Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 180 - Giudizio di omologazione 1 .Giudizio di omologazione1. Se il concordato e' stato approvato a norma del primo comma dell' articolo 177, il giudice delegato riferisce al tribunale il quale fissa un'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale, disponendo che il provvedimento venga pubblicato a norma dell' articolo 17 e notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori dissenzienti. Il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata. Nel medesimo termine il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere. Se non sono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarita' della procedura e l'esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame. Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. Nell'ipotesi di cui al secondo periodo del primo comma dell' articolo 177 se un creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell'ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il 20 per cento dei crediti ammessi al voto, contestano la convenienza della proposta, il tribunale puo' omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili 2. Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione e' determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all'articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie e' conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria3. Il tribunale provvede con decreto motivato comunicato al debitore e al commissario giudiziale, che provvede a darne notizia ai creditori. Il decreto e' pubblicato a norma dell'articolo 17 ed e' provvisoriamente esecutivo. Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresi' le condizioni e le modalita' per lo svincolo. Il tribunale, se respinge il concordato, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui gli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore, con separata sentenza, emessa contestualmente al decreto. [1] Articolo sostituito dall'articolo 2, comma 1 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, in legge 14 maggio 2005, n. 80 e dall'articolo 16, comma 2, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. [2] Comma modificato dall'articolo 33, comma 1, lettera d-quater), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012. [3] Comma modificato dall'articolo 3, comma 1-bis, lettera a), del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modificazioni, dalla Legge 27 novembre 2020, n. 159 e successivamente dall'articolo 20, comma 1, lettera a), del D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni dalla Legge 21 ottobre 2021, n. 147. InquadramentoNella disciplina antecedente la riforma dovuta al d.l. n. 35/2005 ed agli interventi di modifica successivi, il giudizio di omologazione rappresentava il momento centrale della procedura, nel quale il Tribunale, accertate le condizioni di legittimità del procedimento, la sussistenza delle condizioni di ammissibilità del concordato e la regolarità dello svolgimento delle operazioni processuali, compiva un accertamento di merito sulla meritevolezza dell'imprenditore, nonché sulla convenienza e sulla fattibilità della proposta. Le riforme del 2005-2007 sembrano aver attribuito a tale fase una funzione differente, escludendo qualsiasi valutazione di merito. Tuttavia, secondo un orientamento giurisprudenziale, un sindacato di merito sussiste ancora per quanto attiene alla fattibilità della proposta concordataria (Trib. Piacenza 1 luglio 2008). Quindi il giudizio di omologazione è un procedimento camerale aperto all'eventualità dell'opposizione. Il giudice delegato, terminata l'adunanza dei creditori e spirato il termine di cui al comma 4 dell'art. 178, l.fall., riferisce al Tribunale, il quale fissa un'udienza in camera di consiglio. Il decreto di fissazione d'udienza per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale dovrà essere pubblicato a norma dell'art. 17 l.fall. I creditori dissenzienti, ai quali deve essere notificato il provvedimento di fissazione dell'udienza, sono soltanto quelli che hanno espresso voto contrario all'approvazione. La norma scandisce anche i termini per la costituzione delle parti, statuendo che il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata (Trib. Rimini 1 ottobre 2015). Nel medesimo termine il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere. Secondo un’autorevole pronuncia, non deriverebbe alcuna conseguenza dalla tardività della presentazione dell'opposizione (Cass. n. 18987/2011). Il giudizio di omologazioneIl giudizio di omologazione si svolge davanti al tribunale in camera di consiglio. Si tratta di un procedimento camerale atipico, in quanto vi confluiscono sia le caratteristiche, ad esso proprie, della celerità di svolgimento e dell'officiosità dei poteri istruttori, sia quelle tipiche del giudizio contenzioso a contradditorio pieno. L'art. 180 l.fall. contiene l'intera regolamentazione del giudizio di omologazione e segna il passaggio dal modello della causa ordinaria a quello del procedimento in camera di consiglio, caratterizzato dalla previsione in capo al tribunale del potere di acquisizione d'ufficio delle informazioni e delle prove necessarie per la pronuncia (GROSSI, 292). È stato, peraltro, affermato che il procedimento camerale rappresenta un contenitore neutro, in quanto utilizzabile sia per la volontaria giurisdizione, sia per la tutela giurisdizionale contenziosa (Cass. S.U., n. 5629/1996); sicché il decreto che lo conclude ben può incidere su diritti soggettivi ove siano stati garantiti i principi del giusto processo imposto dall'art. 111 Cost. Il mutamento del rito, ispirato all'esigenza di maggior celerità, comporta che la pronuncia finale non assuma più la forma della sentenza, bensì quella, più agile, del decreto motivato soggetto a imposta di registro in misura fissa e non proporzionale, anche nella modalità della cessione dei beni ai creditori (Cass. n. 19141/2010); secondo altri, in questa prospettiva, l'omologazione, pur in forma di decreto, ha natura sostanziale di sentenza, in quanto incidente sui diritti soggettivi (App. Bari 24 maggio 2006). La norma disciplina differentemente il procedimento a seconda che vengano o meno proposte opposizioni all'omologazione: in assenza di opposizioni l'omologazione, pronunciata con decreto motivato non soggetto a gravame, è subordinata alla verifica della regolarità della procedura e dell'esito della votazione, in riferimento alla quale non è prevista alcuna attività istruttoria; in caso di opposizioni, invece, assumendo il procedimento carattere contenzioso, il tribunale, sulla base dell'istruttoria disposta anche d'ufficio, omologa o rigetta il concordato in dipendenza del rigetto o dell'accoglimento dell'opposizione, emettendo, in entrambi