. [2] Comma modificato dall'articolo 33, comma 1, lettera c), numero 2), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012. InquadramentoLa norma in commento – da ritenersi applicabile pure al concordato preventivo con riserva – disciplina il c.d. automatic stay, i cui effetti si iscrivono su quattro distinti piani: in primo luogo viene stabilito il divieto di intraprendere e proseguire iniziative esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore; è poi fissata la sospensione della prescrizione e della decadenza delle azioni a tutela dei creditori; è disposta l'inibizione dell'acquisto di nuove garanzie privilegiate o prelazioni sui beni del debitore; è, infine, prevista l'inefficacia delle ipoteche trascritte nei novanta giorni antecedenti alla pubblicazione del ricorso per l'ammissione al concordato nel registro delle imprese. D'impatto essenziale è il «blocco» delle azioni esecutive individuali, in concomitanza con l'avvio della procedura concorsuale minore. L'articolo in commento risponde, sotto tale profilo, ad una duplice finalità, giovando, per un verso, ad evitare la disgregazione del patrimonio dell'impresa in ragione delle azioni avviate dai creditori free riders, per altro verso, ad assicurare il pieno rispetto della par condicio creditorum, sia nell'attualità dell'ambito concordatario, sia nel fallimento che del concordato patologicamente dovesse rappresentare il successivo sbocco. Complessivamente si vuol scongiurare che le iniziative individuali dei singoli creditori, da un lato, pregiudichino ab initio il buon esito dell'ipotesi concordataria, privando il relativo piano di risorse essenziali, dall'altro lato, determinino un'immediata e preferenziale soddisfazione di taluni creditori, con conseguente vanificazione delle regole della concorsualità. Per questo quadro di convergenti motivi, le azioni esecutive non possono essere intraprese o proseguite, pena la sanzione della nullità, sin dall'eseguita iscrizione nel registro delle imprese. Oltre ad inibire avvio ed ulteriore corso delle esecuzioni singolari, l'art. 168, comma 1, fissa ora il divieto per i creditori anteriori al concordato di iniziare e proseguire sul patrimonio dell'impresa azioni cautelari. Questa disposizione, introdotta dal c.d. «Decreto Sviluppo» (d.l. n. 83/2012), è valsa a colmare una lacuna normativa lungamente avvertita. Oggi, qualsivoglia azione cautelare, conservativa o anticipatoria, ivi incluse le azioni di denunzia di nuova opera e di danno temuto, le azioni di rilascio, quelle di sfratto o di restituzione di beni concessi in leasing nonché le azioni iscrivibili nel paradigma residuale ex art. 700 c.p.c. subiscono uno sbarramento alla medesima stregua di quelle esecutive. Rimangono, viceversa, sempre esperibili, in quanto estranee agli assetti creditori propriamente detti, le azioni di nunciazione e quelle possessorie. Temporaneità e assolutezza dell'automatic staySe il dies ad quo di operatività del decreto coincide – a seguito della novella del d.l. n. 83/2012 – con la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, il dies ad quem combacia testualmente con il «momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo». In realtà, nella più recente giurisprudenza di merito edita si è osservato come il divieto finisca per estendersi, per i medesimi creditori anteriori, anche alla fase di esecuzione del concordato preventivo, sol che si consideri che l'art. 184 l.fall. vincola il loro soddisfacimento alla proposta concordataria omologata (così Trib. Reggio Emilia 6 febbraio 2013, in ilfallimentarista.it). In sostanza, l'aggressione individuale dei beni ceduti in concordato è inammissibile durante tutta la pendenza della successiva fase di liquidazione e distribuzione del ricavato ai creditori concordatari, in quanto i beni ceduti sono vincolati e resi disponibili unicamente per l'esecuzione del concordato, poiché se l'esecuzione individuale fosse ammissibile prima dell'esaurimento della procedura stessa, vi sarebbe il rischio di soddisfare le ragioni di un solo creditore a detrimento di tutti gli altri, e quindi in violazione della par condicio creditorum (così Trib. Modena 9 febbraio 2006). Nel medesimo orizzonte interpretativo, si è osservato che ragioni di ordine sistematico inducono a ritenere che, in seguito l'omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, è inammissibile il ricorso per sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. dei