i casi, decreto motivato soggetto a reclamo alla corte di appello, la quale provvede in camera di consiglio. Pur in mancanza di una previsione specifica, il decreto della corte d'appello va ritenuto ricorribile avanti alla Corte di Cassazione, e ciò in applicazione analogica sia delle norme dettate dagli artt. 737 e ss. c.p.c. per i procedimenti in camera di consiglio, sia della disciplina prevista, in tema di concordato fallimentare, dall'art. 131 l.fall. (Fabiani, 2006, 1085). Quanto alla fase introduttiva il giudizio di omologazione costituisce una fase necessaria del procedimento di concordato preventivo che, dopo l'approvazione del concordato da parte dei creditori, deve essere doverosamente aperta sulla base dell'iniziale atto di impulso rappresentato dal ricorso ex art. 161 del debitore (Maffei Alberti, 1190). Sotto questo profilo, la fase processuale dell'omologazione assume senza dubbio un carattere officioso. Il giudizio di omologazione è quindi aperto d'ufficio dal tribunale attraverso il provvedimento di fissazione dell'udienza per la comparizione del debitore, del commissario giudiziale e degli eventuali creditori dissenzienti. L'atto di impulso del giudice delegato, tenuto a riferire al tribunale circa la ricognizione dell'esito della votazione (come risultante dal processo verbale dell'adunanza dei creditori disciplinato dall'art. 178), non è disciplinato dalla legge quanto ai requisiti formali, assumendo rilevanza meramente interna (Maffei Alberti, 1191): tale attività non è reclamabile al tribunale ex art. 26, dato che il controllo sul raggiungimento delle maggioranze di cui all'art. 177 è comunque affidato al tribunale nell'ambito della verifica della regolarità della procedura). Quanto alla pubblicazione del provvedimento, questa va eseguita, a cura del cancelliere, mediante l'annotazione presso l'ufficio del registro delle imprese. Nel silenzio della norma, quanto al termine per la notificazione del decreto di fissazione dell'udienza al commissario ed ai creditori dissenzienti, deve ritenersi che l'unico criterio da seguire sia quello della compatibilità del momento della notifica con il termine previsto per la costituzione in giudizio. In caso di totale inosservanza da parte del debitore del termine per la notificazione, alcuni autori hanno propeso per l'improcedibilità o estinzione (Norelli, 504); altri, invece, hanno considerato che tale condotta equivalga ad una implicita rinuncia alla domanda di concordato e che il tribunale si debba limitare a decretare la cessazione della procedura (Bozza, L'omologazione della proposta (i limiti alle valutazioni del giudice), in Fall. 2006, 1327). Infine, in considerazione della mancanza di un'espressa sanzione di improcedibilità o di nullità e del carattere officioso del giudizio nonché del possibile interesse dei creditori all'omologazione, è stato precisato che gli adempimenti omessi dal debitore debbano essere eseguiti, previo rinvio dell'udienza ed eventualmente su espressa disposizione del tribunale, dal commissario giudiziale o dai creditori eventualmente interessati e costituiti (Filocamo, 2431). La costituzione delle partiParte in senso formale e sostanziale, dunque necessaria, è il debitore il quale deve provvedere all'iscrizione a ruolo del procedimento in mancanza di altre parti costitute, pena l'interruzione della procedura di concordato. La mancata iscrizione a ruolo determina l'improcedibilità del giudizio, equivalendo a rinuncia implicita, con conseguente nullità del decreto di omologa eventualmente emesso (Bozza, 2006, 147). Secondo altra opinione, la mancata costituzione del debitore, anche in assenza di altre parti, quelle opponenti, non sarebbe ostativa alla prosecuzione del procedimento, stante la natura officiosa di quest'ultimo (Caffi, 650; Maffei Alberti 2013, 1193; Norelli, 509). A seguito della riforma deve ritenersi non più obbligatorio l'intervento del pubblico ministero; tuttavia è pacifico che il Tribunale debba ammettere il pubblico ministero nell'ipotesi in cui questi ritenesse di intervenire volontariamente. L'art. 180, comma 2, prevede che il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata. Il termine di dieci giorni prima dell'udienza fissata per la comparizione avanti al collegio è inoltre coincidente con la scadenza prevista per il deposito del parere del commissario giudiziale. Si considera che parti del giudizio possano essere, nel rispetto del termine dei dieci giorni per la costituzione, tutti coloro che sono interessati (Trib. Roma 27 novembre 1989). In proposito, alcuni autori hanno evidenziato che sarebbe stato senz'altro più funzionale distinguere le varie scansioni temporali, prevedendo una scadenza anzitutto per il deposito del necessario parere del commissario in merito alla possibilità di omologare il concordato, un secondo termine per la presentazione di eventuali opposizioni (le quali potrebbero aver quale presupposto proprio la lettura, da parte dei soggetti legittimati all'opposizione, del parere del commissario), un terzo termine per la memoria del debitore e di ogni altro soggetto che dovesse esser interessato all'omologazione (Ambrosini, 130). È stato anche osservato che il secondo comma non sembra prevedere un obbligo di costituzione, bensì una mera facoltà, dovendo intendersi le parole «devono costituirsi» come riferite soltanto all'osservanza del termine; tale interpretazione pare avvalorata dall'inclusione, tra i soggetti indicati dal secondo comma, degli interessati, i quali, ovviamente, non sono obbligati a costituirsi in giudizio (Maffei Alberti, 1193). Altra interpretazione (Pagni, Il procedimento di omologa (profili processuali), in Fall. 2006, 372) è stata quella di considerare il senso dell'uso del verbo «dovere», quale semplice manifestazione del principio di accelerazione e di speditezza, e di non far conseguire conseguenza alcuna alla tardività della presentazione dell'opposizione (Cass. n. 18987/2011). Di contrario avviso è invece chi ritiene che il decorso del termine renda inammissibile una costituzione tardiva. Quanto ai criteri utilizzabili per la delimitazione della categoria degli interessati nel novero di costoro rientrano i soli titolari di un interesse giuridico, e non quindi di fatto, all'opposizione: coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso; soci dissenzienti; creditori non convocati all'adunanza, estranei alla proposta, non ammessi al voto (Trib. Roma 27 novembre 1989) Quanto ai creditori non votanti secondo la giurisprudenza di merito «questi sono legittimati all'opposizione in qualità di terzi interessati» (Trib. Monza 29 gennaio 2010); secondo la giurisprudenza di legittimità, oltre ai creditori non legittimati all'opposizione ed a quelli ammessi, si pone il tertium genus dei