beni oggetto della cessione sino alla esecuzione del concordato e non sino alla definitività del decreto di omologazione – come sembrerebbe, di contro, ricavarsi dalla lettera dell'art. 168, comma 1, l.fall. – ove si tenga presente che la fase esecutiva del concordato non può essere stravolta da azioni esecutive e cautelari sopravvenute, pena la risoluzione del concordato che non riesca a raggiungere gli obiettivi del piano (Trib. Sulmona 27 febbraio 2008, in Giur. merito, 2008, n. 10, 2560, con nota di Demarchi). Il blocco delle azioni in discorso prende avvio dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e rimane operativo fino alla completa esecuzione del concordato omologato (Trib. Sulmona, 27 febbraio 2008, in Fall., 2008, 612. Il divieto, sotto tal profilo, si estende, per i medesimi creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, anche alla fase di esecuzione del concordato preventivo, posto che l'art. 184 l.fall. vincola il loro soddisfacimento alla proposta concordataria omologata (Trib. Reggio Emilia 6 febbraio 2013). Il divieto in discorso si compendia in una protezione addirittura più estesa ed incisiva di quella operante, in ambito di fallimento. L'automatic stay concordatario, a ben guardare, non sconta deroghe (v. Trib. Cassino 7 marzo 2016: «l'art. 168 l.fall., a differenza dell'art. 51 l.fall., non contempla deroghe e quindi la sanzione della improcedibilità deve essere applicata anche alle procedure espropriative presso terzi»). Segnatamente, ad essere interdette sono finanche le procedure speciali, le quali, nella procedura concorsuale «maggiore», per converso godono di un'eccezione saliente al divieto di cui all'art. 51 (v. commento). Esemplificativamente, il pensiero corre al procedimento di esecuzione avviato dal titolare del credito fondiario, che nel fallimento è assistito da un privilegio processuale (ex artt. 38 ss. t.u.b) che lo rende suscettibile di avere ulteriore corso, a dispetto dell'intervenuta declaratoria fallimentare; in ambito concordatario, anche il procedimento singolare del fondiario è destinato ad incepparsi nel blocco delle azioni esecutive, senza poter proseguire. La latitudine ampia del blocco ex art. 168 è ancor più evidente ove si consideri che, nel concordato preventivo, diversamente che nel fallimento, i creditori garantiti da pegno o assistiti da privilegio ai sensi degli artt. 2756 e 2761 c.c. non sono legittimati ad esperire la procedura di vendita coattiva dei beni vincolati a garanzia dei propri crediti. L'art. 53 l.fall., rubricato «Creditori muniti di pegno o privilegio su mobili», non è invero fatto oggetto di esplicito richiamo dalle norme sul concordato preventivo. Icastica la Suprema Corte nell'evidenziare che «la disposizione dettata dall'art. 168 l.fall., nel vietare ai creditori di iniziare o proseguire eventuali azioni esecutive individuali promosse sul patrimonio del debitore ammesso al concordato preventivo, non contempla deroghe, a differenza di quanto disposto dal precedente art. 51, che, nel sancire analogo divieto con riferimento ai beni compresi nel fallimento, fa purtuttavia salve le eventuali, diverse disposizioni di legge» (Cass. n. 9488/2002). Ambito soggettivo ed oggettivo del divietoIl divieto riguarda i creditori «per titolo o causa anteriore» alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di concordato preventivo. In tal senso, si tratta di coloro cui sono rivolti gli effetti obbligatori del concordato omologato ex art. 184 l.fall., in quanto titolari di ragioni creditorie i cui atti o fatti costitutivi precedono l'evocata pubblicazione. Il divieto, di contro, non concerne i titolari di crediti sorti da atti o fatti successivi alla pubblicazione del ricorso, atteso che verso costoro non operano né il principio di obbligatorietà del concordato preventivo omologato né gli effetti esdebitatori di cui all'art. 184 l.fall. L'art. 168 l.fall., nel disporre la sospensione delle prescrizioni dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese, non prevede una sospensione generalizzata, riferita ai diritti di natura patrimoniale spettanti a tutti i creditori concordatari, ma limita l'effetto sospensivo in favore di coloro che hanno già intrapreso azioni esecutive e cautelari, che infatti, dalla stessa data, non possono più essere proseguite (Cass. n.34437/2021). Significativa una recente pronuncia giurisprudenziale: il blocco delle azioni