soggetti interessati, al quale appartengono i creditori non votanti, non essendo l'espressione «creditori dissenzienti» significativa dell'intenzione del legislatore di circoscrivere ai creditori, solo in quanto dissenzienti, la legittimazione all'opposizione: i creditori dissenzienti identificano soltanto una categoria specifica, che già risulta dal voto, di aventi titolo a contrastare l'omologazione, in quanto hanno già contrastato l'approvazione (Cass. n. 13284/2012). L'intervento del commissario giudizialeAltro problema discendente dalla non chiara formulazione della norma è se il commissario giudiziale sia una parte necessaria del giudizio. Sotto la disciplina previgente, si escludeva che il commissario giudiziale rivestisse la qualità di parte in senso sostanziale nel giudizio di omologazione, assumendo, quale organo della procedura, una posizione di imparzialità (Trib. Rovereto 15 giugno 1989). Gli si riconosceva, tuttavia, la veste di parte formale, in ragione delle funzioni tipiche di collaboratore della giustizia svolte anche in questa fase (Cass. n.178/1987). Con la nuova disciplina, viene precisato che il commissario giudiziale è destinatario dell'ordine di comparizione all'udienza in camera di consiglio; in proposito, però, secondo la Suprema Corte, al commissario giudiziale corrisponde una posizione giuridica di ausiliario del giudice e non di parte in senso sostanziale (Cass. n.13565/2012). Al riguardo si è affermato: “Nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il commissario giudiziale, pur dovendo partecipare al procedimento (attraverso la comparizione all'udienza camerale, la costituzione in giudizio e il deposito di un parere motivato) e pur essendo destinatario della comunicazione del decreto conclusivo (perché possa darne notizia ai creditori), conserva la posizione giuridica di ausiliario del giudice e non diviene parte in senso sostanziale, non essendo portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale della massa dei creditori, con la conseguenza che non è abilitato all'esercizio di azioni ed è privo della legittimazione a proporre ricorso o a presentare controricorso davanti alla Corte di cassazione (Cass. ord. n. 40483/2021). - Secondo una tesi che ha trovato seguito in dottrina, il commissario giudiziale avrebbe l'obbligo di costituzione, in tal modo finendo per cumulare sempre le posizioni di parte processuale del giudizio e di ausiliario del giudice deputato ad inserire nel suo parere conclusivo i rilievi funzionali al giudizio del tribunale (Ambrosini, 126). Pare infatti evidente che la costituzione del commissario avrà un senso soltanto ove egli intenda interloquire in relazione all'omologazione in quanto portatore di un interesse suo proprio, ipotesi per la verità di difficile realizzazione in concreto; tuttavia, a prescindere da tali casi, il commissario può svolgere in pieno le funzioni che la legge gli riconosce redigendo il parere previsto dall'art. 180 l.fall. Dalla possibile assunzione, da parte del commissario, della qualità di parte, discende la legittimazione dell'organo della procedura a presentare reclamo avverso il decreto conclusivo del giudizio, nelle ipotesi in cui egli si avvalga della facoltà di costituzione (Fabiani, 1085). Premesso quanto esposto, il parere del commissario giudiziale sull'omologazione del concordato è obbligatorio, e la sua ingiustificata omissione può essere causa di revoca della nomina per grave negligenza. La funzione del parere consiste nel fornire al tribunale una piena informazione su ogni circostanza utile ai fini dell'espletamento dei propri compiti accertativi e valutativi (in tal senso Trib. Vicenza 4 luglio 2008; Trib. Bari 7 novembre 2005; Trib. Pescara 13 ottobre 2005 e Trib. Roma 30 luglio 2005). Quanto al contenuto, esso non può essere limitato al riscontro dei risultati della votazione dei creditori, né ad una mera conferma della relazione di cui all'art. 172, dovendo investire tutti gli aspetti rilevanti ai fini dell'omologazione, compreso quello della fattibilità del piano, alla luce dei fatti sopravvenuti o di quelli dapprima ignorati (La Malfa, 384). In conclusione, trattandosi di un parere motivato e non di una semplice relazione, il commissario giudiziale deve prendere posizione sulla proposta concordataria, illustrando, in chiave argomentativa, la propria conclusione positiva o negativa. Il giudizio di omologazione in assenza di opposizioneIl terzo comma dell'articolo in commento precisa che se non sono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarità della procedura e l'esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame. In proposito è stato osservato che in assenza di opposizione, è controverso se il tribunale debba limitarsi a verificare la regolarità della procedura e l'esito della votazione, ovvero se sussista un potere-dovere di esercitare un controllo sulla fattibilità del piano (Maffei Alberti, 1194). L'inciso in esame, secondo la giurisprudenza di merito, si fonda sia sul dato letterale della disposizione, sia sulla ratio legis sottesa all'intervento riformatore del concordato, che escluderebbe la sovrapponibilità di un giudizio di merito del tribunale alla volontà manifestata dai creditori (Trib. Piacenza 26 ottobre 2012; App. Genova 23 dicembre 2011; Trib. Modena 21 novembre 2008). Tale orientamento è stato in parte condiviso dalla Suprema Corte, la quale ha affermato che in mancanza di opposizioni, e nonostante il parere negativo del commissario giudiziale, il controllo di merito da parte del giudice sia limitato al riscontro della persistenza delle condizioni di ammissibilità del concordato, dell'assenza di atti di frode e del rispetto delle regole che assicurano il consenso informato ai creditori, cui spetta in via esclusiva il giudizio sulla fattibilità del concordato (Cass. n. 18987/2011; Cass. n. 13187/2011 e Cass. n. 21860/2010); secondo altro orientamento, invece, presupponendo l'omologazione il controllo della permanenza delle condizioni di ammissibilità del concordato preventivo, come confermato dall'art. 173, applicabile in qualunque fase della procedura, il sindacato del giudice va esteso alla fattibilità del piano (Trib. Latina 18 ottobre 2012; Trib. Siracusa 11 novembre 2011; Trib. Napoli 2 luglio 2010 e Trib. Milano 19 novembre 2008). Ed ancora, in tal argomento, le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. S.U., n. 1521/2013) hanno statuito che il medesimo parametro valutativo deve essere utilizzato anche in sede di omologazione in assenza di opposizione, posto che la verifica in ordine alla regolarità della procedura presuppone il controllo che, anche nel prosieguo della stessa, non siano venuti meno quei presupposti la cui mancanza iniziale non vi avrebbe consentito l'accesso, tra i quali