esecutive individuali non rileva per i creditori le cui ragioni si radicano in fattispecie perfezionatesi successivamente, come nel caso di credito relativo alla indennità di Trattamento di Fine Rapporto derivante da rapporto di lavoro cessato dopo l'approvazione del concordato (Trib. Pesaro 27 ottobre 2015). Di rilievo anche un altro recente arresto secondo cui il divieto ex art. 168 l.fall. non concerne soltanto i crediti per «titolo» anteriore ma anche quelli per «causa» anteriore all'inizio della procedura: la condanna alla rifusione delle spese di una lite cominciata prima dell'apertura del concordato e contenuta in una sentenza emessa successivamente trova causa in fatti generatori accaduti in precedenza (Trib. Reggio Emilia 6 febbraio 2013). Nel caso di notificazione di una cartella di pagamento prima della pubblicazione della domanda di concordato preventivo nel registro delle imprese, la successiva apertura della procedura concordataria non comporta la nullità della cartella ma l'improseguibilità dell'esecuzione, in ragione dello stato di quiescenza che si determina per effetto della proposizione della domanda concordataria, e tale quiescenza è destinata a protrarsi sino a quando il decreto di omologazione sia divenuto definitivo, per poi cessare con la riespansione della facoltà del creditore di ridare impulso all'iniziativa già intrapresa. (Cass V, ord. n. 31013/2021). Nel quadro protettivo dell'automatic stay non sono ricomprese le azioni esecutive su beni appartenenti a terzi ma offerti in garanzia di obbligazioni dell'imprenditore in crisi. Detti beni non appartengono al patrimonio del debitore e vengono messi a disposizione dei creditori solo successivamente, in base alle previsioni del piano annesso alla proposta. Sul piano oggettivo, lo «schermo» protettivo in cui si risolve la norma si proietta sull'intero patrimonio del debitore. Tutti i suoi beni e ciascuno dei suoi crediti, presenti e futuri, vi ricade. Occorre che i beni siano nella titolarità/proprietà del debitore, non venendo, la norma, in soccorso rispetto ai beni dei quali il proponente in concordato sia mero possessore, se non detentore. Di qui l'ammissibilità di azioni di rilascio da parte degli aventi diritto sui beni non appartenenti al debitore concordatario, ma da lui detenuti, l'ammissibilità del procedimento monitorio avente ad oggetto la restituzione del bene oggetto del contratto di locazione finanziaria (Trib. Milano 18 marzo 1985) nonché la facoltà del venditore con patto di riservato dominio di richiedere all'acquirente ammesso alla procedura concordataria la restituzione del bene venduto, qualora prima della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese si sia valso della clausola risolutiva espressa oppure abbia ottenuto la risoluzione del contratto ex art. 1454 c.c. Nella giurisprudenza di merito, la distinzione fra titolarità e mera disponibilità è sensibilmente avvertita: «Il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore (art. 168 l.fall.) riguarda i beni e i crediti dell'imprenditore ammesso al concordato preventivo (esclusi i beni personali di cui all'art. 46 l.fall.) ovvero i beni di cui questi sia effettivamente titolare, e non già quelli di cui per qualsiasi ragione abbia la mera disponibilità: ne consegue che i beni non appartenenti al debitore concordatario e da questi detenuti possono costituire oggetto delle azioni di rilascio da parte degli aventi diritto» (Trib. Bari III, 6 ottobre 2016); «Il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore che consegue alla presentazione di ricorso per concordato preventivo con riserva opera esclusivamente sulle azioni esecutive individuali, non rientrando nel citato divieto le azioni di consegna o rilascio, di rivendicazione e separazione dei beni non appartenenti al debitore» (Trib. Aosta 20 febbraio 2014). Dall'alveo applicativo della norma sono avulsi anche i beni personali di cui all'art. 46 l.fall.: si tratta dei beni strettamente personali, quindi degli assegni alimentari, degli stipendi, delle pensioni, degli emolumenti salariali, di ciò che il debitore guadagna entro i limiti di quanto gli abbisogna per il mantenimento suo e della sua famiglia ed, ancora, i frutti correlati all'usufrutto legale sui beni dei figli minori, dei beni segregati in fondo patrimoniale con i relativi frutti, dei beni impignorabili. Il divieto delle azioni esecutive individuali non investe il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili della società debitrice, quand'anche i relativi beni siano stati messi a disposizione per la esecuzione del concordato preventivo (Trib. Bergamo 15 marzo 1997, in Fall. 1997, 1041; Trib. Messina 27 giugno 1997, in Fall. 1997). In altri termini, i soci restano illimitatamente responsabili per i propri debiti personali ed i creditori personali sono liberi di aggredire esecutivamente il patrimonio del socio illimitatamente responsabile, con l'unico limite della preventiva escussione del patrimonio sociale, non operando il meccanismo della c.d. automatic stay (Trib. Como I, 3 marzo 2015). Estranee alla sfera di incidenza della norma si rivelano all'evidenza le azioni di accertamento e di condanna, che rimangono liberamente esperibili da parte dei creditori concorsuali (in giurisprudenza v. Cass., n. 770/1980; in dottrina Bonfatti, Censoni). I creditori potranno, dunque, intraprendere liberamente le azioni ordinarie dirette all'accertamento di diritti, i procedimenti per decreto ingiuntivo e le azioni di risarcimento del danno. D'altronde, nel concordato preventivo fa difetto, diversamente che nel fallimento, una verifica giurisdizionale del passivo: i crediti vengono appurati in sede endoconcordataria «ai soli fini del voto» (art. 176, comma 2, l.fall.) e del computo delle maggioranze, fermo e impregiudicato l'accertamento dell'an, del quantum e del rango dei crediti in sede di giurisdizione dichiarativa. In detta sede, peraltro, il commissario assumerà la posizione di possibile interventore in via adesiva indipendente (Cass. n. 4033/1995) o di litisconsorte necessario nelle ipotesi in cui il creditore pretenda l'immediato pagamento in via preferenziale e senza riduzioni dopo l'omologa del concordato con cessione dei beni (Cass. n. 9758/1993). Il divieto non affascia le azioni costitutive. D'altronde, con l'introduzione dell'art. 169-bis l.fall. ad opera del c.d. «Decreto Sviluppo» è stato definitivamente sancito il principio di prosecuzione dei contratti, con conseguente proponibilità – da parte del contraente in bonis – delle azioni costitutive di annullamento e risoluzione del contratto. Insensibile al divieto è anche l'azione revocatoria ordinaria, che seguita ad essere esperibile, in quanto funzionale alla ricostituzione del patrimonio del debitore concordatario (di contrario avviso Pajardi, 727). Nella giurisprudenza di merito si avverte una tendenza alla lettura estensiva dell'art. 168 l.fall., essendo stato varie volte affermato che il divieto posto dalla norma in questione accoglie non soltanto le azioni proprie del processo di esecuzione, ma qualsivoglia iniziativa del creditore mirata a realizzare al di fuori della procedura concorsuale il contenuto dell'obbligazione del debitore concordatario (Trib. Busto Arsizio, 30 ottobre 2009, in Foro pad., 2012, n. 2, 259, con nota di Giavarrini; in senso conforme Trib. Terni, 28 agosto 2001, in Rass. giur. umbra, 2004, 150, con nota di Valongo, con riferimento ad una fattispecie concreta nella quale una Banca aveva venduto i titoli ricevuti in pegno dal fideiussore del debitore, dopo che questi aveva presentato domanda di concordato preventivo con cessione dei beni del fideiussore). La giurisprudenza di legittimità ha escluso che, nel novero delle iniziative interdette dal divieto ex art. 168 l.fall., si affacci l'azione di cui all'art. 2932 c.c. Ciò in quanto l'esecuzione specifica dell'obbligo a contrarre non avviene attraverso l'attività materiale che contrassegna l'esecuzione forzata, ma in virtù di una azione costitutiva che promuove provvedimento di cognizione che si compendia in una sentenza, anch'essa costitutiva, quindi idonea a spiegare il suo effetto giuridico senza necessità di esecuzione (Cass. n. 3022/2002, in Dir. fall., 2003, II, 187, con nota di Merlino e in Fall., 2002, 734, con nota di Fabiani; Cass. n. 615/1998). Cass. V, ord. n. 31560, ha escluso l'incompatibilità del concordato preventivo con la notifica della cartella esattoriale che, in quanto assimilabile al precetto, non ricade nel divieto di cui all'art. 168 l.fall, e conseguentemente ha dichiarato ammissibile l'impugnazione della cartella notificata al curatore e al debitore quale primo atto impositivo, specie alla luce della non impugnabilità del ruolo e dell'estratto ruolo che menzioni tale atto, introdotta dall'art. 3 bis del d.l. n. 146 del 2021, conv. con modif. dalla l. n. 215 del 2021. La