deve includersi la fattibilità giuridica del piano e l'idoneità della proposta a realizzare la causa del concordato preventivo, individuabile nel superamento della situazione di crisi e nel soddisfacimento dei creditori in misura sia pur minimale ed in tempi ragionevolmente contenuti. Premesso ciò, nel corso della procedura il tribunale ha il potere-dovere di verificare se, alla luce di fatti sopravvenuti o sulla base del riesame dell'apparato informativo fornito dal debitore, la proposta di concordato preventivo sia in concreto attuabile. Ne consegue che qualora, dopo l'approvazione del concordato da parte dei creditori, emergano fondate incertezze in merito all'attuabilità del piano, il controllo del tribunale dovrà essere esercitato nell'ambito del procedimento di cui all'art. 173 e non già in sede di omologazione, e ciò anche se la non fattibilità del piano sia stata segnalata dal commissario giudiziale nel parere sull'omologazione, nel qual caso il procedimento ex art. 173 si sovrapporrà al giudizio di omologazione, che potrà essere eventualmente sospeso, rendendolo improcedibile qualora si concluda con la revoca dell'ammissione al concordato preventivo (Trib. Nocera inferiore 19 luglio 2010). Più recentemente si è affermato che la proposta concordataria, pur lasciata alle valutazioni dei creditori quanto a convenienza, rispetto all'alternativa fallimentare, e a realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione per ciascuno prospettata, è sindacabile dal Tribunale sotto il profilo economico nei limiti in cui appaia implausibile, in quanto il piano si mostri "prima facie" irrealizzabile (Cass. I, ord. n. 17103/2023). Il potere del tribunale in assenza di opposizioneNel caso in cui non siano presentate opposizioni, le legge si limita a prevedere che il Tribunale omologa il concordato con decreto motivato, valutata l'esistenza delle maggioranze e della regolarità della procedura. Da un punto di vista generale, l'omologazione giudiziaria altro non è che la verifica della conformità alla legge e dell'aderenza agli interessi pubblici di un'attività privata (nel caso in esame avente natura prettamente negoziale). Per quanto concerne in particolare il controllo della regolarità della procedura, la giurisprudenza ha ritenuto che il Tribunale sia tenuto alla verifica della persistenza — sino a quel momento — delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura già scrutinate nella fase iniziale, dell'assenza di atti o fatti di frode ed, infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, del rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione. Ne consegue che, a fronte di atti o di fatti rilevanti ai fini previsti dall'art. 173 l.fall., il Tribunale deve respingere la domanda di omologazione nonostante la mancata apertura del relativo procedimento (Cass. n. 10778/2014). Quanto alla «fattibilità del concordato», è stato ritenuto che sia consentito al Tribunale un accertamento sulla realizzazione di fatto delle condizioni esistenti al momento della domanda: unico caso nel quale la legge dispone che il Tribunale è chiamato a compiere anche un giudizio di convenienza del piano concordatario approvato si ravvisa nell'ipotesi del c.d. cram down prevista dall'art. 180, comma 2, comma 4, (Sulla questione della fattibilità giuridica della proposta concordataria Cass. n. 8799/2016; Cass. n. 5107/2015 e Trib. Palermo 31.10.2014). Secondo la Corte d'Appello di Torino (sent. App. 27 gennaio 2010), il potere del Tribunale di valutare la mancanza di fattibilità del piano sorgerebbe nella sola ipotesi in cui il peggioramento delle prospettive di realizzazione della proposta concordataria si fosse verificato nel lasso temporale che decorre dall'approvazione della proposta all'udienza fissata per l'omologazione: soltanto in tali casi, infatti, si imporrebbe l'esigenza di tutelare l'interesse dei creditori, che hanno aderito alla proposta sulla base di prospettive di un realizzo dei rispettivi crediti in ammontare inferiorerispetto a quanto accertato successivamente alla votazione. Viceversa, nella diversa ipotesi in cui il peggioramento delle prospettive di realizzo si fosse realizzata prima dell'adunanza, in tempi idonei, quindi, a consentire al commissario giudiziale di rilevare l'evoluzione negativa delle prospettive nella sua relazione ex art. 172 l.fall. resterebbe vincolante, per il tribunale, il voto favorevole espresso dai creditori, essendosi comunque realizzato il necessario requisito del consenso informato (Trib. Milano 25 ottobre 2007). In altri termini, quel che il legislatore sembrerebbe voler significare è che in mancanza di opposizioni all'omologazione il tribunale è investito di un potere di controllo limitato alla regolarità della procedura, rimanendo all'iniziativa del singolo la possibilità di chiedere la risoluzione del concordato nell'ipotesi di inadempimento, sempre che quest'ultimo si configuri come rilevante e non sia privo, quindi, di significativa importanza. Il doveroso rispetto di tali conclusioni impone quindi di escludere la possibilità di rigetto della domanda di omologazione, in mancanza di opposizione alcuna, per ragioni che esulino dalla considerazione dell'esito della votazione e della regolarità della procedura: il principio appena affermato e la necessità di assicurare comunque un controllo giurisdizionale minimo, che garantisca i creditori a fronte del potere riconosciuto al debitore di comprimere i loro diritti di credito va allora trovata nel rapporto tra la disciplina dell'art. 180 e il principio secondo cui il commissario giudiziale ha l'onere di riferire al tribunale ogni qual volta riscontri che sia venuta meno una delle condizioni di ammissibilità del concordato, principio desumibile dal testo dell'ultimo comma dell'art. 173 l.fall. (App. Salerno 19 ottobre 2010). Quindi, la possibilità che il tribunale disponga l'interruzione della procedura per la mancanza della fattibilità viene limitata ai casi in cui lo scostamento delle prospettive attuative del piano si riveli in epoca successiva all'approvazione della proposta e si manifesti di importanza e rilevanza tali da indurre una valutazione negativa quanto all'opportunità che il procedimento prosegua verso il decreto conclusivo del giudizio di omologazione. In questo senso sembra ormai orientata la prevalente giurisprudenza di merito (App. Roma 18 settembre 2010; App. Salerno 19 ottobre 2010; Trib. Modena 21 novembre 2008; contra Trib. Tivoli 15 luglio 2009; Trib. Pescara 16 ottobre 2008; Trib. Napoli 26 maggio 2010). Le sezioni unite della Corte di Cassazione del 23 gennaio 2013, n. 1521, valorizzando anche la nuova formulazione dell'art. 179 l.fall., hanno anzitutto distinto fra fattibilità giuridica e fattibilità economica; hanno poi specificato che il sindacato del giudice in ordine al requisito di fattibilità giuridica del concordato deve essere esercitato sotto il duplice aspetto del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura, e della verifica della loro rispondenza alla causa del procedimento di concordato preventivo, la quale si sostanzia nella regolazione e nel superamento dello stato di crisi dell'imprenditore mediante il soddisfacimento delle ragioni dei creditori, chiarendo che non rientra nell'ambito del controllo sul giudizio di fattibilità esercitabile dal giudice un sindacato sull'aspetto pratico-economico della proposta e, quindi, sulla correttezza della indicazione della misura del soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori e, infine, hanno rimarcato che la valutazione prognostica in ordine alla fattibilità del piano, presupposto della convenienza economica della soluzione concordataria il cui giudizio spetta esclusivamente ai creditori, non compete al giudice, in nessuna delle varie fasi in cui è potenzialmente chiamato a pronunciarsi. Ad ogni modo, nella valutazione delle condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato, quale che sia la sede nella quale tale valutazione avvenga (ammissione ex art. 162, secondo comma; revoca ex art. 173, terzo comma; omologazione ex art. 180, terzo comma), al tribunale non è consentito di valutare la regolarità e l'attendibilità delle scritture contabili, ma può sindacare la veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti allegati al ricorso sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica, restando però precluso ogni sindacato sulla stima del valore degli elementi patrimoniali, salvo che in caso di incongruenza o illogicità della motivazione (Cass. n. 2130/2014). Il decreto di omologazione del concordato preventivo non è suscettibile di acquistare autorità di giudicato con riguardo all'esistenza, all'entità ed al rango dei crediti fatti valere nella procedura, dal che deriva l'inammissibilità per difetto di interesse ad agire del ricorso per cassazione avverso il provvedimento in parola, qualora il creditore si limiti a contestare la sua mancata inclusione fra i creditori concorrenti e non risulti provato che la pretesa inclusione avrebbe inciso sulla formazione della maggioranza, ovvero condotto a un diverso esito del voto, determinando la non approvazione del concordato (Cass. I, ord. n. 18903/2023). Le modifiche apportate al quarto comma impongono al tribunale di omologare il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione e' determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all'articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie e' conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria. La disposizione, dovuta anche al d.l. n. 118/2021 in attesa di conversione, è identica a quella inserita nell'art. 182-bis a proposito dell'omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, e per la quale è disposto che l'adesione deve intervenire entro trenta giorni dal deposito della proposta di soddisfacimento. Se il giudizio di omologa si svolge senza opposizioni, la legittimazione a proporre ricorso per cassazione avverso il decreto che lo conclude spetta alle sole parti che vi hanno partecipato, salva l'ipotesi in cui con il ricorso si lamentino un vizio impeditivo di detta partecipazione o altro vizio processuale afflittivo del decreto (Cass. ord. n. 32248/2021). Le opposizioni all'omologazioneIn base al quarto comma dell'articolo in commento, in caso di opposizioni, il Tribunale deve assumere i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. I mezzi istruttori possono essere chiesti da tutte le parti, e quindi dai creditori dissenzienti, nella memoria di costituzione. Quanto alla legittimazione, possono proporre opposizione il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti, e qualsiasi interessato. Si ritiene che i creditori consenzienti possano proporre opposizione esclusivamente per motivi di legittimità. Sono inoltre legittimati: i creditori che hanno espresso la loro adesione, ma con voto nullo, coloro che non hanno partecipato alla votazione o che non hanno ricevuto l'avviso di convocazione e anche gli astenuti, i creditori non ammessi, ma solo se la loro ammissione avrebbe influito sulla formazione delle maggioranze, nonché i creditori privilegiati nei casi in cui sia compromesso un loro interesse. Non è ammissibile tuttavia la contestazione della natura privilegiata o chirografaria di un credito (Trib. Firenze 9 maggio 2012; Trib. Prato 8 maggio 2012). Sono, inoltre, legittimati a partecipare al giudizio di opposizione, in quanto facenti parte della categoria degli «interessati», i creditori non convocati all'adunanza o non ammessi al voto, i quali intendano contrastare l'omologazione, prospettando l'interesse diretto ed attuale al giudizio in riferimento al trattamento loro riservato dalla proposta (Trib. Monza 11 luglio 2014). L'opposizione si propone con ricorso, contenente i motivi di fatto e le ragioni giuridiche, con indicazione delle prove costituite (documenti) e di quelle costituende (ad es. prove orali) che si intendono raccogliere avanti al giudice. I diversi giudizi che si incardinano a seguito della presentazione del ricorso in opposizione vanno riuniti e trattati congiuntamente. Per quanto riguarda i rapporti tra il giudizio di omologazione ed il procedimento ex art. 173, qualora l'opposizione non riguardi le fattispecie previste da tale norma, il tribunale dovrà preventivamente verificare la fondatezza delle segnalazioni del commissario giudiziale e di terzi sull'esistenza di cause di revoca dell'ammissione al concordato preventivo, aprendo il subprocedimento previsto dall'art. 15 (così come si ritiene si debba procedere qualora la possibilità di revoca emerga nel corso del giudizio di omologazione senza opposizioni); ove, invece, l'opposizione attenga proprio all'esistenza di condotte fraudolente o alla mancanza delle condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato, nulla sembra vietarne la cognizione nell'ambito del giudizio di omologazione, che si svolge con modalità idonee a garantire il diritto di difesa del debitore, così osservandosi il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Al di fuori delle ipotesi previste dal quarto comma, al tribunale secondo la dottrina non è consentita una valutazione della convenienza della proposta di concordato preventivo, costituendo uno dei principi informatori della riforma quello dell'autodeterminazione dei creditori nella scelta della soluzione concordataria rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare (Maffei Alberti, 1198). L'opinione deve ora tener conto del disposto del quarto comma dell'art. 180 innovato, da ultimo, dal d.l. n. 