pronuncia citata ha anche affermato che la cartella esattoriale, quale atto che accorpa in sé le funzioni di titolo esecutivo e di precetto ma non determina l'inizio della procedura esecutiva, non rientra nel divieto di cui all'art. 168 l.fall., che impedisce solo le azioni proprie del processo di esecuzione e non anche qualsiasi iniziativa del creditore volta a realizzare, unilateralmente ed al di fuori della procedura concorsuale, il contenuto dell'obbligazione del debitore concordatario; ne consegue l'ammissibilità della notificazione della cartella anche dopo l'apertura del concordato preventivo. Sul medesimo tema si è anche affermato che la notificazione al solo commissario giudiziale della cartella di pagamento, emessa nei confronti della società in concordato preventivo, è nulla, poiché egli non riveste alcuna carica rappresentativa della società, ma non inesistente, attesi i compiti, allo stesso attribuiti, di verifica dell'esistenza del credito erariale, sia in relazione al computo delle maggioranza e della formazione delle classi, sia in relazione alla fattibilità della proposta concordataria, sicché la tempestiva proposizione del ricorso tributario da parte della società sana la nullità della notificazione (Cass. V, n. 3053/2023). Più in generale si è affermato che l'apertura di una procedura di concordato preventivo non è ostativa all'accertamento di crediti tributari pregressi mediante iscrizione a ruolo ed emissione della cartella, né all'irrogazione di sanzioni pecuniarie ed accessori, maturati fino a tale momento, poiché, per un verso, l'accertamento del credito da parte dell'Amministrazione finanziaria è condizione per la partecipazione della stessa alla procedura concorsuale e, per un altro, le sanzioni pecuniarie danno luogo ad un credito del Fisco per il fatto stesso che si sia verificata la violazione della legge tributaria, senza che assuma rilevanza l'assoggettamento dell'impresa ad una procedura concorsuale (Cass. V, ord. n. 35715/2022). La giurisprudenza di legittimità ritiene l'inapplicabilità della norma ai beni di un terzo ceduti in funzione dell'adempimento del concordato, evidenziando che non ricorre, in detta ipotesi, la duplice ratio a base del divieto di cui alla norma in commento, rappresentata, da un lato dalla salvaguardia della par condicio creditorum, dall'altro dalla garanzia dell'integrità del patrimonio per l'eventualità dell'epilogo fallimentare (Cass. n. 6671/1998). La Suprema Corte ha di recente chiarito l'inapplicabilità della norma in commento al pagamento del terzo pignorato effettuato in adempimento dell'ordinanza di assegnazione del credito, rilevando che il procedimento di concordato non prevede, di fatto, la possibilità di revocatorie o di azioni ai sensi dell'art. 44 l.fall., e nemmeno è fornito di un ufficio abilitato ad agire in tal senso, essendo applicabili, in virtù del richiamo di cui all'art. 169 l.fall., soltanto le disposizioni degli articoli da 55 a 63 della medesima legge, sicché il pagamento di un debito preconcordatario deve ritenersi in sé legittimo, in quanto atto di ordinaria amministrazione, purché non integri l'ipotesi di un atto «diretto a frodare le ragioni dei creditori», e, quindi, sanzionabile con la dichiarazione di fallimento ai sensi dell'art. 173, comma 2, e revocabile in forza dell'art. 167, comma 2 (Cass. n. 11660/2016). In precedenza la Corte di legittimità aveva puntualizzato che l'art. 168, se non sottrae il creditore preconcordatario accipiente all'obbligo di restituire alla massa quanto indebitamente percepito, non priva di efficacia liberatoria il medesimo pagamento per il «debitor debitoris» che adempia, nel corso del concordato preventivo e prima della dichiarazione di fallimento, all'ordinanza di assegnazione del credito disposta nella esecuzione individuale anteriormente iniziata contro il medesimo debitore (così Cass. n. 24476/2008 che, precisando che l'art. 44 l.fall. non trova applicazione in tema di concordato preventivo, ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva respinto la domanda con cui il curatore del fallimento aveva chiesto la condanna del terzo pignorato al pagamento della somma corrisposta al creditore per effetto dell'ordinanza di assegnazione emessa dal giudice dell'esecuzione). Si è di recente affermato che nel caso di esito infausto della procedura non si applica l'art. 168, terzo comma, a proposito dell'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni anteriori al concordato, poiché l'inefficacia degli atti trova una disciplina nell'ambito della procedura fallimentare con gli artt. 64 e segg. (Cass. I, n. 21758/2022). Non ricadono nel recinto del divieto le azioni possessorie, né l'azione di rivendicazione, restituzione e separazione dei beni sui quali si vantano diritti e, in generale tutte le azioni esecutive che non sono destinate a ledere la solidità patrimoniale di chi le subisce, come ad esempio un'azione di sfratto per finita locazione (Pajardi). Conseguenze della violazione del divietoLa violazione del divieto è sanzionata con la nullità dell'atto esecutivo o cautelare compiuto, rilevabile anche d'ufficio (v. Cass. n. 1115/1987 e Cass. n. 7807/1990). Nel contesto dei procedimenti esecutivi, il debitore concordatario potrà, peraltro, insorgere con il rimedio dell'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. (Trib. Siracusa, 26 luglio 2013), contestando il diritto del creditore a procedere all'espropriazione; altro avviso interpretativo ritiene sufficiente, in realtà, la mera allegazione, nel giudizio, da parte del proponente il concordato, del fatto dell'avvenuta pubblicazione della relativa domanda nel registro delle imprese (Trib. Reggio Emilia, 6 febbraio 2013). L'art. 168, comma 1, innesca un effetto di sospensione delle espropriazioni pendenti, che rimangono suscettibili di riprendere il proprio corso una volta venuto meno il divieto, in virtù della non ammissione o della mancata omologazione del concordato (Trib. Pesaro, 16 marzo 2013; Trib. Bologna, 19 dicembre 2006, in Giur. mer., 2007, I, 2272). Quello che potrebbe descriversi come un «effetto congelamento» delle procedure esecutive implica la piena conservazione degli effetti sostanziali del pignoramento già eseguito. Di «quiescenza» del processo esecutivo ha di recente parlato la Suprema Corte: «La proposizione di una domanda di concordato preventivo determina, ai sensi dell'art. 168, comma 1, l.fall., non già l'estinzione ma l'improseguibilità del processo esecutivo, che entra in una situazione di quiescenza perché i beni che ne costituiscono l'oggetto materiale perdono «de iure» e provvisoriamente la destinazione liquidatoria così come progettata con il pignoramento, con la conseguenza che il giudice dell'esecuzione correttamente provvede, ex artt. 486 e 487 c.p.c., a sospendere la vendita eventualmente fissata» (Cass. n. 25802/2015). Si registra, nondimeno, un avviso minoritario che fa drasticamente derivare dalla norma in commento l'improcedibilità delle procedure esecutive pendenti (Trib. Aosta, 13 aprile 2013). Detto avviso, che si mostra maggiormente fedele alla formulazione letterale dell'art. 168, comma 1 (App. Roma I, 15 giugno 2009, n. 2483), ha, quale conseguenza, che a fronte della presentazione del ricorso per concordato preventivo nel corso di una procedura esecutiva già incardinata nei confronti dello stesso debitore concordatario, quest'ultima venga immediatamente definita con una pronuncia di rito, ossia di improseguibilità o di estinzione. Tuttavia, occorre riflettere che effetti così taglienti sembrano poco consoni rispetto alla connotazione eminentemente temporanea e transitoria del piano concordatario e al dato saliente che vede nel concordato un procedimento, per sua natura, incerto negli esiti e tale da potersi concludere con l'omologazione ma anche suscettibile di inciampare nell'inammissibilità o nel diniego di omologa. Con riferimento all'ambito della tutela cautelare, è d'uopo considerare che il provvedimento emesso dal giudice a dispetto del divieto di cui all'art. 168, comma 1, si espone all'impugnazione con reclamo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 669-terdecies c.p.c.. I procedimenti cautelari pendenti dovranno essere dichiarati improcedibili e si estingueranno. Diversamente che con riferimento alle espropriazioni varrà, in altri termini, non una mera sospensione del corso del procedimento, ma l'improcedibilità del medesimo. Effetto ulteriore connesso alla pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese è rappresentato dalla sospensione dei termini prescrizionali. Prelazioni e ipotecheNell'ottica di scongiurare la creazione di posizioni di primazia a ridosso dell'avvio del concorso, l'art. 168, comma, l.fall. (primo periodo) limita l'opportunità di costituire cause di prelazione, escludendo l'inefficacia dei soli titoli di prelazione, acquistati