118/2021 (in attesa di conversione) per il quale Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione e' determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all'articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie e' conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria. Almeno entro i limiti di cui a questa disposizione è necessario riconoscere al tribunale un effettivo potere di valutazione nel merito. Il decreto di omologazione del concordato preventivo non è suscettibile di acquistare autorità di giudicato con riguardo all'esistenza, all'entità ed al rango dei crediti fatti valere nella procedura, dal che deriva l'inammissibilità per difetto di interesse ad agire del ricorso per cassazione avverso il provvedimento in parola, qualora il creditore si limiti a contestare la sua mancata inclusione fra i creditori concorrenti e non risulti provato che la pretesa inclusione avrebbe inciso sulla formazione della maggioranza, ovvero condotto a un diverso esito del voto, determinando la non approvazione del concordato (Cass. I, ord. n. 18903/2023). L'istruttoria del giudizioL'istruttoria del giudizio deve ritenersi delineata, se pur con estrema sintesi, dalla norma di cui all'art. 180, comma 4, l.fall., che anzitutto ne limita la possibilità, come detto, ai soli casi in cui il procedimento assuma la forma contenziosa, per l'avvenuta presentazione di opposizioni. Negli altri casi, le verifiche di carattere formale cui il tribunale è chiamato dovranno essere svolte sulla scorta degli atti contenuti dal fascicolo ed in particolare sulla base delle conclusioni contenute nel parere del commissario giudiziale (Trib. Monza 11 luglio 2014 nel senso che, in sede di omologazione, il tribunale può accertare incidentalmente la natura privilegiata o chirografaria di un credito allo scopo di consentire il corretto calcolo delle maggioranze o di valutare la fattibilità economica del concordato). In questo ambito il parere di tale organo ha la funzione d'informare il tribunale, a prescindere dalla presentazione di specifiche opposizioni od eccezioni, non solo in relazione all'eventuale compimento di atti di frode o di atti non autorizzati da parte del debitore ma anche di tutti gli aspetti che possono assumere qualche rilevanza ai fini della omologazione del concordato preventivo specialmente se emersi dopo la votazione dei creditori al fine di verificare la permanenza di tutte le condizioni di ammissibilità tra le quali la stessa fattibilità del concordato (Trib. Vicenza 4 luglio 2008). La norma non pone barriere preclusive alle richieste istruttorie delle parti: di qui la conclusione che il rinvio ad una successiva udienza potrà consentire nuove richieste, anche in considerazione della natura camerale del giudizio, che mal si presta all'applicazione di un sistema caratterizzato da rigide preclusioni, sistema che è molto più adatto al modello della causa ordinaria. Altrettanto certo è che sia ammissibile, ove necessario, l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio, per esempio nei casi in cui dovesse esserci una distonia tra le conclusioni delle parti e del commissario quanto alla fattibilità del piano concordatario. In conclusione, il generico riferimento ai mezzi istruttori richiesti dalle parti abbraccia tutti i mezzi di prova previsti dall'ordinamento. Lo stesso vale per le prove disposte d'ufficio, posto che la norma sembra introdurre un potere officioso più ampio di quello previsto in via generale dall'art. 738 c.p.c., così determinando il superamento del principio della disponibilità delle prove di cui all'art. 115 c.p.c., nonché di quello della tipicità dei mezzi di prova e dei relativi limiti di ammissibilità. Il decreto di omologazioneLa procedura di concordato preventivo si conclude con decreto (in passato il Tribunale si pronunciava con sentenza). L'art. 180, comma 3 dispone che il decreto di omologa del concordato deve essere motivato e, in assenza di opposizioni, non è soggetto a gravame; mentre è soggetto a reclamo in caso di opposizioni (Cass. n. 8575/2015). In particolare, nel caso di reclamo, posto che il decreto di omologazione del concordato preventivo è provvisoriamente esecutivo ex art. 180, comma 5, l.fall. deve ritenersi inammissibile l'istanza di sospensione del suddetto decreto, dal momento che in tema di concordato preventivo non esiste una norma assimilabile all'art. 19 l.fall. (Trib. Genova, decr., 14 novembre 2013). Il decreto è un provvedimento a contenuto vincolato: il Tribunale ha soltanto la possibilità di omologare il concordato o di rigettare la domanda di omologazione, non potendo modificare in alcun modo il contenuto della proposta (Cass. n. 3274/2011) . In ogni caso, il provvedimento, sia esso soggetto a reclamo oppure no, è provvisoriamente esecutivo. Con il decreto di omologa si dispone anche riguardo alle modalità di accantonamento delle somme in favore dei creditori irreperibili. Inoltre, non si reputa che le somme possano tornare al debitore concordatario, eccetto che in caso di assunzione con liberazione immediata. Quindi qualora non siano state proposte opposizioni, l'omologazione sarà pronunciata sulla base di una motivazione che dia conto delle verifiche espletate quanto alla regolarità della procedura e all'esito della votazione; in caso di opposizioni, invece, il provvedimento dovrà motivare le ragioni del loro rigetto, sulla base dell'istruttoria espletata. Quanto alle spese, in caso di omologa in assenza di opposizioni le spese processuali del giudizio di omologazione sono a carico del debitore; invece, in presenza di opposizioni, assumendo il giudizio di omologazione carattere contenzioso, le spese sono regolate secondo il principio della soccombenza ex artt. 91 e 92 c.p.c. (App. Bologna 27 gennaio 2006). Il decreto deve essere comunicato al debitore e al commissario giudiziale, che provvede a darne notizia ai creditori; per quanto non previsto, non è dubitabile che il provvedimento debba essere comunicato anche alle altre parti costituite. Quanto agli effetti, come prevede espressamente l'art. 181 l.fall., il decreto di omologazione determina la chiusura della procedura di concordato preventivo. Si tratta di un effetto processuale cui si ricollega la cessazione delle limitazioni dei poteri dispositivi del debitore previste dall'art. 167 e, quanto ai creditori, il venir meno del divieto di esercizio delle azioni esecutive e di acquisizione di diritti di prelazione, stabilito dall'art. 168 l.fall. La chiusura della procedura comporta, inoltre, la cessazione delle funzioni di ingerenza attiva del commissario giudiziale e del giudice delegato, i quali, con l'aprirsi della fase dell'esecuzione, assumono la funzione di controllo sull'adempimento del concordato. Nel caso di omologazione in