successivamente all'iscrizione della domanda di concordato nel registro delle imprese, per i quali consti «autorizzazione del giudice nei casi previsti dall'articolo precedente»: occorre, cioè, che il titolo sia stato acquistato in forza di autorizzazione del giudice delegato, resa ai sensi dell'art. 167. L'autorizzazione dovrà riguardare il diritto di prelazione in sé, non semplicemente l'atto di straordinaria amministrazione al quale esso si correla. In buona sostanza, l'acquisto di privilegi non è escluso tout court, ma è sottratto dalla sfera giuridica del debitore e trasferito al giudice delegato, il quale soltanto potrà autorizzare la valida costituzione di nuovi privilegi. La previsione in esame impedisce al debitore di porre in essere «rimaneggiamenti» dell'ordine dei creditori, adoperando la costituzione di privilegi per creare «corsie preferenziali» suscettibili di condizionare i voti di singoli creditori. Il c.d. «Decreto Sviluppo» ha integrato l'art. 168, comma 3, che prevede ora l'inefficacia nei confronti dei creditori concorsuali delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti la pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese. In buona sostanza viene scandito un termine «a ritroso» entro il quale vale la presunzione iuris et de iure per la quale l'iscrizione del vincolo di garanzia è da ritenersi lesiva della par condicio creditorum. La ratio di tale previsione risiede nell'esigenza di scongiurare il pericolo che i creditori, cogliendo lo stato di crisi dell'imprenditore, si affrettino ad ottenere titoli di prelazione giudiziali al fine di iscrivere ipoteca sui beni dell'imprenditore stesso, in tal guisa pregiudicando le ragioni della massa dei creditori e le possibilità di successo del piano di superamento della crisi in fase di approntamento. La sanzione per le ipoteche trascritte in violazione del divieto è l'inefficacia e non la nullità, dal che deriva la non rilevabilità ex officio della violazione medesima, che va, viceversa, necessariamente e specificatamente eccepita dalla parte che ne ha interesse (Cass. n. 8541/2011 e Cass. n. 8092/2011). L'art. 168, comma 3, l. fall., il quale dispone l'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori all'iscrizione nel registro delle imprese del ricorso per concordato preventivo rispetto ai creditori anteriori al concordato, non si applica qualora, rinunciata la domanda di concordato preventivo prima dell'ammissione al concordato medesimo, sia stato in un momento successivo dichiarato il fallimento dell'imprenditore, trovando l'inefficacia degli atti nell'ambito della procedura fallimentare la propria disciplina nell'art. 69-bis l. fall. (Cass. ord. n. 8996/2021). In sede di opposizione allo stato passivo, il giudice può accertare, ai sensi dell'art. 98 l.fall., la consecuzione di procedure tra il concordato preventivo e il successivo fallimento al fine di escludere, ex art. 168, comma 3, l.fall., la prelazione ipotecaria a favore di un credito concorsuale, ancorché la sentenza dichiarativa di fallimento non abbia accertato l'insolvenza del debitore già al tempo della sua ammissione alla procedura concordataria (Cass. ord. n. 24056/2021). BibliografiaAmbrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Tratt. Cottino, 11, I, 2007; Del Vecchio, Il divieto di azioni esecutive nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 1995, 693; Falconi, L'introduzione delle azioni esecutive individuali dopo l'omologazione del concordato preventivo, in ilfallimentarista.it, 1° agosto 2013; Gaeta, Effetti del concordato preventivo, in Fauceglia-Panzani, Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009; Lamanna, La legge fallimentare dopo il «Decreto Sviluppo», Milano, 2012, 41; Malasissi, Effetti dell'ammissione al concordato preventivo, in Il concordato preventivo, a cura di Villanacci, Padova, 2010, 124; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1993; Rivolta-Pajardi, Art. 168 l.fall., in Codice del fallimento, a cura di Bocchiola-Paluchowski, 7a ed., Milano, 2013, 1950; Scarafoni, Effetti della presentazione del ricorso e dell'ammissione al concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Ghia-Piccininni-Severini,Torino, 2010; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Milano, 2006, 552; Trentini, Modalità di verifica dei crediti nel concordato preventivo, in Fall. 2003, 26; Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 213. |