assenza di opposizioni tutti i suddetti effetti si producono con il deposito del decreto in cancelleria poiché, non essendo soggetto a gravame, esso diviene immediatamente definitivo. In presenza di opposizioni, il decreto è invece soggetto a reclamo ed è provvisoriamente esecutivo. L'effetto della chiusura della procedura viene anticipato dalla provvisoria esecutorietà del decreto sia con riguardo alla cessazione delle limitazioni della capacità di agire del debitore, sia, specularmente, con riguardo alla cessazione delle funzioni di ingerenza attiva, ex art. 167 l.fall., del commissario giudiziale e del giudice delegato. Queste sono destinate a permanere in uno stato di quiescenza fino alla definitività dell'omologazione, potendo essere ripristinate qualora la corte d'appello, decidendo il reclamo, ordini la rinnovazione di atti del procedimento. Il decreto di omologazione è suscettibile di trascrizione ex art. 2643, n. 14), c.c., prevedendo l'art. 2645 c.c. la trascrivibilità di ogni altro «provvedimento» che produca gli effetti dei contratti menzionati nell'art. 2643. Difatti la trascrivibilità del decreto si ricollega sia alla sua idoneità a costituire titolo per il trasferimento dei beni, sia alla necessità di rendere opponibile, ex art. 2915 c.c., ai creditori successivi all'omologazione il vincolo di indisponibilità impresso dal decreto di omologazione sui beni destinati all'esecuzione del concordato. La previsione del potere del tribunale di disporre il deposito delle «somme spettanti ai creditori» limita l'attuazione della cautela alle ipotesi in cui il piano preveda il soddisfacimento dei creditori mediante pagamenti in denaro. E, tuttavia, evidente che poiché la medesima esigenza di garantire il soddisfacimento futuro dei creditori contestati, condizionali e irreperibili si pone con riferimento anche alle diverse modalità esdebitatorie previste dal piano (l'attribuzione ai creditori, in via solutoria, di azioni, quote, obbligazioni ed altri strumenti finanziari, ovvero l'assegnazione di partecipazioni al capitale sociale della società conferitaria del patrimonio o dell'organismo produttivo della società debitrice), il tribunale potrà adottare gli opportuni provvedimenti a salvaguardia di quei diritti di credito, purché non si traducano in una modificazione del piano o nell'introduzione di limitazioni dell'autonomia negoziale del debitore o di terzi incompatibili con la natura amministrativa dell'intervento consentito al tribunale. L'art. 180, comma 6, l.fall. stabilisce, altresì, che il tribunale fissa le condizioni e le modalità dello svincolo dei depositi. Per crediti contestati, in particolare, devono intendersi quelli messi in discussione (quanto alla loro sussistenza o alla loro entità o natura) nel corso dell'adunanza dei creditori o nel giudizio di omologazione, o anche in separati giudizi di cognizione. In ordine a tali crediti, il tribunale non ha poteri accertativi del giudizio di omologazione, anche se, in via incidentale, può affrontare questioni relative alla loro sussistenza, entità e natura ai fini dei riflessi sulle maggioranze. Il tribunale, tuttavia, proprio per le contestazioni esistenti, può disporre che tali crediti non vengano pagati in sede di esecuzione, ma che le relative somme vengano accantonate, fino al momento in cui la contestazione venga meno (con il definitivo accertamento della sussistenza o insussistenza del credito, ovvero della sua entità) (Lenoci, 831). Va rilevato, a questo punto, che l'art. 185, comma 2, l.fall., continua a fare rinvio all'art. 136, comma 2, l.fall., che, immutato dopo le riforme del 2006 e del 2007, affida al giudice delegato la determinazione delle modalità di deposito in favore di creditori contestati, condizionali ed irreperibili. Nel sistema previgente l'intervento del g.d. era considerato (quanto ai crediti contestati) accessorio ed integrativo rispetto a quello del tribunale, nel senso che al primo spettava di stabilire solo le modalità dei depositi determinati, nell'ammontare, con la sentenza, ovvero di quelli resi necessari dalla pendenza della condizione o dalla irreperibilità del creditore. Nel nuovo sistema, l'art. 185, comma 2, l.fall., dovrebbe ritenersi tacitamente abrogato, per incompatibilità con il nuovo art. 180, comma 6, l.fall., a meno che non si voglia riconoscere al g.d. un autonomo potere di determinare, anche nel quantum, accantonamenti giustificati da contestazioni (o irreperibilità di creditori) successive all'omologazione (Rago, 1098; in giurisprudenza, in tal senso. v. Trib. Messina 11 gennaio 2007, secondo la quale nella fase esecutiva del concordato il potere di disporre gli accantonamenti per crediti contestati spettano al giudice delegato e non al tribunale). La norma, comunque, non innova rispetto alle conclusioni cui giurisprudenza e dottrina erano pervenute sotto il vigore della legge del '42, che all'art. 181 stabiliva che nella sentenza di omologazione il tribunale determina l'ammontare delle somme che il debitore deve depositare secondo il concordato per i crediti contestati (Lo Cascio, 767), ed esprime il principio che vincola la possibilità di disporre accantonamenti, con il decreto di omologazione, oltre che all'irreperibilità dei creditori o alla subordinazione del credito a condizione sospensiva o risolutiva, alla presentazione di contestazioni relative all'esistenza o all'ammontare di crediti in epoca anteriore alla omologazione. Qualche dubbio è sorto sull'applicabilità al concordato del d.l. 16 settembre 2008, n. 143, convertito dalla l. 13 novembre 2008, n. 181, il cui art. 2, comma 2, lett. c-bis stabilisce che rientrano nel Fondo unico giustizia le somme di danaro, con i relativi interessi depositate «...presso Poste Italiane S.p.a., banche e altri operatori finanziari, in relazione a procedimenti civili di cognizione, esecutivi o speciali, non riscossi o non reclamati dagli aventi diritto entro cinque anni dalla data in cui il procedimento si è estinto o è stato comunque definito o è divenuta definitiva l'ordinanza di assegnazione, di distribuzione o di approvazione del progetto di distribuzione ovvero, in caso di opposizione, dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia». Sul punto non è chiaro se tale disposizione sia applicabile nell'ambito del concordato preventivo, mancando un esplicito riferimento alle procedure concorsuali; in caso affermativo, l'applicazione di tale disposizione comporterebbe che le somme depositate potrebbero essere reclamate dagli aventi diritto, in forza del provvedimento di svincolo del tribunale (Maffei Alberti, 1205). Premesso ciò, lo svincolo potrà essere disposto, a richiesta, a seconda dei casi, del commissario giudiziale, del liquidatore giudiziale dei beni ceduti, dei creditori o dello stesso debitore, a seguito del venir meno della ragione ostativa al pagamento immediato delle somme, che va individuato: per quanto riguarda i crediti contestati, nel passaggio in giudicato della sentenza che ne accerta la sussistenza, l'entità e il rango, ovvero nel riconoscimento da parte del debitore; per quanto riguarda i crediti condizionali, nell'avveramento della condizione sospensiva o risolutiva; per quanto riguarda i crediti i cui titolari siano irreperibili, nel reperimento della loro sede o residenza ovvero in una loro richiesta di pagamento. Quindi, fino a quando non si verifichino i presupposti dello svincolo dei depositi, la fase dell'esecuzione del concordato preventivo non può ritenersi conclusa, sicché non si esauriscono le funzioni degli organi della procedura. Secondo la dottrina non sembra applicabile in via analogica l'art. 117, che prevede che gli accantonamenti non impediscono la chiusura del fallimento, trattandosi, nel concordato preventivo, non della chiusura della procedura, bensì dell'esaurimento dell'attività esecutiva (Maffei Alberti, 1204). Il rigetto della domanda di omologazioneIl settimo comma della norma in commento prevede l'ipotesi del rigetto della domanda di omologazione nonché la contestuale dichiarazione del fallimento del debitore. Invero, il rigetto della domanda di omologazione del concordato preventivo può dipendere dall'esito negativo delle verifiche previste dal terzo comma ovvero dall'accoglimento dell'opposizione. Delle ragioni del rigetto il decreto, in quanto «motivato», deve dare adeguatamente conto, indipendentemente dalla contestuale dichiarazione di fallimento. Il testo dell'art. 180, ultimo comma, l.fall. ha il merito di pervenire ad una soluzione che riesce a contemperare il principio che vuole esclusa la possibilità di dichiarare il fallimento d'ufficio, con la necessità di verificare se nel caso di specie sussista lo stato di insolvenza (garantendo l'esercizio del diritto di difesa da parte del debitore), requisito che, come noto, non costituisce più oggetto di obbligatoria verifica nella fase di apertura del concordato. Infatti ogni qual volta dovesse verificarsi l'ipotesi del rigetto della domanda di omologazione del concordato, il tribunale, in mancanza di ricorsi presentati dai creditori, potrà trasmettere gli atti all'organo della pubblica accusa, perché quest'ultimo valuti se richiedere il fallimento. In caso di rigetto dell'omologazione senza pronuncia di contestuale fallimento, il debitore tornerà in bonis, con la cessazione di tutti gli effetti derivanti dall'ammissione al concordato (in particolare, i divieti e le limitazioni di cui agli artt. 167 e 168 l.fall.) Nell'ipotesi, invece, di rigetto dell'omologazione e di contestuale fallimento, il tribunale emetterà due distinti provvedimenti (decreto di rigetto dell'omologazione e sentenza di fallimento), in maniera contestuale sì da salvaguardare il principio della consecuzione delle procedure, necessaria per il riconoscimento della prededucibilità dei crediti sorti per le esigenze di gestione della fase concordataria, e per il computo dei termini afferenti al periodo utile per l'esperimento delle azioni revocatorie, decorrenti dal decreto di ammissione al concordato preventivo e non dalla sentenza dichiarativa di fallimento. Non paiono sussistere ragioni ostative al fatto che i due provvedimenti siano contenuti in un unico documento, per quanto essi continuano ad essere concettualmente distinti (Lenoci, 831). Il decreto di rigetto non accompagnato dalla contestuale dichiarazione di fallimento determina la cessazione della procedura, con liberazione del debitore da ogni vincolo. Il debitore potrà ripresentare una nuova proposta di concordato preventivo, scevra dalle carenze che possono avere causato il rigetto dell'omologazione. Qualora, contestualmente al decreto reiettivo della invocata omologazione di un concordato preventivo, sia pronunciata la sentenza dichiarativa di fallimento, le doglianze riguardanti il primo restano assorbite dal gravame proposto contro la seconda, convertendosi in motivi di reclamo ex art. 18 l.fall., attesa la necessaria preminenza dell'interesse del debitore all'impugnazione di quest'ultima, la cui revoca è condizione indispensabile all'omologazione. Ne consegue l'inapplicabilità, al termine per il ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso il reclamo, della sospensione di cui all'art. 3, l. n. 742/1969, trattandosi di cause relative alla revoca di fallimenti, per le quali non è consentito distinguere tra le varie fasi ed i diversi gradi del giudizio (Cass. ord., n. 4527/2015). La pronuncia della contestuale sentenza dichiarativa di fallimento è subordinata all'esistenza dell'istanza di un creditore o della richiesta del pubblico ministero, nonché all'accertamento dei relativi presupposti. L'istanza del creditore o la richiesta del P.M. possono essere quelle, preesistenti al concordato preventivo, la cui trattazione sia stata sospesa in forza del principio della prevenzione. Qualora l'istruttoria pre-fallimentare sia stata compiuta prima della domanda di concordato, il fallimento può essere dichiarato senza che sia necessario instaurare un nuovo contradditorio tra le parti (App. Torino 17 luglio 2008). In caso contrario, così come nell'ipotesi in cui l'istanza di fallimento sia stata depositata in cancelleria nel corso della procedura di concordato preventivo, il tribunale dovrà procedere alla convocazione del debitore in camera di consiglio ex art. 15 l.fall. La convocazione del debitore in camera di consiglio ex art. 15, quando necessaria, deve precedere la pronuncia del decreto di rigetto dell'omologazione, poiché, altrimenti, non sarebbe possibile assicurare la contestualità tra i due provvedimenti. Il fatto che, nella pendenza del procedimento di concordato preventivo, la dichiarazione di fallimento possa essere dichiarata soltanto nei casi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 l. fall. non esclude che essa possa avvenire durante le eventuali fasi di impugnazione, non sussistendo tra le due procedure un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica (Cass. S.U. n. 9935/2021; Cass. ord. n. 8982/2021). In pendenza del procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere dichiarato quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 l. fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato è stata dichiarata inammissibile, quando è stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non è stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, il concordato è stato respinto; la dichiarazione di fallimento, peraltro, poiché non sussiste un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo (Cass. VI, n. 8982/2021). BibliografiaV. sub art. 179. |